Titolo: La prima notte di quiete
Autore:
pojypojyFandom: Carnivàle
Personaggio/Coppia: Justin Crowe/Sofie Bojakshiya; sullo sfondo, Justin Crowe/Iris Crowe
Rating: R
Prompt: 6.heavens for deludes (paradisi per illusi)
Conteggio Parole: 4701 - Oneshot
Avvertenze: Incesto, masturbazione. E', uhm, pure vagamente blasfemo, ma per Carnivale credo sia la norma.
Disclaimer: Carnivàle e i suoi personaggi appartengono a Dan Knauf e alla HBO. Io ci ho messo solo il mio tempo libero.
Tabella:
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"Normalmente mi prenderei io cura di tutto, ma capisci che con l'organizzazione del campo profughi c'è bisogno di un piccolo aiuto. Tuttavia non è un lavoro molto pesante."
"Non ho paura di faticare, miss Iris."
"Lo vedo; hai l'aria di una ragazza forte. Spero che tu lo sia veramente. Le precedenti cameriere che abbiamo avuto si sono rivelate, ah... fragili. Di spirito prima ancora che di corpo."
"Mi sembra impossibile che si possa essere fragili di spirito al fianco di fratello Justin."
Sofie non riuscì a decifrare l'espressione di Iris quando questa le rispose:
"Naturalmente, hai ragione. Ma mio fratello non è l'Onnipotente, e può aiutare le persone solo entro i suoi limiti umani. Se una mela è marcia..."
"Capisco" annuì Sofie, per la prima volta un po' a disagio. E se anche lei fosse stata una mela marcia? Dopotutto non aveva avuto una vera educazione religiosa. Da piccola era vissuta sola con la madre catatonica e la zia, entrambe zingare Rom il cui rapporto con Dio non era certo quello americano medio. Poi, quando lei e la mamma si erano unite a Carnivàle, la persona più simile ad un predicatore che avessero a disposizione era Ruthie. Certo sapeva delle bellissime preghiere da dire a matrimoni, funerali e Natale, ma era anche una madre nubile che si manteneva ballando seminuda con dei serpenti. Quando Sofie era arrivata a New Canaan, invece, era rimasta colpita dal fervore religioso dell'intera comunità. Quella non era la solita accozzaglia di baracche piene di disperati in fuga dalla crisi economica, come ne aveva viste tante girando l'entroterra degli Stati Uniti. No: quella gente, che non aveva nulla, si sentiva parte di una missione. C'era qualcosa di più grande della semplice necessità di un pasto caldo a riunirli in quella valle, e quel qualcosa era fratello Justin.
***
Sofie era arrivata laggiù viaggiando apparentemente alla cieca verso ovest. Aveva sentito la trasmissione radiofonica di Justin solo poche volte: la prima, alla vigilia della sua fuga da Carnivàle. La seconda, in una pensione dove aveva trascorso la notte due giorni dopo. La terza, in una caffetteria. L'ultima, in una stazione di servizio. Il reverendo Justin Crowe aveva una voce che sembrava nata per la radio, profonda, modulata, capace di tuonare come di rassicurare paternamente. Quando, tra le colline della California, Sofie chiese un passaggio ad un camioncino e il conducente le disse che andava a New Canaan, improvvisamente le fu chiaro che doveva andarci anche lei. Erano arrivati giusto in tempo per la funzione pomeridiana, e lei si era insinuata nel tendone che fungeva da chiesa, sentendosi stupidamente un po' come un'ammiratrice di una di quelle stelle del cinema di cui parlava sempre Libby.
Il tendone era pieno di Okies, e Sofie dovette stare in piedi, appiattita contro una delle pareti di spessa tela cerata che le ricordarono dolorosamente da dove era venuta. Fratello Justin stava riproponendo il suo sermone più famoso, quello del "voi sarete forti", e le sembrò, nonostante la folla, che parlasse direttamente a lei. Ad un certo punto si rese conto che il davanti della sua blusa era bagnato; si toccò il viso e sentì le lacrime che le colavano lungo le guance, gocciolandole dal mento. Si asciugò freneticamente con la manica. Non le era mai successa una cosa del genere, anche perché la vita di carovana non lasciava molto tempo per piagnucolare.
Il sermone finì, e lei rimase lì in piedi senza sapere dove andare. Le pareva di aver visto delle tende adibite a dormitori comuni, e forse sarebbe dovuta andare ad informarsi. Con gli occhi ancora lucidi e gonfi, guardò fratello Justin circondato da un capannello di fedeli che andavano a parlare con lui. In quel momento, i loro sguardi si incrociarono, e lui le sorrise. Sofie arrossì, abbassando gli occhi. Si voltò per andarsene, in preda ad un imbarazzo che non era solita provare, quando sentì una mano sulla propria spalla.
Si voltò. Era una donna di mezza età, coi capelli rossi e i lineamenti appuntiti, che era stata di fianco al pulpito per tutta la funzione. Forse era la moglie del predicatore. Sorrise a Sofie.
"Buonasera, cara. Sei nuova di New Canaan, immagino?"
"Io... sono appena arrivata. Con un passaggio" farfugliò Sofie. Forse bisognava registrarsi all'entrata, o pagare un obolo. La donna le levò la mano dalla spalla e assunse una posizione molto composta che fece sentire Sofie ancora più inadeguata.
"Mio fratello non fa in tempo, ovviamente, a conoscere di persona tutti i nuovi arrivati. Ne vengono a centinaia ogni giorno. Tuttavia, gli fa sempre piacere scambiare una parola con almeno alcuni di loro."
Sofie esitò, non sapendo cosa rispondere, e alzando lo sguardo in cerca di qualcosa da dire vide Justin che si era lasciato alle spalle i suoi altri interlocutori e stava venendo verso di lei, sorridendole ancora. Non si era resa conto di quanto fosse fisicamente grande.
"Oh, cielo, ma chi abbiamo qui?" esordì lui. "Un volto nuovo, e anche un po' turbato, a quanto vedo."
Sofie si strofinò istintivamente gli occhi. "Non è nulla", disse.
"La signorina è appena arrivata", precisò l'altra donna. Lei e fratello Justin si scambiarono uno sguardo, e lui disse:
"Qual è il tuo nome, sorella?"
"Sofie. Sofie..." Improvvisamente capì di non volere usare il nome di sua madre. Non dopo che aveva fatto di tutto per scappare da lei.
"...Jones", concluse. Si sentì un po' in colpa per aver usato, tra tutti, il cognome di Jonesy, ma era il primo che le fosse venuto in mente. Ebbe l'impressione che Justin avesse capito che barava, ma evidentemente lasciò correre, perché disse:
"Molto bene, Sofie. Non hai idea di quanto felice mi renda sapere che un'altra pecorella si è unita a questo gregge. O più di una? Dove sono i tuoi?"
"Non ho nessuno, reverendo."
"Ciò è molto triste, una ragazza della tua età abbandonata a se stessa coi tempi che corrono. A dire il vero, però, potresti essere capitata proprio nel posto giusto al momento giusto. Te ne intendi di lavori domestici, Sofie?"
"Mia madre è... era invalida da quando sono nata, e fin da piccola mi sono occupata io sia di lei che della casa", rispose lei. Omise che, per buona parte della sua vita, la sua casa era stata un pulmino scolastico convertito in roulotte.
"Ma che peccato. D'altra parte..." disse Justin, voltandosi verso l'altra donna "...potrebbe essere proprio l'aiuto di cui avevamo bisogno, non credi, Iris? Potrebbe dare una mano anche ad assistere Norman. Capisci, Sofie, il reverendo Balthus è stato come un padre per noi, ma purtroppo di recente un colpo apoplettico lo ha reso un invalido quasi totale. Pensi di potercela fare, ad aiutare mia sorella a tenere pulita la casa... e anche Norman? Ti daremmo vitto e alloggio nella nostra casa, e qualcosina per le tue spese personali, ovviamente."
"Anche se è giusto dirti che non incoraggiamo la frivolezza", soggiunse miss Iris, tagliente. La sua gentilezza pareva essere evaporata dal momento in cui Sofie aveva detto di essere lì da sola.
"Sono... sono lusingata, fratello Justin, e... signorina..."
"Iris", disse l'altra.
"Ma io non sono nessuno. Non mi conoscete. Magari c'è qualche altra ragazza che è qui da più tempo e viene da una brava famiglia e merita quel lavoro più di me" soggiunse Sofie. Le sembrava che quella proposta fosse troppo bella per essere vera.
Justin scoppiò a ridere.
"Ecco, era l'unica prova di cui avevo bisogno. Sei più che qualificata per quel lavoro, Sofie, fidati. Se chiedessimo a tutti cos'hanno fatto e chi erano prima di venire qui, sono sicuro che salterebbe fuori più di una storia equivoca. La fame può rendere cattivi. Ma la fede redime. Non abbiamo mai avuto un solo atto criminoso all'interno del nostro gregge, e non credo proprio che sarai tu a cominciare."
***
Ora, nella grande casa sulla collina, Sofie cominciava a venire a patti con l'idea che sì, era tutto vero, e forse la fortuna aveva cominciato a girare dalla sua parte. Iris le stava mostrando le sue cose. Aprì l'armadio:
"Visto che non hai quasi bagaglio, potrebbero tornarti utili questi vestiti. Erano della precedente cameriera; la poverina ha avuto un attacco di nervi ed è stata internata, e non ha bisogno di questi lì dov'è adesso." Fece una pausa, e guardò Sofie. "Potrebbero aver bisogno di un'aggiustata, ma do per scontato che tu sappia usare ago e filo."
"Un po', signorina." Di solito era sempre Lila a pensare a queste cose, seppure brontolando. Sofie scacciò il pensiero della donna barbuta.
Basterà. Ecco, vedi, qui c'è il tuo bagno... Non è grande ma hai lavabo, gabinetto, e una doccia con l'acqua corrente. La stiamo installando anche giù a New Canaan. Ora, credo di averti mostrato tutto. Justin ha detto di darti un po' di riposo, visto che sei stata in viaggio fino a stasera, quindi comincerai domani. Serviremo la cena alle sei e mezzo, se vorrai unirti a noi per fare conoscenza; da domani in poi, mangerai in cucina." Iris guardò l'orologio: erano le cinque e un quarto. "Hai tutto il tempo di rinfrescarti e riposarti un po'."
"Non ha idea di quanto sia grata a lei e al reverendo, miss Iris" disse Sofie. Iris curvò gli angoli della bocca, stringendo gli occhi.
"Facciamo solo il nostro dovere di cristiani, cara. L'unica cosa che chiediamo in cambio è che lo faccia anche tu. Ti lascio sola", disse, e se ne andò.
Sofie aspettò un attimo e poi si precipitò in bagno spogliandosi freneticamente. Aprì la doccia, saggiò l'acqua. Era già calda! E c'era una saponetta che profumava di lavanda appoggiata sul lavandino, e una piccola brusca appesa dietro alla porta. Sofie cominciò a lavarsi, togliendosi di dosso giorni di sporco e sudore, e si ritrovò a ridere da sola. L'aveva sognato per una vita: una casa vera, l'acqua corrente, la certezza che domani si sarebbe svegliata ancora qui. E il profumo! Dopo tanti anni con la carovana ormai non sentiva più l'afrore della pelle umana, ma sapeva di puzzare. Fratello Justin, invece, si portava dietro un'aura appena percepibile e tremendamente gradevole che era un misto di sapone, acqua di colonia e brillantina. Ma tutta la casa aveva un leggero profumo di legno odoroso e di bucato appena fatto.
Si strofinò con la brusca e il sapone finché la sua pelle non diventò rosa come quella di un bambino. Si avvolse in un asciugamano e poi uscì a scegliere cosa mettersi. Mentre indossava biancheria un po' lisa ma bordata di merletto che forse aveva visto una volta su uno dei cataloghi Sears di Rita Sue, Sofie guardò fuori dalla sua finestra. Si vedeva il campo profughi; loro si sentivano già in paradiso per aver trovato quella sistemazione, ma lei sapeva di essere privilegiata. Non sapeva se meritarselo, però.
Si voltò verso il letto. Aveva un copriletto di cotone spesso, semplici lenzuola bianche, e un grosso cuscino di piume. Era invitante.
Mi stendo senza chiudere gli occhi, pensò asciugandosi i capelli con l'asciugamano. O magari li chiudo ma non dormo.
Non appena toccò il materasso, scivolò nel sonno e poi sognò.
***
E' nella vecchia casa dove viveva con la mamma e zia Anash in Minnesota, ma è anche la roulotte di Carnivàle. C'è Ben con lei, che la guarda con occhi tristi. I suoi occhi sono sempre tristi. Sofie prova un desiderio fortissimo di baciarlo e si trova nel retro del furgone e sa che hanno bevuto la tequila col verme, anche se non c'è traccia della bottiglia. Si chiama mezcal, dice lui. Sofie dice: sì, lo so. Si baciano ma è come se lui le scappasse e i confini del sogno si fanno confusi. Ben non è che un'ombra scura, senza volto. Sofie allarga le gambe, smaniosa, contenta di non averlo perduto. L'uomo si china su di lei e le sussurra all'orecchio, con la voce di fratello Justin: questa è la tua casa. Sofie sa che è sbagliato che ci sia Justin al posto di Ben e si sente in colpa ma non può farci niente e lascia che lui la penetri perchè vuole che lo faccia, e allora il sogno si dissolve in qualcosa di caldo e denso e profumo di sapone e colonia e brillantina.
***
Sofie uscì dal sogno per gradi, rimanendovi attaccata con tutte le sue forze, inseguendo il piacere che le sfuggiva. Col passare degli attimi la sua memoria la tradiva, anche se la vischiosità tra le sue gambe era abbastanza indicativa di cosa potesse aver sognato. D'istinto, con gli occhi ancora chiusi, si toccò attraverso la biancheria e una sottile onda di piacere corse lungo i suoi nervi.
Pigramente, aprì gli occhi. Ci mise un po' a capire dov'era, poi ricordò: New Canaan, la casa dei Crowe... immediatamente ritirò la mano. Forse non avrebbe dovuto fare una cosa simile nella casa di un prete.
La seconda cosa di cui si rese conto era che ormai era buio.
Scattò in piedi e guardò l'orologio a muro: quasi le dieci di sera. Si lasciò sfuggire un gemito di frustrazione. Era il suo primo giorno in questa casa dove era stata accolta senza che le fosse chiesto niente in cambio, e giustamente lei doveva rovinare tutto bidonando un gentile invito a cena. Tutta scarmigliata, si buttò addosso una vestaglia e corse giù, sperando che gli altri fossero ancora in piedi, andando a porgere le sue scuse e magari anche le sue dimissioni.
***.***
Justin era seduto in poltrona, comodo in camicia e bretelle. Stava scorrendo i titoli del giornale della sera. Appariva abbastanza regolarmente nei quotidiani locali, ma evidentemente non quel giorno. Si disse che non poteva lamentarsi: dopotutto, ormai aveva ben tre contratti radiofonici per stazioni che poi vendevano le loro trasmissioni ad altre emittenti ancora, col risultato che le sue parole potevano raggiungere virtualmente chiunque fino al midwest, anche gli analfabeti. Bastava un'unica radio scassata per arrivare in tempo reale a decine di persone alla volta. Tommy Dolan aveva ragione: quella era la comunicazione del futuro, e Justin si concesse persino di mandare un silenzioso augurio al giornalista. Che la sua esecuzione potesse essere rapida e indolore.
In quel momento, sentì uno scalpiccio provenire dalle scale. Abbassò il quotidiano e vide la nuova cameriera arrivare di corsa, a piedi nudi e con addosso una vestaglia e forse nient'altro. Quando lo vide, la ragazza spalancò gli occhi, come atterrita, e frenò di colpo. Con calma, Justin si alzò dalla poltrona.
"Reverendo..." cominciò Sofie tenendo i lembi della vestaglia chiusi sul petto, ma Justin la bloccò:
"Chiamami fratello Justin, Sofie. Come mai sei così agitata?"
"Io non intendevo mancare alla cena!" disse, trafelata "E' che... miss Iris mi aveva consigliato di riposarmi un po', mi sono stesa e mi sono addormentata prima di rendermene conto!"
"Già, dormivi come un bambino. O almeno così ha detto Iris" rispose Justin. "Non ha avuto cuore di svegliarti, sapendo che eri appena arrivata. Nessuno si è offeso, Sofie. Il fatto che tu sia qui a servizio non autorizza nessuno di noi a trattarti come una sguattera, ti pare? E' solo il compito che ti è stato assegnato per completare il grande disegno della nuova Cana. Ognuno di noi ne ha uno, e lo porta avanti con letizia. Lo capisci, questo?"
Vide gli occhi di Sofie riempirsi di lacrime e lei se li asciugò con rabbia, lasciando andare la vestaglia e scoprendo la scollatura della sottoveste che Justin conosceva bene perché era appartenuta a Esther, la ragazza venuta prima di lei.
"Mi scusi... io non piango mai, di solito!" sbottò Sofie. Aveva una maniera di parlare un po' rozza, ma non rozza alla maniera degli Okies, che Justin stava trovando insolitamente affascinante. A dire il vero tutto in lei aveva un nonsoché di singolare, dal modo di muoversi ai vestiti maschili con cui era arrivata a New Canaan. Lei stessa non si poteva certo definire bella, con quell'ossatura forte e i lineamenti squadrati, eppure catturava l'attenzione.
Justin le mise le mani sulle spalle e la trovò docile, ma non troppo. Percepiva come una barriera attorno a lei, e intuì subito che non poteva limitarsi ad allungare una mano e prendersela come aveva fatto con le altre.
"Ssh, Sofie, va tutto bene. Va bene piangere un po'. Non ho idea di che cosa tu possa aver passato prima di venire qui."
Sofie alzò gli occhi su di lui e gli rispose una cosa strana:
"No, non ce l'ha."
Justin li per lì rimase perplesso ma decise di non indagare. Sofie continuò:
"Lei dice sempre che bisogna essere forti. Non credevo apprezzasse la debolezza."
"Infatti è un peccato, ma tra i peccati umani è forse il più comprensibile. Tutti gli uomini, Sofie" disse, guardandola negli occhi, la voce scesa ad una nota bassa e suadente "peccano. Ogni giorno. Tutta la vita. L'importante è redimersi."
Si fissarono ancora, in silenzio. Inconsciamente, Sofie si portò di nuovo la mano sul petto scoperto, senza mai distogliere lo sguardo. Justin aveva intuito seni grandi e pesanti, là sotto. Immaginò di succhiare e mordere. C'era pochissimo spazio a dividerlo da lei. Eppure Justin esitò per un unico, fatale attimo; forse erano gli occhi di Sofie, limpidi, gli occhi di una persona che aveva visto cose atroci eppure ancora si fidava. Di lui. Gli occhi con cui una volta lo guardava Iris e che lui ora credeva di aver perduto per sempre.
In quel momento, Iris rientrò dalla veranda spingendo la carrozzina di Norman. Justin vide chiaramente la sorella giungere alle conclusioni nel giro di un attimo, e Norman... beh, Norman ormai raramente gli riservava altro che disgusto. Avrebbe voluto poter spiegare loro la grandezza del suo disegno; anche Iris, che gli era stata d'aiuto, alla fine l'aveva fatto solo per cieca devozione nei suoi confronti. Aveva visto l'albero, ma non la foresta. Chissà, forse, col tempo, Justin sarebbe potuto tornare a fidarsi di sua sorella e metterla a parte della reale entità della sua missione. Per ora, Iris poteva anche continuare a credere che il massimo a cui Justin aspirasse fosse portare avanti il proprio culto della personalità e scoparsi le cameriere. Lui sapeva che c'era ben altro in lui, nel suo sangue. E sapeva anche della minaccia ignota, del ragazzino con gli occhi azzurri che gli dava la caccia.
"Justin. Sofie" disse Iris con uno dei suoi sorrisi all'acido fenico. "Ben svegliata, cara."
Sofie stava per cominciare a parlare, ma Justin la precedette:
"La poverina stava facendo una tragedia per il suo pisolino di stasera. Le stavo giusto spiegando che non era certo il caso."
"Non ne dubito" disse dolcemente Iris, e si rivolse a Sofie: "Hai fame? Vuoi un sandwich, o un bicchiere di latte?"
Sofie scosse la testa, se possibile imbacuccandosi ancora di più nella vestaglia, nonostante il caldo. "No, grazie. Non ho bisogno di nulla, davvero." Esitò prima di parlare ancora, spostando lo sguardo da Iris a Justin e ritorno. "Credo che tornerò a dormire."
"Saggia decisione", annuì Iris.
"Allora... buonanotte. E mi dispiace, mi dispiace tanto."
"Non preoccuparti, Sofie" disse Justin "dormi bene."
La sala rimase in silenzio finché non si sentì la porta di Sofie chiudersi. Allora Iris guardò Justin e disse qualcosa che lui non si aspettava:
"Justin. Lasciala stare, per favore."
Justin la guardò, divertito.
"Di quando in qua ti preoccupi di qualcuno, Iris? Esclusi i presenti in questa stanza, ovviamente. Sei gelosa, forse?"
Iris sostenne il suo sguardo, anche se, gli sembrò, con una certa fatica.
"No. E' che non se lo merita."
Justin strinse gli occhi, e sibilò:
"Perché certo quei bambini meritavano di essere bruciati vivi, e Tommy Dolan meritava di essere condannato, vero?"
La mandibola di Iris si contrasse, gli occhi si fecero lucidi, ma la sua voce era ferma:
"Puoi pure farmela pagare per tutta la vita, Justin. Non m'importa. E' il mio fardello e lo porterò. Sono contenta di farlo. Ma è solo tra me e te. Una cosa di famiglia."
Irina. Ancora Justin non si capacitava di come riuscisse ad amarla ed odiarla così profondamente allo stesso tempo. Ed era sicuro che la cosa fosse reciproca.
Sorrise, rilassando i lineamenti. Ecco Justin Crowe il pastore benevolo, tornato da dietro le quinte per prendersi gli ultimi applausi.
"Ciò non toglie" disse nel suo tono più amabile "che chi mi porto a letto non ti riguardi minimamente."
Iris sembrò sul punto di rispondere, invece girò la carrozzina di Norman e lo portò nella sua stanza per metterlo a letto. Molte volte Justin le aveva dato una mano a sollevarlo, ma di sicuro non l'avrebbe fatto oggi. E altrettanto di sicuro non si sarebbe fatto trovare da Iris quando fosse tornata in salone.
***
Salite le scale, Justin si avvicinò silenziosamente alla porta della stanza di Sofie. Non c'era nessun rumore; forse si era davvero già riaddormentata, anche se lui ne dubitava. Era troppo scossa. Magari Justin avrebbe dovuto bussare e offrire un po' di conforto. Parlarle, e basta. Fare un passo avanti verso di lei, tenderle una mano. La mente delle altre era stata un libro aperto, vi era penetrato come un coltello nel burro, trovando i loro segreti più vergognosi, i loro istinti più nascosti, e portandoli alla luce. Ma Sofie era confusa, indecifrabile. Non si potevano usare scorciatoie per entrare in confidenza con lei. Chiaramente desiderava compiacerlo - e questa per lui non era una novità - ma era il modo a spiazzarlo. Era andata a scusarsi con lui nella maniera in cui una bambinetta va a scusarsi dal suo papà per aver disobbedito. Il pensiero lo mise insospettabilmente a disagio, e allo stesso tempo gli provocò una scossa di eccitazione che andò a riversarsi nel suo basso ventre.
Facendo uno sforzo, voltò le spalle alla porta di Sofie, rimpiangendo per la prima volta di non abitare più a Mintern. Una visita al bordello giapponese avrebbe aiutato molto, ma era un sacco di strada e, nonostante tutto, non intendeva smuovere ancora di più le acque con Iris.
Una volta a letto, considerò l'opzione di masturbarsi, e poi ricordò che probabilmente sarebbe stata Sofie ad occuparsi del prossimo bucato. Farle trovare della biancheria sporca di sperma non era il miglior biglietto da visita. Esasperato, si rigirò tra le lenzuola, che sapevano di lavanda, sentendosi tenuto in scacco dalle due donne della casa. Involontariamente, cominciò a paragonarle: ripulita e rivestita, Sofie aveva un odore singolarmente simile a quello di Iris. Ovviamente aveva a che fare con i pout-pourri nei cassetti e con la marca del sapone, però, vicini com'erano stati quella sera, gli sembrava di aver distinto l'aroma vero e proprio della ragazza.
Malgrado tutto, cominciò a fantasticare su quell'odore che gli riempiva le narici in una maniera possibile solo entrando a contatto con la pelle nuda. Aveva sempre avuto un'immaginazione molto fervida, anche prima delle visioni. La sua mente, ormai fuori controllo ed ostaggio del suo uccello, si adoperò per ipotizzare quale potesse essere l'odore più intimo di Sofie, quello che avrebbe emanato all'apice del piacere. Ma nel processo qualcosa andò storto, perché all'immagine e al profumo di Sofie si sostituirono quelli di Iris, combaciando in maniera inattesa e frustrante. La cosa lo mise a disagio: aveva un bel dire a se stesso che ormai era al di sopra delle leggi degli uomini e alla loro morale, eppure ogni volta che i suoi pensieri si soffermavano su sua sorella in quel modo - e gli succedeva da tempo immemorabile - sentiva sempre la colpa pungolarlo, e provava l'impulso, dopo, di tirare fuori lo scudiscio e punirsi finché la schiena non gli fosse diventata insensibile per il dolore. D'altra parte, la certezza della penitenza aveva creato un circolo vizioso, per cui lui alla fine cedeva alle proprie fantasie sapendo di aver pronto il contrappasso al proprio peccato. Stavolta non fu diverso: si concesse di pensare ad Iris, avrebbe in qualche modo rimediato dopo, ma più l'immagine di sua sorella si faceva chiara, più lui ricordava quanto lei l'avesse deluso e tradito, e allora di nuovo, senza che Justin la evocasse, ecco riapparire Sofie a sostituire o forse solo a sovrapporsi ad Iris. La fantasticheria stava diventando sempre meno visiva e sempre più sensuale, primitiva. Poteva quasi sentirlo, il pulsare caldo e liquido del sesso. Penetrava carne e sangue, furiosamente, come una bestia.
Nel frattempo, la sua eccitazione senza sfogo stava ormai sconfinando nel dolore.
Freneticamente, cercò a tentoni il cassetto del comodino, ne tirò fuori un fazzoletto di cotone e, nell'oscurità della sua camera, ci venne subito dentro, come un ragazzino ai primi bollori. Si ripulì alla meglio e gettò il fazzoletto appallottolato per terra dalla parte delle pantofole, così all'indomani l'avrebbe visto e gettato via. Si girò su un fianco, stanco come credeva non potesse più succedergli, e piombò in un sonno tranquillo e profondo, privo di sogni o inquietudini, almeno che lui potesse poi ricordare. Non gli succedeva da un bel po'.
***.***
Quando il mattino dopo Iris andò a bussare alla porta di Sofie e non ebbe risposta, sentì come un vuoto allo stomaco. Con cautela, abbassò la maniglia, e trovò la camera vuota. Per un attimo provò l'impulso di andare a spalancare la porta di Justin, coglierlo in flagrante, ma nel momento stesso in cui formulò il pensiero sapeva che non l'avrebbe fatto. Mestamente, allora, scese le scale per andare a preparare la colazione. Fu con sorpresa che sentì l'odore di caffè investirla fin da quand'era a metà dei gradini.
Trovò Sofie indaffarata in cucina. Aveva messo uno dei vestiti da lavoro di Celeste ed era sporca della farina dei pancakes. Iris si schiarì leggermente la voce.
"Sofie. Ben svegliata."
"Oh, buongiorno, miss Crowe" disse la ragazza con un sorriso timido. Iris si sentì rincuorata. Justin non poteva averla toccata, se era ancora così. "Non sono mai stata abituata a dormire tanto, così mi sono svegliata quasi un'ora fa."
"Hai riposato bene?"
"Certo" disse Sofie rimestando la pastella "ho fatto un po' fatica a riprendere sonno dopo essermi alzata, sa, ieri sera, ma prima di mezzanotte ero di nuovo nel mondo dei sogni. Cioè, si fa per dire. Non ho sognato niente di niente." Questo dettaglio, notò Iris, sembrava essere una nota positiva per lei. Si avvicinò al tavolo, spiando l'impasto.
"E' troppo denso" disse. "Dai qui, ti ci aggiungo il latte." Solerte, Sofie le porse la ciotola di ceramica e osservò con attenzione Iris correggere i suoi pancakes.
"Ho capito come la vuole" disse alla fine. Iris indossò a sua volta un grembiule e mise a sciogliere una noce di burro nella padella.
"Ti conviene stare attenta a tutto quello che faccio, Sofie. Conosco i gusti di fratello Justin da una vita, e credo che anche tu voglia fare in modo che tutto scorra senza ostacoli, vero?"
Sentì la perplessità di Sofie senza aver bisogno di vederla. Poi la ragazza rispose:
"Certamente. Quanto cotti li vuole?"
***
Più tardi, quando tutto fu pronto e Sofie aveva aiutato Iris a tirare Norman giù dal letto e a vestirlo, scese anche Justin, tutto azzimato e visibilmente di buonumore. Iris non seppe se rallegrarsene o no.
"Buongiorno. Già al lavoro, Sofie?", disse.
"Buongiorno, fratello Justin. Beh, erano questi gli accordi, no?", rispose la ragazza, stavolta sorridendo apertamente. Justin ricambiò il sorriso.
"Dio benedica chi mantiene le sue promesse, sorella. Chi ha fatto i pancakes? Sembrano deliziosi."
"Sofie mi ha dato una mano" tagliò corto Iris. "Hai dormito bene? Mi sembri particolarmente in forma."
"Effettivamente, sì" disse Justin, scrutandola. "Era da un pezzo che non dormivo tutte queste ore difilato. E' corroborante, dovresti provare."
"Me ne ricorderò. Sofie, spingi il reverendo Balthus fino al portico, porto io il vassoio. Lui e Justin faranno colazione all'aperto, oggi."
Justin non obiettò, e una volta apparecchiato il tavolino della veranda, Iris rientrò. Mise Sofie a lavare i piatti e sorseggiò pensosamente una tazza di caffè seduta in cucina. Lei aveva dormito malissimo, in preda all'ansia, come se qualcosa di terribile dovesse accadere. Invidiò Sofie e Justin, e si domandò se lei avrebbe mai avuto un'intera notte di quiete dopo l'incendio di Chin's. Ma era inutile recriminare: quel che era fatto era fatto, e quel che era andato era andato. Come la salvezza delle loro anime, pensò, ma nonostante tutto non le parve poi una gran perdita.
Si alzò dal tavolo, e cominciò a pulire.
***fine***
Note
- Questa fanfic è debitrice in particolare a Furore di John Steinbeck, da cui l'esaltazione di Sofie per un vero bagno tutto per lei, e a Profumo di Suskind. Senza volerlo, In principio era il Verbo e Voci cieche hanno fin dal titolo come sensi dominanti l'udito e la vista; questa è diventata la fic sull'olfatto e sul "sesto senso", che sta a metà tra istinto e ragione.
- La prima notte di quiete invece è un film con Alain Delon che ammetto di non aver mai visto, ma ho sempre adorato quel titolo, quindi zac!, scatta il riciclo.
- Gli "Okies", vale la pena di ribadirlo, erano i contadini del Midwest che negli anni '30 furono costretti a migrare verso ovest a causa della crisi economica.