Titolo: The winner takes it all
Autore:
chibi_saru11 Fandom: Originale/ COW-T!Verse
Beta: ///
Personaggi: Team Angeli, Team Cavalieri e Team Maghi (menzione Team Vampiri)
Rating: PG13
Avvertimenti: Slash, Trans (in un certo senso), Incesto
Word: 10137 (FiDiPua)
Riassunto: Quando l'attacco dei Vampiri si rivela troppo potente, le altre tre razze devono decidere se allearsi o meno. E' una decisione molto più difficile di quanto sembri.
Note:
1. Vorrei dire che è stata scritta alla terza settimana quando i Vampiri vincevano tutto e gli Angeli erano un po' i più dormiglioni, ecco, ma non sono mai riuscita a postarlo \o/ Non penso la continuerò mai purtroppo, quindi per me è conclusa così. Nella mia testa ha tutta una storia particolare che temo non verrà mai raccontata ;A;
2. Per la settimana speciale @ COW-T -
maridichallenge Disclaimer: Il concept originale appartiene tutto a
maridichallenge (
lisachanoando ,
faechan e
el_defe ) ma i personaggi sono tutti miei, quindi ecco sì, non rompete.
Quando il suo maestro l’aveva invitato ad entrare con lui, Enja aveva ubbidito sorpreso. Non aveva cominciato a studiare sotto il maestro Avorus da molto e ogni gesto di fiducia da parte dell’uomo lo lasciava sempre un poco di stucco.
Quel giorno, poi, non si aspettava realmente che l’avrebbe voluto con sé, in quella riunione così importante. Sembrava però che non fosse stato l’unico a richiedere compagnia.
Al tavolo verso il quale Avorus si stava avviando due cavalieri erano già seduti, gli elmi abbandonati da una parte, e discutevano animatamente. Accanto a loro, appoggiati al muro, addirittura tre angeli sostavano, composti come sempre (e Enja si fermo un attimo ad osservare rapito le ali che spuntavano loro dalla schiena, erano la cosa più bella che avesse mai visto).
«Finalmente ci siamo tutti,» dichiarò uno dei due cavalieri, alzandosi in piedi e poggiando le mani sopra il proprio elmo - un gesto che Enja ritenne superfluo, ma che probabilmente voleva sottolineare quanto fosse fragile la tregua a cui erano giunti quella sera. «Il mio nome è Sir Claus di Roven e questo è mio cugino, Sir Honvar di Camburry,» entrambi fecero un piccolo inchino e Enja si rese conto che, sebbene fosse Claus ad aver preso parola, Honvar era probabilmente colui che aveva organizzato quell’incontro.
Claus sembrava molto più giovane del cugino, con i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri e il sorriso perfetto. Honvar aveva i capelli neri e una cicatrice sulla guancia e i suoi occhi non erano caldi come quelli dell’altro cavaliere, ma inespressivi. Ad Enja non piacevano particolarmente.
«Il mio nome è Ilen,» cominciò l’unica donna della stanza, facendo tre passi in avanti e distanziandosi dai suoi due accompagnatori. «E questi sono Jeremiah e Ferelen,» aggiunse dopo qualche secondo. I due angeli non si mossero nemmeno di un millimetro «e vorremmo sapere, cavaliere, perché mai state sprecando il nostro tempo in questo modo.»
Ostile, non c’era altro modo di definire il comportamento dei tre angeli. Gli angeli, la razza più altezzosa tra le quattro che si contendevano il controllo su quel loro mondo, che abitava i cieli e la cui bellezza era pari solo al loro senso di giustizia. C’era qualcosa di semplicemente mistico in loro, di un altro mondo, che ipnotizzava chiunque li guardasse come una splendida melodia.
«Oh, perché abbiamo visto quanto siate stati occupati in queste due settimane,» fu la pungente risposta di Claus, che strinse la mano sull’elmo, «tra di noi siete stati proprio voi ad avere le maggiori difficoltà, o sbaglio? Mi sarei aspettato un comportamento meno snob da parte vostra,» continuò, quasi ringhiando. I tre angeli non sembravano felici, notò Enja, per nulla.
Si voltò a guardare il suo maestro, appoggiato solennemente al suo bastone, gli occhi fissi su Claus, un leggero sorriso sul viso. Enja non capiva cosa gli passasse per la testa.
«Claus,» lo rimproverò il cugino, posandogli una mano sul braccio, prima di spostare lo sguardo su Avorus «la prego di perdonare il mio impetuoso parente, credo che abbiamo un’ultima presentazione da ascoltare, prima di continuare…»
Avorus rise accarezzando il pomo del suo bastone con la mano «L’irrequietezza della gioventù non è mai una colpa di cui scusarsi, Sir Honvar, semmai è un pregio. La stupidità che viene con essa, d’altro canto…» cominciò lentamente il suo maestro, ricevendo uno sguardo indispettito da parte di Claus e uno divertito da parte di Honvar «il mio nome è Avorus Ollifred e questo ragazzo alle mie spalle è il mio apprendista, Enja Seridor Paras e tranquilli, noi non abbiamo alcuna fretta di sapere il motivo di questa riunione: Enja è più che felice di rimandare i suoi compiti serali,» scherzò l’uomo amabilmente, ricevendo occhiate dubbiose da parte degli unici tre esseri non-umani nella sala.
Honvar annuì, ovviamente divertito dal vecchio mago, mentre Claus si limitò a sbuffare.
Enja fece comunque un piccolo inchino, sentendosi incredibilmente a disagio ad essere stato tirato in causa (e sì, ovviamente era felice di avere saltato - o almeno ritardato il più possibile - lo svolgimento dei suoi compiti, ma avrebbe preferito che il suo maestro non rivelasse ad una stanza piena di loro nemici quanto fosse inetto come apprendista).
«Come avrete intuito,» riprese Claus, schiarendosi la voce per attirare l’attenzione di tutti «siamo qui riuniti per parlare dell’unica razza non presente questa sera: i vampiri. »
Al solo pronunciare quella parola, gli angeli si strinsero nelle loro ali più forte, trattenendo un moto di ribrezzo. Se i cavalieri e i maghi erano loro nemici per puri motivi territoriali, i vampiri incarnavano tutto ciò che gli angeli più detestavano. Privi di inibizioni e di freni, non possedevano nemmeno le basiche concezioni morali di cui tanto si vantavano gli esseri umani.
Erano feccia senz’anima e senza cuore, che viveva succhiando l’energia altrui senza il minimo rimorso.
«L’avanzata dei vampiri,» continuò Claus, riacquistando la completa attenzione dei tre esseri alati e di Enja, che si era perso a spiare la reazione degli immortali «è stata più potente di quello che avevamo immaginato. Più potente di quanto avremmo potuto affrontare… singolarmente.»
Aveva lasciato quell’ultima parola lì, nell’aria che li circondava. Enja aveva come l’impressione che quella sola parola stesse consumando l’intero ossigeno della stanza, come veleno. Come un parassita.
Che i cavalieri stessero ricercando un’unione? Era assurdo! La guerra aveva leso i rapporti tra le tre fazioni per troppo a lungo e nemmeno l’odio comune per i vampiri sarebbe riuscito a lenire il dolore delle ferite. Eppure nessuno aveva detto niente, nessuno - nemmeno gli angeli, che evidentemente non aspettavano che una parola per attaccare l’impetuoso giovane - disse nulla. Nessuno si oppose. E l’idea cominciò a crescere nelle loro menti.
«Se singolarmente i vampiri sono troppo forti per noi, uniti potremmo batterli,» aveva dunque ripreso Claus, fiero ovviamente del suo discorso «sono mostri, che abitano il sottosuolo e rifuggono la luce del sole. Perché mai dovrebbero meritarsi il controllo di questa terra? Perché dovremmo lasciargliela? Distruggiamoli insieme.» Sembrava un ipnotizzatore, ogni sua parola li guidava esattamente dove lui voleva - o almeno questa era l’impressione che ne aveva Enja.
«È la pace che chiedi da noi,cavaliere?» inquisì uno dei due angeli che era rimasto indietro - Jeremiah, probabilmente. Honvar scosse la testa.
«Una tregua, questo noi chiediamo. E un’alleanza temporanea, il tempo di sistemare il nostro nemico comune,» spiegò, mentre Claus, ovviamente infastidito dall’intromissione del cugino, si sedeva.
Ad Enja sembrava una proposta assurda. Enja era cresciuto nella paura e nell’odio e nella diffidenza. Se anche ora i cavalieri chiedevano loro alleanza, sapeva bene che una volta eliminati i vampiri si sarebbero scagliati contro il popolo dei maghi, che si era rivelato, tra gli altri due popoli, il più pericoloso per i cavalieri.
Era lampante, pensò, ma non era certo che il suo maestro ci fosse arrivato.
«Voi giovani dichiarate guerra e cercare la pace con una velocità encomiabile, vivete di cambiamenti repentini e costanti,» cominciò il suo maestro, piano, prima di voltarsi verso Ilen «sono certo tu sia d’accordo con me; quando si raggiunge una certa età non si ha più la forza per sotterfugi, per giochi di potere. Voi pensate di stare giocando un’interessante partita a scacchi, Sir Hovan, io penso di stare perdendo, ogni battaglia di più, una parte della mia umanità.»
«Il mago ha ragione,» annuì Ilen, piano, «dopo aver vissuto per centinaia di anni, si comincia a capire come funzionano le cose, Sir Honvan. Voi qui chiedete una tregua, ma quello che volete è del tempo tattico per trovare una nuova strategia,» sputò l’angelo, incrociando le braccia.
Sir Honvan rise «Oh, Ilen, noi abbiamo già la nostra prossima strategia,» le rivelò, gli occhi che risplendevano per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata. Si stava divertendo, si stava divertendo molto. Frenò Claus, che stava ovviamente cercando di impedirgli di continuare a parlare «i nostri ospiti non sono stupidi, Claus. Ilen e i suoi angeli hanno vissuto per almeno più di duecento anni e il nostro amico Avorus… con la magia che scorre nelle sue vene ha probabilmente ormai superato la soglia dei centodieci - se mi permettete di lanciare speculazioni…»
Avorus annuì, divertito. Più potente era la magia che scorreva nelle vene di un mago, più lunga sarebbe stata la loro vita, era così che funzionava. Un normale mago raggiungeva i cent’anni al massimo, poco più di un qualsiasi cavaliere, ma c’erano i maghi speciali, quelli come Avorus, la cui magia sembrava quasi risplendere di luce propria, che riuscivano a raggiungere facilmente anche i centocinquanta, duecento anni.
Enja probabilmente sarebbe stato fortunato a raggiungere i settant’anni.
«Centoventi, Sir Honvar, e non si preoccupi, non sono una dama preoccupata di rivelare la propria età,» lo punzecchiò, abilmente. Sembrava affaticato però, e Enja gli avvicinò una delle tante sedie, ricevendo in cambio un cenno di assenso.
«Adesso basta,» dichiarò infine Ilen, «questa è una guerra e voi, tutti voi,» e dicendo questo lanciò uno sguardo sprezzante sia verso i due cavalieri che verso di loro «siete tutti nostri nemici, non abbiamo intenzione di stabilire alcun patto,» le sue ali avevano cominciato a risplendere leggermente ed Enja si ritrovò di nuovo a guardarle rapito.
Forse Sir Honvar e Claus avevano già visto degli angeli prima di allora, forse semplicemente erano troppo concentrati sulla loro missione, ma nessuno dei due sembrava particolarmente stupito o impressionato da quel gesto.
«Esattamente,» riprese Claus, sbattendo le mani sul tavolo, infiammandosi «siamo in guerra e voi la state perdendo, tutti noi la stiamo perdendo. Quando avremo sistemato i vampiri ovviamente attaccheremo voi,» e indicò i tre angeli, «o voi,» voltandosi poi verso di loro «ma se non ci occupiamo di quei maledetti succhia-sangue non ci dovremo preoccupare di null’altro.»
Fu allora che il terzo angelo, Ferelden, prese la parola per la prima volta: «Immagino che siete venuti qui con un piano, dunque,» la sua voce era bassa e vellutata, i suoi capelli erano biondi come quelli del cavaliere, ma molto più chiari, quasi platinati «per quanto voi cavalieri siate rinomati per la vostra avventatezza, ho ragione di credere che non vi sareste spinti così oltre se non aveste già avuto un qualcosa di concreto da proporci.»
Claus annuì lentamente, estraendo una pergamena arrotolata da una sacca e poggiandola sul tavolo. Chiusa.
«Il nostro piano è dettagliatamente descritto su questo foglio, Ferelden,» disse, sorridendo «comprenderete perché, però, non possiamo rivelarlo prima di avere ricevuto una risposta…»
Enja spostò lo sguardo dal suo maestro, seduto comodamente e apparentemente disinteressato alla lotta che si svolgeva davanti a loro; agli angeli, rigidi nelle loro posizioni; a Claus, fiero e imponente. Si sentiva nel bel mezzo di una partita di scacchi, l’ansia e la tensione che volava nella stanza.
Poteva vedere nello sguardo dei cinque estranei i loro ragionamenti, come si stessero tutti affannando per prevedere la mossa successiva di tutti gli altri.
Se c’era una cosa in cui Enja era bravo erano gli scacchi, ma, più generalmente, la strategia inerente a quel gioco. Poteva vedere, spesso e volentieri con chiarezza, le mosse di chi gli stava davanti. Poteva seguire lo srotolarsi dei suoi pensieri con facilità.
Era sempre più difficile farlo con persone che non conosceva, e quel giorno non si sentiva sicuro delle sue previsioni.
Improvvisamente la mano del suo maestro si poggiò sul suo braccio, invitandolo ad abbassarsi in maniera tale che l’uomo potesse bisbigliargli nell’orecchio.
«Cosa ne pensi, Enja?» gli chiese il maestro e lui piegò la testa, lasciando che una ciocca di capelli rossi gli coprisse uno degli occhi.
«Non saprei, Maestro… non credo dovreste chiedere a me,» mormorò mestamente, mentre l’altro mago rideva.
«Non dire sciocchezze, ti ho portato qui proprio per usufruire del tuo potere,» nessuno degli altri maghi aveva mai considerato questa sua particolare attitudine come un potere. La magia non c’entrava nulla, dicevano in molti, era semplicemente un ragazzo particolarmente attento e sensibile, il maestro Avorus non era mai stato d’accordo. La predizione del futuro è una delle magie più antiche e più rare che esistono su questa terra, ma è pur sempre una magia, diceva spesso, la Veggente stessa ne è una prova.
Il suo potere non era minimamente comparabile a quello della Veggente, ovviamente. Colei che tutto vedeva e tutto sapeva avrebbe riso se avesse sentito quelle parole, ma Enja, che non aveva mai realmente ecceduto in nessun tipo di magia, aveva preso quelle parole e ne aveva fatto la sua nuova forza.
«Chiudi gli occhi,» lo istruì infine Avorus e Enja si affrettò ad obbedire «e cerca di vedere.»
Enja lo fece, chiuse gli occhi e cercò di dimenticarsi di quello che i suoi occhi avevano visto fino a quel secondo e provò a cercare quello che la sua mente aveva recepito.
L’irrequietezza degli angeli, l’esuberanza di Claus, la pacatezza di Honvar e piano piano cominciò a vedere qualcosa di non meglio definito, decisioni e strette di mano che, era certo, non erano mai avvenute.
«Beh?» lo incitò il vecchio mago, ed Enja cominciò a parlare, prima che il suo cervello cercasse di razionalizzare quello che aveva visto (spesso e volentieri le sue previsioni erano più accurate quando non cercava di dare loro alcun senso logico, probabilmente era per questo che gli oracoli erano sempre stati esseri particolarmente sibillini).
«Tempo, attesa… gli angeli chiederanno tempo per riflettere, sì,» disse, aggrottando le sopracciglia perché non era tutto, c’era qualcos’altro… «i cavalieri non stanno rivelando tutto quello che sanno, stanno nascondendo qualcosa…» concluse, passandosi una mano tra i capelli nervosamente.
Avorus annuì, soddisfatto, e finalmente Enja si rese conto che gli altri cinque esseri si erano voltati verso di loro. Aveva parlato piano, no? Non era possibile che l’avessero sentito, giusto?
«Vi siete consultati dunque, mago?» chiese Jeremiah, evidentemente al limite della sua pazienza.
«L’abbiamo fatto, grazie,» rispose Avorus, alzandosi - Enja fece immediatamente la stessa cosa - «e abbiamo preso una decisione,» poi cominciò ad allontanarsi «quando anche voi avrete preso la vostra ci riuniremo.»
Claus non sembrava felice «Cosa vorresti dire, vecchio?» chiese, suscitando l’irritazione di Enja. Avorus poteva essere considerato vecchio dai cavalieri, forse, ma nessun mago avrebbe mai osato chiamare con quell’appellativo un maestro del calibro di Avorus.
Stava già per saltare in difesa del suo maestro, quando questo lo bloccò «Dovresti stare più attento a come ti rivolgi a qualcuno, quando vieni a richiedergli un’alleanza, stolto cavaliere, dopotutto quello che poco prima avete detto riguardo noi vale anche per voi: non potete vincere senza di noi.» rispose il mago sorridendo, ma chiunque si sarebbe accorto di come il tono bonario di poco prima fosse scomparso. «Quello che intendo, mio irrequieto ragazzo, è che dato che gli angeli vi chiederanno un poco di tempo per riflettere, non vedo perché dobbiamo essere noi a rivelare le nostre carte per primi. Specialmente dato che voi non l’avete fatto,» e poi si voltò, andandosene. Enja si affrettò a seguirlo, sentendo le gote che si arrossavano.
Il suo potere era stato utile, giusto? Li aveva messi in una posizione di vantaggio rispetto agli altri e si sentì incredibilmente fiero di sé stesso.
«Ora, mio caro Enja,» disse Avorus, sbattendo il bastone a terra «credo sia arrivato tempo per te di riprendere i tuoi compiti,» e improvvisamente una luce blu li avvolse, trasportandoli nuovamente nel reame dei maghi «Io devo andare ad avvertire il consiglio.»
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Sir Honvar di Camburry non sapeva esattamente come avrebbe dovuto reagire alla reazione del mago. Il suo sguardo si era posato sulla pergamena che giaceva ancora sul tavolo e poi si era spostato verso di lui, come se sapesse qualcosa.
Ad Honvar non piaceva essere messo in una posizione di svantaggio e non capiva come avesse potuto, il vecchio stregone, sapere…
Claus, accanto a lui, stava dando di matto - poteva sentirlo fremere dalla rabbia e dall’umiliazione. Il suo caro cugino era troppo irrequieto, troppo avventato. E se, da un lato, questo lo portava ad essere un guerrieri impavido e coraggioso, quando si trattava di questioni puramente strategiche, il suo valore diventava più o meno uguale a zero.
Honvar non comprendeva perché il Re avesse mandato Claus assieme a lui (forse, pensò, voleva che le altre due fazioni si credessero superiori a loro, sicure nella loro arroganza,) ma toccò con la punta del piede la gamba del parente, sperando di riportarlo in sé senza fare una scenata.
Fu fortunatamente salvato da Ilen, ovviamente anche lei infastidita dall’ultimo commento del mago.
«Bene, direi che questa assemblea si conclude qui,» soffiò, le piume delle sue ali irte in disapprovazione «vi faremo sapere noi la nostra decisione, Messeri.»
Honvar si fermò a guardarla, con i suoi lunghi capelli castani e gli occhi verdi. Sembrava davvero una donna… eppure non era possibile: gli angeli non erano né uomini né donne, ma entrambi allo stesso tempo. Potevano scegliere con quale aspetto presentarsi ai mortali, ma per loro non faceva alcuna differenza.
Non avevano una concezione della sessualità simile a quella umana - e certamente era completamente diversa da quella vampiresca - non v’era differenza tra maschio e femmina, per loro. Era una concezione che per i cavalieri era sempre stato difficile afferrare.
Gli uomini erano destinati ad essere guerrieri valorosi, a morire in battaglia come eroi, mentre le donne rimanevano a casa, protette da qualsiasi male. Erano fiori, per loro, troppo belli per essere lasciati ad altri, troppo fragili per non essere protetti.
E invece ora, in quella riunione della massima importanza, gli angeli avevano lasciato che a rappresentarli fosse una donna. Era, ovviamente, un affronto.
Fortunatamente Claus non sembrava essersene reso conto.
Si alzò, comunque, cercando di salvare il salvabile «La prego di scusare il comportamento dello stregone, temo che le troppe pozioni gli siano andate alla testa,» scherzò, facendo un piccolo inchino in direzione dei tre esseri alati. «Aspetteremo vostre notizie con ansia, Ilen,» e l’avrebbero fatto, probabilmente.
L’avrebbero fatto perché era fin troppo importante che tutte e tre le fazioni collaborassero. Perché se anche solo una delle tre fosse mancata, il piano non si sarebbe potuto attuare.
Rivelare questa informazione sarebbe stato, però, controproducente - avrebbe significato dare troppo potere nelle mani dei loro nemici, fare comprendere loro quanto realmente avessero bisogno del loro aiuto. Troppo.
A quelle parole, Ilen annuì, evidentemente più calma. Honvar ringraziò tutte le volte che aveva dovuto sedare le ire di una dama arrabbiata e che, qualunque fosse la razza, un po’ di charm riusciva ad ammaliare qualsiasi essere femminile.
«A presto,» concluse prima di far cenno agli altri due di seguirla.
Quando furono solo lui e Claus nella stanza, quest’ultimo si lasciò andare sulla sedia, stanco.
«Quiiindi,» strascicò, «poteva andare meglio, probabilmente…» disse e sì, avrebbe potuto. Non era il risultato che speravano, ma era comunque un risultato ed era sempre meglio di un netto rifiuto.
«Poteva andare peggio,» disse quindi, voltandosi verso l’altro e sedendosi sulla sedia accanto alla sua «potevi evitare di chiamarlo vecchio,» supplì, perché aveva realmente temuto che il mago, che era sembrato più accomodante dei due angeli, si rifiutasse di collaborare per quel singolo commento.
«Oh andiamo! È davvero un vecchio!» rispose Claus, incrociando le braccia. Lo era per loro, ovviamente, per i giovani maghi - come quell’Enja - Avorus era conosciuto come uno dei cinque maghi supremi del consiglio. Quando Claus aveva chiamato Avorus vecchio aveva offeso uno dei cinque personaggi più importanti del mondo magico, era stato come se qualcuno avesse insultato Re Damien in loro cospetto.
Erano stati fortunati a non avere scatenato nulla più che l’ira di un apprendista e l’irritazione dello stregone più anziano.
«La prossima volta semplicemente cerca di stare più attento a quando apri quella bocca,» gli intimò alla fine, alzandosi e preparandosi mentalmente cosa avrebbero riferito a Re Damien. Claus sbuffò e, prendendo l’elmo, uscì dalla stanza di tutta fretta.
Honvar raccolse la pergamena abbandonata sul tavolo e lo seguì.
Cavalcarono per tre ore di fila, raggiungendo il castello con il sedere dolorante per la cavalcata e le braccia stanche. Avevano scelto di tenere l’incontro in una locazione neutrale, non troppo vicina a nessuno dei loro tre regni, ma mentre i maghi potevano teletrasportarsi e gli angeli apparivo e scomparivano a loro piacimento, loro cavalieri dovevano cavalcare per ore su selle troppo scomode.
Non era esattamente giusto.
Fortunatamente Claus non aveva deciso di annoiarlo con le sue chiacchiere in quel viaggio e Honvar si era lasciato prendere dalle sempre maggiori preoccupazioni che gli attanagliavano la mente. Se anche solo una delle altre due fazioni avesse rifiutato si sarebbero ritrovati nei guai. Lo sapeva fin troppo bene, era necessaria la collaborazione di angeli, maghi e cavalieri per permettere al piano di funzionare.
E fino ad ora avevano un mago che giocava con loro come se fossero bambini e degli angeli infastiditi e snob. Non erano certamente in una posizione favorevole…
E poi c’erano i vampiri. Nessuno riusciva realmente a capire come avessero fatto i maledetti succhia sangue a nascondere un tale potere per tutti quegli anni.
Fino ad allora ogni singolo cittadino aveva creduto nella parità di forze delle quattro fazioni in campo, ma i vampiri avevano velocemente dimostrato che non era prettamente vero.
La loro capacità di espansione era straordinaria e la loro popolazione aumentava ogni settimana a vista d’occhio. Non avessero fatto qualcosa non sarebbero di certo riusciti a sopravvivere a quella guerra.
Nessuno di loro.
Era un pensiero che faceva rabbrividire Honvar più di quanto gli piacesse mostrare. I cavalieri avrebbero dovuto essere tutti senza paura e senza timore, ma questo non voleva dire che dovessero essere stupidi.
In caso di un attacco Honvar avrebbe affrontato la battaglia come i suoi concittadini, vestendo fieramente i colori della sua casa e facendo girare la sua spada con familiarità; avrebbe goduto ad ogni singola goccia di sangue che i suoi nemici avrebbero versato, questo non voleva dire però che non potesse essere realista.
Avrebbero perso, era abbastanza ovvio da vedere. E Honvar non sopportava nemmeno il pensiero di una possibile sconfitta, e men che meno lo sopportava Damien.
Il loro giovane Re aveva dato in escandescenze quando aveva scoperto che ad appena cinque mesi dalla sua incoronazione si sarebbe ritrovato ad affrontare una guerra.
Re Damien III, figlio minore di Re Christofer II e fratello di Re Alexander VI, era salito al trono a causa della morte naturale del padre e quella prematura del fratello maggiore. Eppure non era uno sprovveduto, Damien era perfettamente capace (per quanto Honvar avesse visto, almeno) di guidare il loro popolo alla prosperità e, sperava, alla vittoria.
«Siamo arrivati, cugino!» urlò improvvisamente Claus, dando un calcio al cavallo ed accelerando l’andatura. Honvar non lo seguì e lasciò che la sua montatura continuasse il suo galoppo a qualunque velocità gli aggradasse di più.
Non aveva realmente voglia di rivedere il suo Re, non con le notizie che doveva dargli e non con quelle preoccupazioni che continuavano a ronzargli in testa. A volte avrebbe voluto essere come Claus, privo di preoccupazioni, desideroso solo di menare la spada ed intrattenersi con una lady di piacevole aspetto.
Sarebbe stato incredibilmente più facile.
Quando arrivò finalmente nel cortile del cancello, Claus lo stava aspettando appoggiato alla scalinata che portava all’ingresso principale. Stava parlando con Lady Garrett, la figlia di un nobile che abitava poco lontano da lì. Honvar sospirò, smontando da cavallo ed affidandolo ad uno dei vari scudieri.
«Oh, cugino! Vieni a conoscere l’incantevole Cecile! » lo richiamò Claus, continuando a sorridere alla donna che arrossì prontamente. Aveva la pelle chiara e i capelli rossi, Honvar non poteva negare la sua bellezza.
Fece un piccolo inchino, guardando mentre la donna sollevava leggermente il vestito - per non farlo strisciare a terra - e faceva lo stesso. Non stava guardando lui, però, ma Claus.
Honvar decise di congedarsi. «Non preoccuparti Claus, ci penso io a riferire la riunione al Re,» disse al parente, prima di entrare nel castello senza aspettare risposta.
Attraversò i corridoi in pietra cercando di scacciare l’irritazione e la preoccupazione; non voleva che Damien vedesse nelle rughe del suo viso quanto, in realtà, Honvar fosse preoccupato.
Aveva già tante - troppe - altre cosa di cui preoccuparsi. Lui e Damien si conoscevano fin da ragazzi, quando giocavano con le loro spade di legno nel giardino del castello.
Erano cambiati entrambi fin troppo da quei giorni e a volte ad Honvar mancavano quei pomeriggi.
«Entri pure Sir Honvar,» lo chiamò una delle guardie, facendosi da parte «il Re è pronto ad ascoltarla,» lui annuì, entrando nella sala delle udienze.
Re Damien III lo aspettava seduto sul trono, evidentemente stanco e provato (c’erano state battaglie quel giorno? O quello prima? Certo che sì, erano in guerra, c’erano battaglie ogni giorno).
«Ti prego, Sir Honvar,» anche la sua voce suonava stanca «dimmi che arrivi a me portando buone nuove. »
Honvar abbassò il capo al suo cospetto, prima di sospirare «Non ne porto di cattive, sua maestà,» disse, che non era esattamente la stessa cosa, ma probabilmente sarebbe bastata. Tirò fuori la pergamena dalla casacca, rigirandosela tra le mani per pochi secondi, in contemplazione «gli angeli sono restii ad accettare, come avevamo previsto e hanno chiesto un po’ di tempo per ragionare sulla proposta,» ricordava le ali spalancate di Ilen, minacciosa ed agitate. Per un attimo aveva davvero avuto paura che avrebbero rifiutato spinti dalla rabbia del momento.
«Ce l’aspettavamo,» fu il commento del regnante, prima che si alzasse e recuperasse la pergamena dalle mani di Honvar «e i maghi?» chiese poi e Honvar alzò gli occhi, guardando fisso Damien negli occhi.
«Credevo che fossero sul punto di accettare,» rispose onestamente, perché aveva visto nel comportamento del vecchio Avorus una via di entrata, un’apertura che non si era realmente accettato, ma poi… «invece poi ci hanno accusato di non stare rivelando loro tutte le informazioni e se ne sono andati senza dare una risposta…»
Come avevano fatto a sapere? Come avevano potuto essere così certi delle presunte informazioni che i cavalieri stavano nascondendo e della decisione degli angeli?
Damien scosse la testa, ridendo (ma non c’era felicità in quel sorriso, solo esasperazione) «Nessuno sa mai cosa passi per la testa di quegli stregoni,» sbuffò, ritornando al suo trono e lasciandovisi cadere. «Grazie Honvar, mi sei stato di grande aiuto,» mormorò infine Damien, e Honvar si inchinò di nuovo, realizzando che gli era stato appena dato il permesso di andare.
Si voltò, avanzando verso le grandi porte quando la voce dell’altro lo fermò «Honvar, credi che diranno sì? » gli chiese Damien. Honvar si fermò, ma non si voltò a guardare l’altro.
Era troppo giovane per quelle responsabilità, più giovane di lui di almeno sette anni e già costretto a dover affrontare il periodo più nero della storia.
Uscì senza rispondere.
Aveva voglia di tornare a casa, possibilmente cercare la compagnia di una qualche dama e lasciarsi andare (ora non potevano fare altro che aspettare la decisione degli angeli e il solo pensiero di rimanere fermo a non fare nulla lo mandava in bestia). Probabilmente avrebbe potuto ricercare Lady Montgomery, l’ultima volta era stata più che felice di seguirlo nelle sue stanze.
Fu solo allora, mentre pensava a dove avrebbe potuto trovarla, che si rese conto di Claus che lo aspettava alle porte.
«Credevo fossi già andato via con Lady Garrett…» non era esattamente una domanda e Claus scosse le spalle senza rispondere.
«Com’è andato l’incontro con il Re?» chiese suo cugino, ridendo e spostandosi una ciocca di capelli dalla fronte, Honvar roteò gli occhi. «Oh andiamo! Si è almeno arrabbiato quando gli hai raccontato di quel maledetto mago?» continuò, cominciando a seguirlo mentre Honvar si dirigeva verso le stalle.
Decise di ignorarlo, probabilmente avrebbe smesso di parlare prima o poi.
«Perché mi stai seguendo, Claus?» fu costretto a chiedere però cinque minuti dopo, quando erano entrambi sopra i loro cavalli, pronti a lasciare il castello.
Honvar scrutò la faccia conosciuta del cugino, il modo in cui i suoi occhi stavano brillando e il sorriso che aveva sul viso e gli venne voglia di sguainare la spada e tagliargli la gola.
Eppure… eppure era esattamente quello che gli serviva, non stava forse pensando fino a pochi minuti prima di cercare la compagnia di una qualche dama? Dama o cavaliere non faceva realmente differenza. Molti uomini valorosi si erano lasciati conquistare dai bisogni carnali nelle notti passate in accampamento, durante le tante battaglie che si erano succedute nel corso degli anni.
Probabilmente il fatto che davanti a lui non ci fosse un normale cavaliere, ma suo cugino avrebbe dovuto dargli fastidio o disgustarlo, ma ad Honvar non interessava realmente. E Claus non sembrava essere particolarmente contrario.
Annuì dunque, cominciando a cavalcare verso la sua tenuta, Claus che lo seguiva a ruota. Dopotutto i cavalieri avevano fatto tutto quello che potevano, tutto quello che era in loro potere.
Ora era il momento peggiore di tutti: dovevano aspettare.
Part 2.