Titolo: Il Cielo resta a guardare
Fandom: Originale
Coppia: Atlas/Elehim
Rating: Nc17 (Corposo)
Genere: Dark, Angst, Romantico
Avvertimenti: Non consensuale, Non per stomaci delicati, Slash, Scene di sesso, Morte di personaggi secondari, Sovrannaturale, Violenza descrittiva.
Capitolo: Capitolo 2/25
Prompt: Peccato per
bingo_italia Note: Valgono quelle al primo capitolo.
Avevo dimenticato di postare qui...
BUONA LETTURA
Capitolo 1 - Estremamente SbagliatoCAPITOLO 2
Il Peccato: la furia del loro Dio
Erano fermi sulle rive dell'İdel in attesa di rientrare in patria, dopo aver diviso l'armata tra le mire di Batu ad occidente e quelle di Ogödäi ad oriente, per eleggere un nuovo Khan. Al gigante dai capelli corvini e gli occhi oltremare, la politica non era mai interessata: combattere lo divertiva, ma quell'armata aveva da tempo perso ogni particolare attrattiva.
Le prime avvisaglie della truppa al seguito di Batu Khan arrivarono nel tardo pomeriggio dopo sette giorni dalla fine dell'assedio di Kiev. L'esercito e le le macchine d'assedio rientrano ordinatamente. L'esercito, visto da fuori, è enorme: marciano, assieme ai soldati circa tremila balestre pesanti, trecento catapulte, settecento lanciafuoco, cavalli e carri carichi di armi, cibo e foraggio. Uno spettacolo impressionante, se non fosse che quell'uomo dalla stazza di due, fermo al limitare dell'accampamento aveva contribuito a rendere tutto quello possibile, appoggiando il suo Khan in ogni sua scelta. La cosa che lo incuriosiva, in quello scenario usuale, era il cercar di capire se le voci che giravano nel campo che narravano della presenza di un prigioniero fossero o meno veritiere.
Il gigante, il guerriero che aveva seguito il Khan dalla sua ascesa fino alla sua morte, colui che aveva seppellito il corpo di Temujin in un luogo non rintracciabile da esseri umani, ascoltava scettico le parole rincorrersi tra i soldati.
L'armata mongola non fa prigionieri. Perché questa volta sarebbe stato diverso?
Le voci, da quello che aveva percepito in quei pochi giorni, dicevano fosse un Principe. Con uno sguardo ironico aveva liquidato anche quelle insulse spiegazioni.
E con questo? Erano proprio i Principi quelli che solitamente facevano la fine peggiore quando s'imbattevano nella loro armata.
Sembrava avesse abbandonato la città al primo giorno d'assedio per andare a recuperare la sorella idiota che era finita a fare da giocattolo sessuale per l'esercito. La ragazza e i pochi guerrieri che erano con lui, da quanto si diceva, erano morti molto prima che l'assedio terminasse.
Ecco, questo era semplicemente impossibile. Nessuno poteva durare per più di dieci giorni lasciato in balia della brama dei mongoli.
La testa della colonna, con un Batu Khan gongolante e orgoglioso e con i suoi sottoposti Subedei e Burundai irrigiditi nel loro formalismo erano già arrivati e si erano sistemati in attesa che, alla fine del giorno seguente, anche la coda dell'esercito fu finalmente giunta a destinazione.
Il gigante era rimasto costantemente in disparte per evitare di finire in mezzo ai festeggiamenti per quell'ennesimo genocidio, stanco dello schifo che si perpetrava in nome di un uomo giusto che, anni addietro, aveva giurato di seguire. Sputò per terra voltando la schiena ai festeggiamenti per fissare i suoi occhi blu sull'İdel lucente alla luce radente di quel tramonto invernale. Stava accampando scuse idiote l'una sull'altra e se ne rendeva anche conto: con Temujin aveva fatto cose terribili, cose che, senza il sangue nemico che ancora t'imbratta il corpo, non si possono che considerare un'orrore o una barbarie. Ma c'era lui. E... e la verità è che, banalmente, gli mancava. E i mongoli, senza il loro capo, non avevano più alcuna attrattiva per lui. Dopotutto nessuno tra quei guerrieri era interessato a lui, se non sul campo di battaglia. E anche in quel caso, l'allerta per la possibile esplosione dei suoi poteri, era sempre altissima.
"Ohi, Atlas!" il capitano in carica della truppa appena rientrata si fermò poco distante dal gigante dai lunghi capelli neri e dai penetranti occhi blu. Dietro di lui due soldati facevano la guardia a un carretto. Un mucchio di stracci era ancorato a un asse orizzontale, come se fossero panni stesi. Avvinto in quei panni c'era un corpo.
Atlas si guardò gli uomini come se fossero un miraggio e inclinò appena la testa in segno di... saluto, decretarono i tre.
"Batu Khan vuole elargirti un dono!" il ghigno dell'uomo era una chiosa di denti aguzzi, con un tono rancido.
Atlas sollevò un sopracciglio scettico; sovrastava il mongolo di tutta la testa e l'ampiezza delle sue spalle faceva questi quasi sparire il forzuto guerriero. Questi si fece da parte, come se stesse scoprendo un meraviglioso regalo, dando al mezzo-demone la visuale perfetta del corpo incatenato al carretto.
Gli stracci sono in realtà un corpo...
Continuò a guardare il mucchietto d'ossa, carne e brandelli d'abito, riconoscendo l'odore pregnante di escrementi e urina e quello ormai secco del sangue e gli venne quasi voglia di storcere il naso ed andarsene. Ma la presenza di un prigioniero stuzzicava la sua curiosità... anche se, a quel punto, dubitava che ci fosse ancora qualcosa da poter fare.
"Il prigioniero è tutto tuo. Puoi farne ciò che vuoi!"
Atlas guardò alternativamente l'uomo e il mucchietto sul carretto, come incapace di afferrare il senso di quelle parole, cercando di intuire il motivo di tutto il sadico divertimento del mongolo.
La voce profonda di Atlas fece rimbombò nelle casse toraciche dei tre uomini "Batu Khan è consapevole che non mangio carne umana?" chiese.
I mongolo a quelle parole ebbe la buona creanza di sbiancare un poco, prima di ritrovar il proprio sangue freddo "Ovviamente, Atlas." rispose, anche se la voce aveva tentennato.
Gli occhi cobalto smisero il proprio andirivieni e si fissarono sul mongolo "Allora cosa me ne dovrei fare di un morto?" l'espressione del gigante era realmente confusa e ancor di più divenne quella dei tre mongoli. Atlas era in grado di dire, con una sola occhiata e a volte nemmeno con quella, se un uomo era vivo o morto. L'avevano messo alla prova decine e decine di volte e, i più anziani come i più giovani, potevano dire con assoluta certezza che non aveva mai sbagliato.
Possibile che quella sarebbe stata la sua prima volta? Uno dei due guardiani prese la picca che aveva ancorata alla spalla e sferzò un colpo violento di piatto nella schiena del prigioniero. Gli occhi verdi si aprirono immediatamente, mentre un urlo strozzato abbandonava le labbra tumefatte in un rantolo di dolore. Il corpo venne scosso da spasmi mentre i polmoni cercavano di ritrovare l'aria che gli era stata violentemente strappata via.
Era talmente distrutto che non faceva più rumore nemmeno a respirare.
Con un ghigno bastardo sulle labbra il mongolo guardò il gigante.
Atlas rimase a guardare quel corpo muoversi senza riuscire davvero a convincersi di quello che gli occhi vedevano. Il suo sesto senso non aveva captato nulla: nessun guizzo di paura dovuto al colpo, nessuna scintilla d'odio nei confronti dei suoi carcerieri, né alcun frammento dell'onirico mondo in cui affondava chi veniva drogato.
Nulla.
Un animo freddo e immobile. Se ancora ne possedeva uno.
"Non è morto." fece presente, sollevato, il mongolo, come se vi fosse bisogno di un'ulteriore conferma "Ed ora è tutto tuo, fanne ciò che più t'aggrada." ironizzò, mentre i suoi uomini iniziavano ad abbandonare quella tenda isolata dal resto dell'accampamento.
"Perché Batu Khan non l'ha ucciso?" li bloccò Atlas, facendo un passo avanti e tentando di percepire il sibilo dell'aria che entrava faticosamente nei polmoni torturati dal gelo del suo... trofeo.
Il sorriso ironico del guerriero divenne malvagio "Per vedere quanto potente è il loro Dio." Atlas inarcò nuovamente un sopracciglio e il guerriero spiegò "È stato maledetto." poi si voltò e fece segno ai due guardiani di andarsene "Se vuoi saperne di più, chiedi direttamente a Batu Khan, lui era presente, io no."
Dopo che i tre mongoli si furono allontanati, Atlas si fermò a guardare quelle ossa tremare sotto la carne maltrattata. Il gigante valutò che quel ragazzo dovesse esser stato un abile guerriero e che, sicuramente, prima d'esser fatto prigioniero doveva aver ucciso molti mongoli.
Con un paio di gesti secchi lo liberò e quello provò un disperato tentativo di fuga, ma le braccia di Atlas erano troppo robuste per poterne scappare, certamente non in quelle condizioni.
"Ora calmati." ordinò, sentendo il cuore dell'altro battere furiosamente nel petto, come quello di un uccellino stretto in pungo, senza però nessun sentore di paura. E se non era per paura che quel cuore batteva così forte... non riuscì nemmeno a completare il pensiero che il prigioniero s'accasciò tra le sue braccia, il battito cardiaco praticamente inesistente.
"E no, ragazzino, non pensare di cavartela così." ringhiò appena portandolo nella sua tenda e prestandogli i primi soccorsi o, perlomeno, quello che serviva per tenerlo in vita. Gli massaggiò il torace, quel poco che servì a far ripartire il suo cuore, poi lo avvolse in coperte calde e accese il fuoco al centro della tenda, bloccando il prigioniero con una catena che usava per il cane. Dopodiché si recò dal Khan per avere informazioni.
Batu mandò a chiamare l'interprete - quello che aveva una conoscenza del latino sufficientemente articolata da poter comprendere anche le frasi più complesse e di cui Atlas s'era sempre rifiutato di imparare il nome data la bassa considerazione che aveva di lui - che era stato presente nel momento in cui Batu Khan passava i principi di Kiev a fil di spada. Dimitri Armalgar, il fratello gemello biondo del prigioniero, era stato invece salvato.
E anche questa notizia fu quasi un fulmine a ciel sereno.
Non facciamo prigionieri né siamo clementi. Che cazzo sta succedendo qui?!
Batu Khan quasi non fu in grado di spiegare il motivo del suo gesto caritatevole; semplicemente, quell'uomo non meritava di morire: aveva combattuto come un leone ed era riuscito a tenere insieme l'esercito anche dopo che Danil Elehim era finito nelle loro mani ed era circolata la notizia che avesse tradito. Meritava di vivere per poter raccontare ai posteri con quanto ardore aveva combattuto contro la loro enorme armata e magari, un giorno, sarebbe passato dalla loro, come tutti i Principi stavano infine facendo. Il gigante per poco non si strozzò al sentire quella risposta: gli sembrava, terribilmente, qualcosa di suggerito da terzi, non in linea con il solito comportamento del generale mongolo.
Alle domande scorbutiche di Atlas, l'interprete rispose con un sorriso ferino riferendogli che Dimitri Armalgar Romanovich, che da quel che avevano capito era il fratello gemello - nonostante non si assomigliassero per nulla - di Danil Elehim Romanovich, il loro prigioniero, aveva invocato il loro Dio. E aveva maledetto il sangue del suo stesso sangue.
Lo sguardo del gigante moro si fece granitico mentre fulminava l'interprete con un'occhiata gelida "Cosa ha detto?" sibilò "Voglio le parole esatte."
Le iridi sembrarono sbiadire per un istante mentre la collera sembrava prendere il sopravvento sulla ragione e l'interprete finì quasi per nascondersi dietro al proprio scranno.
Batu Khan rise alla reazione dell'uomo, non del tutto a proprio agio con certe manifestazioni del suo guerriero, ma abbastanza confidente da sapere che, per il momento, erano tutti al sicuro. Gli si rivolse direttamente, cercando in quel modo di distogliere l'attenzione dell'altro dall'interprete completamente sbiancato "Atlas," iniziò con voce pacata "so che un mezzo-demone come te sarà sicuramente interessato, ma pensi davvero che quel Dio possa esser pericoloso per noi?" gli chiese con un sorriso sornione sul volto.
Il Khan sapeva di non essere il suo predecessore ma lo sguardo di disprezzo che gli rivolse Atlas non lasciava proprio adito a dubbi "Non voglio nemmeno scoprirlo." sibilò infastidito da tanta stupidità. Era di un Dio che stavano parlando! E la sua esistenza era prova evidente che qualcosa che poteva dannare esisteva. Sul nome, poi, ci si sarebbe potuti accordare.
L'interprete mongolo deglutì appena prima di tradurre dal latino: "Hai mostrato la tua faccia inetta, rinnegato del tuo stesso sangue. Che il ricordo delle tue genti offuschi quelli del presente e che la tua anima possa marcire all'Inferno per mille anni al mondo, e mille ancora finché anche uno solo dei tuoi sudditi ti avrà perdonato. E il mio cocente desiderio che la tua condanna sia eterna."
Gli occhi del mezzo-demone si spalancarono.
"Trascrivimi l'originale." ordinò "Parola per parola."
Fine Capitolo 2
Capitolo 3 - L'odore del suo sangue