[Hey!Say!Jump] Namida wo saki wo mitai kara

Mar 02, 2012 01:53

Titolo: Namida wo saki wo mitai kara {Hey!Say!Jump - Hitomi no Screen}
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: NC17
Avvertenze: Slash,
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Non si era mai definito una persona romantica, ma... Kei gli mancava. Terribilmente.
Note: Scritta per la khorakhane_ita con il prompt “Sognai talmente forte che mi uscì il sangue da naso” e per il COW-T2 di maridichallenge con il prompt “Anni”.
WordCount: 3821@fiumidiparole

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Fatta l'abitudine, Chiba era una città piacevole. Aveva i pregi di una cittadina lontana dallo stress cittadino e quelli di una località comunque vicino alla capitale.
Tokyo era perfettamente raggiungibile in meno di un'ora di treno, senza dover subire l'irritazione dei pendolari e dei lavoratori della metropoli.
Aveva impiegato qualche mese a farci l'abitudine, nonostante la presenza di Kei al suo fianco fosse il motivo principale per il quale non era ancora scappato a gambe levate da quel luogo.
Il suo rapporto con il padre, il quale aveva deciso di sposarsi quasi all'improvviso, trascinandolo in un quadro familiare che inizialmente lo disgustava, era stato quasi del tutto recuperato.
Kyoko, la sua matrigna nonché madre di Kei, si era dimostrata molto disponibile nei suoi confronti. Vederla così affabile un po' lo intristiva.
Gli ricordava molto sua madre, sia per la fisionomia minuta ed esile, sia per il carattere, buono e pacato. Ogni volta che osservava le foto di quando era piccolo, gli sembrava di vedere Kyoko sul volto della madre.
Aveva sempre pensato, prima del matrimonio, che suo padre ormai avesse superato il trauma della morte della moglie, ma quando gliela aveva presentata, aveva compresa che così non era.
Suo padre sarebbe stato per sempre legato alla moglie e questo gli faceva provare un po' di pena per la donna. Yabu non voleva che lei fosse una semplice sostituta di sua madre.
Quella mattina si girò nel letto, assonnato.
Non aveva dormito bene quella notte, forse perché sentiva la mancanza di Kei, anche se dormivano in stanze separate. Di solito rimanevano svegli fino a tardi a studiare, a parlare, a strapparsi delle coccole quando potevano dare meno nell'occhio.
Ma era due giorni ormai che il fidanzato era partito per uno stage di una settimana con l'università e, sebbene la presenza di Yuya, il suo migliore amico, aveva lenito un po' quella mancanza, quando si svegliava non poteva fare a meno di pensare a lui.
Yabu aveva cercato di approfittare di quella assenza per poter invitare l'amico a dormire. Era stato bello ritrovarselo di nuovo tutti e giorni fra i piedi. Lo riportava con la mente a quando stava ancora a Tokyo, con Yuya che abitava nell'appartamento accanto a lui e passavano le giornate insieme.
Anche quel pensiero, un po' lo intristì.
Sbatté un paio di volte gli occhi, osservando la figura di Yuya ancora addormentato nel futon accanto al suo. Si sentiva stanco, ma non sarebbe riuscito a prendere sonno, ne era consapevole.
Uscì silenziosamente dalla stanza, scendendo le scale. Non si era svegliato ancora nessuno e l'intera casa era immersa nel silenzio.
Bevve un succo, mise a scaldare l'acqua per prepararsi un po' di zuppa di miso istantanea e poi andò a mangiarla in salotto, guardando la televisione a volume basso, senza ascoltare realmente quello che trasmetteva.
Osservò il cellulare. Sospirò.
Non si era mai definito una persona romantica, ma... Kei gli mancava. Terribilmente.
Appoggiò la ciotola sul comodino accanto al tavolo e gli mandò una mail, cercando di risultare il meno sdolcinato, opprimente e insofferente di quanto in realtà si sentisse.
Rileggendo la mail subito dopo, decise che non aveva raggiunto il suo obiettivo, ma ormai la mail era stata inviata. Si rassegnò ad aspettare qualche ora prima di ricevere una risposta e fece per riprendere in mano la ciotola, quando il telefono vibrò immediatamente accanto a lui.
Alzando un sopracciglio, aprì la mail. Era di Kei e si ritrovò a sorridere, come un perfetto idiota.
“Manchi anche a me. Non vedo l'ora di tornare a casa. Torniamo un giorno prima e sappi che dopo aver accompagnato Yuya alla stazione, dovrai mantenere la tua promessa. Mi devi portare in vacanza da qualche parte. Ti amo anche io. Kei-chan”
Non si chiese perché fosse già sveglio alle cinque del mattino, d'altronde anche lui lo era e chiuse il cellulare dopo una veloce risposta.
Senza perdere il sorriso, posò il cellulare accanto a lui, riprese la ciotola di miso e finì la colazione.

**

L'università aveva finalmente dato un attimo di tregua ad entrambi. Con il suo lavoro part-time, Yabu era riuscito a mettere da parte qualcosa per una breve vacanza a Yokohama. Non era un granché, ma era il massimo che poteva permettersi e poi, osservando Kei camminare sul lungomare, lo vide felice.
Non chiedeva altro. Ai genitori avevano detto che sarebbe andati insieme a degli amici in comune dell'università. Non avevano voglia di spiegare troppe cose e poi, Yabu ne era sicuro, non avrebbero approvato la loro relazione, nonostante non avessero nemmeno una goccia di sangue in comune.
E Yabu non aveva voglia di discutere, di difendersi, di andarsene. Finché la situazione era ancora facilmente sotto controllo, avrebbe usato qualunque scusa possibile per rimanere da solo con Kei.
Si fermò un secondo osservando Kei che muoveva lentamente i piedi nell'acqua fredda, come un bambino. Lo vide accovacciarsi leggermente per sciacquarsi le mani sporche di sabbia e gli si avvicinò.
Gli circondò la vita con un braccio, stringendolo a sé e baciandolo.
Non gli interessava più del parere della gente. Aveva passato gli anni della sua vita a tormentarsi per quello che potevano dire, per quello che potevano fare, per quello che potevano bisbigliare.
Aveva passato anni a pensare a come cercare di uniformarsi a quella società che non gli piaceva ed era giunto alla conclusione che l'unico modo che aveva per sfuggirgli era diventare qualcuno.
Non aveva mai accettato di buon grado quella sua decisione e quando aveva incontrato Kei aveva capito che aveva perso tutti quegli anni a farsi dei problemi, rovinarsi, scappando da quella felicità che lui stesso aveva cercato di cacciare via dalla sua vita.
E adesso... adesso che aveva Kei addosso a lui, aveva scoperto che nulla lo avrebbe potuto rendere infelice.
Il più piccolo gli circondò il collo con le braccia e ricambiava teneramente il bacio, lentamente, come a volersi gustare quel momento attimo per attimo.
Si lasciarono, continuando a guardarsi per un'altra manciata di secondi. Poi Yabu intrecciò le sue dite con quelle di Kei e continuarono a camminare sulla sabbia, l'uno accanto all'altro.

**

Yabu sbatté la porta della stanza dietro di sé, sempre stringendo a sé il corpo di Kei, per sentirlo ancora più vicino a sé e per sentire il calore della sua pelle. Con una mano si tolse le scarpe, lanciandole via, iniziando a spogliare urgentemente Kei.
Lo spinse contro il muro, beandosi del suo gemito di piacere, iniziando a baciarlo e sfilargli via la cintura.
Continuò a baciarlo, sentendo il bisogno di sentire le sue labbra contro le proprie, afferrandogli l'orlo della felpa per toglierla. Kei all'improvviso lo fermò, cercando di regolarizzare il suo respiro.
« Ho freddo. » bisbigliò quasi imbarazzato il più piccolo, senza però guardarlo negli occhi.
Yabu lo fissò, perplesso. Era estate e fino a pochi minuti prima non faceva altro che lamentarsi per il caldo. Ma non voleva indagare oltre, non voleva rovinare quella vacanza solo per dei dubbi che erano sicuramente infondati.
Accennò un sorriso, un po' titubante e annuì, riprendendo a baciarlo. Si spogliò e poi lo prese in braccio.
« Aggrappati a me. » sussurrò languido al suo orecchio.
Kei gli sorrise, artigliandosi alle sue spalle. Yabu gemette per quel semplice contatto, mentre iniziava a penetrarlo.
Il più piccolo gemette, nascondendo la faccia contro il suo collo e Yabu ne approfittò per mordergli la pelle e sentire i suoi gemiti di dolore che si facevano via via sempre più fiochi.
Yabu ansimò iniziando a spingere dentro di lui. Si mosse dapprima lentamente, continuando a premere il corpo di Kei contro il muro. Rapidamente le sue spinte si fecero sempre più veloci e con grande sforzo infilò una mano fra i loro corpi, mentre Kei si aggrappava a lui con ancora più forza per non cadere a terra.
Gli prese l'erezione dura in una mano, stringendola e muovendola velocemente, fino a che Kei non venne, con un gemito più forte, seguito a ruota da Yabu, che si svuotò dentro di lui.
Ansimando per lo sforzo, scivolarono entrambi a terra. Rimasero sul pavimento, Kei accoccolato contro il petto di Yabu in cerca di coccole.
Yabu lo strinse a sé, facendogli nascondere il volto nel collo, per evitare di guardarlo. Socchiuse gli occhi, continuando ad accarezzarlo per un po', cercando di non pensare a come, nelle ultime settimane, l'atteggiamento di Kei era sempre più ambiguo, chiuso e riservato rispetto a prima.
Sospirò, non voleva pensarci. Aveva sofferto quando aveva scoperto dell'autolesionismo di Kei, aveva sofferto perché pensava di non riuscire ad aiutarlo in nessun modo e si era sentito felice quando invece il fidanzato lo aveva smentito affermando che era intenzionato a smettere.
Ormai erano quasi due anni che non vedeva nessun taglio sul corpo di Kei e tutte le sue ferite si erano cicatrizzate, lasciando solo leggeri striscioline bianche.
Ma a Yabu non interessava.
Lo vedeva felice e questo gli era sempre bastato. Invece in poco tempo gli sembrava che Kei fosse tornato al suo vecchio carattere, quello insicuro, quello che aveva faticato a sconfiggere.
Lo strinse con più forza, come se solo quello potesse proteggerlo da ogni cosa brutta che gli potesse capitare. Kei alzò leggermente la testa.
« Ko-chan, tutto bene? » sussurrò piano.
Yabu annuì, sorridendo a stento.
« Certamente. Sono solo stanco. » gli pizzicò leggermente un fianco « Sei pesante anche se non sembra. » rise.
Kei arrossì furiosamente, allontanandosi da lui e alzandosi in piedi.
« Stupido... idiota... che non sei altro! » esclamò balbettando.
Si alzò in piedi, accompagnato solo dalle risate di Yabu, ancora steso a terra.

**
Quella notte Yabu non riuscì a chiudere occhio. Aveva usato un libro gettato un paio di giorni prima sul comodino come scusa e lentamente aveva visto Kei chiudere gli occhi, lo aveva visto dargli le spalle e appallottolarsi sotto le coperte, scoprendolo come al solito e poi aveva sentito il suo respiro farsi sempre più pesante.
Era rimasto con lo sguardo fisso sul libro, senza andare avanti di una sola riga, mentre si tormentava.
Non voleva. Non voleva avvicinarsi a Kei e alzargli distrattamente le maniche della maglietta perché poi sarebbe sicuramente successo qualcosa.
Kei si sarebbe svegliato, Yabu avrebbe visto che in realtà erano solo tutti problemi nati nella sua testa e il fidanzato si sarebbe sentito mortificato, offeso e chissà che altro. Oppure avrebbe potuto davvero trovare qualcosa e a quel punto sarebbe stato Yabu che si sarebbe sentito tradito.
In ogni caso, qualcosa stava per accadere e più stringeva le dita sulle pagine ormai rovinate del libro, più il nervosismo e la frustrazione prendevano possesso nel suo corpo.
Appoggiò delicatamente il libro sul comodino, si avvicinò quasi senza far rumore alla schiena di Kei. Lo vide con la bocca leggermente aperta e le braccia accanto al volto. Doveva solo scostare le maniche e osservare. Poi avrebbe passato il resto della notte nell'altra stanza, a guardare la televisione.
Allungò una mano, infilando un dito fra la pelle delicata del fidanzato e la maglietta. Si fermò un attimo, socchiuse gli occhi e prese un profondo respiro scostandola leggermente.
Quando li riaprì qualcosa dentro di lui morì. Sentì improvvisamente gli occhi pieni di lacrime, mentre un dolore lancinante si faceva largo nel suo petto.
Il polso di Kei era martoriato da piccole ferite, poco profonde e che avevano già fatto la crosta.
Erano decine. Si allontanò di scatto da lui, rischiando di rotolare giù dal letto. Quello scatto repentino fece svegliare Kei che si alzò leggermente a sedere, osservando ancora mezzo addormentato.
« Ko-chan, che succede? » chiese ancora stropicciandosi un occhio.
Yabu non alzò lo sguardo, continuando a fissarsi le ginocchia, mentre ansimava e mentre sentiva le guance rigate da lacrime che non riusciva a fermare. Kei non le aveva ancora viste.
Si alzò in piedi, dandogli le spalle, senza nemmeno rispondergli. Si buttò sul divano coprendosi con una coperta, mentre sentiva i passi leggeri di Kei raggiungerlo, preoccupato.
« Hai avuto un incubo? » domandò innocentemente l'altro, sedendosi al suo fianco.
Yabu continuò a rimanere in silenzio per qualche secondo, poi si alzò ancora in piedi e lo afferrò per le braccia, tirandolo davanti a lui.
Gli tirò su la manica di un braccio, mentre lo fissava con gli occhi pieni di lacrime e di rabbia.
« Questo come me lo spieghi? » esclamò a voce alta mentre osservava il volto di Kei sbiancare, diventare sempre più pallido, mentre sembrava aver perso la facoltà di parlare e di giustificarsi.
« Mi sono fidato di te. » continuò il più grande « Mi sono fidato, ti ho dato tutto me stesso, ti ho aiutato in ogni modo Kei. E tu... e tu invece che cosa pensavi? Che fosse tutto uno scherzo? Che io fossi uno stupido idiota che non lo avrebbe mai scoperto? Dio Kei! » urlò lasciando cadere il braccio del più piccolo accanto al suo corpo.
Si sedette di nuovo sul divano, rendendosi conto che più cercava di fermare le lacrime, più queste continuavano a scivolare lungo il suo volto. Si coprì gli occhi con le mani.
Sentì Kei che si allontanava, ma non si curò di alzarsi e seguirlo, non si curò nemmeno di pretendere delle spiegazioni. Non ci riusciva. Non aveva la forza di alzarsi e seguirlo, di prenderlo e scuoterlo finché non avesse detto tutta la verità.
Sentì la porta della stanza da letto che si chiudeva e poi non sentì più nulla fino al mattino dopo.

**
Quando si svegliò, la schiena gli faceva male. Aveva dormito sul divano, senza osare alzarsi, temendo che vedendo Kei tutto quello si potesse finalmente concretizzare, senza dargli la possibilità di credere il più a lungo possibile che tutto quello fosse solo un incubo.
Si guardò intorno. La stanza da letto era aperto e il letto non era stato rifatto. Era comunque vuoto. Le scarpe di Kei non erano all'ingresso e non c'era nemmeno il suo giacchetto.
Sospirò, alzandosi in piedi e cercando per tutte e due le stanze un qualunque biglietto che lo avvisasse che era uscito, ma non trovò niente. Si lavò e si cambiò, solo per tornare poi di nuovo sul divano.
Accese la televisione, cercando qualcosa per distrarsi, ma i suoi pensieri non facevano altro che tornare a quella notte, a quelle ferite, a quella pelle di nuovo macchiata di sangue, al silenzio di Kei, alla propria stupidità.
Si sentiva vuoto, tradito.
Quando sentì la porta della stanza aprirsi, cercò di controllare il suo istinto di voltarsi verso Kei. Lo sentì borbottare un “Sono tornato”, con poca convinzione e sentì anche il rumore delle sue scarpe all'ingresso, quello stesso ingresso dove poche ore prima avevano fatto sesso.
Socchiuse gli occhi. Aveva voglia di piangere e non era da lui. Non era da lui essere così smidollato da non riuscire nemmeno a voltarsi per guardarlo.
Kei gli si avvicinò.
« Ti ho comprato la colazione occidentale che ti piace tanto. » mormorò Kei mettendosi davanti a lui e porgendogli un sacchetto di carta unto in un angolo.
Yabu lo fissò come se non lo vedesse realmente. Poi all'improvviso alzò la mano e gettò via la colazione, lanciandola a terra lontano da loro.
Si alzò e lo fissò.
« Pensi che basti una colazione per farti perdonare? » urlò, questa volta non preoccupandosi nemmeno di abbassare la voce.
Kei sussultò, mugolando qualcosa che Yabu non capì e che non gli interessava di capire. Lo vide indietreggiare, chinare la testa, scuoterla con vigore, mettendo le mani davanti al corpo come per proteggersi da qualcosa.
« Si può sapere perché? » domandò il più grande, abbassando leggermente la voce, nonostante il suo tono esprimesse tutta la sua delusione e la sua rabbia.
« Mi andava. » mormorò l'altro con gli occhi serrati, questa volta le mani alzate per proteggere il volto « Mi andava e l'ho fatto. Tutto qua. »
Yabu forzò sé stesso per reprimere seriamente la voglia di fargli del male. Chiuse gli occhi, prendendo di nuovo un profondo respiro. Poi gli diede le spalle e si diresse nella camera da letto.
« Ko...? » mormorò solo il più piccolo con voce rotta dal pianto.
« Fai la valigia. Torniamo a casa. Anzi. » si voltò verso il fidanzato « Tu torni a casa. Fai quello che vuoi. Vuoi tagliarti le vene? Fallo, non m'interessa più niente. »
« Cosa...? E tu? Cosa fai? »
« Vado da Yuya. » rispose solo.
Kei lo raggiunse, afferrandolo per le braccia.
« Ko, per favore aspetta. Per favore. » esclamò cercando di fermarlo, cercando anche di controllare il suo disperato della sua voce. « Fammi parlare, smetti di fare la valigia. »
Yabu si scostò bruscamente da quella presa, osservandolo senza riuscire a nascondere tutta la tristezza che provava.
« Cosa mi devi dire ancora? Cosa vuoi Kei? »
Il più piccolo annaspò, con le guance piene di lacrime e un lieve terrore negli occhi. La frangia che pochi mesi prima era corta, era tornata a coprirgli parte del volto e le sue dita tremavano mentre facevano poca presa sulle braccia di Yabu.
Yabu attese. Voleva sentire la verità.
« Mi dispiace. Mi dispiace non avertene parlato, mi dispiace. Ma... sentivo il bisogno di farlo, perché non sapevo che altro fare. Non volevo farti preoccupare, quindi... » si morse un labbro « Ho cercato di risolvere la questione da solo. »
« Riprendendo a tagliarti? » sussurrò piano Yabu.
Non gli piaceva la piega che stava prendendo quella conversazione. Improvvisamente la rabbia aveva ceduto il posto alla diffidenza.
Kei annuì, senza dire altro. Chinò la testa al petto, respirando affannosamente, mentre i polpastrelli avevano iniziato a battere nervosamente sulla pelle del più grande.
Yabu lo abbracciò. Non sapeva esattamente perché, ma sentiva che lo doveva fare, che se non voleva perdere Kei doveva riuscire a stare tranquillo e ad ascoltare tutto quello che l'altro aveva da dirgli, decidendo poi di conseguenza come agire.
« Mi puoi dire tutto, lo sai. » sussurrò piano al suo orecchio, nonostante il pensiero di Kei che preferiva tagliarsi che confidarsi con lui, lo uccideva « Lo sai questo, vero? »
Kei annuì di nuovo, stringendosi con più forza a lui, come per prendere coraggio.
« E' successo durante lo stage per l'università. Ero nella mia camera e la porta si è aperta. Era un mio collega. »
Yabu strinse istintivamente con più forza le braccia intorno a lui. Improvvisamente non voleva sentire più nulla. Preferiva la prima versione. Non voleva più sentiva la verità.
« Non so come è entrato. Si è avvicinato, mi ha picchiato e poi... lui... è entrato nel mio letto. Con la forza. » Kei s'interruppe, scoppiando improvvisamente a piangere.
Scivolò a terra, i singhiozzi sempre più forti, il petto scosso dal respiro affannato, la faccia coperta dalle mani. Yabu rimase in piedi e a fissarlo, senza riuscire a comprendere.
Poi si avvicinò a lui e lo abbracciò ancora. Kei cercò di sfuggire dalla sua presa, ma Yabu strinse sempre di più, fino a che l'altro non si calmò.
Passarono le ore seduti abbracciati sul pavimento.
Voleva che tutto quello fosse solo un sogno, un tremendo incubo da cui si sarebbe presto risvegliato, magari sanguinando, ma non gli interessava.
Eppure, stringendo a sé il corpicino singhiozzante di Kei, si rese conto che quello non era un sogno e che nemmeno il sangue lo avrebbe risvegliato.

**

Quando Yabu riuscì a mettere di nuovo a letto Kei, era passata quasi l'intera giornata. Il più piccolo si era addormentato piangendo e Yabu sapeva che i mesi che sarebbero arrivati sarebbero i più difficili in assoluto.
Ma ci avrebbe pensato quando il momento sarebbe giunto. L'importante in quel momento era aiutare Kei e stargli vicino, minuto dopo minuto, per aiutarlo a superare tutto quello. Rimboccò le coperte al fidanzato, accarezzandogli il volto e soffrendo quando quest'ultimo si ritrasse nel sonno. Sorrise tristemente, reprimendo la voglia di piangere. Aveva pianto già troppo.
Si accostò la porta alle spalle, uscendo sul balcone. Era sera ormai e sperava che Kei dormisse il più a lungo possibile. Chiamò i suoi migliori amici, pregandoli di raggiungerlo. Era una questione urgente.
Fu felice quando gli arrivarono le due mail di conferma che sarebbero arrivato, insieme, con il primo treno.

**
Yabu scese nella hall dell'albergo osservando Yuya e Hikaru che arrivavano di corsa, chiedendogli che cosa fosse successo.
Sospirò, sapendo che sarebbe stato difficile spiegargli tutto dall'inizio. Li invitò a sedersi al bar dell'albergo, ad un tavolo appartato e gli spiegò tutto.
Della sua relazione con Kei, della sua malattia, della sua guarigione e dello stupro. Era riuscito a strappare al più piccolo il nome.
A fine racconto erano entrambi sconvolti, ma non riuscirono a fare commenti. Erano sia felici perché avevano visto un Kota veramente felice in quei mesi, ma erano anche devastati.
Entrambi conoscevano Kei, entrambi erano affezionati a lui e... non sapevano che cosa fare.
« Questo è il nome. » disse piano il più grande porgendogli un biglietto ripiegato « io non posso allontanarmi da Kei, ho paura che... » si morse un labbro, inorridito dall'idea che gli era passata per la testa « Confido in voi. » disse solo.
Annuirono, tutti e due. Yabu si scusò per il disturbo, si offrì di pagargli almeno il treno per il ritorno.
Erano passate più di quattro ore e Yabu fu stupito nel vedere Kei raggiungerli. Sorrise timidamente a tutti e tre, sedendosi alla sedia libera. Yabu ringraziò mentalmente i due amici che non solo si comportarono come se non gli avesse nulla, ma lo tirarono anche su di morale, facendolo finalmente ridere.
Sorrise a tutti e due e poi propose di andare a mangiare tutti insieme. Kei fu felice e questo a Yabu bastava.

**
La settimana successiva, quando ormai erano rientrati a Chiba, a Yabu arrivò una mail con svariate immagini allegate.
Le guardò quando fu certo di essere completamente da solo e sorrise, malvagio, nel vedere il corpo di Arioka Daiki, il ragazzo che aveva stuprato Kei, sanguinante e raggomitolato a terra, mentre sputava sangue e mentre... soffriva.
Semplicemente, soffriva.
Era dovuto andare via prima dal Tokyo quel pomeriggio, Kei finiva le lezioni e voleva andare a prenderlo di persona, perché non voleva lasciarlo da solo nemmeno per un minuto. Aveva goduto nel picchiarlo, nel sentire la carne di Arioka lacerarsi sotto le sue mani, aveva goduto nel sentire le sue urla di dolore, aveva goduto nel vedere il suo sguardo pieno di terrore quando aveva detto ai due amici che potevano continuare senza di lui, senza però ucciderlo.
E anche in quel momento, mentre osservare quelle fotografie, si sentì bene, anche se sapeva che nessuna di quelle ferite avrebbe guarito quelle di Kei, ancora devastato da quella terribile esperienza.
Le cancellò quando sentì Kei uscire dal bagno e raggiungerlo. Erano da soli a casa, perciò si strinse a lui sul divano.
« Ho preparato qualcosa per cena. » disse Yabu sorridendogli « E nel lettore dvd c'è già il primo film di “Star Wars”. Che ne dici di una bella maratona fino a notte fonda? » indicò il comodino « Ci sono tutti gli snack che ti piacciono. Sarà una bella serata, non credi? »
Kei gli sorrise, un sorriso che si avvicinava molto a quello sincero. Yabu ricambiò. Sarebbe stato difficile sentirlo di nuovo ridere di cuore, ma non si sarebbe perso d'animo.
Avrebbe continuato a stare al suo fianco, giorno dopo giorno, qualunque cosa sarebbe accaduta.

Fine.

challenge: cow-t2, pairing: yabu x inoo, fandom: hey!say!jump, challenge: khorakanè (album)

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