Verranno a chiederti del nostro amore

Oct 22, 2011 20:23


Sabato pomeriggio, postiamo storie.
Mi sono unita a una bella community di Grindeldore e contribuisco con la mia piccola storia.
La posto anche qui, si sa mai qualcuno avesse voglia di immalinconirsi con me...

Titolo: Verranno a chiederti del nostro amore
Personaggi: Albus Dumbledore/Gellert Grindelwald
Rating: G
Avverimenti: nessuno
Riassunto: Nella notte, mentre la maledizione risale lungo il suo braccio, mentre la morte si fa strada, si concede la debolezza che si è proibito per tutti questi lunghi anni. Si concede di pensare al passato.

Note: Forse non è la migliore storia che abbia mai scritto, probabilmente non è affatto originale, ma è sentita e nasce da un momento di malinconia dilagante.
E' stata pubblicata su EFP, ma ho colto qui l'occasione di rivederla un poco, cambiarne il titolo e di correggere qualcosa qui e là.
Sono pessima a trovare i titoli, ma, questa volta, questa canzone meravigliosa di De André mi pareva scritta per loro.



"Quando in anticipo sul tuo stupore 
verranno a chiederti del nostro amore 
a quella gente consumata nel farsi dar retta 
un amore così lungo 
tu non darglielo in fretta.
[...]non sono riuscito a cambiarti 
non mi hai cambiato lo sai. "

Così tanti anni.
Così tanti errori.
Non eri tu a dire che gli errori erano solo pietre? Pietre che ci lanciamo alle spalle, pietre che costruiscono un sentiero, che altri, dopo di noi, percorreranno più saldamente? Pietre che lasciamo cadere, liberandoci del peso, della colpa, del dolore.

Così tanti rimpianti.

Non mi sono mai concesso tregua, non mi sono mai concesso pietà. Se lo avessi fatto, se avessi lasciato anche solo uno spiraglio, tu saresti tornato a tormentarmi. Tu. L'idea di te richiuso, prigioniero. Mura di pietra e di incantesimo a imprigionarti, nessuna luce a illuminarti gli occhi.

Era davvero questa l'unica strada, amico mio?
Era davvero questo l'unico destino?
Non eri fatto per appassire in una gabbia, non eri nato per la pietra e per il ferro, per maledizoni e giuramenti.
Guerra e vendetta, rabbia e calcolo crudele, questo sì.
Tu eri quello selvatico, ricordi? Io ero quello silenzioso.

Ricordi il fiume? Sono certo di sì.
E' l'ultimo ricordo che ho di noi, l'ultimo che mi permetto di rivivere, di tanto in tanto.
Mentre mi racconti quello che hai in mente, mentre trovi soluzioni ai problemi che ti ho posto, mentre mi incanti con i tuoi sogni, così uguali ai miei, così pieni di possibilità, l'acqua del fiume scorre e tu la guardi, disegnando tracce di luce con la bacchetta, sullo scorrere della corrente.
Solo ogni tanto alzi lo sguardo verso di me, seduto sul prato, a debita distanza dall'acqua e dalla sponda fangosa.
Sono sempre stato quello che aveva paura di sporcarsi, non è vero?

Alla fine avevi assolutamente ragione.
Avevo paura.

Ho superato le mie paure, sai? Ho affondato le mani in talmente tante colpe, talmente tanti intrighi, che ora... E' quasi ironicamente giusto quello che mi sta succedendo.
Ho manipolato le persone, le ho convinte che le cose andassero fatte a modo mio. E sai che frase ho quasi usato, una delle ultime volte? Sai cosa mi è quasi uscito dalle labbra? Per il bene maggiore.

Non fraintendermi, non è un'assoluzione che cerco.
Non è un'assoluzione che offro.
Rifarei ogni cosa esattamente come l'ho fatta allora, senza lasciarti scampo. Perchè non mi hai dato altra scelta, non c'è mai stata altra scelta.
Dire che vorrei non mi avesse fatto così male sarebbe una bugia talmente grande, talmente colossale da schiacciarmi col suo peso.
No.
Il dolore era necessario. 
Era fondamentale che io soffrissi, mentre la tua bacchetta, questa bacchetta, finiva nelle mie mani. Fondamentale che io fossi in agonia nel vederti trascinare via, privo di sensi, mentre a testa alta ricevevo cure, soccorsi e le prime lodi, le prime vuote parole di gratitudine e di pomposa, inutile celebrazione.

Ti avevo sconfitto, ti avevo fermato, ti avevo piegato. E non avrei sopportato di sentirmi bene, per qualcosa del genere, anche sapendo che era la cosa giusta da fare, la cosa nobile da fare, l'unica possibile soluzione.

Qualcuno sosteneva che tu fossi pazzo.
So che non lo eri, so che non lo sei, nemmeno ora, prigioniero e cieco, vecchio e furioso.
Siamo diventati vecchi, amico mio, in un modo o nell'altro.

E ora io sto morendo.

Ho immerso le mani in troppi intrighi, troppo sangue, ho manipolato troppi nobili innocenti per fare ammenda del passato, per impedire che un male più grande sorgesse e trionfasse, per... Lo vedi, lo faccio ancora. Scuse e giustificazioni, come se il bene maggiore, qualunque esso sia diventato negli anni, potesse sempre scusare sacrifici inimmaginabili.

Ho sacrificato la vita di maghi e streghe così forti e così orgogliosi che il tuo cuore si sarebbe fermato nel guardarli, amico mio, ho lasciato che la mente di altri, coraggiosi come leoni, venisse bruciata come carta.
Ai miei ordini un uomo fragile e duro come pietra ha condannato se stesso a una vita di menzogne e di dolore, per me, per il bene maggiore, così come un bambino ha vissuto per poter morire al momento giusto, secondo i piani, secondo le mie maledette manipolazioni.
E ora che il tempo si avvicina, io li abbandono.
Sto morendo e non c'è nulla che nessuno possa fare.
Forse potremo rimandare, forse c'è chi potrà guardare la morte con abbastanza sdegno e abbastanza rabbia da concedermi qualche giorno, qualche mese, qualche ora in più, ma io e te lo sappiamo, non è vero? Sappiamo che la morte non può essere ingannata a lungo.

Come ci sbagliavamo io e te, quanto eravamo ingenui allora.
Qui, con la maledizione che risale lungo le mie dita, stringo tra le mani due dei Doni dei tre Fratelli, eppure la morte mi aspetta, paziente, senza fretta. Sa che non fuggirò da nessuna parte.
E va bene così, amico mio, in fondo va benissimo così. E' passato molto tempo e ormai non ho più paura. Non sono più il ragazzo febbrile e spaventato, determinato a sconfiggere la morte.
Ormai è tempo.

Così tanti anni.
Così tanti errori.
Così tanti rimpianti.
Non mi sono mai concesso tregua, non mi sono mai concesso pietà. Se lo avessi fatto, se avessi lasicato anche solo uno spiraglio, tu saresti tornato a tormentarmi.

Credo che oramai non ci sia più bisogno di nascondersi, credo che oramai io abbia il diritto di piangerti, non credi? E come è ridicolo che, in fondo, sia io quello che sta per morire, mentre tu, rinchiuso in gabbia, vivi.
Ma l'ironia non mi diverte più, sento solo l'amarezza degli anni passati a nascondere quello per cui non mi sono mai concesso di versare lacrime.

Perdonami.
Perdonami.
Perdonami, amore mio.

Perdonami per non essere stato abbastanza forte, per non avere capito, per non avere avuto abbastanza coraggio da fermarti prima. Per non avere avuto abbastanza forza per farti cambiare idea, per farti capire, per farti restare.
Perdonami per essere stato folle, ingenuo, per non aver voluto vedere, per essermi lasciato guidare, cieco e meravigliosamente felice, dalla tua mano sicura, verso un cammino che guardavo con gli occhi chiusi. Perdonami per non essere stato abbastanza saldo per impedirti di crollare.
Perdonami per averti creduto, per averci creduto, per avere sognato e non avere capito.

Ad altri, a molti altri, dovrò chiedere perdono prima che tutto sia finito.
Ma stanotte, mentre la maledizione risale sulla mia pelle, solo a te io chiedo perdono, solo a te dico addio.

Quando verranno a dirti che sono morto, piangerai? Il mio stupido orgoglio lo vorrebbe, sai? Il mio maledetto e incrollabile orgoglio lo vorrebbe, ma non credo che dovresti. Non dovrai piangermi, no davvero.
Perché lo credo, lo credo davvero, non ha alcun senso piangere per i morti, Gellert, ma solo per chi vive senza amore.

E ci sono poche cose di cui sono certo, delle quali non ho mai dubitato un istante, anche quando ti combattevo, con la furia nei tuoi occhi e l'orrore nei miei, poche cose mi sono chiare e limpide come la mia unica sola, vera certezza. Il mio amore per te.
E non c'è nulla che vorrei di più, ora, che essere di nuovo lungo quel fiume.

Nella mia mente, nella mente folle di un povero vecchio morente, non abbiamo mai lasciato quel fiume.
Io mi siedo accanto a te, sulla riva fangosa e prendo la tua mano.
E nulla ha più importanza.

“Perché? Disse Piton senza Preamboli, “Perché ha infilato quell'anello? E' Maledetto, sicuramente lo avrà realizzato. Perché anche solo toccarlo?”
L'anello di Orvoloson Gaunt giaceva sulla scrivania davanti a Silente. Era rotto. La spada di Grifondoro era posata lì accanto. Silente fece una smorfia.
“Sono ...stato uno sciocco. Così fortemente tentato...”
“Tentato da cosa?”

Silente non rispose.

A/N: questa one shot nasce dall'incredibile fascino che la storia di Silente e Grindelwald ha esercitato su di me mentre leggevo Harry Potter and the Deathly Hallows.
Tra le varie storie di amore e di morte, tragiche, romantiche, irrisolte, drammatiche che sono raccontate nel romanzo, quella tra i due maghi è forse la più terribile e triste in assoluto.
Ho sempre amato il personaggio di Silente e volevo provare a dedicargli questa piccola intrusione tra i suoi pensieri.
Il brano finale, quello in corsivo, è naturalmente una citazione da Harry Potter e i Doni della Morte. E' tradotto direttamente dall'inglese perché non ho a portata di mano la versione italiana, quindi non stupitevi se non è identica, parola per parola alla traduzione ufficiale.

Questa storia è stata ispirata ad una splendida fanart, molto conosciuta, che mi ha travolto completamente e mi ha spinto per la prima volta a scrivere di questi due, questi meravigliosi Albus e Gellert.
E' di caladan_dd e la trovate qui:  http://caladan-dd.livejournal.com/19057.html

grindeldore-ita, pairing: grindeldore, fan fiction, harry potter, fanfiction, efp

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