Merlin; COW-T; Arthur/Merlin; I will take your sanity away Parte 1

Apr 15, 2011 19:12

Titolo: I will take your sanity away
Autore: chibi_saru11
Fandom: Merlin
Beta: /// [Devo rileggerla tutta, non ho avuto il tempo, perdonatemi gli errori per favore]
Personaggi: Arthur Pendragon, Merlin, Gwen, Morgana, Lancelot, Gwaine, Gaius
Pairings: Arthur/Merlin (side Lancelot/Gwen)
Rating: PG13
Avvertimenti:  AU
Word: 10422 (FiDiPua)
Riassunto: Merlin si era ripromesso che non avrebbe accettato un altro lavoro, ma quando era Gaius a chiederglielo, non poteva davvero dire di no. Avrebbe dovuto, a dire il vero, perchè quando si gioca con la mente delle persone, non si può mai sapere cosa succederà [Inception!AU]
Note:
1. Ho pensato a queta storia mentre ero a Milano e ne ho scritto la buona metà mentre ero a lezione di Diritto Privato... comprendete dunque perchè è così assurda, okay? Temo che senza avere una minima conoscenza di Inception sia assolutamente incapibile, mi dispiace.
2. Per il prompt "Fandom!AU" @ COW-T - maridichallenge
Disclaimer: Merlin (BBC) non mi appartiene, proprio per niente, non so di chi sia ma non m’importa basta che continuano a trasmetterlo, ecco. Inception non appartiene a me, ecco. Proprio per nulla, non sono così intelligente (o patologicamente pazza).


La prima volta che Merlin utilizzò il PASIV l’unica cosa a cui riuscì a pensare fu che avere dei poteri magici doveva essere molto simile a quello che stavano provando ora.

Essere capaci di plasmare un mondo, un intero universo ad ogni loro desiderio, vedere le leggi della fisica piegarsi ad ogni loro singolo desiderio. Era meglio di qualsiasi cosa Merlin avesse mai provato nella sua vita.

Morire non era divertente, lo poteva ammettere - morire ogni singola volta era orribile (sentire il respiro che se ne andava dal suo corpo; le mani delle proiezioni sul suo corpo, Dio) ma la sola idea di non sognare più, di vivere in un mondo in cui non gli era possibile creare un ponte dal nulla, gli era già diventata insopportabile.

Morire era tremendo, ma poteva sopportarlo se voleva dire che poteva tenere quel potere.

La prima volta che Merlin utilizzò il PASIV lo fece per ricerca. Non sapeva dove se lo fosse procurato Gaius, perché lo avesse, non sapeva nemmeno come facesse a conoscerlo, ma un giorno Merlin era entrato in laboratorio e Gaius era lì, che passava le dita stancamente sulla valigetta. E l’aveva portato con sé.

Avevano cominciato a sognare per comprendere, per testare i limiti di quella nuova realtà, per osservare fino a dove potevano spingersi, cosa potevano fare. Ma quel mondo sembrava non avere limiti o regole, se non quelli dettati dal loro subconscio.

Era come volare, era come essere Dio (e Merlin sapeva che era un pensiero pericoloso quello, che milioni di persone si erano probabilmente persi in quella sensazione di onnipotenza e non erano più tornati al mondo reale).

Cominciarono a cambiare i paesaggi, i palazzi, la struttura intera delle città, la consistenza dell’erba e la densità dell’aria; cominciarono a giocare e modificare qualsiasi cosa venisse loro in mente, osservando come tutto sembrava piegarsi al loro volere e-dove si sarebbero potuti fermare? Perché avrebbero dovuto farlo?

E poi Merlin si era chiesto-se si poteva cambiare qualsiasi cosa, se poteva prendere una città come Londra e rivoltarla, rigirarla e trasformarla in uno strano ibrido con Pairgi… poteva cambiare anche se stesso?

Aveva provato a chiudere gli occhi, a lasciarsi andare, a dimenticare la propria forma (i suoi capelli neri, le sue orecchie troppo grandi, i suoi zigomi troppo sporgenti) e aveva pensato a quella di Gaius - così familiare e sicura.

E a poco a poco Merlin scomparve (mentre si concentrava sulle sopracciglia di Gaius, sulle sue espressioni, sul modo in cui muoveva la mano poco prima di scoprire qualcosa) e quando riaprì gli occhi aveva i capelli bianchi e più rughe di quanto ricordasse. Ed era Gaius, in tutto e per tutto. Poteva sentire Gaius dentro la sua testa, come se non avesse solo preso il suo aspetto, come se avesse assorbito il suo intero essere.

Chiuse di nuovo gli occhi e pensò a Will (al suo sorriso così sicuro) e poi a sua madre (ai suoi capelli lunghi e alle sue mani dolci) e poteva essere chiunque voleva. Poteva essere chiunque avesse mai visto.

La pelle delle altre persone gli si adattava come un vestito fatto su misura per lui e uscire da sé era così facile. Così semplice diventare qualcun altro che Merlin non riusciva più a smettere.

Provò a diventare Sarah (la cassiera del bar) e George (il benzinaio) e chiunque si ricordasse, anche facce anonime incontrate per strada - giusto per saggiare i limiti, giusto per comprendere il meccanismo.

E a poco a poco cominciò a studiarli, a guardare il modo in cui camminavano, si muovevano, parlavano e respiravano. E le loro forme nel sogno diventavano più precise, le sue trasformazioni più convincenti - come lo erano state quelle di Gaius e Will.

Dentro il sogno Merlin aveva mille identità diverse, aveva mille nomi e mille volti. Era tutti e nessuno - e avrebbe dovuto essere spaventoso ed inquietante, ma Merlin non si era mai sentito più sicuro in tutta la sua vita.

Aveva cominciato a sognare per ricerca, ma aveva continuato per necessità. Non ne andava fiero, nemmeno un poco, ma quando sua madre si era ammalata e Merlin si era reso conto di non avere i soldi per pagare l’intervento, aveva fatto quello che doveva.

Will gli aveva dato il numero di un suo conoscente - e Merlin non sapeva davvero come avesse fatto ad averlo, ma non aveva chiesto troppe domande, era la cosa giusta da fare in questi ambienti lavorativi - ed era andato. Probabilmente era stato stupido, perché non ci si fida così velocemente, non tra ladri, non tra ladri capaci di entrare nella tua mente, ma lo aveva fatto comunque.

E comunque, anche se non era bello da dire perché sembrava troppo una di quelle scuse trite e ritrite a cui non credeva mai nessuno, Merlin ha intenzione di fare solo quel lavoro. E basta. Dopo quello, dopo aver preso i soldi per l’intervento, avrebbe smesso.

Avrebbe dato le spalle a quel mondo e non se ne sarebbe più pentito.

Nimueh era perfetta e competente, ma brutale - come un tir, come un treno, completava il lavoro anche a costo di distruggere tutto quello che si trovava davanti a lei.

Normalmente Merlin non le avrebbe nemmeno rivolto la parola, figurarsi lavorare con lei… ma per questa volta non aveva scelta, per questa volta doveva sottostare alle sue regole.

E lei… lei era calcolatrice e schietta e capace di vendere del ghiaccio agli eschimesi. Qualsiasi sua parola era come una musica che si insinuava nella tua mente, che ti portava a vedere il mondo dal suo punto di vista, attraverso i suoi occhi. Era spaventoso ed affascinante al tempo stesso.

Nimueh era un’estrattrice senza scrupoli che non si preoccupava della mente dell’obiettivo, che entrava nella coscienza altrui e si comportava come se fosse nel suo salotto. A Nimueh non sembrava importare di nulla se non di se stessa.

Merlin l’odiava e la temeva allo stesso tempo.

Il lavoro si era concluso velocemente, senza alcun intoppo e Merlin aveva preso i soldi ed era corso via il più velocemente possibile, spaventato di non riuscire più a farlo se avesse indugiato un altro poco (era un lavoro che ti entrava nelle vene, che diventava presto indispensabile… Merlin non voleva che lo diventasse, Merlin non voleva lasciarsi andare).

Eppure Merlin, alla fine, fu costretto a ritornare, a lavorare un’ennesima volta. Non con Nimueh (mai più con Nimueh si era ripromesso ed aveva intenzione di mantenere quella promessa anche se gli fosse costato la vita).

Il pensiero di tornare a fare un altro lavoro non gli piaceva (anche se il realtà non era vero, anche se una parte di lui ricordava le parole di Nimueh “Non si può sfuggire a questo lavoro, Merlin, per quanto tu ci possa provare non ci riuscirai mai” e concordava con lei) ma in un certo senso non aveva avuto scelta nemmeno questa volta.

Fortunatamente nessuno si era ammalato e sua madre era più in salute che mai, ma la richiesta era venuta da Gaius e Merlin non aveva la minima idea di come avrebbe mai potuto dire di no a Gaius in tutta la sua vita, sinceramente, il solo pensiero lo lasciava completamente confuso.

Merlin stava lavorando in laboratorio, mischiando vari intrugli per creare un unico nuovo intruglio (sì, la chimica non era mai stato il suo interesse maggiore) quando Gaius gli apparve davanti con la sua faccia da  “Questa cosa non ti piacerà, ma a me non importa realmente” che non era mai rassicurante. Anzi, mandava Merlin assolutamente in paranoia perché nulla di buono accadeva mai dopo quella faccia. Nulla.

«Dobbiamo fare una cosa,» cominciò suonando serio e composto. Merlin lasciò andare la provetta che teneva in mano e alzò un sopracciglio, aspettando di sentire il resto della frase.

Sapeva già che avrebbe detto sì, ma aspettò comunque che l’altro gli spiegasse la situazione.

«So che hai fatto quel lavoro per Nimueh, qualche anno fa,» e non sembra arrabbiato o deluso o niente del genere, ma Merlin non può fare altro che sbiancare visibilmente e cominciare ad aprire e chiudere la bocca (come aveva fatto a saperlo? Da quanto? Perché non aveva detto nulla? L’avrebbe mandato via di lì? L’avrebbe denunciato alla polizia?  Merlin sarebbe diventato un criminale ricercato? C’erano prove che avesse fatto qualcosa? Queste e altre domande cominciarono a girargli in testa come una litania ed era incapace di fermarle o di porle all’uomo che aveva davanti) solo che Gaius scosse le spalle «Non ho intenzione di portarti alla polizia o cose simili, Merlin. Non posso dire che approvo l’estrattore che hai scelto, ma posso capire,» la sua voce era annoiata, come se il solo pensiero che Gaius potesse venderlo alla polizia fosse ridicolo (lo era, davvero, Gaius era stato come un padre per lui) «solo… ho bisogno di un aiuto per un lavoro. Io… Noi abbiamo bisogno di un falsario. »

Merlin sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di capire se Gaius stava dicendo sul serio. «Uh? » aveva chiesto, complimentandosi mentalmente per la sua straordinaria eloquenza. Gaius sembrava mediamente divertito.

«Ovviamente puoi rifiutare, ragazzo,» aveva aggiunto poi, quasi rendendosi conto che non aveva lasciato a Merlin nessuna possibilità di tirarsi indietro «ma prima vorrei che sentissi di cosa si tratta. »

Ma Merlin già sapeva che la risposta sarebbe stata comunque sì, lo sapeva ancora prima che Gaius avesse menzionato la parola lavoro e falsario. Quindi sospirò e disse: «Okay, ci sto.»

Probabilmente, se Merlin avesse posseduto la capacità di vedere nel futuro e fosse stato in grado di sapere cosa l’avrebbe aspettato in quel lavoro… beh, probabilmente avrebbe detto no e sarebbe scappato il più velocemente possibile dall’altra parte dell’universo.

Invece aveva detto sì, completamente ignaro di tutto.

La squadra che Gaius gli aveva presentato era… strana, a corto di altri termini, ma il suo mentore gli aveva assicurato che erano i migliori di quel mestiere e Merlin… Merlin si era fidato (perché se non si fosse potuto fidare di Gaius, allora di avrebbe potuto?).

L’architetto è una ragazza dagli occhi incredibilmente marroni (no, davvero, troppo marroni) e i capelli ricci chele incorniciano il volto in maniera adorabile e sorride come se fosse realmente felice di vederlo, come se sapesse chi fosse e l’avesse aspettato con ansia (il che era assurdo, ma faceva rilassare Merlin considerevolmente).

«Ciao,» aveva detto, porgendogli la mano «io sono Gwen, spero lavoreremo bene insieme,» Merlin annuisce e le prende la mano, stringendola probabilmente con un po’ più di forza del necessario (perché nervoso, okay? E Gwen ha quest’aria calmante intorno a lei che lo manda completamente fuori di testa).

Gwen non si lamenta della stretta, anzi ride un pochino, un sorriso storto e leggero (e se Merlin non fosse irrimediabilmente gay, ma proprio una cosa senza speranza, davvero, si sarebbe anche potuto innamorare).

Poi Gwen si sposta leggermente, permettendogli di vedere il resto della squadra: Gwaine, l’estrattore; Lancelot, il point-man e ovviamente Gaius, il loro chimico (ed era chiaro, davvero, perché non c’era nessuno al mondo più bravo di Gaius a creare sedativi sempre nuovi e sempre più forti e ovviamente sarebbe stato dentro quel genere di mestiere con quella capacità, quanto poteva essere stupido Merlin per non averlo realizzato prima?).

«Tu farai parte della squadra…? » aveva chiesto comunque, perché aveva sempre pensato che Gaius si sarebbe limitato a guardarli da lontano e supervisionare magari il tutto, ma non che avrebbe attivamente partecipato al lavoro in sé. Ovviamente Merlin è particolarmente stupido.

«No, Merlin,» rispose Gaius, roteando gli occhi, il sarcasmo che colava da ogni singola parola «sono qui solo per divertirmi a guardarvi, ovviamente. »

Gwen e Gwaine avevano riso e Merlin li aveva odiati un poco entrambi - perché non c’era assolutamente nulla di divertente, ecco, grazie. Anche se magari non era propriamente vero.

Lancelot invece gli aveva lanciato uno sguardo compassionevole e un leggero sorriso - e Merlin che, come aveva già detto, era più gay di un fenicottero rosa, magari si era un poco innamorato.

«Okay, cioè, siamo tutti felici e altre cavolate, ma…» cominciò Gwaine, che sembrava avere un’aria strafottente  appiccicata sul viso «e non è che non ci fidiamo di te, Gaius, ma puoi capire che dobbiamo capire le potenzialità del moccioso da soli, no? Con i nostri occhi. E solo dopo possiamo rivelarti di cosa si tratta il lavoro,» cercò di sembrare dispiaciuto finito il discorso, ma Merlin stava cominciando a capire che non era un sentimento che provava spesso e sembrava estraneo sul suo volto, forzato.

Merlin si risentì un poco per il moccioso, certo, ma non poteva certo dire di non comprendere quello che stava dicendo, di non essere d’accordo - perché se i ruoli fossero stati invertiti anche Merlin avrebbe voluto saggiare le potenzialità del nuovo arrivato.

Quindi annuì perché se c’era una cosa di cui era sicuro, una cosa che sapeva di poter fare perfettamente, questa era indossare mille maschere differenti, essere chiunque volesse.

Per primo divenne Gaius, la sua forma confortevole e rassicurante (aveva preso questa frase così tante volte, che spesso sembrava come una seconda pelle per lui) e poi scelse di diventare Gwen, la sua forma nuova e fresca per i suoi sensi.

Cercò di copiare i suoi occhi color cioccolato, il suo sorriso gentile, i suoi riccioli ribelli e quel piccolo tic che aveva di toccarsi il braccialetto che aveva al polso sinistro. Sorrise alle facce che ottenne in risposta, ma non si fermò.

Divenne Lancelot, con la sua pelle abbronzata e i suoi capelli lunghi, si concentrò sull’aria di tranquillità che sembrava emanare e sul modo in cui continuava a guardare Gwen come se lei fosse la sua vita (perché l’intero lavoro di Merlin si basava dal notare anche i dettagli più nascosti, anche quei sentimenti che sfuggivano alla persona stessa e fonderli in ciò che voleva creare. E perché comunque, a parte tutto, solo un cieco non avrebbe riconosciuto l’adorazione negli occhi dell’uomo).

E poi divenne Gwaine, con la sua barba semi-incolta (che lo rendeva, in uno strano modo, ancora più bello) e i suoi capelli splendenti e l’espressione strafottente che non aveva mai lasciato il suo viso.

Era facile cambiare, lasciarsi andare al flusso di quel mondo, perdere la sua consistenza e diventare così tante persone, così tanti esseri. Perché quando dormiva non era più il noioso Merlin, il povero Merlin, lo strambo Merlin.

Quando sognava poteva essere chiunque volesse, poteva essere chiunque desiderasse essere. Poteva essere tutti e nessuno e ancora il mondo. Ed era una sensazione intossicante, spesso troppo potente perché lui potesse controllarla, che lo inebriava e lo lasciava incapace di pensare razionalmente.

E Merlin lo amava.

«Beh,» disse alla fine Gwaine, ghignando «direi che abbiamo trovato il nostro falsario,» e Merlin rispose al ghigno con il viso della cameriera del bar davanti al capannone (a cui Gaius l’aveva portato qualche minuto prima).

Morgana, la loro cliente, era probabilmente una delle persone più terrificanti che Merlin avesse mai visto. E non lo dice solo a causa del suo sguardo intenso, che li scruta tutti come se sapesse molto più di quanto sia consigliabile sapere (come se potesse ucciderli tutti con una delle sue unghie finemente curate) o il modo in cui l’attenzione di chiunque sembri attirata dalla sua presenza come api al miele (e, di nuovo, era un poco il lavoro di Merlin accorgersi di questo tipo di cose), era proprio l’aura che emanava inconsciamente - così abituata da averlo reso un atto naturale come respirare.

Quindi Merlin era positivamente spaventato dalla persona che aveva davanti, dalle sue gambe troppo lunghe e i suoi tacchi troppo alti (come poteva camminare su quelle torture? Merlin preferiva sempre indossare scarpe basse quando si trasformava in una qualsiasi donna nei sogni, odiava i tacchi con tutto se stesso, ma aveva imparato a camminarci comunque per necessità) e il suo seno decisamente spettacolare (e Merlin lo diceva da un mero punto di vista osservativo perché no, le tette non erano il suo campo ecco).

Il terrore di Merlin non fece che aumentare quando si rese conto che Morgana non era solo spaventosamente bella e probabilmente spaventosamente potente (e ricca, incredibilmente ricca se le scarpe di Jimmy Choo e la borsa di Marc Jacobs erano un’indicazione) ma anche completamente e clinicamente pazza.

No, meglio cancellare: erano tutti completamente pazzi. Tutti.

«Non si può fare!  » urlò, scandalizzato, prima di potersi fermare perché era una cosa che sapevano tutti, era una conoscenza comunque… era… era semplicemente come funzionava il mondo, maledizione.

E invece ora erano tutti lì a parlarne tranquillamente, come se Morgana avesse appena proposto loro di andarsi a mangiare un tè con i pasticcini.

«Merlin,» e persino il modo in cui diceva il suo nome - con un misto di ilarità, pietà e superiorità che si univano in un tono arrogante ma non esattamente spiacevole - gli mandava brividi lungo la schiena «non essere stupido, si può fare tutto nella vita, a patto di provarci. »

Merlin vorrebbe dirle che no, che quello era semplicemente la tipica frase da ragazzina viziata abituata ad avere tutto nella vita, che non aveva mai dovuto lottare per nulla,che aveva sempre avuto tutto servito su un piatto d’argento. Che per la gente normale non funzionava così.

Nella vita reale - e okay, considerando che vivevano in un mondo in cui entrare nella mente delle persone era perfettamente normale non poteva esattamente permettersi di parlare troppo, ma non era quello il punto - non funzionava così.

L’unico problema era che nessuno sembrava dargli ascolto perché erano tutti pazzi.

Merlin ora aveva un po’ paura un poco di tutti, ecco.

«Ha ragione, Merlin, l’inception è difficile, certo, ma non impossibile nel vero senso della parole,» confermò Lasncelot - l’unica persona che Merlin si sarebbe sentito di risparmiare e che aveva perso quel privileggio molto velocemente.

Merlin vorrebbe urlare di nuovo, dire loro che si sbagliano e sono tutti fottutamente pazzi, ma Gaius cominciò a parlare prima di lui.

«Merlin, tutti noi siamo in questo mestiere da molto più tempo di te,» gli disse, incrociando le braccia «smetti di lamentarti come un povero bigotto,» e quindi Merlin smise di lamentarsi e cominciò a tenere il muso a tutti (gli sembrava un compromesso accettabile in un certo senso).

«Chi sarà la nostra vittima? E quale idea vuoi che infiliamo nella sua testolina? » chiese Gwaine, che sembrava persino troppo tranquillo, come se stessero organizzato una cena in pizzeria.

«Conoscete Uther Pendragon…» cominciò Morgana e non la rese una domanda, perché nessuno al mondo poteva permettersi di non conoscere Uther Pendragon, l’uomo più potente nel panorama dell’economia mondiale. Possedeva catene di negozi, troppi palazzi per essere salutare, una banca, una catena di hotel… e decisamente troppe cose per essere elencate. Quindi sì, tutti conoscevano Uther Pendragon, non c’era davvero bisogno di presentarlo).

«Sta per morire,»  continuò Morgana, come se nulla fosse, come se non avesse appena dato loro un’informazione personale e un po’ disturbante «e io ho bisogno che il suo regno non venga disperso, ma rimanga nelle mani di una sola persona. »

«Vuoi che facciamo un inception su Uther Pendragon? » chiese Gwaine, come se l’idea l’istigasse (tutti pazzi, davvero, probabilmente certificati).

Morgana scosse la testa «No,» disse, prendendo una foto dalla borsa che portava con sé. «Voglio che facciate un inception su suo figlio, Arthur Pendragon perché possa prendere il suo posto come guida dell’eredità di suo padre,» E poi disse, un poco più a bassa voce, come se stesse ragionando solo con se stessa e non volesse che loro sentissero «non si crede all’altezza, l’idiota e io non so più come fare…»

Merlin aveva come l’impressione che Morgana stesse nascondendo loro qualcosa di importante, che trattenesse informazioni da loro per una ragione importante, ma che Merlin non riusciva a comprendere (era seduta in una posa estremamente incerta e aveva un piccolo tic alla gamba per il nervosismo) però non disse nulla, perché non erano realmente fatti suoi.

Lancelot non la pensava esattamente alla stessa maniera:  «Morgana, si rende conto che questo non è un normale lavoro di spionaggio industriale che ci sta chiedendo, vero? E che qualsiasi informazione ci tiene nascosta non fa altro che limitare le possibilità che il lavoro abbia successo….» Merlin sapeva che aveva ragione, che in lavori del genere avere una piena conoscenza della vittima, dei suoi familiari, delle sue abitudini e di qualsiasi altra cosa importante era necessario, se non vitale. E che Morgana non stava dicendo loro qualcosa d’importante e loro avevano il diritto di sapere cosa fosse.

Morgana incrociò le braccia e sbuffò, seccata e indecisa, ma evidentemente anche lei sembrava aver capito quanto l’affermazione di Lancelot fosse corretta.

«Il mio nome è Morgana Pendragon,» disse dunque, come se le costasse fatica, come se non ne fosse esattamente troppo fiera (e Merlin registrò questa informazione assieme a tante piccole altre che stava continuando a catalogare incessantemente)  «sono la figliastra di Uther Pendragon e quindi la sorellastra di Arthur, il vostro bersaglio.»

E Merlin probabilmente avrebbe potuto dire tante cose , ma tutto quello che riuscì a dire fu «Oh,» perché evidentemente la sa eloquenza aveva deciso di andare in sciopero.

Evidentemente però l’aveva detto abbastanza ad alta voce da attirare l’attenzione di tutti gli altri, che si voltarono verso di lui, facendo arrossire Merlin.

Almeno anche Gwen sembrava confusa esattamente come lui. Non era insolito per i loro clienti ed i loro bersagli di essere parenti, certo, ma di solito i lavori consistevano in cose molto più cattive e crudeli di quella: scoprire se la propria moglie lo tradiva, rubare i soldi di un ex-marito… La richiesta di Morgana suonava così inusuale sotto questa nuova luce.

Evidentemente Gwaine stava pensando esattamente la stessa cosa «Beh, non riceviamo spesso lavori del genere…» e Merlin poteva leggere nel suo tono di voce esattamente cosa intendesse.

Anche Morgana apparentemente se n’era resa conto,; si era spostata una ciocca di capelli dietro l’orecchio, nervosamente e poi aveva sbuffato qualcosa come «Non vedo perché dovrebbe interessarvi,» era interessante vedere come era cambiato completamente il suo comportamento da quando la sua relazione ad Uther ed Arthur era venuta alla luce… possibile che i suoi rapporti familiari fossero il suo cosiddetto tallone d’Achille? Possibile che pensasse che il fatto che ci tenesse - ad Arthur certamente, ad Uther forse - la rendesse meno… meno terrorizzante?

Lancelot prese la parola per la seconda volta «Come ho già detto Morgana, non ci stai chiedendo un lavoro normale. Avremo bisogno di sapere tutto su Arthur, coloro che gli stanno intorno, la sua famiglia, i suoi sogni…»

Morgana rimase in silenzio per qualche secondo, incrociando le gambe nervosamente e guardandoli come se stessero cercando di torturarla in qualche strano modo. Poi, finalmente, annuì.

«Potete chiedermi tutto quello che volete allora, collaborerò senza problemi,» acconsentì, anche se Merlin poteva sentire la ritrosia nella sua voce.

E così stavano davvero per accettare quel lavoro assurdo? Merlin non ne era particolarmente compiaciuto.

Morgana raccontò loro della madre di Arthur, di come fosse morto dandolo alla luce (e Merlin si sentì un poco incolpa mentre catalogava quell’informazione così cinicamente, ma era il suo lavoro e non poteva realmente permettersi di provare qualcosa che non fosse gelido professionismo) raccontò loro del rapporto con Uther - di come Arthur avesse sempre cercato di attirare l’attenzione di suo padre in qualsiasi modo, di guadagnarsi il suo affetto, il suo rispetto e di quel giorni in cui Uther non riusciva nemmeno a guardare in faccia suo figlio.

Raccontò loro anche della sua famiglia, della relazione clandestina tra sua madre e Uther e della morte improvvisa di sua madre e del suo compagno, che al tempo Morgana credeva fosse suo padre - un incidente stradale, uno stupidissimo incedente stradale (e nessuno aveva commentato sul modo in cui i suoi occhi sembravano anche solo leggermente umidi) e di come Uther l’avesse adottata, ma di come Morgana avesse passato la sua infanzia più con Arthur e con la loro balia che con Uther.

E raccontò loro di come Arthur le avesse raccontato una volta, tra bisbigli di bambini, di come non volesse altro che prendere le redini dell’azienda di famiglia, ma non si fosse mai sentito all’altezza (non disse loro come questa ammissione l’avesse fatta sentire, ma Merlin comprese quella parte lo stesso).

E mentre raccontava Merlin la assorbiva: i suoi movimenti, il suo tono di voce, il modo in cui respirava, il suo intero essere. E una volta che Morgana aveva smesso di raccontare, Merlin era certo che avrebbe potuto essere una Morgana Pendragon maledettamente identica all’originale.

Dopo l’ennesima, estenuante giornata lavorativa, Merlin non riusciva a sentirsi più nemmeno le dita dei piedi, ma era assolutamente soddisfatto di se stesso. Ai era trasformato in Morgana per la prima volta e, sinceramente, non aveva davvero fatto un brutto lavoro.

Ora doveva solo entrare nella mente di Arthur, cercare di capire cosa lo facesse muovere, cosa lo facesse arrabbiare, cercare di comprendere ogni sua minima reazione - era il suo lavoro, sì. Però si stava rivelando più difficile del previsto… Merlin non riusciva a sentire veramente Arthur, era come se una parte del puzzle mancasse, come se ci fosse qualcosa su cui non riusciva a mettere le mani.

Sospirò, strofinandosi gli occhi e cercando di riprendersi, continuare a pensarci si stava rivelando assolutamente inutile in ogni caso, a dire il vero, e probabilmente avrebbe potuto passare quel tempo in maniera migliore. Tipo prendendosi una pausa caffè.

Si guardò intorno, cercando di capire chi avrebbe potuto convincere ad andare con lui: Morgana era ad un qualche cocktail lavorativo, Gwen stava lavorando ancora al primo livello; Gwaine e Lancelot erano occupati a ricercare qualsiasi informazione potessero trovare sui dipendenti di Uther e Gaius stava creando un nuovo composto sperimentale per il lavoro. Merlin non voleva disturbare nessuno di loro e quindi, scrollando le spalle, decise di andare da solo.

Avrebbe dovuto essere un caffè veloce, una piccola, minuscola pausa prima di tornare a lavorare senza sosta, ma così non fu. Perché Merlin era assolutamente un idiota - no, davvero, Merlin non si era mai definito un idiota per scelta, ma in questo caso non poteva fare a meno di dirlo.

Perché se si fosse reso conto su chi, inciampato, avrebbe versato il suo caffè bollente, probabilmente ci avrebbe fatto un poco più di attenzione ) e con un poco intendeva tanto).

Perché se versare tutto il proprio caffè addosso ad un emerito sconosciuto era una cosa brutta, versare tutto il proprio caffè addosso alla persona che aveva studiato tutto il giorno (e a cui avrebbe cercato di modificare la mente qualche settimana dopo)? Beh… era imbarazzante.

Quando Merlin alzò lo sguardo dal suo caffè fino alla camicia ormai completamente rovinata e poi ad Arthur Pendragon (e Merlin aveva visto abbastanza volte la sua faccia per sapere che era sicuramente lui), per un secondo non oitè fare altro se non zittirsi, cercando di non fare qualcosa di stupido come urlare  “Arthur!” (fortunatamente almeno, perché sarebbe stato particolarmente difficile spiegare all’altro perché lo stesse chiamando con il suo nome e non con il cognome, come molti altri facevano).

«Mi dispiace,» aveva detto invece, cercando di fare capire quanto fosse mortificato e distogliere l’attenzione dal modo in cui il suo cuore stesse battendo troppo velocemente.

Era Arthur Pendragon, davanti a lui, con i capelli biondi e gli occhi azzurri ed era anche solo possibile essere così belli? No, sul serio, non c’era tipo una legge al riguardo su questo genere di cose?

Arthur non sembrava starci facendo troppo caso però, troppo occupato ad essere uno stronzo.

«Ti dispiace? » aveva chiesto, come se non riuscisse a credere a quello che stava sentendo «oh, perché immagino che il tuo dispiacere mi aiuterà a salvare la mia camicia, vero? Avevo un impegno, tu stupido idiota! » (Merlin non aveva la minima idea di come fosse riuscito a dire tutto quello continuando a digrignare i denti a quel modo, era impressionante).

Solo che si stava comportando da bastardo.

«Io-non mi pare il caso… mi sono scusato,» disse, cominciando a perdere la pazienza (e dimenticandosi che quello era ancora il loro obiettivo e che parlare con lui, fare una qualche impressione nella sua mente, era un’idea davvero pessima).

Arthur attaccò di rimando - perché era questo che stava facendo, Merlin lo poteva vedere nella sua posizione, ma non aveva la minima idea del perché fosse così deciso a litigare con lui - «E cosa me ne faccio delle tue scuse, mh? Cosa me ne faccio?»

A quel punto Merlin perse la pazienza «E cosa vuoi, mh? Soldi? Vuoi che ti compri un’altra maglietta? Vuoi che mi metta in ginocchio davanti a te e ti preghi di flagellarmi?» e okay, no, sarebbe stato meglio non dirle l’ultima cosa perché Merlin era ancora molto ma molto gay e nonostante tutto Arthur era ancora molto ma molto attraente e Merlin non voleva pensare a stare in ginocchio davanti a lui.

E poi per un secondo Merlin vide qualcosa passare negli occhi di Arthur e sembrava così fragile mentre riprendeva ad urlare «Vorrei non avere del caffè su una camicia che devo usare per andare ad uno stupido cocktail organizzato in onore di mio padre che sta morendo. Vorrei non dover stare lì per ore a sentire degli emeriti sconosciuti farmi delle condoglianze che non sentono. Vorrei…» e poi si era fermato, il respiro ansante e lo sguardo sconvolto, rendendosi probabilmente conto di cosa aveva detto nel centro di un caffè di periferia.

Sembrava quasi rotto, troppo stanco e troppo ferito. Merlin avrebbe voluto confortarlo in qualche modo, completamente dimentico dell’irritazione di poco prima. Non c’era nulla che potesse fare però, nulla che potesse dire.

Non riuscì a non notare i capelli biondi di Arthur, un poco appiccicati alla sua fronte per il sudore e i suoi occhi troppo azzurri e troppo grandi e troppo troppo pieni di dolore.

«Io…» disse, fermandosi perché non aveva idea… non aveva idea di cosa mai avrebbe potuto dire. E Arthur aveva scosso la testa e se n’era andato, senza cambiarsi la camicia, senza guardare nessuno.

Merlin l’aveva guardato andare via con un dolore sordo nel petto, con la voglia di allungare la mano e fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non poteva.

Quando era tornato alla sua scrivania aveva aperto il file su Arthur e aveva sentito qualcosa dentro di lui trovare il giusto posto, cominciare ad avere senso.

E sapeva di essere un poco più vicino a comprendere Arthur Pendragon.

Parte 2»

character: morgana, character: gaius, *cow-t, character: gwaine, pairing: arthur/merlin, character: merlin, !fanfiction, character: arthur pendragon, fandom: merlin, character: gwen, character: lancelot

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