Titolo: Do you ever feel already buried deep?
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Takaki Yuya x Chinen Yuri
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, AU! ('verse yakuza. vai a *
questo* link per ulteriori informazioni)
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Yuri si svegliò nel cuore della notte di soprassalto. Aveva il respiro affannato, sentiva il sudore scivolargli lentamente lungo le tempie e la basa della nuca e si guardava intorno, terrorizzato, cercando di scorgere delle figure nel buio della stanza.
Note: Scritta per la
diecielode con il prompt “I want to reconcile the violence in your heart” e per la
500themes_ita con il prompt “419. Alba su un’anima”
WordCount: 3.064
fiumidiparole **
Yuri si svegliò nel cuore della notte di soprassalto. Aveva il respiro affannato, sentiva il sudore scivolargli lentamente lungo le tempie e la basa della nuca e si guardava intorno, terrorizzato, cercando di scorgere delle figure nel buio della stanza.
Impiegò un paio di secondi per riprendersi, socchiudendo gli occhi per tranquillizzarsi e portandosi poi le mani sul volto. Si lasciò ricadere nel letto, cercando di metabolizzare che in realtà nella stanza non c’era nessuno, che era da solo e che in realtà le ombre che vedeva era solo frutto dei suoi incubi.
Passò qualche minuto da solo, ascoltando solo i rumori che provenivano dalla strada sottostante.
Era a dormire da Kota e Kei che, a differenza del proprio, abitavano in un appartamento al secondo piano di un condominio, che dava sulla strada principale di Kabuki-chō. I primi tempi, quanto abitava da loro perché Yuya lo aveva abbandonato, non riusciva a dormire, complici il rumore assordante delle macchine e gli incubi che lo torturavano ogni volta che chiudeva occhio.
Nel suo appartamento invece, quello che divideva con Yuya, non si sentiva nessun rumore molesto. Abitavano in un grattacielo, abbastanza lontani dalla strada da non essere disturbati dai rumori diurni e notturni e fin dai primi tempi, superato il trauma dell’essere stato comprato da Yuya, dormiva sonni più o meno tranquilli.
Veniva da San’ya, dove aveva imparato a dormire con un occhio chiuso e uno aperto, perché poteva capitarti davvero di tutto.
In quel momento però, la cosa che lo disturbava più di tutti erano gli incubi. Era tornato a vivere con Yuya, ma quei sogni non erano ancora scomparsi. A volte, più raramente ormai, si svegliava urlando. Le altre volte invece, come in quel caso, si svegliava semplicemente di soprassalto, cercando di sfuggire da quelle ombre che popolavano solo i suoi sogni.
Quando si fu ripreso decise di andare a mangiare qualcosa. Era notte fonda, ma a cena aveva mangiato poco e nulla e in quel momento sentiva i morsi della fame stringergli dolorosamente e rumorosamente lo stomaco.
Infilò le ciabatte ai piedi, dirigendosi svogliatamente verso il salotto per raggiungere poi la cucina.
Pensava di essere completamente da solo, invece quando raggiunse il divano trovò Kota sdraiato che guardava svogliatamente la televisione.
« Come mai sei sveglio? » domandò a voce bassa, facendolo voltare verso di lui.
« Yuri, mi hai spaventato. » esclamò il più grande alzandosi a sedere « Non ho molto sonno, pensavo di riuscire ad addormentarmi guardando la televisione. »
« C’è qualcosa di interessante? » chiese Yuri sedendosi al suo fianco.
« Niente di che. » scrollò le spalle lo yakuza « E tu come mai sei sveglio invece? »
Yuri rimase qualche secondo in silenzio, cercando di ponderare come rispondergli. Non aveva particolarmente voglia di sfogarsi con lui sui suoi incubi, per l’ennesima volta.
Quando abitava da loro, mentre Yuya era a Sendai, si era aperto più di una volta con il più grande, parlandogli di come si sentiva, dei suoi incubi, della paura che provava quando si trovava da solo.
E dopo quei mesi non se la sentiva di vomitargli addosso i suoi problemi, ancora e ancora.
« Ho fame. » distolse lo sguardo fissando il pavimento « Mi dispiace non aver cenato, ma proprio non me la sentivo. »
« Tranquillo. Ti abbiamo tenuto da parte la cena. Andiamo dai, così mangio qualcosa anche io. »
Yuri annuì, seguendolo in cucina e iniziando a bere la zuppa di miso riscaldata al microonde e a mangiare un po’ di carne. Yabu accanto a lui spiluccava un po’ di pane al melone che avevano comprato lui e Kei quella mattina.
« Hai solo fame? » domandò all’improvviso il più grande senza osservarlo direttamente.
Yuri scosse le spalle.
« Sì perché? » chiese a sua volta fingendo un’indifferenza che non provava.
« Chiamalo istinto. Oppure abitudine. Kei… » lasciò cadere la frase, osservando assorto la porta dalle loro stanza da letto « Ci sono abituato, lo sai. »
« Ho avuto solo un incubo. Niente di particolare. »
Kota annuì e Yuri si chiese a che cosa stesse pensando realmente. Quando Yuya era partito per quel viaggio di lavoro aveva tentennato per qualche minuto. Il fidanzato gli aveva chiesto se preferiva rimanere da solo a casa o se doveva accordarsi con Kota e Yuri e in quel momento si era sentito un po’ come il figlio scemo che bisogna sbolognare a qualche babysitter.
Non gli era piaciuta quella sensazione quindi si era finto più forte di quello che era realmente e aveva mentito, dicendogli che non c’era nessun problema nel rimanere da solo. Tuttavia Yuri non era più abituato a quella solitudine che gli faceva compagnia prima dello stupro di Yamada.
In quel momento aveva paura della solitudine, aveva paura di rimanere da solo. Da quando si era risvegliato a casa di Kota e Kei, dopo quelle giornate terribile in balia di Yamada, non aveva passato un solo minuto da solo. Nemmeno uno.
La giornata senza Yuya era passata abbastanza tranquillamente. Non era uscito di casa, limitandosi a mangiucchiare un po’ di patatine davanti alla televisione, fingendo di studiare quando Yuya lo chiamava per sapere come stava.
Poi era scesa la notte. Verso sera, quando il sole era già calato, aveva iniziato a guardarsi intorno con fare circospetto, come se aspettasse che qualcuno spuntasse all’improvviso da dietro una porta per assalirlo.
Si era fatto forza, con tutto sé stesso e aveva resistito fino a notte inoltrata. Poi aveva sentito un rumore fuori dalla porta blindata. Aveva sentito dei colpi, sempre più forti e lui si era rifugiato dentro lo stanzino.
Sentiva dei passi, passi che lo inseguivano, mani che lo afferravano, che lo prendevano per spingerlo sempre di più nel suo abisso degli orrori.
Infine si era svegliato. Grondava sudore e si ricordò di essersi addormentato sul pavimento, mentre guardava il soffitto e pensava a Yuya, alla sua vita, a come fare per cambiare e per tornare a vivere una vita normale.
Si era addormentato e gli incubi erano tornati prepotentemente a galla. Aveva chiamato Kota, terrorizzato, cercando di dissimulare la propria paura, pregandolo di venirlo a prendere, chiedendogli se poteva rimanere da lui fino a che Yuya non tornava.
E in quel momento stava da loro da tre giorni. Non ci riusciva, era più forte di lui.
E sapeva che non poteva andare avanti in quella maniera, oppure avrebbe raggiunto l’auto distruzione. Si odiava per quella debolezza, perché non lo era mai stato. Aveva affrontato tutti gli ostacoli a testa alta, anche quelli peggiori, perché non era intenzionato a farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
Eppure non capiva perché non riuscisse a riprendersi dopo ciò che gli aveva riservato quel ragazzino. Avrebbe voluto odiarlo, ma odiava solo sé stesso.
« Vuoi parlarne? » domandò Kota all’improvviso « Dei tuoi incubi intendo. »
Yuri scosse la testa.
« No, io… » strinse le mani intorno alla ciotola di miso « Io non capisco. Non capisco perché continuo ad avere… » s’interruppe.
Anche solo pensare di dire a voce alta quella parola, di esprimere quello che provava e renderlo così ancora più reale, lo infastidiva.
« Paura? » terminò però per lui Kota.
Il più piccolo socchiuse gli occhi, annuendo lentamente. L’altro si avvicinò a lui, posandogli una mano sulla spalla.
« Andiamo a letto. Ormai è tardi e domani abbiamo tutti da lavorare. »
Yuri annuì, di nuovo, mordendosi un labbro. Svuotò la ciotola con la zuppa e poi si alzò in piedi, dirigendosi di nuovo verso la sua stanza, dopo aver salutato velocemente il padrone di casa.
Si stese di nuovo nel letto, accendendosi una sigaretta. Poi allungò una mano verso il comodino, prendendo il telefono.
Aveva voglia di sentire la voce di Yuya, di farsi coccolare un po’, consolare forse. Era notte fonda, ma Yuri sapeva che era ancora sveglio. L’ultima volta che si erano sentiti, il più grande gli aveva detto che con tutto il lavoro arretrato che doveva svolgere sarebbe andato a letto all’alba.
Fece squillare il telefono un paio di volte, poi udì la voce di Yuya.
« Yuri! Va tutto bene? » chiese con tono un po’ allarmato « E’ tardi, pensavo che tu dormissi. »
« Sì io… dovevo solo andare in bagno. » mentì « Mi mancavi e volevo sentirti. » sussurrò inspirando un lungo respiro di nicotina.
« Mi manchi anche te. » esclamò l’altro in uno dei suoi rari slanci di affetto « Dai, torno solo fra tre giorni. »
« Non dovevi tornare domani? » domandò Yuri alzando un sopracciglio.
« Ah… uhm… non ti avevo avvisato? Sono sorti dei problemi e se torno domani rischio di essere arrestato all’aeroporto. Mi dispiace. » si scusò il più grande.
« Oh. » mormorò Yuri « Figurati. Preferisco saperti a Taiwan per qualche altro giorno piuttosto che in carcere per tutta la vita. » cercò di ridacchiare, per stemperare la tensione, senza riuscirci.
« Già. Allora dai, torna a dormire. » sussurrò Yuya « Da te deve essere notte fonda. »
« Più o meno. » replicò Yuri sbadigliando « Allora ci sentiamo domani. Buonanotte Yuya. »
« Buonanotte anche te. »
Yuri allontanò il telefono dall’orecchio e poi chiuse la conversazione. Rimane un paio di minuti immobile a fissare lo schermo del telefono. Sullo sfondo c’era una foto sua e di Yuya, al mare a Yokohama. Ogni volta che la osservava si sentiva meglio, sollevato. Sentiva di avere fra le dita qualcosa di prezioso, qualcosa che valeva ancora la pena di proteggere e per cui combattere.
Aveva Yuya. E non gli era mai passato per l’anticamera del cervello l’ipotesi che un giorno il più grande potesse essere arrestato. Lo aveva visto sempre così sicuro di sé, sempre con quell’aria arrogante di chi è al di sopra della legge, di chi può fare tutto senza preoccuparsi delle conseguenze.
Si sdraiò di nuovo nel letto, coprendosi con il piumino e tirandolo fin sopra le spalle, lasciando scoperta solo la linea degli occhi. Si chiese che cosa avesse fatto se Yuya fosse stato arrestato.
La sua vita sarebbe improvvisamente finita. Scosse la testa, con forza.
Non doveva pensare a quelle cose mentre si stava addormentando. Kei glielo diceva sempre che era fin troppo negativo e pessimista.
Yuri scuoteva le spalle quando si sentiva rimproverare in quel modo, ma in fondo aveva ragione. Doveva tentare di essere positivo, in una maniera o nell’altra.
**
All’uscita da scuola, inspiegabilmente, Yuri trovò Kota che lo aspettava in macchina. Si avvicinò, perplesso, appoggiandosi al finestrino del guidatore.
« Che ci fai qua? » chiese stupito.
« Sono venuto a prendermi. Volevo portarti in posto. »
« Un posto? Pensavo che le gite le facessi solo con Kei. » tentò di prenderlo in giro il più piccolo.
« Di solito sì. » ridacchiò Kota « Ma questa non è proprio una gita, diciamo che… è una lezione, una di quelle che potrebbe aiutarti ad andare avanti. »
« Non ho bisogno di lezioni. Ho solo bisogno di tempo. » mormorò Yuri.
« Lo so. Credimi, lo so. Ma è meglio per te se ti riprendi alla svelta. Non puoi continuare così, te ne rendi conto vero? Su, sali in macchina. »
Yuri gli obbedì, titubante. Aprì la portiera, sedendosi accanto a lui dopo aver gettato la borsa sul sedile posteriore. Si adagiò contro lo schienale, infilando nel suo lettore cd l’album del suo gruppo preferito.
Kota odiava il pop. E da quando conosceva Yuri, odiava anche quei cinque tpi ambigui che ballavano su un palco, ma la cosa che odiava di più, dopo Yuri che cantava a squarciagola, erano i vaneggiamenti del più piccolo su un tale Ohno-kun.
Fu tentato di cambiare disco, ma si trattenne. Quello sarebbe stato un pomeriggio impegnativo per Yuri, forse era meglio farlo sfogare un po’.
**
Quando arrivano al luogo stabilito e Kota spese il motore della macchina, guarda di sfuggita il ragazzino.
« Perché siamo al cimitero? »
« Per aiutarti a tornare a vivere. » si limita a dirgli lo yakuza, uscendo dalla macchina e facendo il giro, sistemandosi accanto alla sua portiera.
« Non credo che scenderà. Possiamo rimanere qua. »
« Andiamo, non fare i capricci. » replicò Kota.
Yuri si morse un labbro, osservando la lunga fila di lapidi e tombe che si stagliavano davanti a lui. Lentamente gli obbedì e si sbatté la portiera alle spalle.
Yuri seguì Kota a testa bassa, superando file e file di lapidi, tutte uguali l’una all’altra. Variavano i fiori, gli incensi, le foto commemorative. Tutto quel colore dato dai fiori, tutte quelle persone raffigurate, tutte quelle scritte lo stavano opprimendo. Yuri non aveva voglia di trovarsi là, non gli piaceva la sensazione di disagio che lo stava colpendo allo stomaco.
Non era mai andato nemmeno sulla tomba dei genitori. Yuya anni prima gli aveva detto dove erano stati seppelliti, cioè accanto al loculo dove quegli stessi genitori avevano seppellito una bara bianca vuota, spacciandola per la sua.
E Yuri aveva sempre avuto voglia di andare in quel posto, distruggere quelle tre lapidi con la stessa furia che caratterizzava un tornado. Aveva voglia di andare di fronte a quella tomba, a guardare il proprio nome, la propria data di nascita e quella di morte, urlando al mondo che lui invece era vivo e soffriva nella casa di uno yakuza, subendo le peggiori umiliazioni.
Ma era sempre rimasto al suo posto. Perché in fondo non valeva la pena darsi tanto fastidio per dei morti, nemmeno se quei morti erano i propri genitori.
Kota si fermò all’improvviso e Yuri, perso nei suoi pensieri, gli andò a sbattere contro, prima di guardarsi intorno.
La scritta sulla lapida davanti alla quale si erano fermati era bianca e spiccava sul nero del granito.
“Yamada Ryosuke, riposa finalmente in pace, nonostante tutto.”
Yuri si sentì mozzare il fiato in gola e sentiva le ginocchia tremargli. Non era sicuro di riuscire a rimanere saldo sui suoi stessi piedi. I suoi occhi erano fissi su quelle parole, su quelle date, su quei fiori così curati e freschi, prima di finire incatenati sulla foto.
Doveva essere Yamada da piccolo e quello era sicura Kota, con quasi dieci anni di meno sul volto. Scivolò sulle gambe, afferrandola e stringendo le dita sulla cornice scura.
Kota era in ginocchio e stringeva il piccolo Yamada fra le braccia. Ridevano entrambi, erano felici, momenti che probabilmente appartenevano ad un’altra epoca.
In quei giorni Yuri non aveva mai visto Yamada sorridere. Aveva visto solo un volto distorto dalla rabbia, dalla follia, dall’odio e dalla sofferenza.
« Perché lo conoscevi? » sussurrò il ragazzino, sentendo gli occhi lucidi, forse poco preparato per la storia che lo yakuza stava per raccontare.
Kota si morse un labbro, distogliendo lo sguardo per qualche secondo, prima di sedersi sull’erba accanto a lui.
« L’ho conosciuto appena entrato nella yakuza. Sua madre era una prostituta e lui è nato nel bordello di Yuya. All’epoca era gestito da un’altra persona, Yuto, che lo aveva comprato. »
Kota gli prese la cornice fra le mani, sfiorando leggermente la faccia del piccolo bambino.
« Ryo aveva otto anni quando l’ho conosciuto. Ho fatto l’errore di affezionarmi troppo, desideravo che vivesse una vita migliore, ma ho solo peggiorato le cose. Yuto ha cercato di punirmi prendendo di mira Kei e per fortuna Yuya lo ha salvato. Ha ucciso il suo aniki e per punirmi ha iniziato a far prostituire Ryosuke, vietandomi tassativamente di avvicinarmi ai bordello dove vengono tenuti tutti quei ragazzini disperati. L’ultima volta che l’ho visto gli avevo promesso che saremo tornati amici un tempo. Invece quando l’ho incontrato di nuovo gli ho sparato in fronte, per proteggerti. »
Yuri alzò lo sguardo, avvicinandosi a Kota e asciugandogli le lacrime che gli macchiavano il volto. Il tono del più grande non aveva subito nessuna inclinazione e si chiese quanto sforzo stesse facendo in quel momento per non piangere come voleva.
Yuri sfiorò il granito, sapendo che in fondo Yamada era come lui. Vittima di una violenza inaudita, gratuita. Aveva cercato anche lui di scappare da quel circolo vizioso di rabbia che era diventata la sua vita e Yuya non aveva fatto altro che peggiore la sua labile sanità mentale.
Ed esattamente come il suo carnefice aveva scelto Yuri per estrapolare dal proprio corpo tutta quella violenza che aveva assorbito negli anni. Strinse una mano a Kota, con forza, facendogli male e poi scoppiò a piangere.
Non sapeva esattamente il perché. Non sapeva perché stesse piangendo per l’uomo che era quasi riuscito a piegarlo, a spezzarlo.
Eppure sentiva di doverlo perdonare. Sentiva che almeno quello glielo doveva, perché era giusto così.
Se lo avesse perdonato, allora avrebbe guarito la violenza che albergava nel cuore di Ryosuke. Se ne sarebbe andata, perché come lui, Yamada necessitava solo di un gesto gentile, solo di una possibilità per credere ancora in quel mondo che non aveva fatto altro che fargli del male, per credere che ci fossero ancora persone in grado di volergli bene, indiscriminatamente.
E quando si sentì di perdonarlo, Yuri sapeva che una nuova alba sarebbe finalmente apparsa nell’oscurità della notte in cui viveva l’anima di Yamada. Sarebbe arrivato un nuovo giorno, un giorno tranquillo, sereno. Avrebbe visto molte cose la sua anima. Si sarebbe riposata in pace perché in fondo, dopo tutti quegli anni, era quello che si meritava.
Lui invece era vivo. Doveva uscire anche lui da quella notte oscura, camminare a testa alta finché non sarebbe ritornato il sole, fino a che un nuovo mattino non sarebbe sorto anche dentro di lui.
Yuri doveva solo sperare e perdonare.
**
Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Kota aveva avuto ragione, quel salto nel passato, quelle spiegazioni che nessuno gli aveva mai dato lo avevano aiutato.
Comprendeva perché Yamada si fosse accanito con così tanta violenza su di lui. Capiva e parte della sua mente aveva perdonato, così come aveva perdonato Yuya mesi prima.
Era stremato dal pianto quando entrò in casa, pronto a farsi una bella dormita prima di doversi mettere a studiare, controvoglia.
Eppure appena messo piede in casa e appena udì quella voce, sentiva che tutta la sofferenza era sparita. In salotto, chiuso in un silenzio pieno di disagio con Kei, c’era Yuya. Il ragazzino gli corse incontro, saltandogli addosso e baciandolo.
« Avevi detto che saresti tornato fra tre giorni. » esalò Yuri fra un bacio e l’altro.
« Bugia. Volevo farti una sorpresa. » sussurrò piano il più grande, imbarazzato « Ti va di andare a fare un giro? Oggi è una giornata bella a Yokohama. »
« Sì. Prendo il giacchetto e partiamo. » si liberò del suo braccio, per dirigersi poi in camera sua.
Yuya fissò Kota, stretto a Kei e sorrise.
Era felice di quella sua nuova vita e non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo. Sperava giorno anche lui e Yuri un giorno sarebbero diventati come Kota e Kei, una vecchia coppia di sposi bisbetici.
Fine.