Inception; Maritombola; Arthur/Eames; Paradox

Dec 09, 2010 02:19

Titolo: Paradox
Autore: chibi_saru11
Beta: Nessuno. Quindi ci saranno errori.
Personaggi: Arthur, Eames (menzione di tutta la squadra)
Pairings: Arthur/Eames
Rating: PG15
Avvertimenti: Slash, Mpreg, un pò di mind-fuckery
Word: 3.437 (FiDiPua)
Riassunto: Per l’amor del cielo, Arthur era una persona razionale e da persona razionale non avrebbe mai potuto ammettere che Eames fosse incinto. 
Note:
1. Okay allora no cioè parliamone, sì? Io sta cosa non la volevo scrivere. Poi sono arrivate faechan  e meggie87  e mi hanno fatto un'inception e boh. Solo che probabilmente loro speravano in qualcosa di decente, non certo in questo. Solo che, come si dice, l'inception non è un lavoro per tutti. POTEVO COMINCIARE A CREDERE CHE IL MONDO NON FOSSE REALE, NON FATE COSE COSI' PERICOLOSE.
2. Per il prompt n°31 MPREG @ Maritombola - maridichallenge 
Disclaimer: Inception non è mio e davvero, se lo fosse non sciverei cose così merdose su di lui.


Arthur era veramente deluso da sé stesso - e non era una sensazione a cui era abituato, perché Arthur non faceva mai cose per cui avrebbe dovuto essere deluso da sé stesso.

Era deluso perché c’erano alcune regole che Arthur, nel corso della sua vita, si era auto-imposto per poter arrivare almeno ai cinquant’anni con, diciamo, tutti gli arti al proprio posto.

Una di queste era non entrare in contatto con la mafia Russa - perché erano seriamente tutti pazzi lì in giro - o non mangiare mai quello che preparava Cobb (ci teneva alla sua vita).

Poi c’era un’altra regola, una regola importante, che Arthur era stato veramente bravo a non rompere mai, fino a quel giorno. E ovviamente quel giorno era successo un disastro.

Arthur era incredibilmente deluso da sé stesso.

C’era da dire, probabilmente, che non era certo tutta colpa di Arthur perché, diciamocelo, Eames se l’era andata a cercare.

Arthur, dopotutto, si stava semplicemente sistemando la giacca, pronto a spararsi un colpo in testa (perché il test era andato meglio del previsto ed avevano finito, senza alcun graffio, molto prima di quanto si aspettassero), quando Eames gli aveva preso la pistola dalla mano e l’aveva lanciata dall’altra parte della stanza.

«Eames! Le mie proiezioni potrebbero essere qui da un minuto all’altro!» gli soffiò contro, ma l’altro stava ridendo e sporgendosi per fare incontrare le loro bocche. Arthur avrebbe dovuto respingerlo (avrebbe dovuto respingerlo quattro anni prima in quella stanza d’albergo, a dire il vero, ma ad Arthur non piaceva ricordare i suoi errori) ma lo lasciò fare per qualche secondo, rilassandosi al contatto.

Grande grandissimo sbaglio, Arthur! Gli stava urlando la parte razionale del suo cervello e avrebbe dovuto ascoltarla, davvero. Poi Eames si era allontanato di poco e Arthur aveva aperto gli occhi per trovarsi davanti quella ragazza bionda di quella mattina al bar, quella con delle gambe da favola e un decolté abbondante.

Ora, Arthur poteva anche scopare e farsi scopare da Eames ad intervalli regolari, ma questo non voleva dire che fosse gay, non al 100% comunque.  Questo non voleva certo dire che quando aveva visto quella ragazza non si fosse voltato ad ammirarle il sedere.

E Eames lo sapeva, ovviamente.

«Ho sempre voluto provare,» disse, ridendo, e la sua voce era completamente diversa, vellutata e dolce. Eames non era dolce, ma proprio per niente.

È un’idea orrenda, Arthur! Stava urlando nuovamente il suo cervello, e lui era a tre secondi dall’ascoltarlo quando Eames gli aveva preso una mano e se l’era posata sul seno.

Arthur non ricordava cosa avesse detto il suo cervello, dopo, ricordava solo i capelli biondi di Eames tra le mani e i suoi seni tondi sotto le sue labbra, e i suoi gemiti di piacere. E quando le proiezioni erano arrivate mentre si stavano rivestendo (grazie al cielo).

Quando si erano svegliati Yusuf aveva chiesto loro perché ci avessero messo tanto. Arthur si limitò ad alzarsi e non rispondere, Eames rise.

Quindi questo fu il momento in cui Arthur ruppe una tra le sue regole più importanti: mai mai mai dare ascolto ad Eames, qualunque cosa proponesse. Sarebbe finita sempre in un disastro.

In ogni caso i segnali non furono subito evidenti. Dopo quel test erano rimasti lontani dal PASIV per qualche giorno - Arthur impegnato a fare ricerche e Eames impegnato ad essere Eames - e la prima volta che si erano riaddormentati con l’ausilio del PASIV l’avevano fatto per rilassarsi, una sera come tante.

Nel sogno erano in Italia, perché Arthur aveva raccontato ad Eames di quella volta in cui era stato a Roma e ma dobbiamo andarci assieme, tesoro! E così avevano - beh metaforicamente parlando - fatto. Ad Arthur piaceva Roma, e gli piaceva di più senza la folla insopportabile di persone che gli avevano impedito di guardare con la dovuta attenzione i capolavori della città.

Eames non aveva avuto problemi, era andato in giro con lui come se niente fosse e Arthur come avrebbe mai potuto prevedere la catastrofe che si stava per abbattere su di loro?

Certo, a volte Eames sentiva odori strani, anche se Arthur non riusciva a sentire nulla e aveva voglia di cibi che Arthur non avrebbe mai nemmeno osato nominare, ma insomma, come avrebbe mai potuto capire che Eames era…

No, si rifiutava di dirlo perché Non. Era. Vero. Non lo era, sebbene quello che dicesse Eames non lo era e basta.

Il fatto che un giorno Ariadne arrivò da lui e gli porse delle scarpettine da neonato stava semplicemente ad indicare che Ariadne era una cattiva cattiva persona.

Per l’amor del cielo, Arthur era una persona razionale e da persona razionale non avrebbe mai potuto ammettere che Eames fosse incinto.

«Però ha la pancia,» cercò di dirgli Yusuf, un giorno, mentre erano nel secondo livello della mente del loro cliente. Arthur gli sparò in testa, per sbaglio.

La prima volta che qualcuno cominciò a rendersi conto che c’era qualcosa di strano fu quando Eames vomitò nel bel mezzo di un lavoro. Mentre i proiettili si abbattevano su di loro senza pietà Eames era lì, in ginocchio, che rimetteva.

Non era una cosa molto professionale.

«Eames! Cazzo, non puoi diventarmi debole di stomaco tutto all’improvviso,» gli urlò contro, perché se lo meritava e un proiettile l’aveva appena colpito alla gamba e faceva un male del diavolo.

«Non mi sento bene,» era stata la risposta di Eames prima che ritornasse a vomitare.

Dom e Ariadne erano avanti a cercare di recuperare l’informazione per cui erano lì, Yusuf era al primo livello e Eames era lì  che vomitava l’anima.

Arthur un giorno di questi avrebbe cambiato mestiere, o almeno sarebbe andato in solitaria, pensò, mentre ignorava il dolore alla gamba e sparava ad Eames, rimanendo solo contro almeno una ventina di proiezioni.

Quando si svegliò, dopo che qualcuno gli aveva morso un braccio e qualcun altro gli aveva dato un pugno nel costato e faceva maledettamente male, Arthur prese Eames per il colletto.

«Che cazzo era quello, Eames? Ti rendi conto che mi hai lasciato lì da solo a combattere contro le proiezioni da solo? Cosa cazzo ti è successo? Se non riesci a tollerare questi livelli di violen…» stava sibilando - perché Arthur riteneva fosse più efficace che urlare - mentre Eames si mordeva il labbro.

«Lo so, Arthur! Non c’è bisogno di essere un bastardo, mi dispiace, ma…» a quel punto Arthur lo strattonò più forte, facendolo zittire.

«Ti dispiace? Non me ne fotte un cazzo dei tuoi mi dispiace, Eames! Vai a quel paese! » e a quel punto Dom e Ariadne si svegliarono anche loro, assistendo alla scena un po’ allibiti. Ad Arthur non importava.

Se ne uscì in fretta e furia, le nocche che vibravano dalla voglia di prendere Eames a pugni e la sua pelle che ricordava ancora la ferocia delle proiezioni. Questa non gliel’avrebbe perdonata.

Si tenne lontano dal capannone per tre giorni - il lavoro era comunque concluso, in un modo o nell’altro (Arthur era riuscito a trattenere le proiezioni abbastanza a lungo perché Dom e Ariadne recuperassero quello che dovevano) e doveva solo mettere a posto gli ultimi fascicoli.

Eames non si era fatto sentire - il che, a dire il vero, era stata una mossa molto saggia - e Arthur si aspettava di trovare il capannone vuoto - che motivo avrebbero avuto tutti di essere lì? - e invece, quando entrò, trovò l’intera squadra seduta in circolo.

Ariadne sembrava a tre passi dallo scoppiare a ridere, Yusuf guardava il tutto indeciso se ridere o bersi un altro sorso del suo cocktail, Dom era disgustato, Saito - che nemmeno aveva partecipato al lavoro e quindi non avrebbe avuto motivo di essere lì - che non lasciava intendere nulla dalla sua espressione. Quello che, però, lo colpì di più era Eames, evidentemente stanco, evidentemente provato e stranamente depresso.

«Tesoro! » disse Eames, sorpreso, quando lo vide e all’inizio Arthur pensò fosse perché non era ancora certo se Arthur l’avesse perdonato o meno.

Poi Ariadne scoppiò a ridere. Scoppiò  a ridere e non si fermò per cinque minuti di fila. Ad Arthur non piaceva non essere a conoscenza degli avvenimenti.

«Arthur, sul serio, ci sono cose della tua vita che avrei preferito non sapere mai,» stava invece dicendo Dom, prendendosi la testa tra le mani.

Arthur non capiva.

«Comunque io ti stimo, Arthur, no davvero, credo sia il primo caso nella storia! » intervenne Yusuf, che aveva appena deciso, evidentemente, che quella era la cosa più divertente che gli fosse mai capitata davanti.

«Potrei comprare un asilo nido, se ne avete bisogno,» si unì Saito e a quel punto Arthur si voltò verso l’unico che non aveva ancora parlato - perché, evidentemente, era colpa sua, era sempre tutto colpa di Eames. «Cosa diamine sta succedendo, Eames? » chiese tra i denti mentre Eames provava a sorridergli.

«Ehm, tesoro…» e la voce di Eames, sempre così sicura, ora stava tremando leggermente. Ad Arthur non piaceva per niente tutto quello «stai per diventare papà!»

La prima cosa che Arthur pensò fu “non lo faccio con una donna da due anni” perché davvero, cosa puoi pensare in una situazione del genere (e comunque non era stata una cosa nemmeno tanto importante, una cosa veloce dopo uno dei tanti litigi tra lui ed Eames).

La seconda fu che, magari, Eames aveva fatto nascere un bastardello da qualche parte e ora pretendeva che Arthur se ne occupasse.

La terza fu che lì dentro erano tutti pazzi e doveva correre via il più velocemente possibile.

Invece si ricompose e chiese, cercando di mantenere un tono estremamente neutrale «Gradirei se qualcuno mi desse i dettagli.» I dettagli erano importanti, permettevano alle persone di non cominciare a pensare cose strane.

Dettagli, dunque.

«No!» urlò invece Dom, alzandosi «io non li voglio i dettagli! Non di nuovo, mi è bastata la prima volta! Arthur, era un test importante e… ti facevo più professionale,» aveva detto Cobb e Arthur non aveva detto nulla perché, qualsiasi cosa stesse succedendo, Dom aveva assolutamente ragione.

Arthur era una persona che metteva la professionalità prima di tutto, prima anche di Eames, in quel periodo aveva cominciato a dimenticarsene.

Il punto, comunque, era che non aveva idea di come quel discorso c’entrasse con quello.

«Ehm, ricordi quando… quando ho preso le sembianze di quella ragazza, quella del bar,» cominciò Eames, cercando di zittire Ariadne che aveva ricominciato a ridere.

Arthur era una persona che, per vivere, prendeva pezzi di informazioni e li rimetteva assieme, per costruire la storia di una persona, la mente di Arthur era allenata a raggiungere le conclusioni con pochi dettagli.

La mente di Arthur era in tilt.

«Eames, tu sei un uomo,» disse, giusto perché, magari, a tutti loro era sfuggito quel semplice particolare.

«In quella occasione non lo ero,» gli rispose però l’altro, senza battere ciglio «e, apparentemente, ogni volta che ritorno nei sogni - qualunque sia il mio sesso - il… il bambino di quella volta è…»

«Eames, è un sogno. Non conta,» provò di nuovo, perché quello era assurdo e…

«Questo è il problema! Credo dovremo rimanere attaccati al PASIV con lui, mica lascio che mio figlio cresca senza genitor-» stava dicendo Eames, come se avesse già accettato il fatto che fosse incinto - evidentemente impossibile - e che avessero un bambino che esisteva solamente nel mondo dei sogni - anche questo impossibile.

Però non riusciva a parlare, non riusciva a dire nulla e Eames continuò a parlare del loro bambino dei sogni e Ariadne continuò a ridere e Saito chiese se si potessero comprare gli asili, sotto.

Arthur, che era una persona razionale, semplicemente girò su sé stesso e se ne andò. Eames lo inseguì.

«Cosa stai facendo, tesoro? E non dirmi che stai andando a comprare le sigarette perché so che non fumi ed è la scusa più usata del mondo per abbandonare una donna incinta! » stava dicendo e a quel punto Arthur dovette fermarsi.

«Tu non sei incinto, Eames e non sei una donna!» ripetè, perché magari aveva bisogno di sentirselo dire, perché si sentiva l’unico sano di mente in mezzo ad una manica di pazzi.

«Ma nel sogno! » protestò Eames, e Arthur non capiva perché mai ci tenesse così tanto ad essere incinto «e non ti lascerò dire che nostro figlio non esiste, potrebbe sentirti e offendersi.»

Arthur guardò Eames per un secondo preciso prima di avanzare e dare un pugno ad Eames in pieno viso. Avrebbe dovuto darglielo tre giorni prima, Dio se si sentiva meglio, stava quasi ricominciando a respirare come una persona normale quando Eames parlò.

Eames, pensò Arthur, perché devi sempre rovinare tutto?

«Ah, sarà questo tipo di relazione la nostra? Cosa credi ne penserà il nostro pargoletto?» ed era serio, Arthur non riusciva nemmeno a crederci, ma era serio.

Arthur gli diede un calcio e poi se ne andò verso la macchina e andò all’aeroporto, che si fottessero tutti.

Dom lo contattò due mesi dopo - e Arthur non ricordava quando era stata l’ultima volta in cui non aveva sentito nessuno di loro (soprattutto Eames) per così tanto tempo - e gli propose un lavoro.

Arthur si sentiva rilassato, tranquillo (due mesi senza nessuno di loro erano stati un vero toccasana per i suoi nervi) e accettò. Eames doveva aver realizzato l’assurdità di tutto quello, no?

Apparentemente Arthur aveva sopravvalutato tutti loro.

«Sapevamo saresti tornato ad occuparti della tua famiglia, Arthur, non sei certo così senza cuore!» fu quello che gli disse Yusuf, non appena lo vide, dandogli una pacca sulla spalla.

Ariadne gli diede le scarpettine - gialle, perché non sapevano il sesso.

Dom gli diede dei libri sull’essere genitore e Arthur stava quasi già per andare da Saito a chiedergli di trovargli un volo in quel preciso istante e poi Eames l’aveva fermato.

«Vieni sotto con me, okay? Solo per due minuti,» gli aveva detto, bloccandolo per il braccio.

Arthur avrebbe potuto dire no, avrebbe potuto mandarlo a quel paese. Invece disse sì.

«Lo stai facendo tu,» perché non c’erano davvero altre soluzioni «puoi cambiare aspetto, dopotutto, e non so perché stai continuando questa pagliacciata ma…»

«Ti giuro che non lo sto facendo, tesoro! Io non ho idea di come…» stava dicendo Eames, avvicinandosi  con un pancione, proprio un pancione - di 5 mesi, ad occhio e croce - e Arthur non capiva.

«Ma non è possibile! » disse, nuovamente, e a questo punto Eames sembrò arrabbiarsi.

«Smettila, Arthur, è possibile creare interi palazzi dal nulla? È possibile creare la scala di Penrose che tu ami tanto? No! È un paradosso e…» era infastidito, Arthur lo percepiva, ma non riusciva davvero…

«Ma tu sei un uomo e…» riprovò, perché nella sua mente era tutto molto chiaro, ma cosa poteva dire di fronte al pancione?

«e apparentemente sono incinto,» concluse Eames, guardandolo come a volerlo sfidare a dire il contrario. Arthur rimase in silenzio, incapace di rispondere.

«Non puoi scendere con noi per questo lavoro, Eames! » stava dicendo Ariadne, incrociando le braccia «potresti far male al bambino!»

«Non esiste un bambino, non davvero,» puntualizzò Arthur, a bassa voce, venendo ignorato come al solito.

«Ha ragione, in più con il tuo pancione diventi un peso,» si unì Yusuf, mangiando l’ennesimo involtino primavera.

Arthur guardò Eames, sperando che mettesse fine a quella follia (perché non importava quanto fosse realmente convinto di essere incinto, non avrebbe certo lasciato che questo interferisse con il suo lavoro, no?) «Probabilmente avete ragione, non credo che tutto quel moto gli farebbe bene.»

«A me non interessa, ma non ho voglia di avere un bambino - immaginario o meno - sulla coscienza. Arthur occupati del tuo uomo incinto,» sentenziò Dom, alzandosi.

Arthur stava per dire “non è incinto, per Dio!” per l’ennesima volta, ma preferì lasciare perdere e sospirare. Nessuno lo ascoltava comunque.

Quando andavano sotto, con il PASIV, Eames aveva ogni volta un pancione sempre più grosso e vomitava costantemente. Apparentemente il “bambino” cresceva solamente mentre sognavano e Ariadne aveva proposto loro di rimanere sotto per nove mesi, per aspettare che nascesse.

Dom si era rifiutato perché non avrebbe fatto bene a nessuno di loro rimanere lì tanto a lungo (soprattutto a lui), Arthur aveva rifiutato perché sarebbe stato assurdo aspettare la nascita di un bambino che non sarebbe mai nato - perché no, non esisteva nessun bambino, a volte aveva bisogno di ripeterselo per non lasciarsi contagiare dalla follia.

Eames mangiava cose strane, aveva delle voglie improvvise e dolore da tutte le parti. Non riusciva a muoversi bene e Yusuf continuava a dargli intrugli per i dolori alla schiena e per la nausea e per tante di quelle cose che Arthur aveva davvero smesso di interessarsene.

Quando erano nel mondo reale, invece, Eames era il solito Eames di sempre. Non menzionava spesso il bambino, perché Arthur non reagiva bene quando veniva preso l’argomento, e vestiva in maniera assurda, lasciava la camera di Arthur in uno stato assolutamente deplorevole - come se fosse camera sua - così poi che fosse Arthur a pulire e si infilava nel suo letto ogni notte.

Arthur aveva provato a cacciarlo, le prime volte - dopotutto era stato proprio quello a farli finire in quel guaio, no? E poi Arthur non era a suo agio a stare con un malato mentale - però Eames era tenace e, davvero, cosa potevi dire ad uno che aveva in bocca il tuo cazzo?

Ed era questa differenza, tra l’Eames della realtà e quello dei sogni che destabilizzava Arthur. Un minuto quello era l’Eames che conosceva, con la lingua veloce e il sorriso spavaldo, che gli infilava le mani nei pantaloni alla prima occasione e il minuto dopo era l’Eames che non riconosceva, con il pancione e che parlava di cose come ma credi che al bambino piacerebbe questo colore?

Arthur non sapeva davvero più cosa fare.

Poi un giorno l’Eames del mondo reale divenne l’Eames del mondo dei sogni - solo nella realtà - e non è che avesse fatto chissà che o gli fosse spuntato il pancione, ma Arthur poteva vedere che c’era qualcosa di diverso in lui e, semplicemente, dovette chiederlo.

«Tu lo sai che non partorirai sul serio, vero?» probabilmente gli era uscito un po’ troppo freddo, un po’ troppo duro, ma Arthur non poteva davvero pensare che Eames ci credesse sul serio, non…

«Non lo puoi sapere, però,» era stata la risposta di Eames e Arthur si era morso il labbro, aveva preparato una tazza di caffè e gliel’aveva portata.

«A dire il vero lo so,» aveva continuato «Eames, non è possibile okay? Non puoi creare una vita consenziente, non… al massimo verrebbe la proiezione di qualcosa che non esiste.»

Eames non sembrava incredibilmente sollevato a quella notizia, sembrava un po’ triste, a dire il vero. Arthur si sentì quasi in colpa, quasi.

«Ho una cosa da farti vedere,» disse Eames, svegliandolo e prendendo il PASIV - e avrebbe anche potuto evitare di svegliarlo, no?

«Eames,» mormorò Arthur, cercando di capire cosa stesse succedendo, esattamente. Poi si stava riaddormentando e quando aprì gli occhi era fuori una casetta in campagna, piccola, circondata dal verde. Arthur sbatté le palpebre due volte, cercando di abituarsi alla luce e poi Eames aprì la porta della casetta, il pancione sempre lì - ed era ridicolo perché sembrava che fosse ingrassato di venti chili solo in un punto - che lo guardava sorridendo.

«Muoviti, tesoro! Devi venire a vedere dentro,» gli disse e così Arthur fece. Dentro la casetta era tutta in legno, piccola e confortevole, come uscita da una di quelle fiabe troppo perfette per essere vere.

Arthur l’adorava, sì, ma non era questo il punto.

Il punto era che Eames, probabilmente, voleva fargli capire qualcosa, voleva trasmettergli un messaggio che Arthur non riusciva a cogliere.

«Non sarebbe bello, Arthur? Un qualcosa così?» gli chiese, improvvisamente, Eames e Arthur comprese, improvvisamente, cosa volesse dire tutto quello.

Era quello che non avrebbero mai avuto, il motivo per cui Eames, a volte, voleva credere che dentro quel pancione ci fosse veramente qualcosa.

«Io sono nato in una villettina simile, sai? Odiavo la mia famiglia, ma questo posto… l’aria e la solitudine…» mormorò Eames, soffiando sulla sua tazza di latte.

Arthur avrebbe potuto dire Ci uccideremmo dopo due secondi, perché era la verità o Non riusciremmo mai a stare lontani dal mondo reale, Eames, perché anche questo era vero. Non potremo mai averlo, avrebbe potuto urlargli, per farlo tornare alla realtà.

Invece si portò la tazza alle labbra e fece finta, per quei cinque minuti strappati alla vita reale, che tutto quello, un giorno, sarebbe potuto essere loro.

Eames era seduto nella sua sedia, nella casettina in mezzo al verde e ormai era all’ottavo mese - o almeno, così sembrava, dato che Arthur non aveva ancora ben capito come tenere il conto dei mesi - e stava leggendo un libro di Dostoevskij e Arthur pensò, per un secondo - un singolo minuscolo secondo, il primo da quando quella follia era cominciata - che magari magari l’avrebbe voluto anche lui, tutto quello e la mano scattò al dado, nella sua tasca.

Perché doveva ricordarsi che stava sognando, che non era la realtà.

Lo tirò fuori dalla sua tasca e lo lasciò cadere, pigramente, senza guardare su che numero cadesse.

character: eames, !fanfiction, fandom: inception, *maritombola, paring: arthur/eames, character: arthur (inception)

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