Titolo: It was you from the start
Fandom: “Suits”
Conteggio parole: 1883
Stagione: Prima stagione
Rating: NC17 (non tutti i capitoli)
Pairing: Harvey/Mike, Harvey/OFC, accenni a Mike/Rachel, possibile Louis/Mike
Warning: slash, death!fic (nessun personaggio principale)
Disclaimer: I personaggi - ahimé - non mi appartengono.
Note: Scritta per
bingo_italia (Vendetta)
Riassunto: Mike si scopre innamorato di Harvey. Ad Harvey non importa di nessuno, tranne che di se stesso. E Louis è sempre in agguato...
Ogni cosa aveva un inizio, Mike lo sapeva molto bene. La sua tristezza era cominciata il giorno che i suoi genitori erano morti, la sua vita alla giornata quando Trevor lo aveva convinto a vendere quell'esame di matematica. E la sua nuova vita, quella che gli piaceva malgrado lo stress, era iniziata quando Mike si era rifugiato nella sala dell'albergo e Donna lo aveva fatto passare.
La sua vita era cambiata dal momento che aveva conosciuto Harvey Specter.
Ora Mike doveva solo capire in cosa consisteva il cambiamento. Più soldi, certo, anche se non abbastanza per arrivare alla fine del mese, e un lavoro sicuro - almeno fino a quando il suo piccolo segreto non fosse venuto alla luce - e soddisfacente. Ma non bastava, c'era dell'altro, qualcosa che il ragazzo non riusciva ad accettare.
Al principio non ci aveva fatto caso: la sua ricerca costante dell'approvazione di Harvey per lui era soltanto un modo per ripagarlo, per aver scommesso su di lui, malgrado la mancanza della laurea. Poi, mentre le ore di lavoro aumentavano e quelle di sonno diminuivano, si era detto che era solo dovere. Chissà, magari vedeva Harvey come una nuova figura paterna che voleva compiacere in cambio di una pacca su una spalla e di un sorriso.
Quando aveva accennato la cosa a Donna, lei si era limitata a ridacchiare tirando in ballo Edipo, e Mike si era rabbuiato, cambiando argomento.
Per scacciare ogni dubbio, aveva cominciato a fare una corte serrata a Rachel, convinto che una relazione con una donna lo avrebbe aiutato. E per un po' era andata così, fino a quando non si era accorto che i sorrisi di Rachel erano pallidi e smorti, in confronto a quelli che Harvey così raramente gli regalava.
Mike cominciò a pensare a lui giorno e notte, più la notte in realtà visto che il giorno doveva sgobbare come un mulo per Harvey e Louis. Finiva così per non dormire quasi più e addormentarsi con la testa sulla scrivania, finendo per essere svegliato dal suo boss con poca delicatezza.
Iniziò a seguirlo con lo sguardo dovunque andasse, sia quando erano insieme che quando Harvey camminava per lo studio, finendo per attirare l'attenzione di Donna.
“Ehi, Romeo, perché non ti fai avanti con Giulietta?” gli chiese il giorno che Mike tentò nuovamente di entrare nello studio di Harvey quando lui non c'era.
Il ragazzo arrossì fino alla punta delle orecchie e abbassò lo sguardo, sperando di poter sviare il discorso. “Rachel ha bisogno dei suoi tempi...”
Donna ridacchiò. “Bimbo, non tentare di fregarmi. Tu ancora non mi conosci, ma io so tutto di tutti.” Era vero: la segretaria nello studio legale era una specie di mito, temuto da ogni persona, forse persino da Jessica. Sapeva ogni cosa, ogni singola cosa di quello che accadeva, per merito della sua curiosità e del suo colpo d'occhio, ai quali andava aggiunto un caratterino leonino che spaventava chiunque osasse avvicinarsi a lei. Perfino il grande Harvey Specter faceva di tutto per non urtarla.
Mike si morse il labbro e ci rifletté un attimo prima di parlare. “Sai mantenere un segreto?”
“Ti riferisci al fatto che sei innamorato cotto di Harvey?” chiese Donna sorridendo maliziosa. “Non preoccuparti, non se n'è accorto nessun altro. Forse Louis, ma chi può dirlo?”
A quel punto Mike sembrava un tizzone incandescente. “Ok, ok... è vero... ma come posso fare per... insomma... io ad Harvey non interesso...”
Il sorriso morì sulle labbra rosse di Donna. “Mike... io penso che non sia così, ma vedi: il cuore di Harvey è chiuso a chiave per quanto riguarda le situazioni amorose. Lavoro qui da molti anni e mai, dico mai, l'ho visto uscire con la stessa persona per un mese di fila. Non ha mai convissuto con nessuno, per quanto ne so - e io queste cose le so - e, mi dispiace dirtelo, ma non ha mai avuto una storia con un uomo.”
Mentre Donna parlava, il gelo scese nel cuore di Mike. Aveva pensato molto ad Harvey, ritenendo che l'ostacolo maggiore fosse il suo non volersi legare alle persone, e non aveva messo in conto che poteva non essere bisessuale. Chissà, magari era omofobo... anche se non gli sembrava il tipo.
“Grazie, sei stata illuminante...” mormorò il ragazzo facendo per allontanarsi.
Davanti a quegli occhi da Bambi, a Donna si spezzò il cuore. “Ehi, magari... magari ci possiamo provare!” esclamò prendendolo per un polso e tirandoselo contro, in modo che si abbassasse sulla sua scrivania. “So per certo che stasera non ha impegni: giocano gli Yankees e lui non si perde mai una partita. Perché non vai a trovarlo con qualche birra?” propose.
A Mike in realtà quella proposta sembrava una pazzia. “Ma sono cose che si fanno con un amico!” protestò. “Io e lui siamo solo colleghi, anzi per essere precisi lui è il mio capo! E non credo che apprezzerà...”
“Chi non risica non rosica” rispose Donna, lasciandolo andare, giusto in tempo per non farsi beccare da Harvey.
“Chi non risica non rosica?” chiese l'avvocato prima di entrare nel suo ufficio. “Facciamo il gioco dei proverbi?”
“Sì...” sussurrò Mike, fissando incantato i pantaloni del suo capo e il modo affascinante in cui fasciavano il suo sedere. Un secondo dopo, il piano di Donna gli sembrava geniale.
Alle nove di sera, Mike se ne stava di fronte alla casa di Harvey e fissava in alto, dove dovevano essere le sue finestre. Inghiottì la saliva e tentò di fare qualche passo, ma i piedi restavano ancorati al marciapiede. Niente, aveva bisogno di farsi coraggio: prese una delle lattine di birra che aveva con sé e se la bevve in pochi sorsi, facendo poi lo stesso con la seconda. Alla fine le bevette tutte e sei, trovandosi senza niente da portare in dono al suo capo, tranne forse la sbronza che si era procurato.
L'alcool però lo aveva reso più audace, così prese un profondo respiro e fece quei pochi passi che lo separavano dall'entrata del palazzo.
Pochi minuti dopo bussava alla porta di Harvey, urlando il suo nome attraverso il legno. Ok, forse quello non era un buon modo di cominciare una relazione: se ne rese conto quando il suo capo aprì la porta, fulminandolo con lo sguardo.
“Si può sapere cosa ci fai qui?” chiese gelido. “E perché stai disturbando i miei vicini con le tue urla?” aggiunse. Era pronto per la tirata sulla professionalità e sul fatto che Mike doveva essere il suo specchio.
Mike fece un sorrisetto e ondeggiò pericolosamente, cercando di sbirciare la casa dell'uomo. “So che c'è una partita degli Yankees... e volevo vederla con te...” mormorò.
Harvey strinse gli occhi, indagatore. “Sei ubriaco...” sussurrò. “Beh, sia come sia, non mi importa. Vai a vederla a casa tua!” esclamò, sbattendogli la porta in faccia.
“No, aspetta... Harvey!” gridò Mike, battendo il palmo della mano contro la porta. Per tutta risposta l'uomo alzò il volume della televisione, fino a quando le urla del ragazzo si fusero con quelle del pubblico allo stadio. Mike si allontanò di qualche passo e tornò indietro verso l'ascensore, strascicando i piedi sulla moquette. Aveva fatto un vero casino!
“Hai fatto un vero casino!” gli gridò contro Donna il giorno dopo. Prese un profondo respiro e lo guardò con rabbia, ma il viso abbattuto di Mike le fece tacere il resto: quel ragazzo soffriva già abbastanza. “Ascoltami, devi rimediare. Appena Harvey arriva in ufficio, vai da lui, ti scusi e cerchi di trovare un modo per avere un appuntamento con lui.”
“Ma come?” chiese disperato Mike. Donna non ebbe il tempo di rispondere perché Harvey Specter in persona fece il suo ingresso. Lanciò un'occhiata a Mike e non lo salutò.
“Buongiorno, Donna” disse invece, facendo segno al suo associato di seguirlo. Mike lo fece con la stessa gioia di un malato allo stadio terminale.
“Harvey, per quanto riguarda ieri sera, io...” tentò subito, ma il suo capo lo fece tacere con un gesto della mano.
“È stato un momento umiliante, non si deve ripetere più!” esclamò Harvey, voltando le spalle a Mike e mettendosi di fronte alla finestra, con le mani in tasca. “Presentarsi da me, la sera, senza un motivo valido e per di più ubriaco... fantascienza!” borbottò.
Mike lanciò un'occhiata al vetro, notando Donna che gli faceva segno di buttarsi.
“Io... vorrei farmi perdonare...” mormorò Mike con un filo di speranza nella voce. “Posso... invitarti a pranzo? Noi due da soli...”
Donna sorrise e incrociò le dita, ma le parole del suo boss - che le arrivarono dall'interfono perennemente acceso - la gelarono sulla sedia.
“Ho un impegno di lavoro con Jessica” rispose secco senza neanche voltarsi a guardarlo. Mike però poteva sentire il suo sorriso sarcastico formarsi sulle labbra - le sue labbra morbide - mentre continuava la frase. “E poi dove vorresti portarmi? Da McDonald? Dubito che tu possa permetterti altro” ironizzò. “O forse è una scusa per far pagare me? Eh, Mi...” Ma quanto si voltò, Mike non c'era più: al suo posto Harvey vedeva la porta aperta e Donna che lo fissava con disprezzo e rancore.
Harvey rimase perplesso tutto il giorno, chiedendosi cosa fosse successo. Insomma, non era la prima volta che lanciava delle frecciate a Mike, ma era la prima volta che il ragazzo se ne andava senza aggiungere niente. Per di più, non lo aveva visto per tutto il giorno e non sapeva come comportarsi. Inoltre Donna gli teneva il muso e a malapena gli rivolgeva la parola.
L'avvocato guardò l'orologio e decise di fare un tentativo per appianare le cose: non tanto per Mike, quanto perché odiava lavorare con qualcuno che ce l'aveva con lui. Il lavoro ne risentiva sempre.
Si alzò e si avviò verso il cubicolo di Mike... trovandolo vuoto.
“Se n'è appena andato!” esclamò Gregory, alzandosi in piedi e fissando Harvey come un cane che spera in un osso se farà le feste al padrone. “Ha bisogno di qualcosa?”
“No, grazie Gabriel.”
“Gregory.”
“Quello che è. Ho bisogno di Mike.” E senza più curarsi di lui, andò verso gli ascensori. Se quel leccapiedi aveva ragione, il ragazzo non doveva essere andato lontano; e infatti, quando uscì dall'edificio, lo vide intento ad aprire il lucchetto che bloccava la ruota della bicicletta al lampione.
“Mike!” chiamò, ma il brusio della folla degli impiegati che lasciavano gli uffici si mangiò le sue parole. Fece una breve corsetta e raggiunse il suo associato proprio mentre stava per salire in sella. “Ehi, dove te ne scappi?” chiese, notando subito come Mike si passasse la mano sugli occhi. Occhi che erano rossi e lucidi come chi aveva appena pianto.
“Vado a casa, ho finito qui” rispose il ragazzo, considerando chiusa la conversazione. Per Harvey però non era così: mise la mano sul manubrio e fissò Mike negli occhi, studiandolo con attenzione.
“Senti, mi dispiace per prima. Era uno scherzo, volevo... prendermi gioco di te, dopo ieri sera. Sai, una piccola vendetta” aggiunse con un sorrisetto beffardo.
Mike scosse la testa. “Harvey, tu ti ritieni molto intelligente...”
“Mi ritengo? Ragazzo, io sono l'uomo più intelligente in quello studio legale. E mi difendo anche come avvocato, devo essere tra i primi della lista.”
“Lasciami finire!” esclamò Mike con un tono che lasciò il suo capo esterrefatto. “Tu ti ritieni intelligente, ma non hai capito una cosa. Che ti amo, ti amo dal primo momento... e che sei uno stronzo!”
Lo shock di quella notizia fu così forte che Harvey allentò la presa sul manubrio, lasciando che Mike facesse forza sui pedali e si allontanasse. Quando i neuroni dell'avvocato cominciarono di nuovo a lavorare, il suo associato era ormai lontano.
Continua...