Fandom: Suits
Titolo: Don't let your mind get weary and confused, your will be still, don't try
Personaggi: Mike Ross, Harvey Specter
Rating: R
Genere/warning: slash, angst, dom/sub
Wordcount: 3008
In cosa questa fic consiste: una delle prime scene di Mike va malissimo.
Note: ambientata durante la s1 \o\
La mano di Harvey sul suo sedere, l’altra sulla sua vita, la sua voce che lo accarezza piano, assieme alle dita che vanno dalle fossette sopra le natiche all’inizio della coscia. “Rilassati, Mike, o farà più male del dovuto.”, gli ordina, ma con voce meno dura di quanto avrebbe dovuto, sistemandoselo meglio sulle ginocchia.
Mike deglutisce, per metà rassicurato dalla morbidezza che si è infiltrata appena appena nella sua voce; oggi, più di tutti gli altri giorni, non vuole commettere errori, vuole solo una litania di complimenti. Si impone allora di rilassarsi, sciogliendosi un poco sotto di lui. Harvey se ne accorge, e gli accarezza la testa. “Bravo ragazzo.”, mormora, e Mike sospira contro le lenzuola. Vorrebbe chiedergli di ripeterlo ancora, e ancora, e ancora, vuole che quelle parole lo riempiano - ma non è il momento, per cui si mordicchia le labbra, per tenersi la bocca occupata. Si aggrappa ai suoi pantaloni, sente ancora più forte il contrasto tra il proprio corpo nudo, protetto solo dalle mutande, e Harvey che sembra, come al solito, uscito da una foto, da un catalogo di moda. Alza appena il sedere, e allora Harvey smette di accarezzarlo, mollandogli il primo schiaffo.
“Quando lo dico io, Michael.”
Mugola di frustrazione, rimettendosi al proprio posto, la pelle d’oca che lo percorre per intero; ma Harvey non si fa attendere per molto. Comincia piano, per prepararlo, ed è così piacevole che a Mike scappano piccoli gemiti soddisfatti - ed è adesso che Harvey comincia a sculacciarlo davvero, facendogli spalancare gli occhi e gemere di dolore. Si morde le labbra perché non sa se può fare il minimo rumore.
“Mi piace sentirti.”, gli mormora, tornando ad accarezzargli la testa. “Sei bravissimo, stai andando benissimo. Bravo ragazzo.”
Gli pizzicano gli occhi e li strizza fortissimo, morde il materasso sotto di lui. Sente Harvey ridacchiare, mentre gli sfiora il sedere bollente e lo fa sibilare, quando preme un po’ il dito contro la natica. Gli abbassa le mutande per rimirare il suo lavoro, e Mike si drizza appena.
“Rilassati.”
Si para ancora contro le palpebre abbassate, dietro le costellazioni di dolore quando Harvey ricomincia a colpirlo più forte, tanto che è impossibile che non pianga. Fa male, fa davvero male, più delle altre volte, e non sa se riesce a sopportarlo. Sente qualcosa che comincia a ribollire nel fondo dello stomaco, che minaccia di salire. Ma Harvey si ferma per dirgli che è bravissimo, per accarezzargli il collo. Mike volta la testa per baciargli e leccargli la punta delle dita. Ne vuole di più, di più, di più. Vuole che continui e che lo accarezzi e che ricominci e che lo accarezzi ancora.
Riprende a sculacciarlo più forte, ancora di più, per testarlo, come aveva promesso. Fa un male quasi insopportabile, ma Mike non vuole che finisca, e allora stringe i denti; il dolore ha superato e annullato il piacere, ma pensa sia solo questione di tempo, che basti solo un pochino di tempo perché il suo corpo si abitui - ma non accade, e quel qualcosa sale fino alla gola e la stringe, e scoppia a piangere. Harvey non si ferma - non si fermerà fino a quando non sarà Mike a chiederlo, e Mike non vuole, sta aspettando di farsi dire che è bravo a sopportare così tanto e per così tanto tempo.
Non si abitua, e fa sempre più male, e sente una familiare sensazione di panico - che non ha senso, perché non sta succedendo niente di male, perché è in mano ad Harvey e di lui si fida, e non lo sta ferendo, né niente. Ma a nulla serve cercare di rassicurarsi in quel modo, e il dolore si fa sempre più acuto, e d’un tratto ha paura che non smetterà mai di fargli male, e il panico lo avvolge. Comincia a mormorare: “No, no, basta”, anche se vorrebbe tapparsi la bocca, perché se continua così non sarà più il bravo ragazzo di nessuno.
“Oh, no, Michael, te li sei meritati tutti.”, replica Harvey, asciutto, senza il minimo accenno a rallentare.
È la sua voce senza compassione che lo annienta, e allora Mike singhiozza: “Rosso! Rosso rosso rosso!”, e Harvey si ferma immediatamente e se lo mette in braccio. Gli prende il viso tra le mani per ispezionarlo.
“Mike, Mike, calmati, cos’è successo?”
Mike non ha idea di cosa sia successo, e anche se l’avesse non riuscirebbe ad esprimerla, perché tutto quello che riesce a fare è singhiozzare a bocca aperta come un bambino, vergognandosi così tanto. Il sedere gli fa malissimo, ancora di più a contatto con le cosce di Harvey - del quale cerca la delusione nascosta nella fronte corrucciata, nella linea dura delle labbra, ma non la trova, ma questo non gli impedisce di sentirne il peso addosso. Per questo non dovrebbe abbracciarlo come sta facendo, stringendogli il collo così forte da rischiare di soffocarlo, né legargli le gambe alla vita. Harvey se lo tiene così addosso per un pochino, accarezzandogli la schiena, baciandogli il collo, poi lo fa sdraiare senza staccargli le mani di dosso.
“Vado a prenderti qualcosa da bere, ne hai bisogno.”, e fa il gesto di alzarsi, ma Mike gli si aggrappa gridando: “No! Ti prego Harvey rimani qui ti prego -” con voce tremante, che sfuma subito nel pianto. Appena Harvey si sdraia di nuovo gli si accartoccia contro, aggrappandosi alla sua camicia. “Rimani qui ti prego…”, continua a cantilenare, anche quando lo sente tutt’attorno a lui.
Gli ci vuole quasi mezz’ora per calmarsi e riuscire a respirare normalmente senza spezzarsi a metà. Harvey lo ha avvolto nel lenzuolo, e ora che può allontanarsi di qualche centimetro gli rimette le mutande e la maglietta.
“Riesci a spiegarmi cos’è successo? Mi hai spaventato a morte, Mike…”, gli domanda, una volta che lo ha fatto sedere senza ricevere proteste. Mike sente il senso di colpa e delusione tornare a fare presa su tutto il suo corpo. Si morde il labbro e Harvey gli alza il viso prendendolo per il mento, mettendogli un dito sotto i denti.
“Se devi mordere, mordi qua.”
Si allontana spalancando gli occhi. “No!”
“Oh, allora parli.”, gli sorride, e Mike sbatte le ciglia più volte, per mettere tutto bene a fuoco. Si sforza per alzare il viso e guardarlo negli occhi, ma guarda tutto nella stanza tranne lui.
“Mike, non è importante che mi guardi, è importante che mi spieghi. Non so leggerti nella mente, devo capire cos’ho sbagliato per non ripeterlo la prossima volta. Non voglio che tutto questo ti terrorizzi.”
“È che…”, comincia, dopo un silenzio infinito. Sente lo sguardo di Harvey addosso, si domanda che risposta si aspetti ma non sa indovinarla. “È che…”
“Ti ho fatto troppo male e hai avuto paura?”
Mike scuote la testa con forza. “Non è colpa tua, è che…”
A mente lucida si vergogna così tanto che vorrebbe evaporare.
“Non è colpa di nessuno, Mike, a volte queste cose succedono, ma mi devi spiegare cosa è successo, così che non si ripeta.”
Usa questo tono così conciliante che Mike si sente minuscolo e perduto, e di nuovo sull’orlo delle lacrime. Perché si sente così nudo ed esposto, perché non sembra esserci nulla tra il suo cuore, le sue vene, e l’aria della stanza?
Deglutisce, si contorce le mani. Non vuole parlargliene, non ora. Scuote la testa, e Harvey inspira forte, ingoiando a malapena uno sbuffo.
“Vuoi mangiare qualcosa? Vuoi fare il bagno? Preferisci dormire?”
“… dormire.”
“Vuoi cambiarti?”
Scuote di nuovo la testa e si sdraia, guardandolo con immensi occhi azzurri. Harvey gli si sdraia affianco, comprendendolo nel proprio spazio.
Si sveglia col panico che bolle all’altezza del cuore, non riesce a respirare. Harvey è subito sveglio, accende la luce e gli prende il viso tra le mani.
“Mike, Mike, Mike.”, lo chiama per riportarlo al suo fianco. “Ci sono io, sono qui, Mike, calmati…”
Mike si aggrappa ai suoi polsi, si sente malissimo, fuori dal proprio corpo. Le parole fuoriescono in un torrente senza sosta, una appiccicata all’altra - vorrebbe riacchiapparle come farfalle, sigillarle da qualche parte, ma non ne ha la forza, e si lascia parlare.
“Mi faceva malissimo ma volevo mi facessi i complimenti perché ero stato bravo a sopportare e se ti avessi chiesto di smettere non me li avresti fatti ma poi faceva troppo male ma non volevo dirtelo perché non volevo deluderti perché volevo essere il tuo bravo ragazzo e -”, comincia, ma la gola gli si blocca, si chiude completamente. Alza gli occhi su Harvey, che lo guarda con un vago senso di orrore, che percorre Mike completamente, riempiendolo.
“Non fare più niente di così rischioso, Mike, mai più, maledizione.”
Lo sta sgridando, è arrabbiato con lui, è deluso; lo percepisce distintamente, e tutto dentro di lui ricomincia a scuotersi come cocci di vetro tintinnanti. Non sente neppure gli occhi pizzicare che è tornato di nuovo a piangere. È così imbarazzato da se stesso, si sente così piccolo e fastidioso.
Harvey lo abbraccia attirandolo a sé, gli bacia la testa. “Scusa, Dio, scusami, non dovevo risponderti così, ma - mio Dio, Mike, come puoi credere che me la sarei presa se mi avessi chiesto di rallentare, o smetterla?”
Mike, per l’ennesima volta, si ammutolisce, privo di una risposta.
“Non farlo più, mai più, Mike, d’accordo? Mi devi dire tutto, devo fidarmi di questo, da parte tua. Cristo, non sapevo cosa fare, e io detesto non sapere cosa fare.”
“Quindi va bene se non va tutto bene?”, domanda con un fil di voce, dopo aver ripreso fiato. Ha aspettato un po’ per assicurarsi di riuscire a parlare normalmente.
“Certo che va tutto bene, mio Dio, ti ho fatto questo discorso due milioni di -”
Sembra che non riesca a trattenere la rabbia, e Mike si fa di nuovo piccolo.
“… scusa, non capisco perché dico una puttanata dopo l’altra.”, e addolcisce il tono. “L’unica cosa che non va bene è quando fai finta che vada tutto bene. Sono le tue prime volte, so quanto sia difficile.”
Mike annuisce, non ancora del tutto convinto.
“Ti porto qualcosa bere, o da mangiare?”
“… mi alzo -”
“No, Mike. Stai buono e calmo qui, fai il bravo ragazzo. Ho delle ciambelle, te ne porto una, e del latte.”
“Come i bambini?”
“Lo zucchero aiuta sempre.”
Quando Harvey si alza, Mike si tira il lenzuolo fino al naso. Quando torna, si lascia imboccare docilmente.
Quando suona la sveglia è completamente distrutto. Cerca di scuotersi i residui di ieri sera di dosso, continuando a ripetersi le parole di Harvey che hanno fatto il giro di lui per tutte le poche ore di sonno che è riuscito ad accaparrarsi. Inspira, espira, inspira, espira. Sente la mano di Harvey sulla curva del fondoschiena, le dita che disegnano piccoli cerchi che lo calmano.
“Mike.”
“No papà non voglio andare a scuola oggi…”
“Tua madre mi fa la pelle, se non ci vai.”
Grugnisce di nuovo e si gira sulla schiena, guardandolo col broncio. Harvey ride, e lo tira su per un braccio. “C’è la doccia calda che ti aspetta. Su, da bravo.”
Mike sospira, ma ubbidisce.
Sulla via si fermano da Starbucks, nonostante Harvey lo detesti.
Nel proprio cubicolo Mike trova un grosso pacchetto regalo, l’uovo di Alien di cui esistono solo cinquemila copie nel mondo. Se n’era lagnato una volta con Harvey, e adesso eccolo qui. Trattiene a stento un urlo. Di fianco, un biglietto che recita Non ti ci abituare.
Di sera è di nuovo a casa di Harvey, che in macchina gli ha ripetuto di non abituarcisi. Cenano con birra e patatine fritte davanti a Pacific Rim, rischiando di strozzarsi quando saltano su in piedi urlando “Oggi cancelleremo l’apocalisse!”, sporcando ovunque.
Harvey, ridendo ancora, allunga una mano verso Mike, passandogliela tra i capelli. Il ragazzo, senza accorgersene, spinge la testa verso il palmo aperto, come un gatto. Come ieri sera torna a farsi prepotente il desiderio di averne ancora, ancora, ancora. Si allunga per baciarlo, ma poi si ritrae. Harvey lo guarda, aggrottando le sopracciglia.
“Ti amo.”, sospira Mike, avvicinandosi di più, spalla contro spalla. “Non devi rispondermi, so che non ti piace.” Harvey lo gratta alla base della nuca, e sorride, e non lo bacia, non si impone. Lo lascia stare.
È Mike a proporre di nuovo una scena, qualche giorno dopo, dopo una giornata lunga e faticosa, quando si incrociano nell’ingresso. Mike gli si avvicina il più possibile e abbassa la voce ad un sussurro. “Ne ho bisogno.”, gli dice, esordendo così, dopo non essersi quasi visti dalla mattina. Glielo dice così perché non sa come altro farlo. “Ti prego, ne ho bisogno.”
Harvey lo guarda serio, e può distinguere una vena di preoccupazione. È un’espressione rara, quella, ed è tutta per lui. “Sei sicuro?”
“Lo sono.”
In macchina Mike gli sale in braccio, baciandolo per tutto il tempo, mangiandolo. Ancora, ancora, ancora. Gli tiene il viso con le mani come per paura che scappi, ha diretto le sue mani sulla propria vita, vuole che Harvey disegni i contorni del suo territorio, vuole vivere in un metro e mezzo di spazio, l’ossigeno filtrato dai polmoni di Harvey. Il bisogno si è fatto ago, puntura, spine che lo attraversano. Ha bisogno del suo dom più che del proprio corpo. In ascensore si attacca alla sua spalla, freme attorno alla sua mano, senza stringerla. Si stacca da lui solo sull’uscio di casa, lì dove sa che può smettere di pensare perché sarà Harvey a farlo per lui. Non prende la minima iniziativa.
“Togliti le scarpe e le calze, prima di entrare.”
Appoggia tutto a sinistra della porta, e cadrebbe già in ginocchio, se gli venisse ordinato. Quando arriva in cucina - la sua grande e luminosa cucina in cui può specchiarsi - Harvey gli allunga un bicchiere d’acqua e lui lo ingolla a piccoli sorsi.
“Quando finisci raggiungimi in camera da letto.”
“Sissignore.”
Appoggia il bicchiere nel lavandino, inspira ed espira, inspira ed espira. Questa volta andrà bene, e cancellerà l’altra. Non vuole avere paura di questo, di quel che Harvey gli dà - ne ha bisogno, ha quasi paura di quanto abbia bisogno di questo.
Va in camera come da ordini.
“Safeword.”, esordisce Harvey, duro.
“Verde se va tutto bene, giallo se voglio che rallenti, rosso se voglio che tu smetta.”
“Quando devi usarle?”
“Ogni volta che ne sento il bisogno.”
“Ripeti quello che ti ho detto.”
“Userò le mie safeword ogni volta che ne avrò bisogno, non farò finta di niente se c’è qualcosa che non mi va, o che mi infastidisce.”
Harvey sorride, soddisfatto di lui, e Mike si sente già un po’ meglio, già un po’ sciogliere. “Bravo ragazzo. Adesso spogliati e appoggia tutto sulla sedia, in ordine. Togliti anche le mutande, poi mettiti in ginocchio.”
Ubbidisce con precisione e puntualità. Una volta in ginocchio, le mani dietro la schiena, alza la testa per guardarlo.
“Bellissimo.”, ed è acqua calda lungo la schiena, cioccolato sulla lingua. È tremendamente recettivo, oggi, è fatto di sola polpa. “Rimani così fino a quando non te lo dico.”
Lo osserva mentre prende dal tavolo di fianco al letto il suo bicchiere pieno a metà di un alcolico marrone scuro, ascolta il tintinnio dei cubetti di ghiaccio contro il vetro, osserva il pomo d’Adamo di Harvey muoversi su e giù. Lo guarda sedersi in poltrona, lo guarda ricambiare lo sguardo.
“Vieni qui. Non ti alzare.”, gli ordina dopo mezzora, il ghiaccio ormai sciolto.
Harvey apre le gambe perché Mike si possa avvicinare di più. Gli passa una mano tra i capelli, lentamente. Mike sente i brividi ovunque, la pelle d’oca. Lì, in ginocchio tra le sue cosce, si sente già parecchi metri più in alto del suo corpo.
“Cosa vuoi, ragazzo?”
“Quello che vuole darmi lei, signore. Qualunque cosa voglia darmi.”
Lo vede rabbrividire. Ama averlo così nelle sue mani, creta molle e tiepida.
“Qui, sulle mie ginocchia, allora.”
Le ginocchia protestano appena, dopo essere state tanto a lungo sul pavimento freddo. Si sdraia sulle sue gambe, toccando il pavimento con le dita delle mani e dei piedi. Harvey gli accarezza il sedere piano, dolcemente. Gli bacia il collo.
“Safeword.”
“Verde, verde, verde.”
“Okay.”
Comincia con colpetti leggeri, prima una natica, poi l’altra, e Mike chiude gli occhi, assaporando la sensazione. Va tutto bene, va tutto bene. Non se lo deve ripetere, perché è vero. Non sa cosa sia cambiato, sa solo che sta bene - anche quando Harvey comincia a sculacciarlo davvero, muto, e il dolore comincia a ramificarsi - ma, Dio, gli piace così tanto. Geme e mugugna e si muove contro la gamba di Harvey.
“Allora sei proprio un cagnolino, a strusciarti così, mh…”, lo prende in giro con tono paternalistico, con un sorriso di scherno sullo sfondo. Mike geme di gola, e si muove più veloce contro di lui, mentre i colpi di Harvey sono più forti e veloci. Quando sente gli occhi pizzicare, Harvey gli chiede di nuovo la safeword.
“Verde…”
“Allora smetti di muoverti come un animale, o non potrai venire.”
Allora Mike si ferma immediatamente. Gli stringe i pantaloni sulla caviglia, continuando a gemere a bocca aperta, mentre Harvey continua a sculacciarlo. Sembrano passati anni da quando ha cominciato. Ama la sensazione di non saper più ragionare in unità di misura di tempo, come se tutto fosse mescolato e non ci fosse un inizio o una fine - c’è solo Harvey e tanto basta.
“Signore -”
“Sì, ragazzo?”
“Ho il permesso di venire?”
“Solo se lo chiedi da bravo bambino educato.”
“Per favore, signore, la prego, ho bisogno di venire…”
Harvey non gli risponde, e Mike tace; strizza gli occhi e scalcia appena, solo perché non riesce ad evitarlo.
Continua a colpirlo forte mentre gli dà il permesso di venire, perché se lo è guadagnato, e Mike viene con un lunghissimo gemito roco, saette bianche dietro le palpebre chiuse. Harvey lo prende in braccio per baciarlo.
“Sei stato bravissimo.”
Mike gli si accoccola contro, con la testa sulla spalla. “Grazie.”, mugugna tra piccoli baci.
“Spero che sia andata meglio dell’altra volta.”
“Mh-mh.”
“Avrei voluto farlo prima per cancellare il ricordo, ma non volevo forzarti.”
“Mh-mh…”
Lo sente ridere. “Hai sonno?”
“Mh…”
“Vuoi fare il bagno, prima?”
“Lo fai con me?”
Ride di nuovo. “D’accordo… pensi di riuscire a camminare?”
“… mh…”
“No?”
“No.”
“Fortuna che sei magro.”
Gli fa allacciare le gambe attorno alla vita prima di alzarsi, gli tiene un braccio sotto al sedere. È straordinariamente più affettuoso del solito.
“Come sei carino, oggi.”
Harvey gli bacia una tempia. “Non ti ci abituare, ragazzino. Non dura tanto il mio senso di colpa.”
Ha come l’impressione di voler fare una battuta sul fatto che il grande Harvey Specter prova qualcosa di così umano e triviale come il senso di colpa, ma si è già addormentato.