P0rn Fest 3.0 - Fatica nr. 11: Original - Voce erigmofonica

Jan 24, 2010 21:13

Titolo: Voce erigmofonica
Fandom: Original
Rating: NC17
Word Count: 1938
Avvertimenti: Sesso omosessuale descrittivo, abuso di alcolici e di suoni cacofonici, facial (e se non sapete cos'è...leggete).
Note: Storia scritta per il P0rn Fest, terza edizione. Il prompt me lo sono data da sola perchè sono una perversa ed è: Original, M+M, rutto.
Dedicata a tutte le donzelle che hanno riso selvaggiamente a questa idea, sollazzandosi con l'immagine di un uomo che rutta virilmente. :)


“Però se viene a sedersi qui ci alziamo, eh!” urlò Giorgia, sovrastando la musica assordante così da farsi sentire anche dal resto della compagnia radunata attorno al tavolino del salotto.
“Sì, sì! Anche tu Ste!”
Stefano scollò stancamente gli occhi dalle cosce di Elena, seduta di fronte a lui, arrivando con somma fatica fino ad altezza tette. Lì si fermò.
“Eh?”
“Cazzo, sei troppo ubriaco!”
“Non reggi un cazzo!”
“Ma vaffanculo…” biascicò Stefano, tornando a sbirciarle sotto la gonna troppo corta.
Le ragazze scoppiarono a ridere sguaiatamente, contorcendosi sulle sedie. Francesco, meglio conosciuto come Ciccio, scosse la testa dal suo posto ai piedi di Coppo.
“È che è vecchio,” commentò, rinfocolando l’ilarità nelle ragazze.
“Oh, vecchio a chi?” esclamò Stefano, risentito. “Ma vaffanculo, va’…”
Ciccio, per tutta risposta, bevve un lungo sorso dal mohito che teneva in mano, facendo tintinnare il ghiaccio tritato. Era il terzo, forse; non ricordava bene, ma era certo che si fossero fatti via via più pesanti. La mano di Claudio diventava sempre più abbondante mano a mano che la festa procedeva.
“Guarda che poi gli piace,” lo mise in guardia Elena, maliziosa.
L’amica scoppiò di nuovo a ridere.
Coppo, sprofondato nella poltrona patronale, aveva pescato una birra gelata dal secchiello traboccante ghiaccio che troneggiava in mezzo al tavolino e, dopo averla aperta con l’accendino, era intento a berne una lunga sorsata. Ciccio stava per unirsi all’ilarità generale quando lo vide abbassare con decisione il braccio e aprire la bocca per parlare. Dalle sue labbra, però, sgorgò soltanto un poderoso rutto. Il boato zittì tutta la compagnia per un istante, lasciando i presenti sconvolti; poi tutti scoppiarono in una risata fragorosa.
“Trattate bene il mio amico,” disse Coppo, come se nulla fosse successo, elargendogli qualche affettuoso buffetto sulla testa.
Ciccio si sottrasse, squadrandolo schifato.
“Non palpeggiarmi, porco,” lo apostrofò con simulata repulsione.
Coppo lo scrutò dall’alto, gli occhi accesi dal troppo alcool ingurgitati e carichi di divertimento.
“Ehi, io ti difendo e tu mi dai del porco?” Mentre gli altri riprendevano a ridere, ormai piegati in due, il giovane si chinò di lato, avvicinando la bocca all’orecchio di Ciccio quanto bastava a mormorargli “Dillo che ti viene duro quando rutto.”
Ciccio lo allontanò con una manata, ma il sangue gli aveva già scaldato le orecchie e il cavallo dei pantaloni. Tenne lo sguardo ostinatamente fisso di fronte a sé, perso nel vuoto. Le ragazze ricominciarono a starnazzare, Stefano tornò al suo stato catatonico e Coppo tracannò un’altra golata di birra.
Ciccio finì il suo cocktail senza realmente sentirne il gusto, le papille gustative anestetizzate da tempo, poi si alzò e annunciò “Vado a pisciare.” In verità aveva bisogno di una boccata d’ossigeno e di un po’ d’acqua fresca per riguadagnare un minimo di coscienza. Era brillo e la musica alta unita al fumo e al caldo non aiutavano; se poi ci si metteva pure Coppo con le sue stronzate la misura era colma. Coppo era carino, molto, ed estremamente etero, cosa che lo rendeva troppo appetitoso per qualsiasi uomo gay nel giro di tre miglia, specie se in astinenza da un po’. Tutti nella compagnia sapevano che Ciccio era gay e chiunque avrebbe potuto fare due più due e rendersi conto che stuzzicare i suoi ormoni non fosse una buona idea. Chiunque, persino Coppo. Se poi, a fine serata, nei fumi della canna della buonanotte, Ciccio gli avesse messo la lingua in gola, nessuno avrebbe potuto accusarlo di aver esagerato.
Il bagno, per fortuna, era libero e Ciccio ci si rifugiò con un sospiro di sollievo. Diede uno spintone alla porta, lasciando che si chiudesse da sola, e si avvicinò al lavandino, scrutandosi con sguardo dubbioso nello specchio illuminato. Il tonfo della porta che si chiudeva, però, non arrivò mai. Quando Ciccio si voltò trovò Coppo fermo sulla soglia che, appoggiato con una spalla allo stipite, lo fissava. Nella mano che teneva abbandonata lungo il fianco ciondolava ancora la bottiglia di birra mezza vuota. Quando si accorse di essere stato avvistato si raddrizzò e, con estrema nonchalance, si chiuse la porta alle spalle.
“Mi scappi?” chiese, la voce resa pastosa dall’alcool ma non per questo meno seducente.
“Che?” bluffò Ciccio, fissandolo con stupore. “Devo pisciare.”
Coppo ignorò la scusa e si avvicinò con passo lento e sicuro al mobile del bagno - e a lui.
“Ti è venuto duro, prima, vero?” fece.
Ciccio si sentì avvampare d’imbarazzo ed eccitazione contemporaneamente.
“Sei scemo?” replicò, mantenendo la facciata.
Coppo ridacchiò, girandosi la bottiglia in mano.
“Non fare la verginella,” borbottò, fermandosi ad appena un passo da lui. “Lo so che ti attizza il maschio.”
“Sì, be’, non è proprio la notizia dell’anno,” ironizzò Ciccio.
Coppo lo guardò sornione, sogghignando.
“Coppo, guarda che rischi stasera…” lo mise in guardia, in un moto di estrema generosità, Ciccio.
Il ghigno sul viso di Coppo si allargò, famelico. Si portò la bottiglia alle labbra, buttò giù un lungo sorso di birra, poi si chinò su Ciccio. Le labbra si mossero, sfiorandogli il lobo, ma non fu con la sua voce naturale che gli parlò. Coppo gli stava ruttando in un orecchio.
“Sta’ zitto e succhiamelo, Ciccio,” scandì Coppo, irrorando quest’impresa con un altro po’ di birra e rivolgendogli un’occhiata maliziosa.
Ciccio era impietrito. Era una delle cose più disgustose che chiunque avesse mai fatto in sua presenza, l’approccio più rivoltante di sempre, eppure Coppo se ne stava lì, denti bianchi in vista ed espressione di chi si aspetta una risposta positiva. E nemmeno sapeva quanto a Ciccio, in quel momento, fosse venuto duro. Era un riflesso incontrollabile, sicuramente una malattia, ma per qualche ragione quel lurido di Coppo gli faceva impazzire l’ormone. Ciccio aveva appena scoperto di avere un kink per gli uomini che parlano ruttando. Non sapeva se riderne o farsi schifo da solo.
Nel dubbio scivolò in ginocchio sul pavimento, ritrovandosi proprio all’altezza giusta per soppesare il pacco di Coppo. Quello si spostò di lato, appoggiandosi col sedere al lavandino, e rimase in attesa. Ciccio deglutì e inspirò a fondo, alzando le mani lentamente a sbottonare i jeans dell’altro. Di colpo che Coppo fosse un suo amico fin dall’infanzia, che fosse etero e plausibilmente intenzionato ad approfittare di una scopata facile che avrebbe negato per il resto della sua vita non gli importava minimamente. Non se ne ricordava neanche più, mentre la stoffa pesante scivolava un po’ verso il basso, quanto bastava a liberare il suo cazzo ancora moscio. Ciccio abbassò anche l’elastico dei boxer, contemplando il pezzo di carne che gli veniva offerto. Si sentiva l’acquolina in bocca. Decisamente era un pervertito.
Alzò gli occhi. Quasi un metro al di sopra di lui, Coppo lo fissava euforico e si inumidiva costantemente le labbra di birra, in attesa della sua mossa seguente. Sembrava un bambino la notte di Natale, si disse Ciccio, in attesa di scartare i doni. Solo che Coppo non era un bambino proprio per niente e l’uccello che andava risvegliandosi sotto i suoi occhi ne era la prova tangibile. Sorrise tra sé, pregustando ciò che sarebbe seguito, poi aprì la bocca e, con gentilezza, lo prese tra le labbra.
Iniziò a succhiarlo lentamente. Lo percepiva sussultare, come un fantoccio di carne e sangue dotato di vita propria, un grosso lumacone che si svegliava sotto il tocco della sua lingua. Gli piaceva pensare metafore per descrivere i cazzi, era una cosa che lo faceva divertire come un deficiente. Ciccio scoprì la cappella e la leccò con cura, richiudendovi le labbra attorno. Sapeva il fatto suo, Ciccio, quando c’era da succhiare un cazzo, e mostrò la massima esperienza e maestria nel dare inizio al lento andirivieni della sua bocca e delle sue carezze. Coppo sapeva di sudore e di sale, con un retrogusto amaro quasi sicuramente imputabile alla birra, che lo metteva in guardia per il prossimo futuro, ma le narici di Ciccio erano soprattutto piene di quell’odore penetrante e corposo che è associabile solo al cazzo. Era proprio quello che attirava Ciccio irrimediabilmente, esortandolo ad accelerare le carezze della sua lingua mentre nei suoi pantaloni la situazione si faceva di secondo in secondo più angusta.
Abbassò una mano su di sé, palpeggiandosi con urgenza attraverso la stoffa, poi fece saltare con uno strattone i bottoni che lo costringevano e la zip si abbassò di conseguenza. Ciccio sospirò attorno al cazzo ormai completamente duro di Coppo, godendo della riconquistata libertà. Riprese a dedicarsi con tutta la propria attenzione al grosso uccello che gli forzava le labbra, entrando e uscendo più velocemente, ora, dalla sua bocca. Strinse la presa su di lui, masturbandolo con decisione, avvertendo il modo imperioso in cui Coppo dondolava i fianchi per incitarlo ad accelerare. Alzò gli occhi e scoprì che l’altro aveva lasciato cadere la testa di lato, lasciandosi sostenere completamente dal mobiletto del bagno. I suoi servigi parevano essere apprezzati; ciononostante Coppo ancora riusciva a bere dalla sua maledetta bottiglia di birra, ormai praticamente prosciugata.
Ciccio succhiò con più forza, concentrandosi sulla pelle che scorreva sulla sua lingua, stuzzicando senza pietà la grossa vena che pulsava sotto l’asta e il taglio sulla cappella. Quel maledetto di Coppo era silenzioso, ma Ciccio percepiva distintamente l’orgasmo avvicinarsi. Una mano affondata dentro alle mutande, si masturbava con forza mentre il respiro di Coppo si faceva sempre più affannato. Lasciò che i suoi fianchi si muovessero liberamente, forzando le sue labbra a piacere, mentre la tensione nelle sue palle cresceva. Venne sul pavimento del bagno sussultando appena, soffocato dal cazzo di Coppo che continuava a bloccargli il respiro. L’altro gli mise una mano sulla testa, manovrandogliela senza complimenti avanti e indietro; Ciccio inspirò a fondo, rilassando la gola per accoglierlo completamente.
Si tirò indietro solo all’ultimo, quando sentì le dita di Coppo stringersi con più forza tra i suoi capelli. Il primo schizzo gli colpì la guancia e Ciccio chiuse gli occhi mentre l’altro gli veniva in faccia. Continuò a muovere la mano su di lui finché non fu certo di aver spremuto anche l’ultima goccia. Era sconvolto, spossato ed esaltato insieme; si sentiva i sensi completamente intossicati dall’odore e dal sapore del sesso. Solo quando il caos proveniente dal salotto gli ricordò che c’era una festa ancora in corso si fermò a riflettere e a sperare che Coppo non gli avesse sporcato i vestiti.
Cautamente, aprì gli occhi e si passò la mano sul mento, prevenendo la caduta di gocce. Coppo era ancora immobile, aggrappato al mobiletto con entrambe le mani, e lo fissava con sguardo vacuo, la bocca semidischiusa. Finalmente, notò Ciccio trionfante, aveva mollato la maledetta bottiglia.
“Chiudi la bocca, merluzzo,” borbottò pungente, ignorando le labbra gonfie e la poca credibilità che doveva avere, condito com’era.
Si levò in piedi e aprì l’acqua, sciacquandosi le mani e poi la faccia. Si guardò allo specchio: il suo riflesso non suggeriva che avesse appena spompinato qualcuno in bagno, oltre a essersi fatto una sega portentosa. La cosa lo fece sentire molto sollevato. Solo quando chinò lo sguardo per risistemarsi i vestiti Coppo diede segni di vita. Ciccio avvertì il suo respiro avvicinarsi al suo orecchio e sorrise tra sé, rimanendo immobile.
“Se te lo chiedo ruttando, la prossima volta te lo fai mettere nel culo?” mormorò con voce roca, che si sforzava di essere sensuale nonostante l’appagamento.
Qualcosa si contorse nella pancia di Ciccio all’altezza del cazzo. Inspirò, dominandosi, e gli rivolse un ghigno sornione.
“Forse,” rispose, muovendosi in direzione della porta. L’aprì, poi si fermò un istante sulla soglia e aggiunse “Intanto pulisci per terra, da bravo.”
Il senso di potere che lo pervadeva era talmente assurdo che Ciccio, chiudendosi la porta alle spalle, avrebbe saltellato fino al salotto, se non fosse stato così imbarazzante.

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