Titolo: I lost my home
Fandom: "Supernatural"
Personaggi: Sam Winchester, Dean Winchester, John Winchester, OMC
Pairing: OMC/Sam, forse Dean/Sam (nel caso, verso la fine della fiction)
Rating: G (per questo capitolo)
Warning: angst fisico e psicologico, sesso non consenziente, slash, forse wincest
Disclaimer: Come al solito, questa storia è frutto della mia fantasia. I personaggi appartengono a Kripke e io mi ci diverto e basta
Stagione: Preserie
Note generali: Piccola introduzione: l’idea mi era nata in testa durante la visione della prima serie. Mi aveva colpito molto il rapporto tra John e i suoi figli, tanto che mi sarebbe piaciuto vedere alcune puntate su loro tre prima della separazione. Kripke non mi ha ascoltato e io me la sono scritta da sola, ecco! XP Quindi più che una fan fiction sulla serie si tratta di un “And if…”: ovvero, cosa sarebbe successo ai Winchester se le cose fossero andate in un altro modo? Per scriverla ho usato il montaggio alternato (si vede che ho fatto cinema, eh? XP) dei punti di vista dei tre Winchester. La trama è ancora in evoluzione e presumo che subirà molti cambiamenti: era nata come una Wincest, poi l'angst mi ha preso la mano e per ora è stato relegato da parte. Chissà dove mi porteranno gli avvenimenti ;). Il titolo viene da una delle più belle canzoni apparse nella serie: “Laugh? I nearly died” dei Rolling Stones.
Dedica: Grazie a
babycin per aver ascoltato i miei deliri su msn. Quello che ne è uscito è anche merito (o colpa? XP) tua. ♥
Capitolo 01 -
Capitolo 02 -
Capitolo 03 -
Capitolo 04 -
Capitolo 05 Il sole è appena sorto quando apro gli occhi. In realtà non ho dormito, non mi sarebbe stato possibile in ogni caso, però ho fatto finta: un modo come un altro per allontanare l’attenzione da me e da quello che mi era successo. Mi metto a sedere sul letto e subito i miei occhi incontrano quelli di Dean e di papà. Neanche loro hanno dormito: sono rimasti a vegliarmi, spaventati che potesse succedermi ancora qualcosa.
Non hanno potuto salvarmi una volta e non vogliono ripetere lo stesso errore.
“Buongiorno” mi saluta Dean, tentando un sorriso non molto riuscito. Lo ricambio per quanto posso e cerco di alzarmi. Il dolore mi attraversa la schiena come una scarica elettrica, non so se venga dalla testa o da quella parte violata. Mi tengo fermo, stringendo forte il materasso con le mani; i lividi sul corpo bruciano come il fuoco.
Mio fratello mi è subito accanto, toccandomi piano per non farmi male; mi aiuta ad alzarmi e si offre di accompagnarmi fino in bagno. Papà non si è mosso dalla finestra, lo sguardo rivolto verso l’esterno anche se non sta guardando l’esterno anche se non sta guardando nulla.
Dean mi dà una mano a cambiarmi; lo vedo stringere le labbra davanti al mio corpo martoriato, ma non dice niente. Vuol far finta che non sia successo, anche papà si comporterà così, però io non ci riesco. La mia vita è rovinata e non posso far finta di niente.
Torniamo nella stanza, John non si è mosso di lì.
“Che ne dite di andare a far colazione?” esclama Dean, fingendosi più euforico del solito davanti alla prospettiva del cibo. “Ho una fame… tu no, Sammy?”
“Molta fame” rispondo sorridendo. “L’unica cosa che ho tenuto in bocca da ieri sera era un cazzo.”
Il gelo scende nella stanza. Mio fratello sbianca come se lo avessero pugnalato e tutto il sangue stesse uscendo dalla ferita. Mio padre non si muove, ma stringe in mano la tenda fino a che non sento un rumore di stoffa lacerata.
“Potresti anche risparmiarti queste battute, Sam” mormora senza guardarmi.
Scuoto la testa. “So che non volete parlarne, ma è quello che mi è successo. E il silenzio non aiuterà a cambiarlo.” Non li aspetto; afferro la mia giacca ed esco dalla stanza diretto verso la tavola calda lì vicino. Dean mi segue come un’ombra, terrorizzato che possa succedermi qualcos’altro; ultimo viene papà che si chiude la porta alle spalle senza aggiungere altro.
Siamo seduti a questo tavolo da mezz’ora e Sam ha a malapena toccato il suo cibo. Si limita a fissarlo e a giocarci con la punta della forchetta. Anche le mie salsicce sono rimaste intatte, quello che mi ha detto e il ricordo della sera precedente mi hanno tolto anche solo l’idea dell’appetito. L’unico che riesce a mangiare è Dean, ma so che non lo fa per disinteresse: sta solo cercando di mantenere una parvenza di normalità, altrimenti crollerà. Siamo tutti legati ad un filo invisibile e ci siamo appena accorti che si sta sfilacciando pian piano. Basta uno scossone, un dondolio più forte degli altri e cadremo giù, senza possibilità di risalire.
Sfoglio il giornale con disinteresse. È ironico come si stia riproponendo la stessa situazione di ieri mattina, poco prima che le nostre vite cambiassero. Allora era stato Sam a rompere il silenzio, stavolta tocca a me. È tutta la notte che ci penso.
“Sam, ascolta. Dopo… dopo quello che è successo…”
“Il mio stupro?”
A Dean va di traverso il boccone e comincia a tossire in una maniera comica, se qualcuno a quel tavolo avesse voglia di ridere. Fisso Sam negli occhi: in un altro momento mi sarei arrabbiato, ma so che non è un tentativo di irritarmi. Non in quel caso.
“Sì” sospiro e vado avanti. “Mi dispiace, è stata una cosa… terribile. Forse dovresti allontanarti un po’ dalla caccia.”
Mi guarda dritto negli occhi impassibile, poi inaspettatamente comincia a ridere. È una risata forzata, quasi isterica, che cresce di tono in poco tempo. Tutti nel locale ci stanno guardando e sono costretto a stringere la mano di Sam con forza prima che ci buttino fuori o chiamino la polizia, scambiandoci per ubriachi.
“Sam…” Dean respira a fatica, lo sguardo preoccupato sul fratello.
“Scusate, ma… è troppo divertente. Cioè, ieri ero io a volermene andare e tu ti sei incazzato a tal punto che abbiamo litigato e io sono scappato. E oggi, solo perché un uomo mi ha usato come una troia, tu ti fai venire il senso di colpa e vuoi rimediare?”
Scuote la testa e afferra la tazza di caffè. È fumante però lui ne inghiotte tutto il contenuto in un solo sorso. Sono senza parole e non perché ha centrato in pieno quello che sto pensando. Perché quello che ha parlato non è Sam, non è mio figlio.
Mi porto il tovagliolo alla bocca e lo premo forte per impedirmi di urlare. Sammy non si sarebbe mai espresso così. Certo, quando litiga con papà non è mai tanto leggero e gentile, però… non lo avrebbe detto con quella cattiveria che aleggia ora nella sua voce. Vorrei piangere, gridare, maledire Dio per aver causato tutto questo. Invece mi limito a sospirare, riportando lo sguardo su di lui. Tiene ancora la tazza in mano, ne fissa il fondo come se volesse leggere il suo destino in quell’ultimo strato di liquido scuro. Poi la posa davanti a sé.
“Sei patetico, papà.”
John si morde il labbro per calmare l’istinto: in un’altra situazione gli sarebbe saltato al collo, ma oggi…
“Ti farebbe bene, Sam. Se…”
“No, papà” lo interrompe fissandolo negli occhi. “No, niente mi può fare bene. Forse se ieri me ne fossi andato, chissà… non sarebbe successo niente. O forse sì, avrebbero potuto stuprarmi appena arrivato a San Francisco o dopo a Stanford. Forse era semplicemente questo il mio destino. Ma non posso partire adesso, perché non ho più una vita. L’università… quella era il sogno del vecchio Sammy, quello che è morto ieri sera.”
“Sam…” tento di fermarlo, ma lui neanche mi ascolta.
“È morto ieri sera. E il Sam di oggi… beh, lui non ha più molta voglia di vivere. Per fortuna fa un lavoro che non è il massimo della sicurezza. Chissà, domani potrei essere sotto qualche metro di terra… e forse allora starei meglio.”
Io e papà restiamo immobili, il peso di quelle parole ci ha colpito dritti al cuore. Guardo John negli occhi: per la prima volta, dopo tanto tempo, li vedo lucidi di lacrime.
Sì, papà. Questo non è il nostro Sam, non lo riavremo mai indietro.
Mio fratello si porta un pezzo di salsiccia alle labbra e lo mangia, masticandolo come se nulla fosse successo, come se quella conversazione non ci fosse mai stata. Improvvisamente sbianca e mi porta una mano alla bocca. Io e papà scattiamo in piedi, ma prima che possiamo fare qualcosa, Sam tira indietro la sedia e vomita sul pavimento quel poco di colazione che era riuscito ad inghiottire. Alza lo sguardo su di noi, mentre le lacrime gli scendono sulle guance.
“Non ci riesco… lo sento ancora in bocca, lo sento sempre dentro di me.”
Continua…