Suavisaviatio. Morgana/Gwen. nc17

Apr 22, 2009 17:29

Titolo: Suavisaviatio (Dolcebaciare)
Autore: theslashqueen 
Contest: 1frase 
Fandom: Merlin
Paring: Morgana/Gwen (un accenno di Arthur/Merlin)
Genere: PWP, Romantico
Rating: NC-17
Warning: scene di sesso esplicite tra donne
Numero di Parole: 2700 circa
Trama: Morgana si sveglia nel cuore della notte a causa di un incubo e ci sarà Gwen pronta per consolarla
Disclaimers: i personaggi non mi appartengono
Note: dedicata interamente alla mia dolce rosellina amorosa slashprincess88 , che tanto si è divertita a leggerla ahahah bacini XD Ho deciso di usare Ginevra, anzichè Gwen, per un puro gusto personale. Non sono responsabile di ciò che ho scritto XD non si accettano lamentele per gli effetti indesiderati ahahahah
Tabella: set delta




Violentemente i lumi le si spalancano, squarciati da un sogno dalle parvenze mostruosamente mortali, e di scatto sul letto si siede, il respiro affannato.

Terrorizzata dal muto vociferare della notte, le coperte al petto ben stringe, bramando d’esser dalla sua ancella rassicurata, abbracciata, ma d’essa non scorge la presenza, perciò, ormai desta e dal silenzio soffocata, il cheto letto abbandona. Il corpo, accarezzato da una sottil stoffa, con un manto cinge e, fatta infocar una lanterna, ad uscir dalla stanza, alla ricerca di colei che la calma le dona, s’accinge.

Tra i corridoi, spogli delle luci in quella tarda ora, echeggiano i suoi passi che sanno di ansia, angoscia e terrore; avanzano forti, decisi, sino a che a le orecchie qualcosa le giunge e il moto le uccide.

Tutt’intorno si guarda, tentando di comprendere cosa accade, poi sussurri sommessi l’udito carpisce ed ella li segue, come il cacciatore che dalle orme si lascia guidare.

Giunta ove il fato ardentemente la voleva, Morgana si sente le gambe tremare, percossa senza indugio alcuno da un desio destabilizzante, dal guardo animato: poco lontano, contro una colonna marmorea,  con il proprio corpo Arthur quello di Merlin tiene sospeso, le sue gambe la vita gli attorniano e le mani vagano vaghe sulla schiena regale.

Morgana una mano alla bocca si porta, trattenendo ivi la sorpresa generata da quella vista, la quale è dotata di un tale calore che, quando nella gola ricacciata sprofonda, il corpo le prende e la supplica di allontanarsi dai giovani che a ritmo d’amore danzano e ansimano, per muoversi alla ricerca di colei che quel nato desio le può carezzevolmente assopire.

Rincorsa dai minuti, strade conosciute percorre, sui viali di ciottoli corre, mentre il tempo su lei scorre, ma Ginevra non riesce a scovare, neppure nella sua umile dimora, sì che la speranza sente allontanarsi, ma la brama per niente placarsi.

Avvilita ed eccitata, alla propria stanza fa ritorno, torturata da ipotesi sull’assenza della sua desiata: forse che un corpo maschile la sta anche solo sfiorando, forse baciando o, addirittura, amando?

Quando la porta spalanca, il cuor in gola le balza, poiché innanzi a sé la vede, bella e delicata come solo una regina potrebbe apparire, ed ella le sorride, unendo alla gioia l’apprensione.

«Era venuta ad accertarmi che nulla turbasse il vostro sonno», le dice Ginevra, sollevando il sopracciglio una volta notato il rossore che su l’altrui viso ratto s’era addensato, «ma non vi ho trovata e ho subito temuto che qualcosa di brutto vi fosse accaduto».

Morgana, udite le sue parole e osservatala incedere, avverte novellamente un furente languore navigare nei rubenti rivi del corpo e travolgerle la ragione, sicché all’ancella ancora più si avvicina e, mormorando, le sussurra: «Fui destata da un incubo e, spaventata, venni a cercarvi, ma ben altre persone ho incontrato lungo il mio cammino: vidi Arthur, l’impavido principe, baciare la carne del giovane Merlin, morderla, succhiarla e penetrarla con dolce fermezza».

Ginevra pare aver perduto il dono del soave parlare, poiché stranamente l’atra fissa, muovendo i tenebrosi lumi su quel pallido volto di desiderio macchiato, poi, cogliendola di sorpresa, le mani sui morbidi fianchi le posa e amabilmente le sorride.

«È normale reagire in questo modo a una tal vista.. alcune volte, come durante una cena o una qualsiasi passeggiata, fate sorgere in me un impulso irrefrenabile di accarezzarvi, di sfiorarvi semplicemente una mano o il braccio, di legarmi a voi in un qualche modo», le confida Ginevra, sentendosi poi posare una mano sulla nuca, la qual la prega di farsi più vicina e di mutar in realtà l’astrattezza delle parole.

Morgana sospira, le labbra con gli occhi dolce le accarezza, le proprie pian piano inumidisce, finché alle sue non le unisce: si lusingano docili, sfiorandosi lente, poi, tra il pulsare veemente, si schiudono schiette e vi scivola oltre il condottier d’uno dei sensi che, del gusto ingordo, tutto fa suo e nulla si nega.

Da un furore mossa, Ginevra a sé con forza la stringe, sentendo i suoi seni contro i propri palpitare, alzarsi e abbassarsi, allontanarsi e avvicinarsi; una mano, dai fianchi, sulla schiena risale, fermandosi solo quando piccoli bottoni incontra, e, d’esperienza guidata, lieta li libera dalle soffocanti asole.

La veste sottile a terra ricade, increspandosi come il mare dal vento eccitato, e il corpo di Morgana, nudo, dinnanzi all’amante trema, candido, sì che costei, affamata, le mani sulle braccia fa scorrere - scivolano- poi la bocca le posa sul collo, d’avorio, e la pelle le bacia, sensuale, avvertendo il ribollire del sangue, concitato, e l’incalzare del respiro, rotto; la dama non riesce a frenare la caduta del proprio capo, così lascia che all’indietro si reclini e che i capelli, neri, le si spargano lungo tutta la schiena, indomiti, abbandonandosi completamente alla donna che l’ha in pugno.

Ginevra si scosta d’improvviso, immediatamente colpita da occhi confusi, imploranti una spiegazione, così, in risposta, le sorride e fino al letto la sospinge, invitandola a sedersi sul bordo; l’altra, che a stento riesce ancora a rimanere in piedi, non esita a farlo, ma, vedendo che l’amata le si stava per inginocchiare innanzi, la ferma e, fissandola decisa, mormora: «spogliati», e, sfrontata, le gambe un poco dischiude.

Un fremito l’ancella travolge, la prende, la scuote, ma ella reagisce, mossa dall’impazienza d’averla, così rapida si sveste - qualche bottone a terra piomba, vittima di quella guerriglia di dita tremanti - e nuda, a sua volta, rimane; in principio i seni con un braccio si copre, per un attimo intimidita da quell’inizio di intimità, perciò Morgana, che in modo smisuratamente inconsapevole la ama, la invita a sederlesi  accanto, baciandola, poi, con un tal amore che ella, disarmata, devotamente le si dona.

Divenuta, da preda, cacciatrice, s’alza sinuosamente, silenti passi le muove innanzi, poi si ferma, sorridendo, con un dolce tocco del ginocchio la porta ad aprire le gambe e, tra esse, trova riparo, inginocchiandosi. Il petto di Ginevra, morbidamente tondeggiante, da un fremito è scosso, quando le mani bramanti appena la sfiorano - i dorsi scivolano come fossero seta, indugiano un solo secondo scontrandosi con i capezzoli che, orgogliosi, si ergono e umilmente pregano d’essere baciati, assaporati.

L’ancella il labbro si morde non appena l’altrui bocca uno ne cinge, abbracciandole l’intera vita e a sé legandola, con la lingua lo lusinga, lo lascia e di nuovo lo prende, e costei non può che arrendersi, sì che, in quell’attimo esatto, il controllo di mano le sfugge e il suo corpo, che per l’altra si strugge, di colpo la tradisce e un ansimo dalle labbra le fiorisce.

Uno novello, vermiglio, sboccia, da altri fedelmente seguito, e nell’aere, sì come fosse stata un manto erboso baciato da primaverili raggi, un profumo simile a rose si spande, sicché Morgana, da esso guidata, un lieve bacio sull’altro seno posa, desiosa di risalire per rinvenire le fonte di quel languore, che l’udito e l’olfatto l’eccita, e in essa affondare.

Quindi il rosso condottiero tra i seni si fa strada, li oltrepassa e s’arrampica fino a giungere alle clavicole, ove per qualche istante giace, poi s’avvia al ripido collo, sul quale non può fare a meno di concentrarsi e di lasciarvi un livido marchio di potestà, capace di dissuadere barbariche incursioni; infine la meta raggiunge e, aiutato dalla fedele mano che il viso ammansisce, la bocca asservisce.

«Vi prego», mormora Ginevra, « smettete di indugiare e torturarmi in questo modo; fatemi vostra una volta per tutte». (vittoria)

(Crepuscolo )Come la notte che sul mondo piomba e di passione il cielo tinge, tale Morgana con il corpo dell’amata fa: in un primo momento i fianchi le afferra, stringendoli, con dolcezza verso sé l’attira, poi, posate le mani sulle conche deliziose che congiungono le morbide cosce ai duri polpacci, lievemente fa pressione, sino a quando le ginocchia le sfiorano i seni; così, accarezzata un’ultima volta la setosa pelle, le gambe un poco dischiude e, calati i lumi sul suo sole, rabbrividisce.

Il volto avvicina, le labbra si bagna, lievemente le morde, pregustando quell’attimo che a lei la unirà, che la farà sentire completa, unica, perfetta; sofficemente un sospiro le sfugge e sinuoso solletica il sesso di Ginevra, la cui schiena un poco s’inarca e che verso l’altra ancor più si protende, sicché le labbra dell’una su quelle dell’altra si posano, valicando quell’invisibile confine che ancora le separava.

Col contatto l’ancella tutta s’infoca, languida geme, avverte la bocca strusciare contro la carne tumida ed eccitata, poi una mano scivolare sino al seno poco prima lasciato in disparte, stringerlo, carezzarlo, ed ella in sé sì tanto la vorrebbe che tal pensiero rende manifesto:  lo mormora morbidamente, e l’amata, che nulla le sa negare, l’asseconda servilmente.

Costei, come da eros posseduta, saldamente innanzi la tiene, poiché tutta è un tremore, e, schiuse quelle sue labbra d’umore bagnate, la lingua in lei insinua.

Un’intima danza ha inizio nella soffusa stanza: il muscolo, lento, profondamente la lusinga, in tondo volteggia, saltella leggiadro, un secondo si distacca e di nuovo l’attacca; un canto armonioso, dal desio dettato, si diffonde loquace, poi penetra ratto l’aere densa allorquando Morgana un punto speciale in lei raggiunge.

La donna dai neri crini è da essa completamente inebriata, disarmata dalla sua bellezza e dolcezza: la immagina mordersi il labbro per trattenere il piacere, sorride delle gote che saranno certamente arrossate e da un ancor più intenso calore si lascia pervadere quando sente i muscoli tendersi, il respiro divenire molto affannato.

L’umido sesso le schiude sicura e, senza smettere di istigare quel punto scovato, s’avvale dell’ausilio della mano che sul seno giaceva e con il pollice scaltro le accarezza con fervore quello scrigno di nervi eccitati, sino a che Ginevra da un’ondata di giovanil ardore si lascia travolgere.

Il suo corpo, tranquillizzatisi i tremiti ma ancora cristallizzato in quella stramba posa, vicino a quello di Morgana riprende a respirare regolarmente, trasmettendole a sua volta quella pace dei sensi che aveva perduto e per la quale provava una sì forte nostalgia; quindi accade che Morgana, raggiungendola sul letto e sdraiatalesi accanto, la testa sul petto le posa e, respirando con lei a tempo, con lei s’addormenta.

Si risveglia in un giardino incantato, baciato da un sole che brilla soavemente e che rende i prati d’un verde riverberante, sui quali altro non desidera che di sdraiarsi, di respirare quelle esalazioni di umida vita che la inebriano tanto, di stringere a sé Ginevra e di baciarla con ardente dolcezza; ma ella non v’è.

Tutto attorno volge il capo, coprendosi gli occhi con la morbida mano, e il sorriso sul viso le ricompare solo quando le braccia dell’amata le cingono, in segreto, la vita; e la terra sotto i piedi sente quasi tremare allorché la futura regina il collo le bacia e la implora, con un sussurro che la fa arrossire, «danzate con me, guidatemi come fanno quegli uomini di corte con voi, fatelo con più amore e trasporto, fatelo come se fossi vostra: danzate con me».

Morgana, tra riso e imbarazzo, si lega i capelli, come a voler simulare un poco l’aspetto di quei damerini, e la sua donna innanzi porta, facendola roteare e catturandola poi con fare deciso, stringendola forte a sé e guidandola in ballo che possiede movenze fiere e ardite, languide e docili.

Ginevra felice la bacia, la stordisce come solo ella sa fare, peggio del vino che le dà alla testa, peggio dei forti temporali che di notte la tengono sveglia o del sole che la pelle le rende scarlatta.

Quegli umidi tocchi su tutto il corpo all’improvviso sente, sul collo scoperto, sulla schiena che non le par però esser nuda, sui lievi laghi languidi che sul fondo schiena giacciono, ma non capisce come possa ciò esser possibile, tuttavia d’un tratto intuisce che lo spirito, che s’era sopito, alla luce Ginevra sta riconducendo.

Le palpebre, pesanti di sonno, tremolano molli e un sentore di cera fusa per la stanza si diffonde, portandola a grattarsi il naso che aveva preso a pruderle e, carezzata nell’udito, la risata dell’amata le giunge, seguita da un bacio leggero sul quel punto arrossatosi, il qual poi sulle labbra avido scende e di desio tutta la colma.

«Mi rincresce di avervi svegliata», le mormora come nel sogno, «ma sta oramai per albeggiare e non volevo lasciarvi così scortesemente, senza avervi prima risanato la ferita originata dal turpe incubo».

«Non dovete dolervi per una tale sciocchezza; credo invece che potrebbe diventare un nostro rito: dovreste senza dubbio rimanere qui a dormire ogni notte, pronta ad intervenire alla prima avvisaglia», le risponde ancora prona, tentando di volgere la propria posizione, ma venendo interrotta da un manto di baci che il dorso intero le coprono.

«Ne sarei onorata, mia signora» continua ella a dire, posandosi leggera sul suo corpo formicolante di sonno, rapido tuttavia a destarsi a quel caldo contatto e smanioso d’averlo sempre più vicino; Morgana allora si chiede quando la sua dolce e pacata ancella abbia assunto le sembianze di una così sensuale e ammaliante farfalla, ma risposta ai propri questi non trova, poiché quella donna incantata le accarezza ogni sua morbida curva e il respiro le uccide, mordendole il lobo.

Ginevra è così soddisfatta di sé, lieta di allietare la notte della sua amata signora, felice di poter assaporare la sua pelle setosa e orgogliosa di farle inarcare la schiena e vibrare l’intero corpo di piacere; così, da fautrice qual è del suo godimento, la mano lascia scivolare su di lei, fermandola solo quando i glutei raggiunge.

Un sospiro a Morgana sfugge, il quale è come se, celere, una storia narrasse, e l’altra, che ben la conosce, repentina l’apprende e mano vi mette: si solleva un poco, indietreggia, l’osserva dall’alto e si morde il labbro, rendendosi conto che quella donna bellissima è lì, in quel modo, per lei, e che sospira perché la vuole dentro di sé, perché, semplicemente, la vuole.

Dopo averle schiuso un poco le gambe, l’intimo interno delle cosce lenta le accarezza, col tatto assaporando il calore da lei sprigionato, ma lesta s’arresta quando le sfiora il sesso fiorente: qual l’acqua cheta che in profondità segretamente scorre e d’improvviso a terra affiora dopo aver eroso la spessa superficie, tal pare che a Morgana sia accaduto, come se la passione a lungo taciuta avesse trovato una via di fuga attraverso quella languida incisione.

L’ancella gentile s’allunga e un cuscino afferra, facendolo scivolare sotto al bacino di lei, rendendola conscia di quello che sarebbe da lì a poco accaduto e smaniosa di quel contatto a lungo bramato; dopo aver impresso a fuoco l’immagine della sua signora così distesa, s’accovaccia dietro di lei, con le mani impazienti le labbra le carezza e decisa le schiude, poi avvicinandosi e baciandole il sesso pulsante, dal quale assapora quel nettare che ambrosia pare.

Morgana le lenzuola tra le mani stringe, ardendo per la sua lingua che decisa in lei si spinge, urtando e lambendo nervi sconosciuti, solleticata dai suoi capelli che sulle cosce cadono e lascivi le accarezzano; ella crede che niente di più profondo possa provare, ma rapida si ricrede quando l’amata, sadica ritenuta, da lei s’allontana, per quel che le pare essere un’eternità, e le dita, in coppia, dentro di lei fa affondare. Morde il cuscino di tutta risposta, poiché le sue urla non possono echeggiare nell’intero castello, e teme di poter morire quando Ginevra su di lei nuovamente si sdraia, facendo strusciare i seni contro la sua schiena e rendendola cosciente di quanto siano turgidi i capezzoli; ma quella, che morta realmente la vuole, ancor più osa: a quella prima coppia di dita un’altra ne fa seguire, muovendoli tutti flemmaticamente e godendo dei brividi del suo corpo che sotto al proprio si contorce e che con desio più attrito cerca; Morgana allora appena un poco si solleva, addossando sulle ginocchia l’intero peso, e Ginevra, ansante, il fulcro fremente infine le tocca.

La futura regina allora apprende che quello è per lei il momento prediletto: cosa vi è di più bello di sentire palpitare attorno alle dita il sesso amato dell’ amata e farsi accarezzare da sussurrati ti amo?

Da Morgana, riluttante, si allontana, ma accanto le si sdraia, osservando il cielo tingersi tenuamente oltre la finestra, dalla quale, pur essendo ben serrata, il vociare della stirpe umana destata s’ode; la sua signora, accorgendosi che il viso tristemente si rabbuia, verso sé lo volge, le sorride, la bacia e Ginevra allora muta di nuovo parere: quello è l’attimo che più di così non può essere perfetto.

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