Titolo: Di rapporti complicati e soprannomi troppo lunghi
Autore:
chibi_saru11 Fandom: Merlin
Beta: ///
Personaggi: Arthur Pendragon, Merlin
Pairings: Arthur/Merlin
Rating: PG13
Avvertimenti: Slash, AU, Pazzia andante.
Word: 2.687 (FiDiPua)
Riassunto: Merlin, di sicuro, non sognava di diventare un giornalista sportivo.
Note:
1. Vorrei cominciare con il dire che io non ho idea di come intervistino realmente i giornalisti sportivi. Sì, whatever, I'M A BAD BAD WRITER, questa storia è stata scritta FOR THE LULZ e quindi I DON'T CARE.
2. Per il prompt n°1 Palla @ Maritombola -
maridichallenge Merlin voleva diventare un giornalista di quelli che andavano in giro per il mondo, raccontavano tragedie e morti e facevano la differenza, in qualche modo.
Merlin aveva sogni che comprendevano posti troppo pericolosi e articoli seri ed impegnati scritti con il sudore e il sangue.
Merlin, di sicuro, non sognava di diventare un giornalista sportivo.
Come aveva cercato di spiegargli almeno mille volte Gwen, c’erano lavori molto peggiori - avrebbe potuto finire al settore di moda e quello sì era un pensiero terrorizzante - ma non c’era nulla che riusciva a distogliere Merlin dal fatto che lui non avrebbe dovuto essere lì, maledizione.
«Ma la finisci mai di lamentarti?» aveva borbottato Gaius, il capo-redattore del giornale, dandogli un leggero colpetto alla nuca.
«Bene, ora posso anche dire di venire brutalmente attaccato al lavoro,» esclamò Merlin, tenendosi la testa con enfasi (non gli faceva male per nulla, certo, ma questo Gaius non aveva bisogno di saperlo) «Brutalmente. Attaccato.» ripetè, per dare la giusta atmosfera.
A Merlin piaceva il calcio, come ad un qualunque ragazzo Inglese - non ne andava completamente pazzo, ma non poteva nemmeno lamentarsi - e quando, appena uscito dal liceo, gli era stato chiesto di scrivere un articolo su una partita (Manchester-Chelsea 1 a 0, ancora lo ricordava) aveva pensato: perché no.
Ora vorrebbe tanto prendere il sé stesso diciottenne e sbattergli la testa al muro ripetute volte.
Avrebbe potuto mollare, certo, ma gli servivano i soldi. Gli servivano i soldi come a Gaius serviva il caffè, il che voleva dire tanto. Il che voleva dire più di quanto fosse possibile spiegare.
Quindi aveva sospirato quando Gaius gli aveva detto di occuparsi della partita di quella sera (Camelot-Valiant) e aveva guardato con un poco di odio Gwen (non che lei avesse alcuna colpa, ma era sempre così di buon umore che gli faceva venire voglia di prendersela con lei. O di abbracciarla e regalarle tante cose da mangiare).
Il Camelot era una squadra nata relativamente di recente, creata con i soldi di Uther Pendragon (cinque palloni d’oro e una serie di premi e riconoscimenti che, ad elencarli, probabilmente avrebbero sforato la pagina) e la sua decisione di creare il nuova Manchester United.
Non era mai realmente riuscito nel suo intento, probabilmente per la sua politica troppo selettiva, che lo portava ad avere una rosa di giocatori forti, certo, ma che precludeva l’accesso ad una serie di figure che avrebbero potuto bilanciare l’equilibrio del gioco esponenzialmente.
Uther aveva però idee precise sulle qualità che un giocatore dovesse avere per entrare al Camelot e spesso l’appartenenza ad un determinato paese o ceto sociale contavano di più delle loro capacità reali di fare passare la palla.
Il Camelot, però, era andato avanti ed era andato avanti e aveva raggiunto il successo per vari motivi - la maggior parte dei giornali sportivi però ne dava uno solo di motivo: Arthur Pendragon.
Quando Arthur (o Excalibur, come lo chiamavano in molti - che era il soprannome che Arthur aveva dato al suo piede destro, quello che usava per calciare) aveva cominciato la sua carriera di calciatore in molti avevano pensato l’avrebbe fatto al Camelot e che avrebbe basato la sua carriera non sulla sua bravura, ma sulla benevolenza di suo padre.
Arthur a 18 anni, invece, era andato in Italia, aveva giocato con le migliori squadre e poi si era trasferito in Spagna dove era rimasto per due anni. Solo l’anno prima, a 23 anni, con una reputazione alle spalle, era tornato in Inghilterra per giocare al Camelot.
Era stata una scelta coraggiosa, la sua, ma gli aveva permesso di mettere a tacere le male lingue e ora nessuno sano di mente avrebbe mai potuto dire che il piede di Arthur Pendragon (sebbene avesse un soprannome veramente idiota) non fosse magico.
Nemmeno Merlin, che trovava - da quanto aveva visto dalle interviste - il giocatore un completo ed emerito idiota.
Solo che Merlin era un professionista (più o meno) e per il bene del suo lavoro avrebbe lasciato le sue opinioni personali da parte (o comunque avrebbe cercato di contenerle) e avrebbe intervistato Arthur Pendragon come chiunque atro.
Ecco, sì, quello era il piano.
Merlin non era mai stato bravo a seguire i piani.
Camelot-Valiant
3-0
Il Camelot aveva stracciato il Valiant in maniera quasi imbarazzante. I giocatori del Valiant non erano stati in grado di tenere testa ai passaggi veloci e precisi dei centrocampisti del Camelot e questo li aveva portati alla rovina.
Una qualunque azione iniziata dal Valiant veniva spenta fin troppo presto dalla difesa del Camelot e, se la percentuale di possesso di palla non mentiva, la loro difesa non era stata in grado di fare altrettanto.
Poi… poi c’era Arthur Pendragon.
Arthur Pendragon che aveva segnato tre gol che avevano lasciato Merlin senza fiato e che correva sul campo come se questo gli appartenesse (il fatto che fosse vero, dato che si trovavano a casa del Camelot erano dettagli).
Non importava cosa pensasse del suo carattere, il tifoso dentro di lui guardava Arthur Pendragon e sentiva il bisogno di andare in tribuna e cominciare uno dei quei cori che facevano qualcosa come “Una spada è/che ti rompe in tre/Excalibur alè!” che non solo non era un coro particolarmente fantasioso, ma nemmeno particolarmente bello, ma Arthur era abbastanza bravo da fargli venire voglia di urlarlo a squarcia gola.
Solo che rimaneva comunque un emerito coglione, ecco.
«Come ti sei sentito quando hai segnato il terzo goal?» gli stava chiedendo qualcuno e a volte Arthur aveva voglia di prendere i giornalisti e sbattere loro la testa al muro, sperando così che i loro cervelli ricominciassero a funzionare. Erano domande di routine, certo, ma erano così banali e noiose e non si stancavano a chiedere sempre le stesse cose?
Apparentemente no, quindi Arthur cercò di sorridere (o fare qualcosa che assomigliava ad un sorriso comunque) e rispose il solito “Appagato, soddisfatto, è una sensazione unica,” che avrebbe reso tutti felici.
Stava per ritirarsi di nuovo negli spogliatoi (okay, magari più che ritirarsi stava andando a nascondersi, o qualcosa del genere, ma Arthur non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce) quando si rese conto che c’era un ultimo giornalista appostato per fargli una domanda.
Sospirò, decidendo che, probabilmente, se non l’avesse ascoltato l’indomani si sarebbe ritrovato un altro degli articoli “Arthur Pendragon snobba gli intervistatori” che rendevano suo padre isterico. Si avvicinò, cercando di ricordarsi di tutte quelle volte in cui Morgana aveva cercato di spiegargli come sorridere correttamente.
«Salve,» salutò, guardando il ragazzo che aveva davanti. Probabilmente era più giovane di lui: gracilino, pallido e con uno strano gusto nel vestiario.
Annuì, senza davvero dire nulla e Arthur si guardò intorno, cercando di capire cosa stesse succedendo. Il ragazzino non lo stava nemmeno guardando e…
«Non è questo il momento in cui tu mi chiedi qualcosa…» e Arthur si ringoiò il di assolutamente inutile giusto in tempo «e io ti rispondo e poi ognuno va felice per la propria strada?»
Il ragazzino finalmente alzò lo sguardo su di lui e scosse le spalle. Scosse le spalle.
«Ho già sentito le risposte dagli altri giornalisti,» si limitò a dire, scrivendo qualcosa sul suo dannato taccuino.
Arthur ebbe l’irrefrenabile voglia di dargli un pugno, ma era in una stanza piena di telecamere e giornalisti e macchine fotografiche e probabilmente non era una buona idea per tante motivazioni (cattiva pubblicità, suo padre avrebbe avuto un aneurisma, la possibilità di sangue sul suo polsino fortunato) quindi decise che andarsene via fosse la scelta migliore.
E okay, magari fu più un’uscita da diva isterica che una vera e propria ritirata, ma quelli erano dettagli.
Merlin non aveva davvero ricevuto tutte le risposte alle sue domande, ma quando Arthur Pendragon (il giocatore che Merlin odiava di più in assoluto ma che riusciva a farlo saltellare d’eccitazione come nessun’altro) gli si era avvicinato improvvisamente, era entrato nel panico.
Da un lato voleva dirgli che era, evidentemente, un idiota, dall’altro voleva stringerli la mano e chiedergli di firmargli la sua maglietta. Okay, Merlin aveva un rapporto complicato con il mondo, lo aveva accettato quando a sette anni si era reso conto di odiare qualsiasi gadget del suo cartone animato preferito sebbene suddetto cartone fosse più o meno la ragione per cui si alzava dal letto ogni mattina (erano cose che ti aprivano gli occhi).
Quindi quando Arthur se n’era andato via con uno sbuffo, oltraggiato come solo un pallone gonfiato poteva essere, una parte di Merlin aveva gioito per il “te l’avevo detto!” l’altra parte si era data un auto-calcio nel sedere.
Rapporti complicati, sì.
«L’articolo di ieri, Merlin, mi è piaciuto molto,» aveva annunciato Gaius, con un qualcosa che assomigliava ad un sorriso - quello o gli era finito un moscerino sull’occhio - «d’ora in poi ti occuperai di tutte le partite del Camelot!»
Merlin era uscito dall’ufficio di Gaius, si era seduto sulla sua sedia e aveva cominciato a sbattere delicatamente la testa contro il legno della scrivania.
Quando Gwen gli aveva chiesto cosa fosse successo, passandogli il suo tè, aveva risposto: «Apparentemente sono nato per i rapporti complicati.»
Camelot-Ealdor
2-0
Merlin aveva guardato Arthur Pendragon per tutta la partita, cercando di trattenersi dal saltare sulla sedia per il secondo goal. Era un giornalista lui, e quello non sarebbe stato un comportamento professionale.
Però magari aveva fatto un piccolo gesto inconsulto che, a molti, sarebbe potuto sembrare un saltello ma che in realtà era una nuova…ehm… una nuova tecnica di judo.
O almeno questo era quello che aveva detto alla sua vicina.
Fottuto Arthur Pendragon.
Il giornalista-che-non-doveva-essere-nominato-sì-Morgana-questo-vale-anche-per-te era di nuovo lì quella sera, ma non lo stava guardando.
Arthur non si fermò davanti a lui (e se anche avesse scritto un brutto articolo non gli importava) ma rallentò, impiegandoci esattamente ventotto secondi per superarlo.
Il ragazzo non l’aveva fermato.
Arthur non c’era rimasto male per niente (e no, Morgana, questo non vuol dire che segretamente ho il cuore infranto. Che vuol dire che sono sempre stato così fin da piccolo? No, no, vaffanculo tu!).
Camelot-Unicorn
2-1
Il gol era stato praticamente regalato e Merlin quasi aveva urlato per l’oltraggio quando un attaccante dell’Unicorn (e davvero, davvero, Unicorn?) che sembrava avere centodieci anni aveva segnato, lasciando un po’ tutti di stucco.
Certo, il Camelot aveva comunque vinto, ma non era quello il punto. Non era quello il punto perché quel gol era stato un oltraggio e come diamine avevano fatto a farlo passare, eh? Eh? L’avevano lasciato avanzare libero per tutta la fascia sinistra e poi grazie che segnava!
«Capisco che il gol ti abbia molto sconvolto, ma…» provò il tipo seduto accanto a lui, ovviamente insicuro su come comportarsi dopo che Merlin aveva cominciato ad esplicarli i motivo per cui tutto ciò era assurdo.
Merlin ritornò a guardare la partita a braccia conserte (quel tipo non era comunque un bravo ascoltatore).
Arthur era più stanco del solito: era stata una settimana pesante e non aveva davvero voglia di fare altro se non buttarsi a letto e dormire per almeno tre giorni.
Rispose educatamente a tutte le domande, cercando di non lasciarsi sfuggire quanto poco gli andasse a genio quel gol che si erano lasciati stupidamente fare.
Quando era passato davanti al giornalista-per-cui-non-aveva-una-cotta-Dio-Morgana-smettila-di-essere-ridicola non aveva nemmeno rallentato (non troppo comunque) e giustamente quello era il giorno in cui l’idiota si era deciso a fare una domanda.
O un qualcosa che somigliava ad una domanda, comunque.
«Quel gol è stato un oltraggio,» aveva detto, le guance rosse e gli occhi di un invasato. Arthur aveva sbattuto le palpebre un paio di volte prima di riprendersi.
«Credevo che avessi preso tutte le risposte dalle interviste degli altri,» gli aveva detto, perché se c’era una cosa in cui era bravo questa era tenere il broncio. O almeno questo continuava a dirgli Morgana. E Morgana mentiva. Tanto.
L’altro, a quelle parole, era riuscito ad apparire annoiato e un po’ imbarazzato allo stesso tempo. «Le risposte che mi servono per l’articolo,» aveva mormorato, poi «questa non mi serve per l’articolo.»
E Arthur non ci credeva mica, perché i giornalisti non avevano il concetto dell’off-record, ma decise che non gliene importava comunque.
«Sì, è stato un gol davvero stupido,» e poi se ne andò. (No, Morgana, non sono di buon umore solo per questo, Dio!)
Da quella partita in poi Merlin aveva cominciato a parlare con Arthur. Niente di quello che dicevano veniva mai riportato nel suo articolo, non ne aveva bisogno, ma era divertente e sì, Arthur era un’idiota e Merlin non lo sopportava.
Però Merlin era anche magari un pochino innamorato.
Rapporti complicati, sì.
Dragon-Camelot
2-1
Merlin era malato e non aveva potuto seguire il Camelot in trasferta. Quindi si era accucciato sul suo divano, il plaid e la borsa dell’acqua calda a riscaldarlo e aveva seguito la partita.
Aveva esultato quando Arthur aveva segnato e non si era dovuto preoccupare che qualcuno lo vedesse e lo giudicasse e, per la fine del primo tempo, era in piena esaltazione.
Si sentiva come drogato e se solo non si fosse anche sentito uno straccio sarebbe andato in giro per la casa a festeggiare.
Poi era cominciato il secondo tempo e quel maledetto numero 43 entra entrato su Arthur fallosamente.
Arthur non si era alzato.
Due mesi di assoluto riposo, gli aveva detto il dottore. Un fottuto stiramento, maledizione, non era nulla! Avrebbe potuto tornare a giocare anche ora! (tranne per il fatto che non poteva muovere la gamba e Morgana era stata molto chiara su cosa gli avrebbe fatto se avesse anche solo provato ad avvicinasi ad un pallone da calcio).
Solo che Arthur era annoiato, incredibilmente annoiato. Il pallone era sempre stato la sua vita e lo sarebbe sempre stato, lo sapeva.
E ora che non poteva giocare (che non poteva muoversi dal suo divano, a dirla tutta) non sapeva bene cosa fare del suo tempo.
Stava quasi per tornare a dormire (perché in TV non c’era nulla di interessante) quando qualcuno aveva bussato alla porta.
«Morgana, entra e spero che tu mi abbia comprato i biscotti!» aveva urlato, perché non aspettava nessun altro. Solo che non c’era Morgana davanti a lui ma il giornalista-di-cui-non-parleremo-mai-più-e-smettila-di-ghignare-maledizione (e okay, magari avrebbe dovuto chiederli il nome. O perché mai fosse a casa sua).
«Ehm,» provò il ragazzo e Arthur rimase a fissarlo per qualche secondo «tua… tua sorella mi ha dato le chiavi… ero venuto a… volevo… uhm, vedere come stavi e… ho i biscotti?»
Era ovviamente nervoso e continuava a guardarsi le mani, balbettando.
Arthur non lo trovava adorabile, ma voleva i biscotti, quindi decise che Merlin (questo era il suo nome) poteva anche restare.
In quel pomeriggio che passarono sdraiati sui divani incredibilmente costosi di casa di Arthur, Merlin scoprì un sacco di cose riguardo al calciatore.
Scoprì che ad Arthur un po’ mancava Roma - calda e piena di vita - che non gli era piaciuto il periodo in Spagna, ma gli era servito molto.
Che il rapporto con suo padre era incredibilmente complicato (uno psicologo avrebbe probabilmente fatto il bagno nei problemi irrisolti di quella famiglia), che Morgana non era la sua vera sorella e che i biscotti con le gocce di cioccolato erano i suoi preferiti.
Che Arthur avrebbe preso il posto di suo padre alla guida del Camelot anche se magari avrebbe preferito fare l’allenatore e che il soprannome Excalibur veniva, come Merlin aveva già pensato, dalla leggenda Arturiana. E tante tante altre cose ancora.
Merlin avrebbe preferito non sapere nulla di tutto quello perché ora la sua cotta aveva raggiunto livelli imbarazzanti e doveva andarsene da lì, o sarebbe saltato addosso al calciatore in due secondi netti.
Poi Arthur l’aveva baciato e oh, okay.
Camelot-Dragon
1-0
Quando Arthur aveva segnato Merlin aveva strattonato Morgana così forte da farla quasi cadere dalla sedia.
Probabilmente avrebbe dovuto sentirsi un po’ in imbarazzo di essere in Tribuna VIP, invece che in Tribuna Stampa, ma incredibilmente si sentiva molto più libero.
Uther Pendragon, il padre del suo… qualcosa (perché ancora non erano arrivati al punto in cui potevano davvero dare un nome alla loro relazione) lo guardava con disapprovazione, ma Morgana sembrava mediamente divertita, quindi andava bene (Arthur considerava l’opinione della sua sorellastra persino più di quella di suo padre a volte, quindi...)
In sostanza la sua vita, negli ultimi tre mesi, era cambiata incredibilmente.
Merlin non lavorava in nessuna zona di guerra e probabilmente i suo articoli non cambiavano il mondo e odiava un poco il suo lavoro (anche se magari lo amava un poco) e aveva un qualcosa-che-non-era-esattamente-un-ragazzo-ma-quasi che non sopportava (ma che era la sua vita).
E dopotutto sì, Merlin aveva un rapporto complicato con il mondo, ma era molto più divertente così.