Titolo: Wind in the wires; Part 1
Autore:
chibi_saru11Beta:
neera_pendragon,
koorime_yu e
hikaruryuFandom: Supernatural
Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester, Castiel, Bobby, Anna, Gabriel, Balthazar, Crowley, John Winchester, no davvero ci sono tutti, ma tipo tutti tutti.
Pairing: Dean/Castiel, Sam/Jess, past Dean/Tessa, implied Crowley/Bobby, hints Lucifer/Michael
Word Count (Part 1): circa 30K (Fidipù)
Rating: PG13
Warning: AU, Angst, Canon Character Death (aka muoiono solo coloro che sono morti anche in canon), LUNGA COME L’EDITORS CUT DELLA DIVINA COMMEDIA, implied incest
Riassunto: [X-men!AU] In un mondo che sta cominciando ad accettare la presenza dei mutanti nella sua società, Dean Winchester si trova immischiato in una guerra per cui si prepara da tutta una vita, ma che comincia ad assumere colori che non si era aspettato. Con suo padre scomparso, suo fratello che non sa più come trattare e un gruppo di mutanti che hanno deciso, apparentemente, di mettere il naso nelle sue faccende, Dean non è certo di come potrà fermare i piani dell'Hellfire Club e vendicare sua madre.
Disclaimer: Supernatural non è mio, X-men non è mio, NESSUNO DEI PERSONAGGI MENZIONATI QUI E’ MIO DIO CRISTO E CHI LI VUOLE.
Note:
1. Vedere il
Masterpost. I Pairing/Character/Warnings sono per l'intero film. [Ricordo che la fic, già completa, si può trovare su AO3, il link al masterpost - tutte e tre le parti che compongono la fic]
Quando Castiel venne al mondo i suoi genitori lo chiamarono come un angelo del Signore, come il dono del cielo che era stato dato loro.
Era un nome strano, forse, ma quando Donna guardò il bambino che aveva appena partorito, e che non sarebbe mai dovuto nascere (aveva rinunciato ad avere un figlio dopo l’incidente di quasi dieci anni prima, e poi era arrivato lui e Donna l’aveva stretto tra le sue braccia con tutta la cura che possedeva), seppe che non avrebbe potuto scegliere nessun altro nome.
Quando Castiel venne al mondo era un bambino normale, con due grandi occhi blu e Donna si era innamorata all’istante, gli aveva promesso di amarlo per sempre e che nulla avrebbe mai potuto separarli.
Donna era una bugiarda e Castiel non era un bambino normale.
Quando due ali bianche e candide come quelle di un angelo spuntarono sulla sua schiena, Jacob diede la colpa a Donna e al maledetto nome che lei aveva scelto (come se sarebbe potuta essere colpa sua).
Donna scoppiò a piangere e Castiel rimase fermo in mezzo al soggiorno, chiedendosi perché i suoi genitori non riuscissero a guardarlo in faccia.
Quando Dean Winchester venne al mondo, il vento stava cantando fuori dall’ospedale e Mary non faceva nulla per fermarlo. John aveva provato a dirle di smetterla, che avrebbe fatto meglio a non mostrare al mondo il suo potere, che John non sarebbe stato in grado di proteggerla.
Eppure Mary non voleva tenere a freno quello che era, perché era l’aria stessa a pregarla di essere lasciata libera di festeggiare quel piccolo fagotto che teneva tra le braccia.
Dean Winchester che non aveva alcun potere, ma che la faceva sentire capace di scalare montagne e creare tornado con la sola forza del pensiero (e questo non era mai stato il suo potere, il suo controllo era molto meno potente, si limitava a piccole brezze primaverili o raffiche di vento se si concentrava abbastanza).
«Questo è un bambino speciale,» aveva detto a John, e forse Dean Winchester non aveva poteri, ma Mary non aveva mai avuto un solo dubbio su di lui.
I suoi genitori lo avevano cacciato fuori di casa quando aveva dieci anni e le sue ali erano bianche e maestose sulla sua schiena, impossibili da nascondere.
Più tardi gli avrebbero detto che era stato fortunato, che avrebbero potuto chiamare la polizia e a quel punto si sarebbe perso in esperimenti e sarebbe impazzito pian piano.
Castiel aveva vagato per un giorno intero prima che le sue gambe cedessero sotto il suo peso, spossato dalla mancanza di cibo e di acqua. Aveva fame, ma quella città era piena di ricordi che non voleva avere, di memorie che ora lo ferivano come le lacrime sul viso di sua madre.
Era caduto in ginocchio, nel mezzo di una stradina che normalmente non avrebbe nemmeno guardato. Aveva fame ed era stanco e si sentiva così inutile.
Era stato allora che aveva visto una mano apparirgli davanti - era un poco più grande della sua, ma Castiel poteva vedere che apparteneva comunque ad un ragazzo, non ad un adulto, non poteva avere avuto più di venticinque anni.
«Mi piacciono le tue ali,» aveva detto, e Castiel sapeva che avrebbe dovuto correre via - non andava bene che qualcuno commentasse le sue ali, rischiava di essere riportato, rischiava di essere pestato a morte.
Aveva alzato lo sguardo, ma il ragazzo davanti a lui stava ridendo, un sorriso che sembrava fatto di ghiaccio.
«Io sono Michael. Non preoccuparti, sei al sicuro.»
Castiel non aveva avuto altra possibilità se non credergli.
La prima volta che Sam aveva mostrato il suo potere era stato quando aveva fatto lievitare la palla di gomma nella sua mano, squittendo allegramente e guardandoli come se non avesse appena fatto volare una maledetta palla ma il mondo intero.
Mary aveva preso Sam in braccio e aveva cominciato a danzare, piccole spirali di vento che si muovevano accanto a lei, scombinandole i capelli (ci sarebbero voluti anni prima che qualcuno di loro scoprisse che quello non era che il potere latente di Sam, non il suo potere principale).
Dean li aveva guardati, invidioso di questa connessione, sentendosi diverso nella sua normalità. Gli sarebbe piaciuto essere capace di far danzare il vento della sua mamma, essere capace di renderla così felice da fare tremare gli alberi fuori dalla loro casa.
Eppure quello era Sammy, Sammy e la sua palla di gomma e Dean aveva chiuso gli occhi e aveva imparato ad accettare che non sarebbe mai stato speciale quanto Sam (ci sarebbero voluti anni prima che imparasse ad accettare anche che non c’era nulla di male in questo).
Michael insegnò a Castiel come piegare le sue ali e nasconderle sotto un cappotto largo, come nascondere quello che era dalla gente che non voleva altro che fargli del male, che non avrebbe mai potuto capirli. Insegnò a Castiel che poteva avere un’altra famiglia oltre quella che l’aveva abbandonato.
C’erano decine di bambini, uniti dal loro potere speciale, riuniti sotto Michael.
C’era Gabriel, che poteva cambiare la realtà a suo piacimento; Uriel che poteva muoversi veloce come il vento; Anna che poteva sentire i pensieri di tutti loro. Raphael, che era il più scostante di tutti e poteva trasformare la sua pelle in pietra; Michael che era in grado di ghiacciare anche il fuoco più caldo (Gabriel aveva riso a quella descrizione e gli aveva detto che si sbagliava, che c’era un fuoco che Michael non sarebbe mai stato in grado di ghiacciare, ma non aveva ampliato il discorso e Castiel non aveva chiesto).
Castiel aveva abbandonato il suo cognome, come la famiglia a cui esso apparteneva aveva abbandonato lui. Era diventato Castiel, l’angelo.
Si era sentito libero per la prima volta in tutta la sua vita.
Quando Mary era morta, il vento sembrava essere morto con lei. Dean non poteva sentire il rumore delle foglie che si muovevano dolcemente o quello dell’erba, che si piegava sotto la carezza di sua madre.
Non poteva sentire nemmeno la leggera brezza fredda contro la sua guancia, quella che lo seguiva ovunque andasse. Era come se il mondo non si stesse muovendo, come se non avesse più alcuna ragione di cantare.
Dean poteva capirlo, poteva capirlo fin troppo bene.
Suo padre era pallido accanto a lui, troppo stoico, troppo freddo. Dean voleva essere abbracciato, ma le braccia di John erano troppo rigide e quindi Dean si limitò a stringere Sammy più forte che poteva.
Quando si accorse di avere una coperta intorno a lui, guardò verso Sam e seppe che era stata opera del suo fratellino.
(Dean non aveva sentito cosa avevano detto a mamma quei due uomini che avevano dato fuoco alla casa, non aveva sentito di cosa stavano discutendo nella camera di Sammy, ma sapeva che erano due mutanti, proprio come mamma, e che volevano portare via Sam e Dean non poteva permetterlo, perché Sammy era suo.)
«Hellfire club,» aveva detto suo padre - nel corso degli anni Dean avrebbe sentito quel nome ancora e ancora, prima dalla bocca di suo padre e poi da quella di qualsiasi altro mutante del mondo.
Lo avrebbe comunque odiato con tutto se stesso.
La prima volta che aveva volato era stato Gabriel a spingerlo - un minuto prima Castiel stava leggendo nel salotto e il minuto dopo si trovavano sul tetto e Gabriel gli aveva detto «Non ce la faccio più a vederti con il musone. Impara ad essere libero, fratello mio!» e poi l’aveva spinto.
Castiel stava cadendo, stava cadendo verso l’abisso e non sapeva cosa fare, non sapeva come salvarsi.
E poi aveva sentito la voce di Anna, chiara e cristallina, che gli diceva «Apri le ali e vola, Castiel,» e quindi aveva fatto esattamente così.
Era volato sopra la testa di Gabriel, sopra l’intera città, le sue ali bianche che risplendevano alla luce del sole.
«Gli esseri umani non possono volare o leggere la mente delle altre persone o plasmare la realtà come essi ritengano opportuno,» aveva detto loro Michael quella sera «ma noi non siamo persone normali, non siamo esseri umani. Noi siamo un regalo del Signore per questa umanità persa. Noi siamo superiori.»
E loro avevano ascoltato, perché Michael era il più vecchio e il più forte tra loro. E perché avevano passato tutta la loro vita a fuggire da quello che erano ed erano stanchi. Così tanto stanchi.
La prima volta che Sam aveva avuto una visione era stato quando aveva tredici anni e si era svegliato urlando che Dean sarebbe stato colpito al fianco da un dardo di ghiaccio (e sarebbe successo, tanti anni dopo, ma nessuno si sarebbe ricordato di quel sogno).
Dean gli disse che l’aveva semplicemente sognato, e non lo dissero a John.
Quando Sam gli aveva detto, tre giorni prima che accadesse, che avrebbero incontrato un’altra mutante, una mutante con i capelli bianchi e la capacità di cambiare il tempo a suo piacimento (e quando aveva cambiato il corso del vento, Dean aveva quasi pianto, ricordando che un tempo il vento era stato una presenza costante nelle loro vite, dolce e mai capace di far loro del male), Dean aveva quasi riso, fino a che non era successo davvero.
«Credo che abbiamo un problema,» aveva detto Sam, stringendosi le spalle.
Dean aveva scosso le sue «Non abbiamo un problema, Sam, non c’è alcun problema. Tu sei speciale, e va bene così.»
Anche se non era vero, anche se Dean non aveva la minima idea di come avrebbe mai potuto proteggere quel fratello così speciale che si ritrovava - soprattutto perché suo padre era sempre via e Dean non era speciale.
Non c’era nulla che Dean potesse fare, perché non era particolare come Sam, ma avrebbe fatto del suo meglio comunque.
La prima volta che Castiel aveva sentito parlare dell’Hellfire Club era stato quando aveva quindici anni ed Anna si era bloccata nel bel mezzo di una loro discussione (succedeva a volte che lei si perdesse nei pensieri che la circondavano, ma sembrava così spaventata, così scioccata).
«Anna?» chiese, confuso, ma Anna non lo ascoltò e si voltò - Castiel poté sentire l’urlo mentale che lanciò, anche se non era diretto a lui.
Michael, chiamò, ovviamente agitata, lui è qui.
Castiel stava quasi per chiedere lui chi? Quando una figura apparve sulla porta della loro casa - che era un capannone che Gabriel aveva fatto apparire dal nulla e che guadagnava una stanza ogni volta che trovavano un nuovo fratello o una nuova sorella.
«Lucifero…» aveva mormorato Michael, che sembrava aver corso fino al salotto. Castiel non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
«Fratello mio, finalmente ci rivediamo,» Quello che si chiamava Lucifero sembrava assolutamente tranquillo, come se fosse completamente all’insaputa della tensione che aleggiava nella stanza.
Gabriel era apparso al fianco di Michael, come per dargli forza.
Loro due erano i più vecchi lì, quelli che erano stati abbandonati per primi, che si erano riuniti e avevano creato quel santuario per tutti loro.
«No,» aveva detto Anna a bassa voce, evidentemente sentendo i suoi pensieri «prima erano Michael, Gabriel e Lucifero,» aveva spiegato, senza staccare gli occhi di dosso ai tre «hanno costruito questo posto, hanno cercato altre persone speciali come noi, ma Lucifero… Lucifero crede che dovremmo governare questo mondo, che dovremmo uccidere tutti i normali esseri umani.»
Castiel pensò che probabilmente poteva capirlo, ma il viso di sua madre, quando ancora lo amava, quando ancora gli voleva bene, non lo abbandonava mai. Non avrebbe potuto dichiarare guerra al genere umano, lo sapeva.
«Quindi ci ha lasciato per fondare l’Hellfire Club, si è portato via un sacco di noi, ecco perché siamo così pochi. Prima eravamo quasi una cinquantina,» ne parlava con nostalgia, come se quelli fossero stati i momenti d’oro dell’Heaven.
«Fa ridere come, di tutti noi, tu sia l’ultimo a cui sia davvero stato dato un nome da angelo,» aveva continuato Anna, apparentemente compiendo un volo pindarico che Castiel non riusciva a seguire «tutti loro si sono scelti il nome a seconda di chi volessero diventare. Puoi capire molto dal nome che le persone si sono scelte,» e Castiel capì che stava parlando di Lucifero.
Lucifero, il diavolo in persona (e poi si chiese quale fosse il suo vero nome, ma era una domanda stupida. Lucifero era il suo vero nome, era questa la regola dell’Heaven e probabilmente anche dell’Hellfire Club).
Cambiavano casa con una frequenza imbarazzante e non era solo per nascondere i poteri di Sam - su cui non aveva ancora completamente controllo e a volte Dean vedeva i cucchiai della cucina che volteggiavano in aria senza che Sam se ne rendesse conto.
John Winchester stava inseguendo il mostro che aveva portato via il loro vento, stava inseguendo questo Hellfire Club senza tregua.
Dean l’aveva visto tante volte collassare nel mezzo del soggiorno, troppo stanco per muoversi e lo aveva trascinato a letto con le sue sole forze, attento a non svegliare suo fratello.
Perché si sarebbe preoccupato ed era suo e doveva proteggerlo.
Aveva dieci anni la prima volta che era andato da suo padre e gli aveva chiesto di insegnargli a combattere. Forse non poteva muovere oggetti con la sola forza del pensiero e magari non poteva prevedere il futuro o appiccare un incendio solo perché lo voleva, ma questo non voleva dire che fosse inutile.
John gli regalò il suo primo coltello all’età di tredici anni, era fatto di plastica («Esistono mutanti che possono manovrare il metallo, non portare mai nulla di metallico di cui non puoi facilmente liberarti,» gli aveva detto, ma Dean non era mai riuscito a togliersi la collana che Sam gli aveva regalato) e Dean aveva cominciato ad allenarsi giorno e notte; suo padre l’aveva guardato con fierezza e suo fratello l’aveva guardato come se non capisse.
A sedici anni era in grado di combattere con un mutante meglio di un qualsiasi altro essere umano, conosceva metà delle mutazioni esistenti al modo e il modo migliore di contrastarle.
Ci sarebbero sempre state cose che non avrebbe potuto prevedere (gli avevano raccontato che c’era un mutante che poteva teletrasportarsi a suo piacimento e Dean non aveva la minima idea di come potesse combattere quello, per dire) ma sapeva di essere molto più preparato di altri cacciatori.
«Perché dovresti imparare come combattere, Dean?» gli aveva chiesto Sam, appena dodicenne e lui non era stato in grado di spiegargli che c’erano mutanti cattivi a quel mondo, che c’erano umani che avrebbero voluto fargli del male se solo avessero saputo.
(Dopo che una ragazzina a scuola, che aveva visto per sbaglio il quaderno di Sam volare, aveva mandato la polizia a casa loro e Dean non aveva potuto fare altro che combattere e combattere perché John era via e volevano portare via Sammy e non poteva permetterlo - ne era uscito con una costola rotta e il viso così gonfio e sanguinante che non era riuscito a ridere bene per due giorni... dopo questo Sam aveva capito).
Lucifero parlava di dominazione, della razza migliore, di fare il posto all’evoluzione, di lasciare che la natura seguisse il suo corso.
Lucifero parlava di sterminio, parlava di odio e violenza e Castiel non capiva come qualcuno dei suoi fratelli potesse ascoltarlo. Nessuno di loro amava gli umani, tutti loro erano stati feriti troppe volte e troppo profondamente per potersi fidare, per potersi avvicinare a quella società senza timori, ma da lì a pianificarne la completa distruzione…
Castiel ricordava ancora il tocco di sua madre, le risate dei suoi genitori, i suoi compagni dell’asilo, che erano tutti bambini normali e che non avevano alcuna parte se non essere nati. Come lui non aveva alcuna colpa se non essere nato diverso.
Eppure Lucifero parlava di odio, parlava di una guerra che stava già accadendo, che sarebbe accaduta tra poco. Non aveva che trent’anni ma parlava come un uomo che aveva navigato il mondo, che aveva già visto tutto quello che aveva da offrire e non aveva trovato nulla di buono da salvare.
Gli faceva pena, a dire il vero.
Eppure, quando aveva chiesto chi si sarebbe unito alla sua campagna, Uriel aveva fatto un passo avanti, accecato da una promessa di potere e libertà, da una promessa di un futuro che sarebbe stato costruito sul sangue di altre persone. Sul sangue di altri mutanti.
Castiel provò ad afferrargli il braccio, a fermarlo, ma Gabriel lo bloccò, scuotendo la testa tristemente.
«Questa è la sua scelta,» spiegò, perché erano una famiglia, perché avevano deciso di chiamarsi fratello e sorella, ma non erano legati che da paura e qualsiasi potere ognuno di loro avesse.
E non avevano alcun diritto di fermare chi voleva andarsene.
«Noi non apparteniamo a questo mondo,» aveva detto Uriel, voltandosi verso di loro «non c’è nulla di male ad ammetterlo, non c’è vergogna in ciò.»
Castiel non provava vergogna, provava solo un’infinita pena per i suoi fratelli costretti a combattere per un mondo che non li voleva. Per un mondo che aveva cercato di spingerli via con tutta la forza di cui era capace, che forse Lucifero un giorno avrebbe conquistato, che forse un giorno Michael si sarebbe convinto abbastanza di non volere a sua volta.
Che forse un giorno lui…
«Attento,» gli aveva detto improvvisamente Anna, accostandoglisi «quello è un pensiero pericoloso, Cas,» e probabilmente lo era. Anche se non l’aveva mai concluso, anche se aleggiava semplicemente nella sua mente come una minaccia.
Sam aveva cominciato a controllare il suo potere solo a quindici anni, quando era abbastanza grande da comprenderne i meccanismi, quando era abbastanza grande da capire perché fosse importante che nessuno vedesse la sua cartella volargli nella mano come se nulla fosse.
Dean l’aveva aiutato, spingendolo sempre più forte, costringendolo a fare cose a cui Sam non avrebbe mai nemmeno pensato se fosse stato da solo.
Eppure non c’era nulla che potessero fare per le visioni, non c’era modo di bloccarle o di prevederle o di sapere su cosa sarebbero state. E quindi Sam sognava di un futuro che non era ancora arrivato, di ali d’angelo e del fuoco dell’inferno.
Un giorno aveva sognato di Dean, immobile in un lago di sangue, ma non l’aveva mai detto, non aveva mai nemmeno osato pronunciare quelle parole a se stesso. Si era semplicemente infilato nel letto dell’altro e si era stretto a lui il più possibile.
Aveva sognato di una donna dai capelli biondi e il sorriso gentile, che lo prendeva per mano e rideva e rideva e lo baciava sulla bocca e giocava con i suoi capelli e si era innamorato di una visione.
Chissà cosa sarebbe successo della loro vita se non avesse mai avuto quella visione, se non avesse mai saputo cosa lo aspettasse a Stanford, lontano dalla protezione di Dean e di suo padre.
Forse si sarebbe concluso tutto in maniera diversa, forse no. Nessuno poteva saperlo.
Si era fatto spiegare tutto da Anna una volta che Lucifero era scomparso, portandosi con sé ben tre dei loro fratelli.
«Un tempo,» aveva cominciato, «Michael e Lucifero erano amici per la pelle, dei veri fratelli. Non ci sarebbe stato nulla che non avrebbero fatto l’uno per l’altro. Non so come si sono incontrati, non bene comunque, ma avevano più o meno tredici anni, di questo sono sicura - quindi è successo più o meno dieci anni prima che tu ti unissi a noi. Lucifero era nato da una famiglia ricca, che aveva un altro bambino, un bambino normale. I suoi genitori non l’hanno cacciato fuori di casa come con me,» o con te, non lo disse, ma Castiel lo sentì lo stesso «però Lucifero non riuscì a tenere sotto controllo la sua invidia per il suo fratello amato dai suoi genitori e diede fuoco alla casa. Lui dice che fu un incidente, che perse il controllo dei suoi poteri, ma nessuno può esserne sicuro…»
«Vuoi dire che ha ucciso la sua vera famiglia?» Castiel non poteva immaginarlo, non riusciva nemmeno a pensarci.
Anna era rimasta in silenzio per qualche secondo, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Quando aveva ricominciato a parlare non aveva detto altro sull’argomento, ma aveva continuato con la sua storia.
«Non vivevano assieme al tempo, Michael viveva in questo capannone con Gabriel e qualche altro bambino, un po’ come noi ora,» aveva detto, guardandosi intorno «ma quando aveva saputo cosa aveva fatto Lucifero… hanno litigato e Lucifero ha detto qualcosa come “non possiamo continuare a rimanere oppressi” e Michael ha detto qualcosa come “noi siamo la razza superiore, non possiamo abbassarci al loro livello” e poi hanno divorziato. Alcuni bambini sono rimasti qui, altri sono andati con Lucifero.»
Anna si alzò a quel punto, e abbassò lo sguardo «Non posso dire di non capire Lucifero, ma… ma non potrei mai…»
Castiel annuì, perché la capiva. Perché era esattamente la stessa cosa che pensava lui.
«Dopotutto questo è quello che volevi, no? Che io fossi come una persona qualunque,» e Dean avrebbe voluto dirgli no, che l’aveva aiutato a padroneggiare il suo potere, a padroneggiare quello che era perché voleva solo che Sam rimanesse in vita. C’era una sostanziale differenza, perché non poteva capirlo?
Non gli sarebbe importato se avesse avuto la pelle blu, se fosse in grado di distruggerlo con un solo sguardo, Dean avrebbe sempre voluto semplicemente che Sam rimanesse in vita. Mutante, alieno, umano, quello era Sammy, il suo Sammy, e Dean aveva passato i primi vent’anni della sua vita cercando di proteggerlo dal mondo.
Anche ora che le leggi sui mutanti cominciavano a diventare più buone, anche ora che la loro voce cominciava a venire sentita in parlamento. Dean voleva solo che Sam stesse bene.
Però Sam stava facendo la valigia e li stava lasciando e loro padre era troppo arrabbiato e troppo concentrato sulla sua vendetta per fare qualcosa. Dean non era sicuro che ci fosse nulla che lui potesse fare, il che era anche peggio di quanto avesse mai immaginato.
«Devo farlo per me, Dean,» e Sam lo stava abbracciando, forte, lo stava soffocando e Dean voleva che quel momento durasse per sempre.
Perché nessuno prova mai a fare qualcosa per me? avrebbe voluto chiedere, ma aveva smesso di essere invidioso tanto tempo prima.
E poi Sam se n’era andato, era uscito dalla porta ed era andato alla fermata dell’autobus accanto casa e lui non sapeva cosa fare della sua vita. Non sapeva cosa fare ora che non doveva prendersi cura di Sam, ora che suo fratello aveva deciso di andare a fare la persona normale e lo aveva lasciato in questo mondo di persone speciali (più speciali di lui, sempre più speciali di lui) senza uno scopo.
Era stato allora che suo padre gli aveva fatto leggere, per la prima volta, il file sull’Hellfire Club, su tutti gli atti terroristici che aveva compiuto in quegli anni, su tutte quelle morti che aveva causato (non solo la mamma, ma così tante altre persone).
E Dean, che non aveva più uno scopo, che era un uomo senza nulla da fare, aveva deciso che se non poteva proteggere Sammy direttamente, l’avrebbe fatto indirettamente.
Prese tutte le ricerche che suo padre aveva fatto in quegli anni, prese ogni singola informazione su qualsiasi mutante suo padre avesse mai incontrato e cominciò a leggere. A studiare, a pianificare.
Lesse di Uriel, lesse di “Occhi Gialli”, lesse del fantomatico capo che John non aveva mai incontrato, ma di cui tutti parlavano.
Lesse anche dell’Heaven, ma solo di sfuggita - una massa di mutanti che avevano deciso di distanziarsi dal mondo, di chiudersi nella loro superiorità e mandare a ‘fanculo i poveri mortali. Dean rise, che andassero a farsi fottere, non avevano bisogno di loro.
Dean Winchester non aveva bisogno di nessuno.
Castiel e i suoi fratelli erano nati sotto la guida di Michael, che aveva spiegato loro tutto quello di cui avevano bisogno, e con l’aiuto di Gabriel, che aveva dato loro tutto quello che volevano, plasmando la realtà per loro, plasmando l’universo.
(«Ci sono dei limiti,» gli aveva detto una volta «delle cose che nemmeno io posso fare,» e quando lui gli aveva chiesto quali fossero questi limiti, cosa non potesse fare, Gabriel aveva sorriso tristemente e aveva guardato verso Michael. Castiel non aveva più chiesto).
Castiel aveva vissuto lontano dalla guerra, lontano dalla realtà, in un mondo creato appositamente per loro.
Quando Michael aveva detto «Si sta avvicinando una guerra a cui nemmeno noi potremo sfuggire, Lucifero si è spinto troppo oltre,» Castiel non ne era rimasto esattamente sorpreso.
(Aveva diciassette anni quando Anna gli aveva detto «Quanto tempo credi potrà durare questa pace? Michael è testardo e Lucifero è arrabbiato e si vogliono ancora bene, nonostante tutto. Un giorno dovremo combattere,» e Anna aveva sempre ragione).
Quindi sì, nessuno era sorpreso del fatto che Michael volesse fermare Lucifero e il suo ultimo, apocalittico piano. Il punto era che nessuno voleva realmente farlo.
Dean non sapeva cosa fare. Da una parte avrebbe voluto continuare da solo, seguire la soffiata che aveva faticato così tanto a trovare e occuparsi del maledetto mutante da solo, dall’altro lato non era stupido.
Da solo non avrebbe avuto alcuna chance, lo sapeva. Non era un lavoro che poteva fare in solitaria, non quello, non contro di lui.
Non sentiva Sam da quasi due anni, dopo quella volta che l’aveva chiamato da un telefono pubblico e aveva sentito Sam rispondere ridendo, come se fosse finalmente nel posto a cui apparteneva e oh, come avrebbe potuto parlare, a quel punto? Come avrebbe potuto rovinare la felicità di Sammy a quel modo?
Quindi non sentiva suo fratello da due anni (nel senso che non sentiva la voce da due anni, ma non lo vedeva da tre anni e qualche mese,) e la sola idea di andare da lui a pregarlo per il suo aiuto gli faceva venire voglia di urlare - era stato Sam ad andarsene, dopotutto, e per quanto gli mancasse, Dean aveva ancora una dignità e si era ripromesso di non inseguirlo.
Eppure ora aveva bisogno di lui, non c’era nessun’altro che avrebbe potuto aiutarlo, che avrebbe potuto capire perché questo lavoro fosse così importante per lui.
Quindi si era intrufolato in casa di Sam entrando dalla finestra - dopotutto probabilmente quel cretino gli avrebbe chiuso la porta in faccia in ogni caso - e si era guardato un attimo intorno, cercando di accettare che quella era la nuova vita di Sammy e che lui non ne faceva parte.
Aveva sentito i passi di dell’altro che si avvicinavano dalle scale - questi tre anni lo avevano un po’ rammollito, Dean avrebbe dovuto lavorarci un poco - ma l’aveva lasciato fare comunque, aveva lasciato che desse il primo pugno, parandolo e rigirando il braccio dell’altro, abbastanza dolorosamente - ma non abbastanza da creare un qualche danno.
Sam rispose cercando di farlo cadere a terra, una buona mossa, ma Dean era più abituato di lui a combattere, aveva tre anni di esperienza in più alle spalle dopotutto, e quindi riuscì a ribaltare la situazione in un secondo, costringendolo sotto di lui.
«Tranquillo, tigre,» disse, ridacchiando, (anche perché era ovvio che Sam stava considerando di lanciargli contro un qualche oggetto della stanza, Dean poteva sentirlo concentrarsi fin da lì).
«Dean?» chiese, incredulo, Sam e lui rise, deliziato - perché quello era comunque suo fratello e gli era mancato il suono della sua voce ed i suoi stupidi capelli e il suo maledettissimo super-cervello.
Si rialzò in piedi, allungando la mano per tirarlo su, che l’accettò senza dire nulla. «Ciao, Sammy,» lo salutò.
«Non hai sentito parlare dei telefoni?» chiese Sam, ovviamente un poco seccato (se per essere stato svegliato così bruscamente o perché aveva perso, Dean non lo sapeva).
«Mi saresti stato a sentire?» domandò a sua volta e il silenzio che seguì fu una risposta in sé.
A quel punto qualcuno accese la luce e Dean si voltò a guardare una deliziosa ragazza con una maglietta blu dei puffi - bella, bionda e formosa, il tipo di ragazza per cui Dean avrebbe benissimo potuto perdere la testa, e bravo Sammy.
«Sam?» chiese la nuova arrivata e Dean sorrise, cercando di mostrarsi il più affascinante possibile.
«Sei la ragazza di mio fratello? Wow, che ci fai con lui? Potresti puntare a molto meglio, credimi,» scherzò, guardando mentre Sam si spostava accanto alla ragazza territorialmente, come se lui fosse una minaccia.
Non sapeva se essere arrabbiato o ferito o assolutamente furioso. Aveva passato una vita a sperare e a lavorare per la felicità di Sam, se questa ragazza e Stanford erano quello di cui aveva bisogno, Dean avrebbe protetto quel posto così bene che nessuno sarebbe stato mai in grado di distruggerlo.
Il fatto che Sam non potesse capire anche solo una cosa così semplice…
In ogni caso non era questo che era venuto a fare, non era lì per cercare di reinstallarsi nella vita di Sam - anche se magari una piccola, piccola parte di lui continuava a sperarci e non avrebbe mai smesso - era lì perché c’era del lavoro da fare, perché doveva rendere il mondo un posto migliore o qualche altra cazzata del genere.
Era lì per Sam, anche se suo fratello non l’avrebbe mai capito.
«In ogni caso ti dispiace se rubo il tuo ragazzo per un secondo?» chiese, cercando di trasmettere mentalmente a Sam che si trattava di una questione importante - era un peccato che l’altro non fosse un telepate.
«Qualunque cosa tu voglia dirmi, puoi dirla davanti a Jess,» fu la risposta di Sam e Dean cercò di capire dal suo sguardo se questo voleva dire che lei sapeva, se magari anche lei fosse una mutante. Eppure non sembrava…
Avrebbe potuto rischiare, avrebbe potuto chiedere a Sam “ho bisogno del tuo portentoso talento nel muovere pesi con la tua mente per andare a combattere il male, dei modelli Batman e Robin, capisci. O magari più Superman…” ma se poi Jess non avesse saputo? Sam lo avrebbe odiato ancora di più.
«Vedi Sam, il fatto è che, te lo ricordi il nostro amico? Quello che è scomparso tanti anni fa e abbiamo passato tanto tempo a cercare? Beh, pare che sia spuntato fuori, ma hanno bisogno di qualcuno che lo vada ad identificare e apparentemente io non basto,» Alzò le mani, come a dire “Lo so, mi avete visto? Come faccio a non bastare?” giusto per scena.
Sam s’irrigidì, sembrò quasi pietrificarsi. «Jess, potresti lasciarmi solo con mio fratello,» Quindi sì, la bionda formosa non aveva la minima idea di cosa fosse Sam, Dean avrebbe potuto giurarci.
Jess annuì, spostando lo sguardo dall’uno all’altro come se fosse incerta sull’aver fatto la scelta giusta. Dean la salutò con una mano e con il sorriso migliore che riuscisse a fare.
Sam lo prese per un braccio e lo trascinò fuori.
«Dean, non ho la minima intenzione…» cominciò, ma questo era troppo importante e doveva farglielo capire, doveva ricordargli che non potevano giocare, non avevano tempo di…
Non c’era tempo di fare nulla o la posizione di Occhi Gialli sarebbe cambiata e lui ci aveva messo un anno a trovare questa.
«No, no Sam, ora ascoltami tu,» gli disse allora «questo Hellfire Club sta seminando il panico e sta facendo peggiorare la situazione dei mutanti in tutto il mondo,» e non lo sapeva solo attraverso il telegiornale, ma aveva informazioni certe che, a causa loro, la CIA non stesse esattamente giocando per il team pro-mutanti ora come ora.
Era un problema.
Dean non odiava i mutanti, non odiava Sam e non aveva odiato sua madre, odiava solo quelli che non riuscivano a capire che potevano vivere assieme, che, nel tempo, si sarebbe trovato una qualche specie di punto di contatto.
«Tu puoi anche stare chiuso qua, nella tua bella Stanford e giocare con l’adorabile Jess alla famigliola felice, ma qui fuori c’è una guerra, Sammy,» una guerra che io sto combattendo per te e tu nemmeno te ne interessi «e io non posso farcela da solo questa volta. Non ti ho mai chiesto nulla in questi tre anni, Sam, nulla. Ti sto chiedendo questo, aiutami questa volta. Aiutami.»
Erano arrivati all’Impala mentre stavano parlando, e Dean si era voltato a guardarla, perché non poteva guardare negli occhi Sam, non voleva vedere cosa stesse pensando suo fratello, a quale decisione fosse arrivato. L’avrebbe saputo abbastanza presto comunque, non aveva bisogno di vedere anche il processo.
«Lunedì devo tornare,» gli disse tra i denti, «ho un colloquio quindi entro lunedì devo essere qui,» e Dean si voltò, sorridendo.
«Okay,» rispose, e non era contento solo perché aveva un compagno per questo lavoro, certo che no, ma perché, dopotutto, il pensiero di passare nuovamente un po’ di tempo con Sam lo rendeva estatico.
Castiel entrò nello studio di Michael con sicurezza, lanciando semplicemente uno sguardo a Raphael, che lo guardava come se Castiel fosse ricoperto di sterco, e ad Anna, che sembrava assolutamente seria, ma Castiel poteva sentire il leggero formicolio del suo divertimento in un angolo della sua testa -averla dentro la sua testa ormai era un’abitudine, era una di quelle con cui andava più d’accordo all’Heaven, dopotutto.
«Castiel, grazie per essere venuto,» lo salutò Michael, facendogli segno di sedersi in mezzo a Raphael e Anna.
Si limitò ad annuire, mandando un leggero sentore di confusione verso la sorella, la quale si limitò a scuotere le spalle, dicendo che non ne aveva la minima idea. Non era un buon segno, voleva dire che Michael riteneva qualsiasi cosa fosse abbastanza importante da proteggerla anche dall’invasione mentale di Anna, assolutamente priva di secondi fini.
Voleva dire che poteva essere pericolosa, che probabilmente lo sarebbe stata. Castiel si sedette meglio.
«Abbiamo trovato Occhi Gialli,» disse loro, calmo, controllato. Castiel ed Anna si lanciarono uno sguardo, prima di tornare a guardare Michael.
Fino ad ora i loro appoggi a questa fantomatica guerra erano stati minimi, se questo fosse perché Michael stesse ancora cercando di convincere Lucifero a cambiare idea o per una qualche strategia di cui non erano stati messi al corrente non lo sapevano, ma il punto rimaneva.
«Sapete perfettamente che Occhi Gialli è uno dei mutanti più vicini a Lucifero…» e poi si bloccò, come se continuare gli costasse fatica «prenderlo sarebbe un buon… ci porterebbe in una posizione di netto vantaggio.»
Castiel annuì, ma la sua confusione non si era ancora disciolta. Tutto quello che stava dicendo Michael era vero e sensato, ma cosa ci facevano lì loro?
Fu Anna a chiedere per lui spostandosi una ciocca di capelli rossi dal viso «Michael… okay, cosa vuoi da noi?»
Raphael grugnì qualcosa che Castiel non riuscì a comprendere, ma Anna gli lanciò uno sguardo di fuoco (Anna e Raphael non erano mai andati troppo d’accordo comunque, quindi Castiel non ci fece quasi caso).
«Voglio che andiate voi due ad occuparvi di lui,» aveva annunciato Michael, guardando solo lui ed Anna. Ora poteva comprendere il perché Raphael sembrasse così arrabbiato con loro. Castiel poteva comprenderlo in un certo senso, anche lui non riteneva fosse la scelta appropriata mandare solamente loro due.
Erano forti, ma non erano i più forti, e per quanto Occhi Gialli non fosse Lucifero…
«Capisco le vostre perplessità - Anna, non c’è bisogno che mi mandi immagini della vostra morte imminente, grazie,» Anna ebbe la decenza di mostrarsi un poco contrita «ma più riusciamo a tenere questa missione segreta meglio è e… Raphael cattura troppa attenzione. Voi due potreste volare fino a dove si trova Occhi Gialli ed Anna potrebbe schermare la vostra posizione.» ed evidentemente ci aveva pensato a fondo, aveva calcolato ogni possibile rischio, Castiel rimaneva sempre impressionato dalla capacità strategica di Michael «Più che la potenza,» e lanciò a Raphael uno sguardo di fuoco «dobbiamo contare sulla furtività,» e si voltò di nuovo verso di loro.
Se avessero davvero voluto avrebbero potuto dire di no, che non si sentivano pronti, che non era qualcosa che poteva chiedere loro. Però non era il modo in cui erano cresciuti, se Michael diceva loro di fare qualcosa, loro la facevano.
Gli dovevano la vita, dopotutto, erano una famiglia.
Quindi annuirono entrambi, senza esitazione.
Una volta fuori dallo studio di Michael, Anna si voltò a guardarlo, l’espressione più seria che Castiel gli avesse mai visto in viso. E Castiel sapeva che lei sarebbe potuta morire, che sarebbero potuti morire entrambi, ma aveva come l’impressione che l’altra fosse molto più forte di quanto tutti quanti pensassero.
«Lo sono,» aveva detto Anna, e poi aveva aggiunto, come se fosse un ordine «e nessuno di noi due morirà. E lo vuoi sapere perché? Perché l’ho detto io.»
Dean e Sam guidarono per quattro ore, facendo a turno su chi dovesse prendere il volante - specialmente perché nessuno dei due aveva dormito abbastanza e continuavano a rischiare di addormentarsi sul volante ogni dieci minuti.
Non avevano parlato di quei tre anni, del perché Dean non fosse mai andato a cercarlo, del perché Sam se ne fosse andato, o di John.
C’erano alcuni argomenti che erano stati tacitamente definiti taboo da entrambi, andava bene. Non era esattamente quello che Dean avrebbe voluto, ma era meglio di quello che si era aspettato.
«Quiiindi, Jess,» aveva deciso di chiedere, alla fine, godendosi il rossore sulle guance dell’altro (anche dopo tre anni prendere in giro Sam era ancora la cosa più divertente a cui potesse pensare, il modo in cui arrossiva in tutto il corpo era un capolavoro).
«Jess cosa?» brontolò Sam, incrociando le braccia e facendo la sua migliore imitazione di un ragazzino di quindici anni intento a tenere il muso (oh, Sammy, se solo non rendessi tutto così facile).
«Sembra una ragazza carina, come vi siete conosciuti? Da quanto vivete assieme? Indossa sempre quella maglietta dei puffi? » chiese, senza prendere fiato e godendosi il crescente orrore nel viso di Sam ogni volta che pronunciava una parola.
«Oddio, Dean smettila! » si lamentò Sam, coprendosi le orecchie «non ho intenzione di parlarti di come si veste normalmente Jess per andare a letto!»
«Almeno dimmi quando solitamente fate sesso, sarebbe stato imbarazzante se oggi fossi entrato e…» e okay, forse si stava spingendo un poco troppo in là, quindi quando venne colpito in viso da una pallina di carta - che nessuno aveva davvero creato, non a mano, comunque - prese il colpo con grande dignità.
«Non parleremo mai più di cose del genere. Mai più, penso di essere stato sconvolto a vita,» e Dean rise e rise e rise.
Ecco, era questo quello che gli mancava, questa complicità intrinseca, questo loro rapporto fatto di prese in giro e scherzi. A volte odiava suo fratello per averlo privato di questo, per averlo lasciato dopo che Dean aveva sacrificato qualsiasi cosa per lui e non aveva chiesto altro in cambio che Sam, nella sua vita. Sam, la più grande rottura di palle conosciuta al genere umano, il fratellino più nerd che si potesse avere, ma comunque suo.
Sam, che l’aveva gettato via come se non fosse stato altro che bagaglio in eccesso, zavorra di cui non sapeva che farsene.
No, non doveva pensarci, non ora che stavano per andare in missione, non poteva permettersi distrazioni, era troppo importante.
«Okay, Sam, apri il cruscotto, lì si trova il file con tutte le nuove informazioni che siamo riusciti a trovare sull’Hellfire Club. Io e papà ci abbiamo messo anni ad arrivare così in fondo all’organizzazione, voglio che tu impari tutto quello che c’è scritto in quel fascicolo,» e dopotutto a Sam piaceva studiare, no? Non potevano permettersi di fare errori, nemmeno uno o sarebbe stata la loro fine.
«Perché non lo fai con papà questo lavoro se sei così preoccupato che vada tutto in malora, mh? Sono sicuro che lui sarà felice di lasciare qualsiasi cosa stia facendo per l’Hellfire Club,» disse Sam, imprimendo un tono di sarcasmo nella sua voce che Dean poteva comprendere, ma che non gli piaceva.
Strinse le mani sul volante fino quasi a farsi male. Pensava di averglielo detto. Non gliel’aveva detto? Non aveva la minima idea di come avrebbe reagito alla notizia, dopotutto poteva anche non importargli (in quei tre anni non si era certamente sprecato a cercare loro notizie, dopotutto).
«Papà… papà è scomparso due settimane fa,» gli disse quindi, mordendosi un labbro. «io ero a prendermi cura di quell’atto terroristico in Wisconsin e papà stava seguendo la traccia di una mutante che poteva rendersi invisibile e che era una nuova recluta dell’Hellfire, dovevamo incontrarci a metà strada due settimane fa ma…» Dean era rimasto ad aspettare per ore, aveva provato a chiamarlo così tante volte da scaricare la batteria del telefono, si era diretto in quella maledetta cittadina dove si trovava la mutante e aveva messo tutto sotto sopra, cercato in ogni casa e sotto ogni roccia.
Non aveva trovato nulla.
Sam era completamente fermo, non osò nemmeno voltarsi verso di lui, Dean pensò fosse una decisione saggia, specialmente a seconda di quali sarebbero state le prossime parole ad uscire dalla sua bocca.
«Non lo sapevo,» mormorò suo fratello abbassando gli occhi.
Dean non riuscì a mordersi la lingua in tempo per fermare il: «E di chi credi sia la colpa?»
Maledizione, si era ripromesso che non l’avrebbero fatto. Non ancora.
«Dean, non avevo scelta, io dovevo…» rispose velocemente, ma le sue scuse suonavano deboli all’orecchio di Dean come la prima volta che le aveva sentite.
«No, Sam, tu non dovevi fare nulla, volevi. Volevi. E quindi… no,» sbottò alla fine, scuotendo la testa «no, non avremo questo discorso ora. Leggi quel maledetto fascicolo e basta, okay?» Dovevano essere in sincronia (o almeno sincronizzati abbastanza da risultare pericolosi anche dopo tre anni lontani) e litigare ora non avrebbe aiutato nessuno dei due.
Litigare non aiutava mai nessuno.
«Non ho mai voluto lasciare te,» aveva detto alla fine Sam, «era papà, dovevo… papà…» concluse pateticamente.
Dean avrebbe voluto rispondere “Sì, e ho visto quanto bene ti è riuscito,” ma invece si limitò ad indicare il fascicolo ed ordinare: «Studia.»
Sam fece esattamente questo.
Masterpost |
2