[Hey!Say!Jump] Storia atipica fra padrone e servitore

Dec 16, 2012 23:01

Titolo: Storia atipica fra padrone e servitore
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: PG
Avvertenze: Slash, AU!
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Il suo lavoro richiedeva una certa discrezione, vivere facendo finta di non esistere e limitarsi a servire al meglio il proprio padrone.
Note: Scritta per la Maritombola di maridichallenge con il prompt “40. Buio/Luce.”, per la 500themes_ita con il prompt “46. Urlando in silenzio.” per la Zodiaco!Challenge di fiumidiparole per sconfiggere i mostri “Fez” e “Balam”, per la diecielode con il prompt “I want to exorcise the demon from your past” e per la Wish List di maridichallenge con il prompt di ichigo_85 "AU! Kei è un giovane figlio di papà e Kota un cameriere al servizio della famiglia Inoo."
WordCount: 3697 fiumidiparole

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Kota era sempre rimasto in disparte, per la maggior parte della sua vita. Il suo lavoro richiedeva una certa discrezione, vivere facendo finta di non esistere e limitarsi a servire al meglio il proprio padrone.
Anche quella mattina, come ogni altro giorno passato prima di quello, Kota si trovava nelle cucina ad aspettare che la cuoca si decidesse a versare la cioccolata calda dentro la tazza del suo padrone.
Sbuffò, spazientito. Eppure tutti in quella casa, servitori e non, sapevano quanto potesse diventare intrattabile il padrone quando le cose non andavano esattamente come voleva lui. Il suo carattere era sempre stato abbastanza scontroso, complici la noia, i vizi e il denaro che caratterizzano i figli dei ricchi signori della società.
E Inoo Kei, a detta del suo servitore personale, incarnava perfettamente la figura del principino viziato. Da quando aveva iniziato a prestare servizio nella casa Inoo, le sue giornate avevano smesso di essere tranquille.
Irritato, si voltò di nuovo verso la cuoca, che era sempre intenta a cuocere la carne per la sera.
« Allora, la cioccolata per Kei - sama? » domandò in un sibilo alzandosi in piedi dalla sedia su cui era seduto « Yuko, il padrone la sta aspettando già da sei minuti. » ringhiò.
La signora, una donna che aveva da un po’ di anni superato la mezza età e indossava la divisa delle cameriere, lunga fino alle caviglie. Si girò più seccato di lui, brandendo con aria minacciosa un mestolo che odorava di curry.
« Kota, hai idea di come funziona il mio lavoro? L’altra cuoca oggi non è in servizio e ho mille cose da fare. »
« Il padrone sta aspettando la cioccolata calda. E nessuno di noi vuole che si irriti vero? » domandò ancora con tono eloquente.
La donna rimase un secondo perplessa, poi sbuffò e, borbottando qualcosa sui ragazzini viziati, afferrò il pentolino dentro cui stava cuocendo la cioccolata e la versò dentro una tazza finemente decorata, appoggiandola sul vassoio di Kota, dove aspettavano biscotti.
« Grazie. » commentò sarcastico Kota scappando verso la stanza del padrone.
Le cucine non erano lontane dalle stanze dei padroni di casa, ma il cameriere sperava che la cioccolata non si raffreddasse troppo.
Salì rapidamente la rampa di scale che lo avrebbero condotto al piano superiore, dove si trovavano le stanze e si fermò di fronte ad una porta in fondo al corridoio. Prese un profondo respiro e poi bussò.
Attese qualche istante sperando di ottenere una risposta, ma poi ci rinunciò ed entrò. Come ogni giorno rimase immobile sulla soglia per un secondo, strizzando gli occhi per abituarli velocemente all’oscurità quasi totale della stanza, prima di muovere qualche passo all’interno della stanza e raggiungere speranzoso la scrivania ingombra.
« Kei - sama, ti ho portato la cioccolata calda. » esordì prendendo una bustina di zucchero e iniziando a girare il cucchiaino lentamente.
Dal mucchio di coperte ammassate sul letto, dove sotto si trovava il suo padrone, non giunse nessun suono. Kota trattenne un sospiro e si massaggiò le tempie, chiedendosi quando quel periodo sarebbe concluso.
Erano ormai due mesi che la situazione era precipita, da quando il suo padrone era stato rapito per ricattare il padre, potente uomo d’affari. Si avvicinò al letto appoggiando una mano sul primo strato di coperte e scuotendolo lentamente..
« Kei - sama, ti ho portato la cioccolata calda. » ripeté lentamente, con voce più tranquilla « E ci sono anche i biscotti se li vuoi. Li ha fatti la cuoca questa mattina, sono buonissimi. » tentò di dirgli per stimare la sua attenzione.
Lentamente qualcosa si mosse e Kota vide poco dopo spuntare delle dita lunghe e affusolate da sotto le lenzuola, fino a che vedere poi mezzo volto di Kei, che lo guardava con uno sguardo a metà fra l’arrabbiato e il curioso.
« Hai mangiato di biscotti di Yuko? » chiese alzando un sopracciglio tirando giù il lenzuolo fin sotto il mento.
« S-Sì… non ho pranzato e quindi… »
« Hai mangiato i miei biscotti Kota? » esclamò ancora interrompendolo.
Kota socchiuse gli occhi. Sapeva che ci sarebbe sicuramente stato qualcosa per il quale Kei si sarebbe arrabbiato con lui. Si alzò in piedi e poi prese velocemente il vassoio portandolo verso il padrone.
« La cuoca l’ha tolta dalla pentola pochissimi minuti fa. Ha l’aria di essere buonissima, vero? » domandò ancora spingendo il vassoio verso il ragazzo.
Quest’ultimo non rispose e si tirò su a sedere, appoggiandosi con la schiena contro il muro, prendendo bruscamente il vassoio e appoggiandoselo sulle gambe distese.
« Almeno questa non l’hai assaggiata, vero? » chiese con tono canzonatorio.
« No Kei - sama. » rispose Kota sospirando di nuovo, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la grande finestra che dava sull’enorme giardino della villa.
« Non aprirla! » urlò il più piccolo, quando vide il servitore afferrare la tenda.
« Kei - sama, devo aprire la finestra. Deve entrare un po’ di luce e di aria qua dentro, non uscite quasi mai. » si guardò intorno « E poi dovresti permettermi di sistemare. Siamo nella tua stanza, non nelle cantine. »
« Fai quello che ti pare. » commentò il padrone agitando distrattamente una mano, tornando a dedicare la sua attenzione alla cioccolata che stringeva ancora fra le mani.
Kota sospirò di nuovo, decidendo da dove partire per poter dare almeno una parvenza di ordine a quella stanza che di ordinato non conosceva nemmeno il nome. Dopotutto, si disse, una stanza rispecchia colui che ci abita.
Se il padrone per primo non aveva fatto pace e ordine con il proprio passato, come poteva sperare che tenesse in ordine anche il resto della sua vita?

**

La quotidianità di Kota nella grande villa della famiglia Inoo era sempre la stessa. Lo era sempre stato fin dal primo giorno in cui vi aveva messo piede e lo era stato per anni, almeno fino a quando dei folli non avevano ben pensato di rapire il suo bocchan e tenerlo chissà dove per più di un mese.
La sua e la loro vita da quel momento era cambiata, stravolta da una violenza a cui nessuno dei due era abituato. Kei aveva molti difetti, il bocchan stesso ne era consapevole, ma Kota aveva smesso da tempo di prestarci troppa attenzione. Aveva imparato ben presto che dietro ogni difetto si celava, abbastanza bene doveva ammettere, un pregio che rendeva speciale il suo padrone.
Ma dopo quella prigionia sembrava che ogni gioia di vivere, ogni pregio, ogni eleganza e ogni scintilla di amore o sentimento avessero smesso di albergare in quel corpo raffinato, che lui vedeva ancora puro e immacolato.
Così per anni aveva sempre visto Kei. Puro come un dipinto appena disegnato sulla tela e nulla, nemmeno i lividi, i graffi, il sangue o i segni delle molestie riuscivano a cancellare dal candore della sua pelle quel candore che lo aveva sempre contraddistinto.
Invece Kei non si vedeva più nello stesso modo. Osservava il suo riflesso nello specchio, la sua pelle, i suoi capelli e il suo corpo e vedeva solo sporcizia. Ricordava ogni graffio, ogni goccia di sangue versata, ogni volta che qualcuno dei suoi aggressori di era spinto dentro il suo corpo e si odiava. Erano tutte macchie. Macchie che non andavano via, macchie che lo rendevano ancora più insulso di quello che era.
Odiava quella pelle e quel corpo che ispirava violenza, odiava la linea delle proprie mani, odiava il suo volto.
E Kota non riusciva a fare nulla per impedirgli di farsi del male, cosa che i primi tempi accadeva con una frequenza che lo allarmava. A volte entrava dentro il bagno privato del padrone e lo trovava seduto a terra nel vano della vasca, nudo, mentre l’acqua bollente gli ustionava la pelle, mentre con un coltello cercava di strapparsi lembi di pelle, tentando di amputarsi quelle dita che considerava peccaminose, mentre tentava di mutilare il proprio corpo, covo di troppa impurità e troppa sporcizia perché potesse vivere ancora.
E Kota ormai aveva perso il conto delle volte che lo aveva salvato, consolato, asciugato e rivestito, medicato le ferite, tentato di convincerlo che non era lui il problema, che non era colpa sua se il mondo che li circondava era pieno di malvagità.
Eppure ogni volta, sistematicamente, lo trovava nelle stesse condizioni, mettendo Kota stesso di fronte all’evidenza del suo fallimento.
In quel momento, era più di un mese che le cose scorrevano abbastanza tranquillamente per Kei e Kota. Solo ogni tanto c’era qualche brusco risveglio nel cuore della notte, dove Kota si scapicollava nella stanza del più piccolo perché aveva avuto degli incubi e piangeva disperato e mentre lo stringeva a sé e tentava di calmarlo Kota riusciva a sentire tutte quelle urla silenziose che si agitavano dentro il piccolo corpo del bocchan e più le sentiva gridare, più gli veniva voglia di fare qualunque cosa per aiutarlo.
Fin dalla prima volta che si era ritrovato faccia a faccia con i demoni che albergavano ormai dentro la mente di Kei, Kota si era ripromesso che avrebbe fatto di tutto per esorcizzarlo, per mandarli via, perché tutto si potesse sistemare e lui tornasse a servire il padrone che aveva sempre conosciuto.
Tutto andava bene in quel periodo. Né crisi, né tagli sul suo corpo, né niente.
Ed era pieno di quei buoni propositi che quel giorno si era arrischiato ad entrare nella stanza di Kei senza essere stato chiamato, per trovarlo chino sul suo pianoforte, intento a suonare e immerso nel suo mondo.
Kota non lo sentiva suonare da anni. Kei aveva lentamente perso interesse per lo strumento musicale appena entrato nell’adolescenza e si stupì di vedere quelle dita che il padrone odiava tanto muoversi con eleganza e leggerezza e sapienza sui tasti bianchi e neri che emettevano melodie così tristi da fargli stringere il cuore in una morsa dolorosa.
Stava per richiudere la porta quando sentì la musica interrompersi bruscamente e la voce del padrone chiamarlo a voce alta, quasi con tono di rimprovero. Ma Kota ormai riconosceva ogni singola sfumatura della voce del più piccolo e sentiva che quella era più sorpresa e stupore che realmente arrabbiata.
« Che ci fai qua? » domandò il suo padrone alzandosi dal letto e avvicinandosi alla scrivania, prendendo una sigaretta e iniziando a fumare lentamente.
Kota dovette distogliere a fatica lo sguardo. Aveva sempre trovato Kei terribilmente eccitante e crescendo quella eccitazione non aveva fatto altro che aumentare. Mantenere il controllo era sempre difficile, specialmente quando Kei non faceva assolutamente nulla per raggiungere quello scopo.
« Nulla di particolare Kei - sama. » mormorò con voce roca tentando di recuperare il dovuto contegno di un servitore personale « Volevo solo sapere se avevi la giornata libera e o se hai già preso altri impegni privati. »
Vide Kei alzare un sopracciglio sospettoso e già Kota si stava maledicendo per quella sua improvvisa intraprendenza.
« Dove vuoi che vada Kota? Non esco da questa stanza da mesi. » rispose sarcastico posando la cenere nel portacenere accanto alla sua mano.
« E’ vero è stata una domanda stupida da parte mia. » ammise mordendosi la lingua e chinando lo sguardo « Insomma ti va di venire con me al parco divertimenti? Ormai stai abbastanza bene e ti farebbe bene cambiare aria, prendere un po’ di sole e tentare di lasciarti tutto alle spalle, no? »
Kota osservò il volto del padrone farsi sempre più bianco e scivolò velocemente nel panico.
« Ma ovviamente la mia è una richiesta priva di senso. Scusami Kei - sama, non era mia intenzione offenderti. Puoi rifiutare tranquillamente, anzi, dimentica tutto quanto. » si affrettò ad aggiungere voltandosi verso la porta.
« Aspetta. » lo fermò il più piccolo tendendosi verso di lui come se solo quel gesto potesse fermarlo.
E così effettivamente fu, anche perché ormai Kota reagiva in automatico ad ogni parola del suo padrone.
Rimase quindi immobile sulla soglia, aspettando con l’aria di un condannato che attende di sapere la sentenza.
« A me va bene. » udì con voce flebile « Effettivamente avevo voglia di uscire un po’ oggi. C’è un sole bellissimo, non trovi Kota? » mormorò poi voltandosi verso la finestra, riprendendo a fumare.
Il più grande si voltò verso di lui, sorridendogli.
« Lo trovo meraviglioso Kei - sama. Vado a prenderti i vestiti. » commentò poi dirigendosi immediatamente verso il grande armadio a muro che occupava quasi metà stanza.
Aprì le ante, osservando con minuziosa cura ogni indumento, prendendo solo quelli che sembravano aver passato un difficilissimo esame nella mente del servitore. Kei era rimasto seduto sulla scrivania, continuando a fumare, osservando come il più grande riuscisse a trovarsi incredibilmente a suo agio nel suo ruolo.
Chinò la testa, guardandolo divertito. Ogni giorno che passava si sentiva sempre più fortunato nell’averlo accanto e sapeva che era solo grazie a Kota e alla forza che gli donava giorno dopo giorno se era riuscito a superare quel periodo buio.
Fu in quel momento che si rese conto di quanto fossero diversi. Kota per lui era sempre stata la luce. Una luce di quelle intense, che riesce ad accecarti ma anche ad indicarti la strada, a darti sostegno.
Era sempre stato luminoso Kota, fin dal primo momento che lo aveva visto e aveva deciso che sarebbe stato lui il suo servitore.
Kota era la luce e Kei era il buio. Buio come le tenebre, come la notte, un buio impenetrabile che pensava che nemmeno la luce più vigorosa sarebbe stata in grado di attraversare.
Buio e luce che vivevano sotto lo stesso tetto e che giorno dopo giorno andavano avanti, cercando di capire perché si trovassero su quella terra.
« Kota… » chiamò mentre non aveva staccato nemmeno per un momento gli occhi dal servitore, ignorando perfino la sigaretta che, abbandonata a sé stessa nel posacenere, continuava a bruciarsi.
« Sì Kei - sama? » domandò Kota senza alzare gli occhi dal letto, dove aveva già steso qualche pantalone, qualche maglione e un paio di camice.
« Grazie. » sussurrò, forse desiderando di non farsi udire.
Kota alzò lo sguardo verso di lui, stupito.
« E di che cosa? » ridacchiò « Kei - sama, sappiamo tutti e due che sono io a dover ringraziare te e la tua gentilezza. E’ grazie a te se sono vivo. Nulla di più. »
Il più piccolo avrebbe voluto replicare, dirgli che in realtà quando lo aveva salvato era stato solo un gesto egoistico, che la persona veramente sincera era solo lui, perché gli voleva bene incondizionatamente, fregandosene dei suoi soldi, della sua posizione sociale e di tutto resto.
Sapeva che Kota gli voleva bene in maniera sincera, così come solo un bambino avrebbe potuto fare e avrebbe tanto voluto dirglielo, ma l’altro non gliene diede il tempo, alzando davanti a lui due camicie.
« Preferisci la camicia bianca oppure quella color panna? » chiese ingenuamente.
Kei lo fissò per un secondo e poi scoppiò a ridere.
« Quella bianca, grazie. »
Prese un’altra sigaretta, senza riuscire a smettere di sorridere. Era da tempo che non si divertiva e forse avrebbe dovuto concedere a sé stesso un’altra occasionsce per redimersi, se non agli occhi di Kota, almeno ai propri.

**

Il parco divertimenti era più bello di quello che si ricordava, Kei doveva ammetterlo. Non vi metteva piede da quando aveva quindici anni, causa il lavoro e le pressioni da parte della sua famiglia.
Per anni si era precluso qualunque svago, pensando che in questo modo tutto sarebbe stato molto più semplice solo per scoprire, infine, che nulla delle cose in cui credeva aveva molto senso.
In fondo, l’unico che era stato davvero vicino, era stato Kota. In quel momento erano seduti ai tavolino di un bar, Kei si stava gustando un frullato, mentre il servitore stava bevendo un semplice caffè e gli indicava le attrazioni che erano segnate sulla mappa del parco, dicendogli quali erano secondo lui le più divertenti.
« Voglio tornare sulle montagne russe. » gli disse all’improvviso, indicando la figura del gioco sulla mappa e accendendosi una sigaretta.
Kota alzò lo sguardo e lo fissò, sorridendogli.
« Va bene. Dopo potremo andare sulla ruota panoramica oppure sulle tazze girevoli. » ridacchiò, osservando il loro pranzo « Ma probabilmente ci sentiremo male se ci andassimo adesso. »
« Per ora andiamo sulle montagne russe, dopo voglio andare ai videogiochi. » affermò di nuovo.
« Perfetto, mi piace come piano. » gli sorrise ancora e si alzò in piedi, stiracchiandosi e buttando i resti del pasto nel cestino « Desideri qualche altro dolce Kei - sama? »
« No grazie. » gli porse il contenitore del frullato vuoto « Ne prenderò un altro prima di andarcene, ricordamelo. » gli ordinò poi.
Aspettò che Kota tornasse seduto di nuovo davanti a lui e incrociò le mani sul tavolo.
« Kota, prima volevo dirti ciò che non sono stato capace di dire stamattina. Io ti sono davvero grato per tutto quello che fai per me, per essermi stato vicino, senza aspettarti nulla in cambio. Ti sei sorbiti i miei vizi, i miei capricci, le mie crisi e i miei insulti. Sono sincero e serio quando ti dico che tu sei l’unica cosa che mi ha riportato in vita e… ecco, volevo solo ringraziarti. »
« Kei - sama, sei davvero stupido quando ti ci impegni. » rise l’altro senza alzare gli occhi su di lui « Io ti ho già detto che se sono qua accanto a te è solo per merito tuo. Mi hai teso una mano nel momento peggiore della mia vita e starti accanto è solo un modo per ripagare un debito che non verrà mai saldato del tutto. »
« Kota, il mio salvarti è stato egoistico e lo sai. Volevo qualcosa di nuovo e tu eri là. Ero piccolo e tu ero come un giocattolo nuovo. Tu invece mi hai sempre voluto bene. Mi sei stato vicino perché lo volevi, non perché dovevi. »
« Ah… un bocchan come lei non dovrebbe dire così sconvenienti. » lo prese in giro Kota, forse arrossendo lievemente.
Ciò che Kei aveva detto non era poi così sbagliato. Fin dal primo istante in cui si erano visti, Kota aveva provato un attaccamento morboso verso quel ragazzino di appena nove anni. Non che lui fosse molto più grande, ma c’era stato qualcosa negli occhi di Kei lo aveva trovato come magnetico.
Kota all’epoca aveva dodici anni e non aveva una casa. Era scappato dall’ultima famigli adottiva perché colui che doveva fargli da padre non faceva altro che picchiarlo e dopo essere stato portato per l’ennesima volta all’ospedale per farsi curare i graffi e le ferite era scappato senza lasciare traccia.
Quel giorno si trovava sotto ad un ponte, poco fuori dal caos della città e stava sgranocchiando delle patatine rubate ad un bar poco prima. Aveva per caso alzato gli occhi dal suo pranzo solo perché aveva sentito una macchina fermarsi dall’altro lato del fiume.
Vide scendere il bambino, di cui ancora non sapeva nulla ed era rimasto come incantato, affascinato da quegli occhi che sembravano di ghiaccio mentre si fissavano intensamente.
Poi era accaduto. A causa della pioggia torrenziale di qualche giorno prima, la zolla di terra su cui si trovava il ragazzino era leggermente franata e lui era scivolato nel fiume. Kota attese qualche secondo, ma si accorse ben presto che l’autista non si era ancora accorto della caduta in acqua del ragazzino così aveva preso ben presto una decisione.
Togliendosi il giacchetto si era buttato in acqua, giusto in tempo per notare che finalmente l’uomo si era accorto di loro.
Ma alla fine a salvarlo fu Kota e quando raggiunsero la riva gli strapparono il ragazzino dalla braccia, portandolo immediatamente all’ospedale.
Dovette aspettare solo qualche ora. A pomeriggio inoltrato dalla sua parte del fiume si fermò una macchina, uguale a quella del pranzo, dalla quale scese un uomo, raffinato ed elegante.
Si fermò a pochi passi da lui, per poi inginocchiarsi in maniera reverenziale di fronte a lui, ancora troppo sconvolto perché potesse capire le motivazioni di quel gesto.
« Grazie per aver salvato mio figlio. » aveva sussurrato solo il padre del ragazzino.
E Kota si sentiva a disagio di fronte a quell’uomo che doveva essere così importante che rimaneva umilmente inginocchiato di fronte a quello che era ormai in tutto e per tutto un senzatetto.
« Ho fatto delle ricerche su di te. » aveva aggiunto poco dopo « Per la strada ti accadrebbe sicuramente qualcosa di brutto. Posso offrirti un lavoro, se lo vuoi. Mio figlio ti vuole come servitore personale. Ormai sta crescendo, e ha bisogno di qualcuno che si occupi di lui. Ovviamente sarai pagato, profumatamente e non ti dovrai più preoccupare di cibo, acqua o di dove dormire. Starai nella mia villa, ovviamente. »
Kota non si era lasciato sfuggire quell’occasione. Aveva annuito e dal giorno successivo era finalmente tornato a vivere.
Avrebbe voluto dire a Kei che non doveva pensare di essere stato da meno accentandolo come servitore, ma già sapeva che non sarebbe servito a nulla.
« Facciamo così Kei - sama. » disse poi portandogli un secondo frullato e tenendosene uno per sé « Diciamo che adesso siamo pari, ok? Tu hai salvato me e adesso io ho salvato te. Direi che è un buon compromesso. »
Kei parve rifletterci su, mentre beveva assorto il suo frullato, poi lo vide annuire, alzarsi e mettersi vicino a lui. Si sporse lievemente verso il servitore, poggiando le sue labbra su quelle di Kota, il quale rimase immobile, le braccia distese lungo il corpo, troppo stupito per fare qualunque cosa.
Quando il più piccolo si allontanò dal servitore, si appoggiò ridacchiando al tavolo dietro di lui.
« L’ho sempre visto come mi guardi Kota. » lo prese in giro, con tono canzonatorio « Mi piaci. E’ sbagliato tutto questo? » domandò poi, alzando un sopracciglio.
Ma l’altro non gli rispose, limitandosi a prendergli delicatamente il volto fra le mani, baciandolo dolcemente, ancora e ancora e ancora, ascoltando le risatine di Kei fra le loro labbra, nutrendosi di tutto quello che riusciva a toccare o a percepire.
« Ti amo. » ammise guardandolo negli occhi, come se tutto il resto o il mondo che li circondasse non contasse più nulla.
« Anche io Kota. Rimani sempre accanto a me, ti prego. » mormorò Kei abbracciandolo e facendosi stringere fra le sue braccia.
« E’ il mio lavoro Kei - sama. Ma comunque non mi allontanerei da te per nessuna ragione al mondo. »
Kei si allontanò leggermente e poi sorrise, stiracchiandosi.
« Allora, questo montagne russe? » chiese incamminandosi.
Kota lo seguì, ridacchiando e stringendogli la mano. Era felice.
Incredibilmente e molestamente felice, ma in fondo che cosa gli importava? Aveva Kei e adesso il suo mondo era veramente perfetto.

Fine

challenge: 500themes ita, challenge: maritombola 2012, pairing: yabu x inoo, fandom: hey!say!jump, challenge: wish list 2012, challenge: zodiaco!, challenge: diecielode {wtunes desires}

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