Titolo: E' colpa di chi muore
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Arioka Daiki x Yamada Ryosuke
Rating: PG
Avvertenze: Slash, Death!Fic
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Avrebbe potuto averlo accanto quasi ogni giorno e avrebbe potuto stare più tempo con lui, anche se solo in veste di amico.
Note: Scritta per la community
khorakhane_ita con il prompt “E' colpa di chi muore.” e per il COW-T di
maridichallenge con il prompt “Altrove”.
WordCount: 2424 @
fiumidiparole *°*
Arioka Daiki era sempre stato innamorato di Yamada. Lo aveva aiutato e supportato, rimanendo sempre nell'ombra.
Non si era mai esposto più di tanto, non aveva mai detto qualche parola di troppo o fatto gesti che potessero essere fraintesi. Sapeva che Yamada non lo avrebbe mai amato e di questo se ne era fatto velocemente una ragione, nonostante accettarlo a solo sedici anni fosse abbastanza difficile.
Ma era stato ancora liberatorio. Ogni volta che Yamada gli parlava di qualcuno, gli sembrava sempre in un mondo parallelo, dove solo lui poteva entrarci.
Era altrove, viveva di sogni che spesso non avrebbero potuto realizzarsi. Era altrove, in un luogo dove solo la persona che avrebbe amato sarebbe potuto entrare.
E Daiki aveva ben compreso che quel mondo, quel suo spazio personale, quell'“altrove” non era per lui e che non ci avrebbe mai messo piede.
Faceva male pensarci. Faceva ancora più male accettarlo, ma Daiki aveva già imparato che purtroppo non tutto è possibile.
Bisognava ammettere le proprie sconfitte e i propri limiti.
La sua sconfitta era non poter essere amato da Yamada e il suo limite era che non avrebbe mai fatto abbastanza per farsi notare da lui.
Faceva male. Sanguinava come una ferita aperto.
Ma lo avrebbe accettato oppure, lo sapeva già, ne sarebbe uscito pazzo.
**
Il debutto era stato deciso e quando aveva saputo che avrebbe debuttato insieme a lui, aveva sentito il cuore riempirsi di felicità. Avrebbe potuto averlo accanto quasi ogni giorno e avrebbe potuto stare più tempo con lui, anche se solo in veste di amico.
Ogni momento passato con lui era prezioso, perché gli permetteva di amarlo, anche se in silenzio.
Aveva deciso che qualunque cosa fosse successa, non si sarebbe mai tirato indietro perché ormai, se ne era reso conto, per Yamada era una amico importante e, anche se definire sé stesso solo “amico” era doloroso, non aveva vacillato.
Lo aveva ascoltato piangere per Hikaru, per quella lontananza, per quell'amore che non sarebbe mai stato ricambiato perché era palese che Hikaru fosse innamorato di qualcun'altro.
Lo aveva abbracciato e consolato, stretto a sé, mentre il proprio cuore sanguinava. Aveva chiuso gli occhi e, come sempre, non ne aveva fatto parola con nessuno.
Aveva impiegato un po' a riprendersi, ad essere imparziale con Hikaru e a non portargli rancore. D'altronde non era colpa sua, né che non amasse Yamada, né che Yamada si fosse innamorato di lui.
Yamada non era una sua esclusiva proprietà, per quanto lo desiderasse. Era solo un amico, un amico un po' più intimo, ma nulla di più. Cercare di rimanere alla giusta distanza era difficile, ma fino a quel momento ci era riuscito e non era intenzionato a mollare.
Un giorno gli sarebbe passata, ne era convinto. Doveva solo attendere.
**
Quando Yamada era andato a casa sua e gli aveva detto di essere follemente innamorato di Chinen, Daiki aveva sentito qualcosa dentro di lui spezzarsi. Aveva letto qualcosa negli occhi di Yamada ed era lo stesso brillio che avevano le persone veramente innamorate.
Chinen non sarebbe mai stato sconfitto, Daiki ne era ben consapevole, ma, nonostante tutto, cercò di dissuaderlo dall'idea di andare da lui.
Non era la persona giusta. Era viziato e capriccioso e aveva paura che lo avesse fatto solo soffrire inutilmente, qualunque sia sarebbe stata la sua risposta.
Ma Yamada non lo aveva ascoltato e avevano iniziato a litigare. Daiki non riusciva a credere alle sue orecchie. Sentirsi dire che l'unica cosa che desiderava era vederlo soffrire era peggio di una pugnalata in pieno petto.
Daiki voleva solo vederlo felice, ma era convinto che Chinen gli avrebbe fatto solo del male. Non era abituato a voler bene ad una persona e non per egoismo o per cattiveria, ma per reale incapacità.
Yamada non gli aveva creduto, aveva continuato a dirgli che non si aspettava quel comportamento da lui e alla fine se ne era andato.
Lui e Daiki non si era parlati per mesi e, solo dopo tanto tempo e incoraggiamenti da parte di Yabu e Nakajima erano riusciti a ritrovare, anche se freddo e distaccato, rapporto.
**
Daiki passava i giorni sperando che il lavoro terminasse il prima possibile. Ogni ora passata accanto a lui era diventata una sofferenza, non più un piacere e più lo guardava, più si chiedeva dove avesse sbagliato.
Lo aveva visto discutere con Chinen più di una volta, lo aveva visto trattenere le lacrime, mordersi le labbra e voltarsi istintivamente verso di lui. Ma Daiki piegava la testa, scappando via da quel dolore che aveva sempre cercato di lenire e scappando via da quello sguardo e dal proprio amore.
La ferita che Yamada gli aveva aperto, ormai quasi due anni prima, era ancora aperta e sanguinava ancora.
Non lo avrebbe perdonato facilmente e Yamada non sarebbe tornato da lui a piangere.
Gli mancava, ma non avrebbe fatto lui la prima mossa.
**
Osservava Yamada da lontano e, nonostante tutto, lo vedeva felice. Era contento, nonostante sapesse che tutta quella fosse una felicità effimera.
Yamada si accontentava delle briciole di Chinen e non sembrava chiedere di più. Dopo tutto lui stesso non poteva dire nulla.
Per anni si era cibato di quelle stesse briciole che Yamada gli lanciava, momenti felici e momenti tristi che per lui avevano lo stesso valore. Quindi non poteva biasimare Yamada per quello che stava facendo, ma non riusciva nemmeno ad accettarlo.
Avrebbe voluto vederlo solo felice e libero di amare chi gli pareva, senza stare male. Invece Chinen era sempre stato un'arma a doppio taglio. Un giorno di rende felice e il giorno dopo ti uccide.
Era stanco quella sera. Più stanco del normale. Quel giorno, era tornato a casa stremato dopo una intera giornata a fingere che tutto andasse bene con Yamada, a ridere e scherzare davanti alle telecamere come se fra di loro non ci fosse nulla se non una solida amicizia.
Odiava fingere. Odiava guardare la telecamera, abbracciare Yamada come aveva sempre fatto e sorridere, cercando di risultare abbastanza convincente quando l'unica cosa che in quel momento voleva era starsene per i fatti suoi a rimuginare sulla sua vita. Ma quella era la sua vita, era un idol e non poteva mischiare vita privata con la sua vita pubblica.
Stava per mettersi a letto quando il suo cellulare squillo. Ignorò il telefono, nonostante la sua suoneria gli stesse penetrando nel cervello.
Finalmente si zittì ma dopo nemmeno dieci secondi riprese a squillare. Allungò il braccio e vide che era una chiamata di Yabu.
Perplesso rispose.
Il respiro dell'altro era pesante e dietro di lui c'erano voci che parlavano a voce alta. Una era Kei, l'altra Yuya, poi forse Hikaru.
Con che coraggio lo chiamavano durante una festicciola privata?
« Yabu, dimmi. »
« Devi venire... adesso. » ansimò l'altro.
Una sirena di sottofondo lo assordò e si alzò a sedere.
« Yabu, dove sei? » domandò poi mentre il panico lo stava logorando.
« All'Hinoo Ospital a Shirokane. Vieni, è urgente. »
« Aspetta, ma che cosa è successo? » chiese mentre si vestiva con una mano.
« C'è stato un incidente. La macchina di Yamada e Chinen è finita fuori strada e... » lo sentì trattenere il respiro, forse un singhiozzo.
Le voci sotto di lui si fecero più alte e Daiki aveva paura a chiedergli come stessero. Sperava che tutti e due fossero vivi e vegeti. Non poteva immaginare l'eventualità di una morte, non di due persone a cui voleva così bene.
« Chinen... lui... non c'è l'ha fatta. » mormorò Yabu questa volta singhiozzando « E' morto sul colpo. »
Il mondo intorno a Daiki smise di girare. Si fermò davanti alla porta di casa, la mano sulla maniglia, le ginocchia improvvisamente deboli e gli occhi pieni di lacrime.
« Yamada? » sussurrò piano.
« E' in sala operatoria. E' grave. Stiamo tutti aspettando il dottore. »
Dal rumore di sottofondo sentì che erano arrivati anche Ryutaro, Keito e Nakajima. Sentì le guance umide e i singhiozzi strozzati nella gola.
« Arrivo subito. » sussurrò con un filo di voce.
**
Era passato un anno.
Solo un anno da quel giorno. Yamada si era ripreso abbastanza velocemente.
Nonostante la fisioterapia e i continui controlli, la sua vita aveva apparentemente ripreso a scorrere.
Apparentemente.
Daiki lo aveva osservato sempre in silenzio, sempre come aveva fatto negli ultimi.
E non era più la stessa persona.
Era cambiato. Non sorrideva più se non costretto dal lavoro. Non usciva più di casa. Non parlava se non interpellato e stava tutto il tempo in un angolo a fissare le vecchie foto di lui e Chinen.
Una sera gli arrivò una mail.
Era di Yamada. Daiki rimase interdetto per qualche secondo.
Erano quasi due anni che non gli arrivavano mail di Yamada. Erano quasi due anni che con lui aveva chiuso ogni rapporto perché se ci ripensava, quelle parole erano ancora delle pugnalate al cuore.
Prese il cellulare e, tentennando, aprì la mail.
Era chiara e diretta.
“Possiamo incontrarci?”
Daiki guardò l'ora. Era mezzanotte. Non era eccessivamente tardi, ma...
Istintivamente gli rispose che sì, potevano vedersi.
Avrebbe voluto essere più fermo e forse lo avrebbe anche fatto che Chinen fosse stato ancora in vita.
Odiava la sua morte. La odiava così tanto che non credeva avrebbe mai potuto odiare qualcun'altro con altrettanta ferocia.
La sofferenza e la tristezza di Yamada erano impressi nel suo cervello e odiava Chinen per essersene andato in quella maniera, per averli lasciati, a tutti quanti, in quella situazione.
Alcuni non si erano completamente ripresi, come Yamada, Yuya che era un tipo sensibile, o Ryutaro.
E' tutta colpa di chi muore, si ripeté di nuovo. E' tutta colpa di chi muore andandosene via in quella maniera.
Perché loro non se lo meritavano e non se lo meritava nemmeno Chinen, in fondo. Chinen non era in grado di amare Yamada quanto quest'ultimo lo amasse. Ma era animato, in alcuni casi, da buone intenzioni e quella non era la fine che si meritava.
Sentì suonare al campanello.
Stupito, si avvicinò e aprì la porta. Davanti a lui si trovava Yamada, con la testa piegata con il petto.
« Disturbo? » domandò a voce bassa.
Tremava leggermente e Daiki non sapeva se era per il freddo o per il pianto che ancora gli spezzava il fiato.
« No. Entra pure. »
Yamada si guardò intorno. Erano anni che non metteva piede in quella casa e, per un attimo, il più piccolo sentì che tutto quello gli era mancato.
Si diresse lentamente verso il salotto e notò con vago piacere che tutto era esattamente come l'ultima volta che ci era entrato.
Daiki lo vide accennare un sorrise e si sentì un po' più sollevato.
« Scusa per l'ora. Passavo di qua e... » s'interruppe, distogliendo di nuovo lo sguardo.
« Tranquillo. » replicò Daiki cercando di farlo mettere a proprio agio « Ho appena fatto un tè, lo vuoi? » domandò poi.
Yamada annuì, guardandolo di sfuggita. Lo vide entrare in cucina, lo vide allungarsi per prendere una tazza dalla credenza e sorrise, di nuovo.
Daiki era sempre lo stesso di tanti anni prima, anche se non si parlavano e non si vedevano più.
Era un mistero come fosse rimasto uguale. Nonostante tutto, continuava ad essere gentile nei suoi confronti, a non trattarlo come un lebbroso solo perché il ragazzo che amava era morto, a non trattarlo come un invalido solo perché dopo l'incidente era stato costretto a mesi di fisioterapia per la gamba.
Era stato allora che si erano riavvicinato, almeno un po'. A differenza di tutti gli altri, che tendevano a giustificare i suoi fallimenti per riprendere a ballare o, semplicemente, a camminare, Daiki lo rimproverava.
Gli diceva che si stava facendo abbattere, che non combatteva, che era semplice lasciarsi cadere a terra, fra le sbarre, piagnucolando che non ci riusciva.
Lo aveva odiato, per un po'. Lo aveva odiato perché era conscio che Daiki avesse ragione, ma non voleva che qualcuno gliele dicesse. Non voleva che qualcuno gli aprisse gli occhi su quella realtà tanto brutta, su quella realtà dove Chinen non era più con lui.
Eppure gli era servito, perché alla fine aveva ripreso a camminare e a ballare, quasi quanto prima.
Daiki rientrò in salotto, posando davanti a lui una tazza di tè.
« Come ti senti? » domandò sedendosi al suo fianco.
« Non è vero che passavo di qua. » replicò Yamada continuando a fissare la tazza « Avevo voglia di parlarti, perché... perché so che solo tu mi puoi capire. »
Aveva i pugni stretti sulle ginocchia e si mordeva un labbro. Non sarebbe scoppiato a piangere. Non di nuovo.
« Te l'ho detto anche l'ultima volta, in ospedale. Puoi passare quando vuoi, io... nonostante tutto ci sarò sempre per te. »
« Perché? » chiese Yamada mentre le lacrime gli rigavano le guance « Perché dopo un anno continuo a sentirmi così male? »
Daiki lo fissò e gli prese una mano, stringendola fra le proprie. Yamada alzò il volto e lo fissò e lo vide con una smorfia di dolore.
« Perché lo amavi. Perché tu nonostante tutto lo amavi davvero. Perdere una persona che ami... » scosse la testa non trovando le parole giuste « Ci vuole tempo Ryosuke. Ci vuole solo tanto tempo e tu devi trovare la forza per andare avanti. »
« Lo so che è passato un anno. Lo so che non dovrei ma... continuo a sentirmi male la mattina, quando mi sveglio e lui non c'è. Mi sento male quando vado in cucina e sul tavolo ci sono solo le mie ciotole. Mi sento male quando arrivo a lavoro e lui non è già in palestra a maltrattare qualcuno perché non sa la coreografia. Mi manca, mi manca e non riesco a fare nulla per impedirlo. » singhiozzò spostando ancora lo sguardo.
Daiki si avvicinò, titubante.
Lo abbracciò, lo strinse a sé, come anni prima, quando andava da lui e piangeva perché qualcuno lo aveva fatto soffrire.
Lo strinse a sé, cercando di infondergli tutto il coraggio che aveva.
Daiki sentiva che l'amore che provava per Yamada era morto nell'esatto momento in cui era morto Chinen.
Ormai non c'era più speranza per lui. Aveva sofferto, senza lottare e quelle erano state le conseguenze.
Yamada aveva chiuso il suo cuore e non lo avrebbe dato mai più a nessuno o, per lo meno, non avrebbe mai più amato così tanto.
E se non era disposto ad essere solo un ripiego, non lo sarebbe stato in quel momento, nonostante fosse stato semplice farlo cadere e crollare, convincerlo che lui era la persona giusta.
Non lo avrebbe fatto.
Il suo amore era morto e sentiva solo un enorme vuoto nel petto. Sentiva solo sangue scivolare via, di nuovo, da quella ferita.
Era andato altrove, dove forse si trovava quel posto magico dove si rifugiava sempre Yamada quando era piccolo.
Era andato altrove, in un luogo dove nessuno avrebbe visto morire lentamente.
Strinse Yamada.
E' solo colpa dei morti se i vivi devono soffrire in questa maniera.
Fine.