X-men; kinkmeitalia; Erik/fem!Charles; Wishing for rain in the desert p.1; NC-17

Jul 30, 2011 13:01

Titolo: Wishing for rain in the desert
Autore: chibi_saru11
Beta: neera_pendragon
Fandom: X-men First Class
Personaggi: Erik, fem!Charles, male!Raven, male!Moira, Alex/Hank/Sean, Shaw
Pairings: Erik/fem!Charles
Rating: NC-17
Avvertimenti: Genderbender, Beach!AU
Word: 13046 (Fidipù)
Riassunto: Charlotte Xavier era gracile e minuta, con gli occhi troppo grandi e dei seni troppo piccoli. Ed Erik non riusciva a capacitarsi di come quella persona, che sembrava così fragile, fosse riuscita a stringerlo con tanta forza.
Note:
1.Scritta per un prompt di neera_pendragon  a kinkmemeita . Ha deciso di fare quello che diamine voleva, poi... il che non è poi tanto strano, but still.
2. ho tutte delle considerazioni sulle differenze sulla psiche dei personaggi per il loro cambio di sesso ma sinceramente? Sono troppo culopesa per scriverli.
Disclamier: X-men First Class non è mio o non ci sarebbe stato alcun divorzio EVER.

Quando Erik sentì due braccia circondargli la vita (due braccia sottili, incredibilmente sottili, ma che lo stringevano con una forza sorprendente) non si rese immediatamente conto che c’era qualcuno che stava cercando di riportarlo in superficie. Era troppo concentrato, la rabbia che gli pulsava nelle vene e lo rendeva sordo e cieco e non riusciva a concentrarsi su altro che su Shaw e il sottomarino e il fatto che, se avesse lasciato la presa, lui gli sarebbe sfuggito un’altra volta.

“Erik, devi lasciarlo andare,” disse qualcuno - ed era impossibile, perché era sott’acqua e non poteva- e poi si rese conto che le parole provenivano direttamente dalla sua testa (ma non erano sue, l’accento era troppo inglese e il loro tono troppo delicato, troppo gentile) “so cosa voglia dire questo per te, ma morirai,” continuò la voce dentro la sua testa e finalmente Erik registrò le braccia e il seno che era premuto contro la sua schiena e la massa di capelli che fluttuava intorno a lui.

Cominciò a dimenarsi, a cercare di liberarsi da quella stretta insolitamente forte (non avrebbe dovuto avere problemi a liberarsi, era molto più forte di chiunque lo stesse tenendo, ma era anche stanco e stava cominciando a risentire della mancanza di ossigeno) “calma la tua mente,” stava dicendo la donna (sempre dentro la sua testa, ed Erik non riusciva a comprendere) “Erik, lascialo andare.”

Improvvisamente Erik lo fece, lasciò andare la presa (e non sapeva nemmeno il perché, ma quella voce era… voleva sapere di chi era quella voce, voleva sapere com’era possibile che gli stesse parlando da dentro la sua testa, voleva…) e si lasciò trascinare in superficie, cominciando a nuotare solamente una volta che la sua testa uscì fuori dall’acqua.

E finalmente poté vedere la donna che si era buttata per salvarlo, poté vedere i suoi occhi azzurri (incredibilmente azzurri), e i suoi capelli marroni, che galleggiavano a pelo d’acqua, dandole un aspetto un poco spettrale.

«Tu eri nella mia testa,» le disse, perché non era ancora in grado di capire come fosse possibile, perché poteva ancora sentire il segno dei suoi pensieri dentro la sua mente «com’è possibile?»

«Tu hai i tuoi trucchi e io ho i miei, Erik,» gli disse- e stava sorridendo? Stava sorridendo dopo che avevano rischiato di annegare?

Eppure non riusciva a registrare nient’altro (né il freddo, né il vento, né il rumore di un gommone che si avvicinava) perché… «Credevo di essere solo,» ed era quasi certo che sembrava che stava per scoppiare a piangere. Piangere davanti ad una donna che non aveva mai visto, piangere dopo che non piangeva da anni ed anni - da quando aveva quindici anni e la moneta nella sua tasca aveva smesso di essere solamente un peso diventando un’arma.

«Non sei solo, amico mio,» gli disse la donna (ragazza, davvero, sembrava troppo piccola e troppo gracile) ed Erik avrebbe giurato al mondo che quella sulle sue guance era solo acqua salata.

+

Charlotte Xavier è troppo piccola. Fu quella la prima cosa che Erik pensò una volta che furono fuori dall’acqua.

Charlotte Xavier era gracile e minuta, con gli occhi troppo grandi e dei seni troppo piccoli. Ed Erik non riusciva a capacitarsi di come quella persona, che sembrava così fragile, fosse riuscita a stringerlo con tanta forza. Fosse riuscita a portarlo in superficie, fosse riuscita a convincerlo a lasciare andare la sua presa.

Charlotte era una ragazza di buona famiglia - Erik ne era certo, lo poteva vedere dal suo portamento, dalla sua pelle chiara, che non aveva mai conosciuto la fatica vera di un lavoro - e apparentemente troppo intelligente per il periodo in cui vivevano. Una donna con un cervello era pericolosa, il mondo degli esseri umani era ancora convinto che le donne non fossero che esseri inferiori, e realizzò che probabilmente Charlotte era molto più testarda di quanto potesse sembrare (doveva esserlo se aveva completato con i massimi voti l’università nonostante i pregiudizi).

Quasi come se potesse percepire i suoi pensieri (e probabilmente poteva farlo, era una dannata telepatica, dopotutto, ed Erik non era esattamente tranquillissimo a saperla dentro la sua testa) Charlotte si voltò verso di lui, distraendosi dalla ramanzina di suo fratello, e gli sorrise.

Ed Erik di solito andava per donne diverse da Charlotte, con più curve, alte e pericolose, il genere di donne che andavano bene per una notte, ma che non sarebbero mai riuscite a farlo fermare - a fargli perdere di vista la sua ossessione. Charlotte Xavier sembrava il tipo di donna per cui Erik avrebbe potuto mandare tutto all’aria.

E non poteva permetterlo, ma temeva che fosse già cominciato.

+

«Io potrei costringerti a rimanere,» gli aveva detto Charlotte «potrei, ma non lo farò,» aveva continuato, passandosi la mano su una delle sue stupidissime gonne lunghe che non avevano nulla di sexy, ma che Erik non riusciva a smettere di guardare.

Erik non era stato capace di andare via dopo quella frase.

Bugiarda, aveva pensato, cercando di trasmettere il pensiero all’altra, lo hai già fatto.

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Charlotte era troppo piccola (gracile, magra, minuta, fragile), ma Erik scoprì che era anche una delle persone più straordinarie che conoscesse. Charlotte, che l’aveva convinto a non gettare via la sua vita invano, che camminava accanto a lui con dei mocassini ai piedi e i suoi ridicoli capelli che svolazzavano da tutte le parti e un sorriso che sarebbe stato più adatto ad una bambina di tre anni, e riusciva comunque a sembrare altamente professionale.

Charlotte che, Erik non era ancora sicuro del come, l’aveva convinto a rimanere con lei - a rimanere per più di due giorni, a rimanere per mesi e mesi ed Erik non ricordava di essere stato in un posto per così tanto tempo in… in anni (e l’ultima volta era stata con Shaw e le sue mani e le sue torture e Charlotte era completamente diversa).

Erik aveva paura di cosa voleva dire tutto quello.

+

Da sotto il casco di Celebro i capelli di Charlotte sembravano scivolare come un fiume - Charlotte li teneva legati spesso e volentieri (l’unica volta in cui li aveva visti sciolti era stata quella sera, quando si era buttata per salvarlo,quando erano troppo scuri e lisci a causa dell’acqua) ma ora erano liberi e asciutti ed Erik osservò il loro motivo ondulato con un po’ troppa attenzione.

«Sei un topo da laboratorio adorabile, Charlotte,» le aveva detto, nascondendo la sua ansia dietro una battuta. Non sapeva perché si sentisse così preoccupato, non sapeva perché vedere l’altra attaccata a quella macchina gli facesse venire voglia di agganciare qualsiasi pezzo metallico di Celebro e tirarlo via, rompere quella maledetta invenzione in mille piccoli pezzettini.

Non lo sapeva e non voleva realmente pensarci.

«Oh, sta zitto,» l’aveva rimproverato Charlotte, ma stava ridendo ed era un pochino arrossita, e la sua bocca era sempre troppo rossa e i suoi occhi troppo azzurri ed Erik non sapeva cosa volesse dire il fatto che voleva prenderla e portarla via da lì, portarla con sé e proteggerla da chiunque (da Shaw, dagli umani, dalla CIA).

Non lo sapeva, quindi fece finta di nulla.

+

Non era certo di come si fosse ritrovato su una macchina della CIA a vagare, in giro per l’America accanto a Charlotte (che saltellava sul sedile posteriore come se avesse avuto cinque anni e stessero partendo per una gita tutti insieme - ed Erik avrebbe dovuto trovare il tutto incredibilmente irritante, ma in realtà lo trovava stranamente tenero).

«Ti rendi conto?» stava mormorando quella che avrebbe dovuto essere una Professoressa rinomata, «troveremo altre persone come noi, Erik, altre… altre persone speciali,» e la sua voce era piena di meraviglia, come se non fosse stata a conoscenza del fatto che ci fossero altri mutanti in giro per il mondo dall’età di dieci anni (con Raven, che si era fatto convincere a rimanere nella sezione della CIA solo dopo una discussione di tre ore con Charlotte e solo dopo avere sibilato ad Erik “se le succede qualcosa ti riterrò responsabile, e se tu le fai qualcosa…” e lui avrebbe voluto dirgli che Charlotte sapeva cavarsela anche da sola, e che lui non si sarebbe mai permesso di farle nulla - ma la prima era inutile e anche se Charlotte era potente, Erik l’avrebbe protetta da tutto e tutti e la seconda era probabilmente una bugia, quindi si era limitato ad annuire).

«Già, e le consegneremo dritte nelle mani del governo,» aveva risposto Erik, lanciando un’occhiataccia al loro autista. Charlotte si era immediatamente intristita, ma gli aveva posato una mano sulla gamba (come se fosse normale, come se si conoscessero da anni ed anni e fossero amici, o qualcosa di più. Erik sentì il bisogno di spostare la mano dell’altra e, allo stesso tempo, prendere quelle piccole dita tra le sue).

«A volte vorrei avere il potere di lenire la tua sofferenza, amico mio,» gli aveva detto, «vorrei avere il potere di mostrarti che c’è molto di più degli esseri umani di quello che Shaw ti ha mostrato. E che c’è molto di più dentro di te di quello che Shaw ha deciso di lasciare.»

Erik non rispose (“So tutto di te,” gli aveva detto Charlotte quella sera ed Erik, ora come allora, pensava che la donna si sbagliasse - perché se davvero avesse saputo tutto non avrebbe mai detto cose del genere), ma non si scostò dalla mano di Charlotte e questo sembrò essere abbastanza.

Erik si sentiva come una tigre che si stava trasformando in un piccolo gattino innocuo sotto le mani esperte di Charlotte Xavier, ma non sapeva come fermare la trasformazione. Né era sicuro di volerlo.

+

Charlotte si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed arricciò le labbra, ma non disse nulla.
«Questo potrebbe essere un problema,» supplì Erik, guardando l’edificio che avevano davanti a loro. Una donna in un posto del genere… Charlotte in un posto del genere, Erik non riusciva nemmeno ad immaginarla. Scrollò le spalle «vorrà dire che dovrò andare da solo,» era l’unica possibilità, dopotutto.

L’insegna del club continuava a lampeggiare davanti a loro e Charlotte si voltò verso Erik, sorridendogli. Erik era ufficialmente spaventato.

«Non ce n’è bisogno, amico mio, basta che nessuno si renda conto del mio sesso,» disse ed Erik stava per chiederle di cosa stesse parlando - che nessuno avrebbe mai davvero potuto confondere Charlotte per un maschio, non con le sue curve delicate, la sua pelle liscia e i suoi capelli lunghi - quando sbatté le palpebre e, improvvisamente, davanti a lui non c’era più Charlotte Xavier ma…

«Puoi chiamarmi Charles,» gli disse l’uomo davanti a lui, che somigliava a Charlotte in maniera impressionante, ma allo stesso tempo era completamente diverso. Erik aprì la bocca, ma non riuscì a dire nulla «andiamo?»

E beh, a quel punto Erik non aveva davvero cosa dire.

+

In ogni caso Charlotte non poteva mantenere l’illusione a lungo e quando si trovarono nella sala privata (ed Erik stava cercando di non pensare al fatto che era seduto su un letto accanto a Charlotte) e lui disse «Noi ti mostriamo quello che possiamo fare noi, e tu ci mostri quello che puoi fare tu,» Charlotte riprese la sua forma originaria, mentre lui faceva fluttuare il secchiello del ghiaccio.

Angel, davanti a loro, sorrise e lasciò libere le sue ali.

Erik si voltò verso Charlotte - che stava ridendo, con gli occhi azzurri che splendevano per l’eccitazione e la felicità e la consapevolezza che avrebbero potuto fare grandi cose assieme - e si dovette trattenere dallo sporgersi quei pochi centimetri per baciarla.

+

Quando tirarono fuori Alex dalla sua cella di isolamento, il ragazzo non fu particolarmente contento - ed Erik non aveva tempo di stare a sentire le lamentele di un maledetto ragazzino ingrato, non mentre Shaw continuava la sua avanzata verso la distruzione del mondo - ma Charlotte gli poggiò una mano sul braccio, per calmarlo, e si avvicinò ad Alex come se quello non fosse altro che un gatto spaventato, muovendosi lentamente e guardandolo dritto negli occhi.

Non stavano parlando, non stavano dicendo assolutamente nulla, ma dal modo in cui gli occhi di Alex si erano dilatati, Erik era quasi certo che stessero comunicando telepaticamente (non gli piaceva non sapere cosa si stessero dicendo, ma rimase in silenzio, perché Charlotte era certamente più abituata di lui a trattare con le persone).

Dopo dieci minuti Alex annuì, e si appiccicò al fianco di Charlotte, come se proteggerla da ogni male fosse la missione della sua vita. Erik poteva comprendere il sentimento, ma non apprezzava il fatto che Alex stesse così vicino a Charlotte (e ormai non ci provava nemmeno più a far finta di non pensare a queste cose).

Charlotte aveva riso - una piccola risata garbata e un poco imbarazzata, quasi come se fosse stata dispiaciuta di trovare la questione divertente - e poi gli aveva trasmesso delle immagini di Alex e una donna, che Erik non aveva mai visto ma che probabilmente era la madre del ragazzino, e altre immagini a cui Erik non voleva pensare troppo e poi altre figure femminili - le madri adottive, supplì Charlotte - e improvvisamente Erik capì cosa era successo nella conversazione telepatica che avevano avuto i due poco prima.

Cercò di lanciare meno occhiatacce ad Alex, a quel punto, e venne ricompensato da una mano di Charlotte sul suo braccio.

+

La prima reazione di Sean fu di abbassare lo sguardo fino quasi al petto di Charlotte ed Erik si concentrò su tutte le fonti di metallo della stanza, pronto a trafiggere questo maledetto rossino.

Charlotte tossicchiò, disse «Ti pregherei di guardarmi in faccia,» e poi cominciò una discussione di venti minuti sulla loro missione, sul destino del mondo, su dettagli di genetica di cui Erik non aveva capito nulla. E alla fine del discorso, Sean si limitò ad annuire, vagamente impressionato.

Charlotte aveva un sorriso compiaciuto in viso, come se avesse appena vinto una battaglia importante - e, probabilmente, per lei era così - ma Erik continuò a tenere d’occhio il maledetto irlandese comunque.

Giusto per precauzione.

+

Darwin era stato il più facile dei tre ragazzi, e anche quello che Erik aveva trovato più simpatico.

Quando erano saliti sul suo taxi - prima Charlotte, che si era presa la gonna tra le mani ed era scivolata con grazia nel sedile - Darwin li aveva guardati dallo specchietto retrovisore e aveva chiesto loro «Dove posso portare una coppia così carina?»

Decisamente il più simpatico dei tre.

+

Ovviamente non avevano avuto solo successi - sarebbe stato stupido pensarlo - c’era stata Amy, la ragazza che poteva vedere al buio e James, l’uomo serpente e altri ancora.

Amy non era stata capace di lasciare i suoi genitori - la sua mutazione le permetteva di nascondersi e per quanto Erik avesse provato a convincerla, non aveva cambiato idea - e James aveva cercato di mordere Charlotte - e anche quando Charlotte aveva provato a dirgli che non aveva importanza, che era solo spaventato, Erik non era tornato indietro e non l’aveva permesso nemmeno a Charlotte.

L’unico fallimento che Erik aveva intenzione di ricordare, però, era Logan. Logan, che Charlotte gli aveva detto possedeva una mutazione affascinante, ma con cui non erano nemmeno stati in grado di scambiare più di tre parole.

Era andata un poco così:

«Charlotte Xavier,» aveva detto Charlotte, sorridendo come se Logan fosse un vecchio amico di famiglia, i capelli ondulati che le ricadevano sulle spalle.

«Erik Lehnsherr,» si era presentato lui, cercando anche in qualche modo di comprendere se Logan sarebbe stato un nuovo James e se Erik avrebbe dovuto proteggere Charlotte un’altra volta.

Logan li aveva spiazzati entrambi però con un sonoro «Andate a farvi fottere,» ed Erik aveva alzato lo sguardo verso Charlotte, vedendola arrossire adorabilmente e dire qualcosa come “Non è certo un linguaggio da…” (perché Charlotte a volte aveva dei comportamenti che ricordavano incredibilmente una lady del ‘700 e Raven gli aveva detto che era stata tutta colpa della madre) e improvvisamente Erik aveva voglia di ridere perché provava qualcosa per Charlotte Xavier (anche se non sapeva cosa, anche se non sapeva perché) e non era sicuro che questo qualsiasi cosa fosse l’avrebbe portato da qualche parte.

Però non aveva importanza.

Aveva preso la mano di Charlotte (guardando gli occhi dell’altra schizzare alle loro mani unite e arrossire ancora un poco, prima di voltarsi a guardarlo confusa) e poi erano usciti.

«Erik?» aveva chiesto Charlotte, piegando un poco la testa di lato e lui si era abbassato - perché tra lui e Charlotte c’erano almeno sette centimetri buoni - e poi l’aveva baciata.

Charlotte si era spinta sulla punta dei piedi, passandogli le mani sul collo e approfondendo il bacio, ed Erik le aveva cinto la vita, stringendosela il più possibile addosso e quando si erano staccati, Charlotte aveva le guance ancora più rosse del solito, le labbra deliziosamente lucide e gli occhi un poco dilatati.

«Oh,» aveva mormorato, facendo scivolare le sue dita sul collo di Erik - in un gesto che doveva essere per forza inconscio, o Charlotte Xavier aveva fregato tutti con il suo aspetto ed in realtà aveva provato a sedurlo da…

E poi si rese conto che Charlotte stava ridendo e oh. Oh.

«Stavi provando a sedurmi!» realizzò, alla fine, e Charlotte rise ancora di più.

«Onestamente, Erik, credevo che con tutti i tocchi e gli sguardi fosse dolorosamente ovvio,» e sì, probabilmente lo era stato, ma Erik era stato convinto che Charlotte fosse semplicemente troppo… Charlotte per rendersi conto di cosa stesse facendo.

E poi si rese conto di un’altra cosa «Raven mi ucciderà, vero?» e poteva battere Raven senza alcun problema, ma l’idea non era comunque piacevole.

Charlotte, la piccola bastarda, si limitò a ridere ancora di più.

+

Raven, in realtà, si limitò ad alzare gli occhi al cielo e ripetere, almeno dieci volte, «Lo sapevo, ne ero sicuro! Charlotte sei una puttana!» ed Erik sentiva il bisogno di proteggere la virtù di Charlotte (e non ricordava di essere un tale gentiluomo, davvero) ma la voce di Charlotte l’aveva fermato.

“Sebbene apprezzi il pensiero, Erik, Raven sta semplicemente sfogando la sua preoccupazione,” mormorò telepaticamente, e aggiunse poi “in più trovo il tutto estremamente divertente”.

Ed Erik rise pensando “Sei una specie di diavolo che si nasconde dietro un aspetto da angelo, vero?” e quando Charlotte si limitò a sorridergli, Erik ebbe paura di essersi infilato in una situazione di cui non aveva alcun controllo.

+

Per un poco, non molto, Erik aveva pensato che sarebbe andato tutto bene.

Quando avevano trovato una traccia, quando Monroe aveva detto loro che avevano intercettato una parte dei piani di Shaw, Erik si era convinto che finalmente erano sulla strada giusta, che avrebbero potuto porre fine a tutto quello una volta per tutte.

Non gli importava nemmeno che i ragazzini che avevano perso tanto tempo a reclutare non fossero altro che stupidi marmocchi, lui e Charlotte erano partiti con la CIA per la Russia, dove Shaw doveva incontrare un generale russo per discutere di piani politici che ad Erik non interessavano davvero.

Per tutto il viaggio gli era sembrato che la moneta che teneva in tasca pesasse il doppio di quanto pesasse in realtà ed Erik continuava a giocarci senza nemmeno rendersene conto, immaginandosi il momento in ci avrebbe avuto Shaw sotto il suo potere. Charlotte era silenziosa accanto a lui, ed Erik si chiedeva se stesse leggendo i suoi pensieri, se si stesse rendendo conto di chi fosse veramente Erik.

Sarebbe stato meglio, in un certo senso. Sarebbe stato meglio se fosse stata Charlotte ad andarsene, ad allontanarsi da lui, prima che Erik riuscisse a ferirla. Ferire lei come aveva ferito sua madre e chiunque altro gli fosse mai stato vicino.

(Charlotte prese una mano di Erik tra le sue, a quel punto, e la strinse con forza, come a convincerlo che lei non sarebbe andata da nessuna parte, che sarebbe rimasta lì con lui, che non c’era nessun altro luogo al mondo in cui avrebbe voluto essere. Erik non le credeva, ma apprezzava il pensiero).

+

Il potere di Charlotte era un potere immenso, Erik lo sapeva, ma mentre vedeva Charlotte convincere una guardia che l’interno del loro furgone era completamente vuoto (nascondendo una ventina di soldati solo con la forza della sua mente) o entrare nella mente di una guardia per spiare indisturbata Emma, Erik comprese che, probabilmente, Charlotte era ancora più potente di Emma. Ancora più potente di qualsiasi altro mutante avesse mai visto.

Se Charlotte non fosse stata troppo bene educata e troppo buona per questo mondo, probabilmente avrebbe potuto costringere ognuno di loro a fare qualsiasi cosa volesse - e nessuno avrebbe sospettato niente.

Era un pensiero spaventoso. Ed esattamente quello di cui Erik aveva bisogno.

Per averlo, però, avrebbe dovuto cambiare Charlotte, avrebbe dovuto prenderla e trasformarla in un’altra persona, e lui non voleva. Non era sicuro che il resto del mondo valesse il sacrificio di Charlotte Xavier.

+

«Shaw non verrà,» annunciò Charlotte, tornando in sé stessa, «che facciamo?»

Ed Erik sapeva già cosa avrebbe detto Monroe, lo sapeva, ma non poteva permetterlo. Emma non era Shaw, ma avrebbe potuto avere informazioni su di lui, avrebbe potuto condurli da lui.

Quindi sì alzò, pensando che Monroe e il suo collega avrebbero tenuto d’occhio Charlotte e corse verso la villa, occupandosi di tutte le guardie che trovò sul suo cammino, senza preoccuparsi di essere discreto o di chi potesse vederlo (mantenere l’anonimato o proteggersi da una possibile ripercussione del governo Russo non erano mai state cose che lo interessavano).

Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto una volta trovata Emma - che l’ultima volta l’aveva sconfitto con una facilità impressionante - ma ci avrebbe pensato sul minuto. Avrebbe trovato un modo, sarebbe semplicemente bastato arrabbiarsi abbastanza.

Si fermò solo quando fu sicuro di essersi occupato di tutte le guardie che lo separavano da Emma, cercando di riprendere fiato e bloccare la sua mente al meglio possibile. E fu allora che sentì un rumore di passi dietro di lui.

Chiunque fosse, non aveva nulla di metallico addosso - nessuna arma dunque, buono - ed Erik lasciò che una delle pistole dei soldati volasse nella sua mano.

Si concentrò, puntando la pistola in avanti e fermandosi ad ascoltare i passi che si avvicinavano.

“Aspetta, Erik!” disse Charlotte nella sua testa ed Erik abbassò immediatamente la pistola, quando la donna girò l’angolo, ansimando leggermente.

«Cosa ci fai tu qui?» le chiese, irritato - non voleva coinvolgere Charlotte in quella situazione, non più di quanto avesse già fatto. Improvvisamente l’altra aggrottò le sopracciglia, come se fosse infastidita da qualcosa.

«Non ho la minima idea di come ti si sia formata questa idea in testa, Erik, ma ti posso assicurarti che tu non mi hai trascinato in nessuna situazione,» disse Charlotte, sbuffando «onestamente, pensavo che fossi meglio di tutti gli altri. Io non mi faccio trascinare da nessuna parte, se vado da qualche parte puoi stare pur certo che lo faccio perché voglio farlo.»

E poi si avvicinò a lui, superandolo e dirigendosi verso la sala dove, Erik aveva dedotto, si trovavano Emma e il generale russo «Questo caso non fa eccezione,» concluse, ed Erik si ricordò di chi aveva davanti.

Charlotte Xavier che si era tuffata in acqua per salvare un perfetto sconosciuto, che aveva ottenuto da poco un dottorato in genetica nonostante tutti gli ostacoli che le erano stati posti davanti nel tempo.

«In più,» aggiunse dal nulla la donna, voltandosi a guardarlo sorridendo «sarebbe meglio se la Russia non sapesse del nostro coinvolgimento e tu non ti sei minimamente interessato a mantenere un minimo di anonimato. Ho dovuto cancellare un bel po’ di menti. Tu hai bisogno di me, Erik.»

Il problema? Aveva probabilmente ragione.

+

C’era un differenza abissale tra Emma e Charlotte. Era il modo in cui si portavano, il modo in cui parlavano, il modo stesso in cui usavano il potere che era stato dato loro.

Nonostante Charlotte potesse fare molti più danni di Emma, era molto più restia ad usare il suo potere in quel senso. Emma non si faceva alcun problema, la sua mente era tagliente come il diamante che ricopriva la sua pelle.

Erik comprendeva perfettamente perché Shaw avesse deciso di avere Emma al suo fianco.

Eppure era stato incredibilmente facile rompere Emma, farla crollare, farle rivelare ogni singolo piano di Shaw. Erik era convinto che non sarebbe stato altrettanto facile fare cedere Charlotte, rompere quella donna che, a rigor di logica, sembrava incredibilmente più fragile di Emma.

Avrebbe voluto dirglielo a Shaw, rinfacciarglielo. Hai visto, avrebbe voluto dirgli, sono io ad avere il telepate migliore.

Magari gliel’avrebbe anche detto prima di ucciderlo.

+

Erik si sentiva indistruttibile dopo che avevano catturato Emma - aveva tolto a Shaw il suo braccio destro, lo aveva privato di un importante assetto in battaglia e lui aveva ancora Charlotte - poi Monroe si era voltato verso di loro e aveva passato la ricetrasmittente a Charlotte, senza dire niente.

Erik non era riuscito a sentire con chi stesse parlando l’altra, né di cosa stavano parlando, ma il modo in cui Charlotte era improvvisamente impallidita e la stretta mortale in cui aveva stretto la sua mano gli avevano fatto capire più di quanto gli interessasse sapere.

+

La parte più difficile, paradossalmente, era stata convincere Charlotte a permettere ai ragazzini di allenarsi, i cinque ragazzi che erano rimasti erano stati immediatamente pronti a seguire il suo consiglio - in loro Erik vedeva una piccola parte di se stesso, pronti a tutto pur di vendicare la morte di qualcuno a loro caro.

Charlotte si era lasciata convincere alla fine, ma era evidente che non era ancora molto sicura di tutta quella situazione dato che aveva ignorato Erik e si era messa a parlare con Hank - di genetica o fisica o comunque qualche altro discorso da genii.

A quel punto Raven gli si era avvicinato, ed Erik poteva vedere il modo in cui continuava a guardare Charlotte.

«Ha chiesto di lei,» gli disse semplicemente, mordendosi il labbro inferiore. «Credo che fossero venuti per lei, Erik,» chiarificò, come se Erik ne avesse davvero bisogno.

In un certo senso, Erik non ne era sorpreso. Charlotte e Cerebro probabilmente avevano reso Shaw ed Emma nervosi, forse si erano resi conto che Erik aveva un’arma che li avrebbe potuti mettere in difficoltà.

«Non ci riproveranno,» disse semplicemente, anche se non poteva esserne certo.

Raven rimase in silenzio ed Erik si voltò a guardarlo - le sue spalle larghe e i suoi capelli biondi a caschetto - «Perché tieni quest’aspetto, Raven?» chiese, prima di potere fermare la domanda.

Si chiese se fosse per Charlotte, per la sua idea di pace con gli umani.

«Non solo per quello che pensi tu,» disse lui improvvisamente, anche se Erik riuscì a cogliere dal suo tono che quella motivazione aveva un suo peso, «Charlotte non mi ha mai obbligato a restare con lei, Erik, ma lei si crede invincibile, sai? C’è bisogno di qualcuno che la protegga, c’è bisogno…»

Erik aprì la bocca e poi la chiuse, indeciso su cosa dire. Raven lo guardò, e nel suo sguardo Erik vide che Raven era completamente leale a Charlotte, che nonostante tutto, nonostante non fosse d’accordo con lei, nonostante probabilmente lui la pensasse più come Erik stesso, il desiderio di proteggere Charlotte era più forte. Era più forte di qualsiasi altra cosa.

«Vuoi essere normale, come Hank?» gli chiese allora, perché il solo pensiero di cosa stesse facendo quello scienziato gli faceva venire voglia di urlare (nessuno di loro avrebbe dovuto nascondersi, nessuno di loro avrebbe dovuto pensare a soluzioni del genere).

Raven non rispose immediatamente. «A volte penso che sarebbe più facile, se lo volessi,» fu la sua unica risposta.

+

«Raven è molto più sicuro di sé di quel che sembra, vero?» gli chiese Charlotte, qualche ora dopo, quando si era dimenticata di essere arrabbiata con lui. La sua voce era piena di orgoglio.

«A volte penso che, se fosse stato lui la ragazza, non sarebbe stato altrettanto bilanciato,» continuò la sua riflessione Charlotte, giocando con una ciocca di capelli castani «non so spiegare questa sensazione…»

«Tu sei abbastanza bilanciata,» le disse, ma non le stava facendo un complimento, non davvero. Charlotte si voltò verso di lui, ma non stava sorridendo più.

«Io sono più forte di mio fratello, Erik, sono più forte di quanto tu pensi, anche,» gli disse, guardando fuori dal finestrino (stavano viaggiando in macchine separate, i ragazzini in una e loro e Monroe in un’altra) «voi uomini siete sempre pronti ad andare in guerra per proteggere il vostro onore, i vostri ideali, le vostre donne,» Charlotte rise all’ultima motivazione, ed Erik era quasi sicuro che stessero litigando, ma Charlotte era ancora appoggiata contro il suo fianco ed Erik le stava ancora cingendo la vita con un braccio.

«Che male c’è nel voler proteggere qualcosa, Charlotte?» le chiese, «che male c’è a desiderare di essere considerato uguale a tutti gli altri? A volere camminare a testa alta?»

«Nulla, amico mio,» rispose immediatamente Charlotte, «ma perché non pensate mai a proteggere la vita in generale? Perché non potremmo ottenere tutto quello di cui tu hai parlato con un poco più di tempo?»

Erik sbuffò ma non rispose.

+

Casa Xavier era più grande di quanto Erik si sarebbe aspettato, a dire il vero. Si aspettava una bella villetta, probabilmente, abbastanza grande per almeno dieci persone, ma nulla di più.

Quella che avevano davanti era un castello, un castello che probabilmente avrebbe potuto contenere centinaia di persone comodamente. No, davvero.

«Non riesco ad immaginare quanto dev’essere stato difficile vivere in una casa del genere, Charlotte,» disse, forse solo leggermente geloso (Erik era cresciuto nel fango e nella paura, scappando prima dai nazisti e poi da Shaw e quello era… quello era…), ma prima che la donna potesse rispondere, Raven era passato avanti, prendendo la mano di sua sorella.

«Ce la siamo cavata,» aveva detto, sorridendo leggermente e Charlotte aveva riso, appoggiandosi un poco contro suo fratello.

Erik aveva pensato di essersi perso qualcosa della discussione che lui stesso aveva cominciato, ma non aveva avuto il coraggio di chiedere.

+

Charlotte aveva cominciato ad allenarli tutti («Se è davvero necessario, sarò io a gestire il programma,» aveva detto, mettendosi una delle tute che aveva fornito loro la CIA - e che erano davvero incredibilmente brutte) e all’inizio Erik era stato scettico, non perché pensasse che Charlotte non fosse un genio, ma perché dovevano prepararsi ad andare in battaglia, ad uccidere se necessario, e Charlotte non sapeva nulla di come si combatteva.

E invece aveva visto Alex imparare a controllare il suo potere a poco a poco (e quando Erik era venuto a sapere della magnifica idea di Charlotte di mettere lei ed Hank al posto dei manichini era quasi uscito di testa) ed aveva osservato Hank correre più veloce del vento, alzare pesi che nemmeno lui sarebbe stato in grado di alzare.

(Solo con Sean aveva avuto bisogno di una mano, ma questo perché, per quanto fosse brava ed intelligente, Charlotte mancava della crudeltà adatta a buttare un ragazzino da un’antenna alta decisamente troppo).

Quindi okay, magari aveva sottovalutato un poco Charlotte, Raven poteva smettere di sorridere in quella maniera compiaciuta, grazie.

+

Quando Erik aveva posizionato la pistola in mano a Charlotte per un attimo era stato tentato di cancellare tutto e riprendersela in mano. La pistola sembrava completamente estranea nelle mani dell’altra, come in uno di quei giochetti che piacevano tanto ad Alex: “trova l’oggetto nascosto”.

Poi Charlotte aveva alzato la pistola, gli occhi fermi e aveva chiesto «Sei sicuro?» ed Erik aveva annuito, perché era troppo tardi per tirarsi indietro. Poteva vedere la mano di Charlotte tremare leggermente, come se la pistola fosse troppo pesante per lei, anche se sapeva perfettamente che l’altra era più forte di quanto sembrasse (ricordava ancora le sue braccia strette attorno alla sua vita, quel primo giorno, come l’aveva riportato a galla senza la minima esitazione, come l’aveva tenuto fermo anche quando aveva cominciato a scalciare cercando di seguire quel maledetto sottomarino fino alla sua morte).

E poi Charlotte aveva sospirato «Non posso farlo, Erik,» aveva detto, ma prima che potesse abbassare l’arma, Erik le aveva preso la mano e aveva ripuntato la canna contro il suo viso.

«Posso farcela,» le aveva detto, perché poteva, «tranquilla, posso…»

Charlotte si era tirata di nuovo indietro, scuotendo la testa «Se puoi farcela non hai bisogno… tutto questo è inutile, Erik e io non posso… non posso sparare ad un amico così, non posso sparare a te,» gli disse, abbassando lo sguardo e lasciando che una ciocca di capelli le cadesse davanti agli occhi. Ed Erik aveva pensato che avrebbe dovuto chiamare Raven, magari, o forse Monroe o…

E invece poi Charlotte aveva alzato lo sguardo e gli aveva detto «Alleniamoci con altro per ora, ho un’idea!» e poi era andata via, saltellando come se fosse eccitata.

Erik non era stato esattamente contento di questa cosa.

Part 2»

character: raven, !fan fic, paring: erik/charles, character: moira, *it100, fandom: x-men, character: charles xavier, character: erik lehnsherr

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