Titolo: Become your drugs
Fandom: Prison Break
Pairing: Theodore Bagwell x Michael Scofield
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, Non!Con
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Sona non era così male come prigione. L’importante era sapersi muovere, dire le cose giuste al momento giusto ed evitare di pestare i piedi sbagliati.
Note: Scritta per la
500themes_ita con il prompt “172. Avviso inascoltato”.
Note 2: Ambientata intorno alla 3x04
WordCount: 1914
fiumidiparole **
Sona non era così male come prigione. L’importante era sapersi muovere, dire le cose giuste al momento giusto ed evitare di pestare i piedi sbagliati. Michael avrebbe voluto dire molte cose a Mahone, primo su di tutto il resto ringraziarlo per avergli salvato il culo, eppure c’era sempre qualcosa che lo metteva in allerta.
Aveva ben compreso di che cosa soffriva il più grande ed era semplicemente crisi di astinenza. Da che cosa doveva ancora trovare il coraggio di chiederglielo, ricordava di avergli visto prendere delle pasticche la prima volta che si era messo in mezzo alla sua fuga verso Panama, ma poi il tutto era finito nel dimenticatoio.
Raggiunse la sua cella e lo vide raggomitolato su sé stesso e decise che era arrivo quel momento. Parlargli sarebbe stata l’unica soluzione perché lui era intenzionato ad andarsene da quel buco, con o senza il pacco speciale della Compagnia.
Si sedette sul ciglio del letto e lui si voltò all’improvviso verso di lui, osservandolo come se si trovasse di fronte il fantasma di un morto e Michael si chiese se fosse il fantasma di Tweener, ma non aveva voglia di discutere.
L’ultima volta che ci aveva provato, due giorno dopo il loro arrivo a Sona, erano finiti a rotolarsi nel letto come animali e da quel momento si erano evitati come la peste.
Michael era ossessionato da quei minuti che avevano passato insieme e avrebbe voluto estirparli dalla propria mente perché non era così che funzionava il gioco. Loro due erano come il gatto e il topo e dove si è mai visto un gatto e un topo intrattenere alleanze sessuali?
Da nessuna parte. Era quello il problema principale di Michael. Era stato attirato a Panama City due minuti prima della partenza con Lincoln e nemmeno un’ora dopo si ritrovata in carcere con un’accusa di omicidio sulla testa.
No. Quello non avrebbe dovuto incoraggiare la sua voglia di fare sesso con Alex. Nemmeno ricordarsi che aveva ucciso il padre avrebbe dovuto incoraggiare la sua voglia di farci sesso, eppure stava accadendo.
Tutto quello che Alex aveva fatto nelle ultime settimane, tutte le persone che aveva ucciso, tutti i segreti che nascondeva, non riuscivano a farglielo dimenticare e ormai il ragazzo era abbastanza convinto che nulla ci sarebbe riuscito.
Allungò quindi una mano verso di lui, tirandogli via i capelli da davanti il volto e osservandolo mentre si aggrappava al suo braccio, mentre tentava di respirare e mentre cercava di resistere alla voglia di droga che lo stava divorando dall’interno.
« Michael… » ansimò il più grande « Ne ho bisogno, adesso. E’ l’unica cosa che può salvarmi. »
« Non ho la droga, lo sai bene. »
L’altro ridacchiò. Lentamente, sommessamente. Come un pazzo. Ma a Michael non faceva paura. Solo tristezza.
« Non parlo di droga. » la mano dell’uomo salì piano dal suo braccio fino al volto, fino a che non lo afferrò quasi delicatamente per il collo, tirandolo poi verso il basso.
« Voglio il tuo corpo. Adesso. »
Michael socchiuse gli occhi. Ne aveva voglia anche lui. Non aveva fatto altro che pensarci, era ossessionato. Ogni volta che tentava di dormire c’erano quei momenti che gli apparivano davanti, tormentandolo.
Forse anche Michael stava diventando uno droga e la cosa che lo spaventava di più era che la sua dipendenza fosse proprio Alex.
T-Bag sapeva di avere molti difetti, più o meno visibili. Uno di questi era il suo evidente problema di gestione della rabbia. Lo sguardo gli si annebbiava, iniziava a vedere tutto distorto e si lasciava guidare dalla furia.
Poi di solito raccoglieva i cocci di quello che era rimasto, scuoteva le spalle e tirava di nuovo dritto per la sua via. In quel momento decise che forse avrebbe fatto un grande sforzo di volontà, perché per una volta voleva godersi quei momenti.
Aveva solo bisogno di qualcosa di abbastanza forte da stendere un cavallo e il gioco sarebbe stato fatto. Camminò velocemente lungo i corridoi di pietra e sabbia della prigione prima di raggiungere la cella di un gringo che si travestiva da femmina, rubargli l’acetone delle unghie e tornare di filato da Lechero, prima che qualcuno, più nello specifico Sammy, si rendesse conto della sua assenza.
Il resto del suo piano era già praticamente tutto scritto nella sua mente. Doveva solo attendere. Aveva atteso quasi due mesi, avrebbe potuto aspettare qualche ora.
Aveva già detto a quel bel faccino di Michael che non sarebbe sfuggito. Fox River era stato un contrattempo, uno di quegli ostacoli che si possono, alla fine, eludere.
E Michael avrebbe capito quanto era serio e pericoloso T-Bag. E avrebbe rimpianto il non avergli dato retta subito.
Quando Michael aprì gli occhi non comprendeva bene dove si trovava. Era buio, puzzolente e umidi. Udì un lieve sciabordio d’acqua e aprendo meglio gli occhi si rese conto di essere nelle fogne.
Si alzò a sedere nell’unico piccolo passaggio pedonale che c’era al lato, all’asciutto, prima di vedere T-Bag spuntare fuori dall’ombra. Alzò un braccio per fargli cenno di andarsene e lasciarlo solo, ma il suo corpo non rispondeva ai comandi del cervello e tutto gli sembrava così incredibilmente pesante che anche tenere gli occhi aperti era difficile.
L’uomo si avvicinò a lui, montandogli sopra e Michael non riuscì nemmeno a dargli una spinta, ricadendo sdraiato a terra. L’uomo si piegò su di lui, passando il naso sulla sua pelle, inspirando il suo odore e poi all’improvviso lo afferrò per la gola, stringendo con forza.
« Pensavi di fregarmi, vero carina? » sibilò l’uomo ad un soffio dalla sua bocca e Michael avrebbe voluto allontanarsi, vomitare forse per il disgusto e la prospettiva di quello che sarebbe accaduto da lì a breve, ma non riuscì a muovere un solo muscolo e, come se non bastasse, il mondo intorno a lui continuava a girare.
« Così te la fai con il bell’agente dell’FBI, eh? Il distintivo non compensa la lunghezza, lo sai? Io invece… » fece scivolare un dito dalle labbra lungo il petto « Oh, non sai da quanto stavo aspettando questo momento, carina. »
« N-Non ti ci azzardare oppure… »
« Oppure? » lo interruppe il più grande « Urli? Ti ribelli? Chiami in aiuto il principe azzurro? Beh, sappi che non verrà. E’ steso nel suo letto a guardare le farfalle sul soffitto con una siringa di eroina piantata nel braccio. » montò di nuovo sopra di lui, afferrandogli la testa per i capelli « E adesso fai quello che fai anche a lui. E vedi non dimenticarti nulla. »
T-Bag spinse in avanti la testa del ragazzo, forzandogli la bocca e spingendo la propria erezione dentro di lui. Michael non riusciva a respirare e tanto meno a muovere le braccia per allontanarlo o afferrare quello che sembrava un spranga per piantarla nella sua testa.
Sentiva solo T-Bag che godeva, che si spingeva dentro la sua bocca e fu probabilmente la prima volta che maledisse sé stesso e la sua stupida idea di far evadere il fratello dalla prigione.
Lo sentiva muoversi, sentiva le sue dita che scivolavano sul corpo e quando riprese finalmente aria si disse che forse era finalmente tutto finito.
No. T-Bag aveva tutt’altro nella sua testa e lasciarlo andare via dopo un semplice pompino non era nei suoi piani. Lo voltò rapidamente verso terra, spogliandolo, e Michael sentì la propria pelle a nudo contro la terra.
Avrebbe voluto che dalla propria gola uscisse qualcosa di più dei suono inconsulti che ne uscivano, qualcosa come delle urla o forse delle implorazioni di lasciarlo stare. Ma forse l’altro non lo avrebbe ascoltato.
Anzi. Quando sentì le mani dell’uomo sulla sua schiena e quando sentì la sua lingua leccargli ogni singolo centimetro dei tatuaggi capì che non lo avrebbe mai ascoltato. Lo avrebbe usato, spolpato con la voracità con cui si mangia una coscia di pollo dopo giorni di digiuno e poi lo avrebbe abbandonato là.
La lingua e le mani dell’uomo scesero rapidamente e il più piccolo sapeva che non avrebbe avuto l’accortezza di prepararlo, così come faceva sempre Alex. Infatti dopo un paio di minuti sentì le sue mani allargargli le natiche e sentì di nuovo la punta della sua erezione contro di lui e non trovò nemmeno la forza di serrare le mani a pugno.
Di nuovo il fiato di T-Bag era contro il suo orecchio, mentre ansimava e gemeva.
« Sei pronto, carina? Dai, non sarà così terribile. Altri ragazzini al posto l’hanno presa con molta più filosofia. »
Non attese che due secondi prima di spingersi dentro di lui. Michael sentì il corpo scosso da una lunga scarica di dolore e rantolò dal dolore perché la voce non gli era ancora tornata e si accasciò a terra, serrando gli occhi.
Lo sentiva solo entrare e uscire. Entrare e uscire. Sentiva il suo gemiti, le sue mani e la sua erezione che lo stava letteralmente aprendo in due e avrebbe voluto morire.
Morire e non svegliarsi mai più, senza più bisogno di continuare a fare il duro, di sopportare tutto quel dolore inutilmente.
Ma T-Bag continuò. Continuò fino a che non venne, continuò ancora e ancora e ancora. Lo toccò, lo costrinse a prenderglielo in bocca, lo stuprò di nuovo e di nuovo. E anche quando gli tornò la voce Michael non riuscì a dire nulla. E anche quando sentì i suoi muscoli riprendere la giusta sensibilità rimase immobile, lasciandolo fare.
Sentiva il suo sperma scivolare lungo le cosce, lungo le guance, lungo le labbra. Sentiva la propria pelle appiccicosa, perché quel mostro aveva avuto voglia di venirgli il petto e sulla schiena.
Sentiva solo il disgustoso rumore mentre si spingeva dentro di lui, mentre godeva e lo toccava e ne era assolutamente sicuro, quei gemiti lo avrebbero tormentato finché non sarebbe morto.
Erano ore che sperava che si stancasse, che lo lasciasse stare, che considerasse compiuta la sua vendetta, ma nulla. Ogni volta che si avvicinava a lui T-Bag continuava a spingerglielo in bocca e lui lo succhiava, glielo leccava, aggrappandosi ai suoi fianchi per rimanere in ginocchio, per tentare di continuare a spirare nonostante sentisse la punta della sua erezione contro la gola.
Quando chiuse gli occhi, Michael sperò solo di svegliarsi in un altro posto. Magari di nuovo nella sua casa a Chicago, magari sulla sua barca con Lincoln nel bel mezzo dell’oceano.
Ovunque. Tranne che nelle fogne di Sona mentre T-Bag lo stuprava.
Al suo risveglio Michael era sempre là ed era da solo. Non aveva idea di quello che avrebbe fatto, non aveva idea di che cosa sarebbe successo da quel momento in avanti, ma di una cosa era sicuro.
Aveva voglia di vedere Alex, di stringersi a lui, di sentire l’odore della sua pelle, di sentirlo accanto a sé.
Entrò nella sua cella. Lo osservò dormire, mentre sulla piccola asse che fungeva da comodino si trovava una siringa stappata e un elastico malconcio. Alex aveva trovato la sua pace, il modo di potersi estraniare da tutto quello che lo circondava, senza doversi giustificare con nessun fantasma del passato, senza doversi guardare le spalle.
Michael prese la siringa, piena ancora per metà e la osservò. Si stese accanto ad Alex, ascoltando il suo respiro, socchiudendo gli occhi per dirsi che andava bene anche così, prima che il volto di T-Bag spuntasse fuori all’improvviso, ricordandogli che cosa era successo veramente quella notte.
Spalancò gli occhi, ansimando. Fissò il soffitto, poi di nuovo la siringa. Si fece ancora più vicino ad Alex e poi prese un profondo respiro, prima di tirarsi su la maglietta, osservando le vene nell’incavo del gomito.
Se Alex aveva trovato la propria pace, non vedeva perché non avrebbe dovuto trovare anche lui la propria.
Infilò l’ago sotto pelle e, finalmente, tutto si fece buio.
Finalmente intorno a lui, solo pace e silenzio.