Titolo: Ti vorrei tutto per me
Fandom: Kitty GYM
Pairing: Totsuka Shota x Kitayama Hiromitsu
Rating: G
Avvertenze: Slash
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: [...]Quella unit era stata la sua piccola opportunità. Lo aveva ancora più vicino, ancora più a portata di mano.
Note: Scritta per la
diecielode tabella misc prism con il fandom “Kity GYM”
WordCount: 960@fiumidiparole
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Lavorare per quella nuova unit temporanea permetteva a Totsuka di passare ancora più tempo con Kitayama.
Non che tempo o occasioni non ne aveva. Fortunatamente i due gruppi, gli A.B.C e i Kis-My-Ft2 si conoscevano da una vita ed erano sempre andati più che d'accordo, grazie anche al fatto che lavoravano tutti come backdancer per lo stesso gruppo.
Ma a Tottsu sembrava che tutto quel tempo non bastasse mai. Ne voleva di più, disperatamente. E voleva conoscere Kitayama, perché lo amava.
Da quanto tempo ormai lo aveva dimenticato. Forse da subito, forse aveva impiegato un po' per amarlo oppure...
Non se lo ricordava con precisione. Sapeva solo che una mattina lo aveva visto e il suo cuore aveva iniziato a battere più velocemente e che improvvisamente non riusciva più a sostenere il suo sguardo o una conversazione senza sentire la necessità di scappare via, senza più voltarsi indietro.
E quella unit era stata la sua piccola opportunità. Lo aveva ancora più vicino, ancora più a portata di mano.
Voleva scavare, abbattere quel muro che si ergeva fra loro due, voleva poterlo conoscere meglio, senza dover rimanere e accontentarsi di quella superficie che tanto odiava.
Lo osservava di nascosto mentre si allenavano, lo guardava ridere con gli altri e avrebbe voluto poter essere disinvolto come Inoo o come Yaotome.
Ma non ci riusciva. Le parole gli morivano in gola e sembrava un perfetto imbecille.
Si accorse che Kitayama lo stava fissando, sfruttando il riflesso degli specchi della palestra.
Tottsu arrossì, come mai gli era capitato prima di quel momento e aveva immediatamente chinato gli occhi, scappando negli spogliatoi.
Aveva sentito il passo veloce di Kitayama seguirlo, mormorare il suo nome e chiedergli di fermarsi, ma lui aveva afferrato l'asciugamano e si era chiuso dentro una doccia.
Al sicuro dentro il cubicolo poteva osservare solo i piedi dell'altro che rimanevano fermi davanti alla sua porta. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non ci riusciva.
« Apri la porta Tottsu! » esclamò a voce alta Kitayama « Apri, dobbiamo parlare, in fretta »
Ma il diretto interessato rimase in silenzio, senza dire nulla. Anzi, si spogliò più velocemente che poteva, appoggiò i vestiti sudati sulla cima della porta e aprì l'acqua calda, buttandosi sotto il getto, sperando di non sentire più la voce di Kitayama che, invece, continuava imperterrita.
Serrò gli occhi e si tappò le orecchie. Rimase sotto la doccia per un tempo che definì interminabile.
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Quando Tottsu uscì dalla doccia era sicuramente tardi. Sentiva freddo, nonostante fosse rimasto tutto il tempo sotto l'acqua calda. Si chiuse frettolosamente l'accappatoio addosso, cercando un po' di calore e rientrò negli spogliatoi.
Si fermò, sentendo il fiato mozzarsi, nel vedere Kitayama seduto sulla panca accanto alla sua borsa ancora in disordine.
Il più grande aveva le gambe al petto e aveva la guancia appoggiata contro le ginocchia, la bocca leggermente aperta che dormiva profondamente.
Tottsu si scoprì a sorridere leggermente davanti a quella immagine, così incredibilmente tenera e si vestì velocemente, sistemando la sua roba.
Sfiorò titubante la spalla di Kitayama, scuotendolo leggermente. Scostò immediatamente la mano quando lo vide svegliarsi, un po' assonnato. Accennò un nuovo sorriso, più a disagio questa volta.
Lo sguardo di Kitayama era fisso su di lui e Tottsu, come sempre, non riusciva a fare nulla se non fissare la borsa.
« Che cosa ti prende Shota? » chiese l'altro, senza aggiungere altro.
Il diretto interessato sussultò nel sentirsi chiamare per nome. Non erano in tanti a farlo e di certo Kitayama non lo aveva mai fatto prima di quel momento. Arrossì di nuovo ma questa volta spostò la testa, cercando di non farsi notare.
« Nulla. » rispose in fretta « Perché questa domanda? »
« Perché... sei strano. Sei cambiato negli ultimi tempi. E' come se tu mi evitassi. »
Tottsu si limitò a scuotere la testa, senza rispondere, continuando a fissarsi i piedi. Il più grande allora, seccato da quell'assenza di risposte, si alzò in piedi, sbattendolo contro gli armadietti dietro di lui.
« Puoi dirmi che cosa ti passa per il cervello Tottsu? » chiese piano Kitayama, avvicinando pericolosamente il suo volto a quello del compagno « Cosa cosa ho fatto per farmi odiare da te in questo modo? »
« Non ti odio! » balbettò l'altro senza riuscire a rendere coerenti i suoi pensieri, il respiro di Kitayama troppo vicino alla sua bocca e il calore e l'odore della sua pelle lo stavano facendo impazzire « Io... Io... »
« “Tu” che cosa? » domandò l'altro con la voce piena di impazienza « Io ho sempre cercato di esseri amico, di starti accanto, di aiutarti e non mi pare di aver sbagliato in qualcosa. »
« Sono io quello sbagliato Mitsu. » ammise piano Tottsu, sentendosi sul punto di scoppiare a piangere « Io... ho provato a starti vicino come amico, ma non ci sono riuscito. Volevo averti tutto per me e non riuscirci mi fa uscire fuori di testa. Vorrei... vorrei... » si morse un labbro, nervoso « Mitsu, ti amo. » sospirò alla fine.
Socchiuse gli occhi, aspettandosi qualunque tipo di reazione. Un pugno, uno schiaffo, una risata, uno sputo.
Ma di certo non si era preparato all'abbraccio di Kitayama. Sbarrò gli occhi quando le braccia del più grande lo circondarono, stringendolo a sé con una forza che non pensava l'altro potesse avere.
« Sei un vero idiota. Io... ero convinto che tu mi odiassi. »
« Perché dovrei odiarti Mitsu? Io ti amo da non so quanto tempo. » ricambiò l'abbraccio, socchiudendo di nuovo gli occhi, lasciandosi coccolare dalle dita di Kitayama, dal suo respiro contro il suo orecchio e dalle sue parole d'amore appena mormorate.
Sentiva di essere finalmente andato oltre quella superficie che prima li divideva e questa volta avrebbe fatto tutto il possibile per poterlo tenere per sempre stretto a sé.
Fine.