Titolo: See heaven's got a plan for you
Fandom: Downton Abbey
Personaggi/Pairings: Thomas Barrow, Jimmy Kent, Sybil Crawley, Tom Branson ; Thomas/Jimmy.
Rating: NSFW
Warning: Slash, AU
Scritta per: seconda missione del COW-T di
maridichallenge + AU!anni ’60 per la mia tabellina di
auverse prompt: 21. Risorgere dalle ceneri per
500themes_ita.
Wordcount: 7521
(
PARTE PRIMA)
Due notti più tardi Thomas si sveglia improvvisamente, conscio che qualcosa non vada; non capisce cosa sia fino a quando non mette piede fuori dalla stanza e si ritrova davanti metà della casa letteralmente in fiamme. Per un secondo non riesce nemmeno a concepire che cosa sta succedendo, per un secondo si limita a fissare attonito le fiamme, come se si aspettasse di vederle sparire tutto ad un tratto - o forse più probabilmente come se si aspettasse di svegliarsi in quell’istante, perché quello non può essere altro che un sogno.
Poi un suono soffocato alle sue spalle lo costringe a girarsi e a vedere con terrore le fiamme lambire la porta della stanza di Jimmy. Terrore, quello che lo paralizza, terrore quello che lo spinge ad agire.
«James!» urla il suo nome con tutto il fiato che ha in gola, sperando invano di ricevere una risposta. Urla il suo nome ancora e ancora e ancora prima di racimolare tutto il coraggio che ha in corpo e sfondare la porta, coprendosi il volto e riuscendo finalmente ad entrare nella stanza dell’altro.
Jimmy dorme, questo è quello che pensa immediatamente nel vederlo ancora a letto, gli occhi chiusi e il petto che si solleva e si riabbassa lentamente. Ma non può dormire, come si è svegliato Thomas si sarebbe dovuto svegliare anche lui e allora questo può voler dire soltanto--
«Jimmy!» urla di nuovo il suo nome, arrancando in qualche modo fino al letto per riuscire a scuoterlo, ancora senza scoprirsi il volto; «James, svegliati! Dobbiamo uscire da qui!»
Sente l’incendio propagarsi per la stanza e per tutta la casa ad una velocità che nemmeno lui riesce a comprendere: non sa da quanto tempo è passato tra l’inizio dell’incendio e il momento in cui si è svegliato e non ha la più pallida idea - non riesce nemmeno a ragionarci razionalmente - di quanto impiegherà il fuoco a bruciare ogni singola parte della casa. L’unica cosa che sa con certezza è che non può permettere che lui e Jimmy siano ancora dentro quando questo succederà.
«Andiamo, James--» mormora con angoscia un’ultima volta, scuotendolo piano nella vana speranza che l’altro apra finalmente gli occhi; questo ovviamente non succede e in un istante di folle lucidità Thomas prende l’unica decisione possibile ai suoi occhi.
Un respiro profondo nel scostare la mano dal proprio viso ed abbassarsi appena, quel tanto che basta per riuscire a prendere tra le braccia Jimmy - pesa e lui non è abituato a maneggiare cose più pesanti dei semplici libri ma in qualche modo riesce a farsi forza e a trasportarlo fuori dalla stanza. Si guarda intorno, cercando freneticamente una via di fuga, tentando di capire da quale parte il fuoco sia più pericoloso e da quale meno.
«Cristo, no--» Thomas geme con angoscia nel momento esatto in cui realizza che l’unico modo per scappare dall’edificio in fiamme è la porta che conduce alla libreria. La porta che non esiste più, ormai, completamente mangiata dalle fiamme, tanto da far intendere che l’incendio si sia propagato dal basso. E a meno di buttarsi fuori dalla finestra e con tutta probabilità morire per il volo dal terzo piano-- non ci sono altre vie di fuga.
Si morde con forza le labbra, tentando di concentrarsi su questo piuttosto che su tutto quello che lo circonda e sulla preoccupazione per Jimmy, prendendo un respiro profondo e decidendosi infine a lanciarsi tra le fiamme, chinandosi sul corpo dell’altro nel tentativo di fargli scudo con il proprio.
Thomas sente distintamente un calore bruciante e doloroso allargarsi per tutta la schiena - tanto da costringerlo a mordersi di nuovo le labbra per non urlare - ma continua nonostante tutto ad avanzare, stringendo tra le braccia il corpo immobile dell’altro.
Non sa nemmeno lui come sia riuscito ad arrivare al piano di sotto più o meno indenne ma una buona parte di lui pensa davvero di dover ringraziare un qualche Dio per questo; «resisti, siamo quasi fuori» sente il bisogno di mormorare quelle parole all’altro, per quanto sia conscio che non lo sentirà davvero, e non riesce in tutta sincerità a negarselo, non con tutto quello a cui sta andando incontro. In fondo è solo qualche molecola di ossigeno in meno: di certo non morirà tra i fumi delle fiamme per quelle quattro parole.
Cadendo e incespicando in quelli che sono i resti del corrimano e di parte del soffitto Thomas riesce in qualche modo a trascinare se stesso e James fino al centro della libreria prima di permettersi di esalare un respiro di sollievo.
È solo quando solleva lo sguardo che Thomas si rende conto di quanto stupido e prematuro è stato a pensare di aver superato la parte peggiore: tutta la libreria è avvolta dalle fiamme e almeno metà degli enormi scaffali di legno sono caduti a terra, impedendo un passaggio già prima difficoltoso. Sembra davvero che ogni singolo libro abbia preso fuoco, contribuendo a propagare l’incendio e ad innalzare le fiamme che si parano davanti all’unica via di fuga esistente.
La decisione di buttarsi tra le fiamme arriva improvvisa come improvvisi sono i passi che accompagnano il suo corpo fino all’ultima estremità sicura e libera dalle fiamme; Thomas si china appena sul corpo di Jimmy, stringendolo meglio e avendo cura di coprirlo il più possibile, prima di riprendere ad avanzare verso l’uscita.
Quando ormai sono quasi sulla porta e Thomas riesce ad intravedere la salvezza davanti a loro succede l’impensabile. Il crollo di buona parte del tetto sopra di loro è anticipato soltanto da un pericoloso suono che fortunatamente riesce ad avvertire qualche secondo prima della fine.
Il tempo pare rallentare fino a fermarsi, permettendo a Thomas di ragionare quasi freddamente sulla decisone da prendere: è impossibile che riesca a raggiungere l’esterno nei due secondi necessari a scampare al crollo con il peso di James tra le braccia e dunque ci sono solo due possibilità. Lasciarlo lì a morire per salvarsi la vita o--
Un passo in avanti, un respiro profondo, lo sforzo dei muscoli delle braccia ed improvvisamente il buio.
Quando riapre gli occhi Thomas non è sicuro di quello che vedrà attorno a sé: ricorda così lucidamente i dettagli della fine da essere completamente certo della propria morte.
«Thomas!» e ritrovarsi davanti Sybil è proprio il segno che Thomas cercava per suffragare l’ipotesi della sua morte: è sicuramente finito in Paradiso - per quanto a dire la verità si aspettasse piuttosto il girone infernale dei sodomiti; «non sono mai stata così felice di vederti!»
«C-cosa--?» si stupisce nel sentire quanto roca e affannata risulti la sua voce alle sue orecchie ma nel giro di un secondo perde interesse per quel piccolo particolare; «dove--?» non conclude nemmeno quella domanda, rispondendosi da solo nell’esatto istante in cui volta il viso e si rende conto di essere finito in ospedale. Oh. A quanto pare sono fin troppo vivo.
«È quasi un miracolo che ti abbiano tirato fuori di lì in tempo, quindi ora stai fermo e buono e cerca di non sforzarti» le proteste di Thomas - fermo e buono? Chi pensa di essere per potersi rivolgere a lui in quel modo? - vengono bloccate dal pensiero improvviso che si palesa nella sua mente: James.
«Lui-- Jimmy, lui come--»
«Sta bene, grazie a te» Sybil sorride nel portare una mano sulla spalla dell’altro e accarezzarla con dolcezza, ricercando il suo sguardo nel tentativo di tranquillizzarlo; «è tutto merito tuo se non è morto là dentro».
«Sta.. sta bene» Thomas sente il bisogno fisico di ripetere quelle parole, quasi volesse renderle completamente vere anche alla propria mente - per quanto è conscio che non sarà del tutto tranquillo fino a quando non lo vedrà con i suoi occhi.
«Te l’ho detto: è vivo per merito tuo. Non so come tu sia riuscito a farlo uscire prima che il tetto crollasse ma-- di certo è tutto merito tuo».
Thomas tenta di sistemarsi meglio contro i cuscini che ha dietro la schiena, riuscendo soltanto ad agitarsi scompostamente e a dipingersi sulle labbra una smorfia di dolore, prima di voltare appena il capo verso di lei e- - il rumore della porta della stanza che si apre soffoca sul nascere l’ennesima domanda circa le condizioni di salute di James.
James che è appena entrato nella stanza e si torce nervosamente le mani, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo fisso su Sybil; «posso..?»
«Oh-- vi lascio soli» tanto per cambiare la donna sta sorridendo - e perfino in questo momento, con mille altre cose più importanti che gli vorticano nella mente, Thomas non può fare a meno di chiedersi cosa diavolo abbia da sorridere.
Poi incontra lo sguardo di Jimmy e nei suoi occhi legge un misto di rabbia, preoccupazione e paura che contribuisce a spaventare anche lui, tanto da costringerlo a rimanere in silenzio e ad aspettare che sia l’altro a parlare per primo.
«Mi.. mi hanno raccontato quello che è successo. Non mi sono accorto di nulla, quindi credo di--»
«Quando sono entrato nella tua stanza eri già svenuto» Thomas mormora quelle parole come se si stesse scusando e nemmeno lui sa effettivamente per quale motivo - per essere entrato nella sua camera? Per quello che è successo ormai più di una settimana prima?
«Avresti potuto lasciarmi lì. Non saresti finito in ospedale se mi avessi lasciato lì» e Thomas non può fare a meno di ridere a quelle parole, socchiudendo gli occhi per riuscire ad evitare almeno in parte lo sguardo dell’altro.
«No, Jimmy, non avrei potuto» quelle parole sono le uniche di cui ha bisogno per farsi capire dall’altro, di questo è certo, e le sue certezze vengono confermate dall’espressione che compare sul viso dell’altro.
«Non riesco a capire perché».
«Lo sai perché» Thomas riesce perfino a sorridere nel mormorare quelle parole, giusto un istante prima di lasciarsi scivolare appena contro i cuscini del letto e chiudere gli occhi; «quanto si è salvato?»
«Non molto.. qualche libro e poche altre cose. Era un edificio piuttosto vecchio, no? Le parti in legno sono bruciate subito» Jimmy sposta l’unica sedia presente nella stanza a pochi passi dal letto di Thomas, lasciandosi cadere su di essa con un sospiro stanco; «mi dispiace per i tuoi orologi».
«Dispiace anche a me» la piccola smorfia di dolore dipinta sulle labbra di Thomas basta a convincere Jimmy ad allungare con titubanza una mano sul letto, sfiorando piano la spalla dell’altro con la punta delle dita.
«Erano così tanto preziosi per te?»
«Erano quasi tutti di mio padre. Gli unici suoi ricordi che mi erano rimasti».
James rimane in silenzio a quelle parole, incapace di trovare qualcosa di abbastanza intelligente e abbastanza confortante da dire; «mi dispiace».
«Poteva andare peggio, no?»
«Saremmo potuti morire entrambi» concorda l’altro con un sospiro stanco, ritirando la mano e passandosela nervosamente tra i capelli; «ma quelli erano ricordi di tuo padre. Erano importanti per te».
Nonostante tutto Thomas non può fare a meno di sentirsi improvvisamente bene per quell’inattesa preoccupazione di Jimmy: non si sarebbe aspettato nemmeno di vederlo lì, figuriamoci ritrovarsi a dover fare i conti con quell’atteggiamento tanto diverso da quello che ha conosciuto e sofferto nelle ultime settimane.
«Jimmy..» sospira il suo nome quasi con dolcezza, sollevando appena la mano destra con la chiara intenzione di sfiorargli il viso; sospira di nuovo nel vederlo ritrarsi, pregando mentalmente di riuscire a comprendere finalmente l’insoluto mistero che è quel ragazzo. «Possiamo parlare di quello che è successo?»
«Dell’incendio, intendi? Perché io credo che--»
«No, Jimmy, non dell’incendio. Di quello che è successo prima» Thomas si rende conto quasi con orrore di essere arrivato al punto in cui potrebbe mettersi in ginocchio davanti a lui ed implorarlo di ascoltarlo e di parlare. Nessuno l’ha mai ridotto così, nessuno, ed è per questo che Thomas ha una una paura fottuta di quel maledetto ragazzo.
«Senti, Thomas-- ti sono grato per quello che hai fatto per me ma quello che ti ho detto non è cambiato di una virgola. Io non sono gay» Jimmy scandisce quelle ultime quattro parole come se volesse imprimerne alla perfezione il significato nella mente dell’altro ma Thomas lo guarda negli occhi e lo vede tentennare su quella frase, lo vede distogliere lo sguardo e posarlo di nuovo sul pavimento e sa che quello che ha appena detto è una bugia.
«D’accordo» sospira comunque, strappando uno sguardo sopreso a James - che si aspettava qualsiasi reazione tranne l’accettazione; «allora vuoi semplicemente fare finta che non sia successo nulla?»
«E-esattamente. Sì, è la soluzione migliore» mormora lentamente Jimmy prima di alzarsi e tentare di rivolgergli il solito sorriso deciso e sicuro; «ti lascio al tuo riposo, mh?»
Thomas si limita ad annuire piano a quelle parole, chiudendo del tutto gli occhi e fingendo di voler dormire, la mente dolorosamente divisa a metà tra la consapevolezza della bugia appena detta dall’altro e la paura che invece quella sia la verità.
Poco prima che crollasse il tetto nell’incendio Thomas ha creduto di non voler mai più provare caldo per tutto il resto della sua vita eppure ora, quando Jimmy lascia la stanza, si ritrova a disprezzare profondamente il freddo in cui è immerso.
Quando finalmente lo lasciano uscire dall’ospedale Thomas è in condizioni mentali abbastanza buone per riuscire a preoccuparsi di cose decisamente più influenti di Jimmy nella sua vita: visto e considerato che ora non devono nemmeno più dividere l’appartamento, in fondo, non c’è nessun motivo logico per cui dovrebbero vedersi di nuovo se non per qualche raro ed occasionale incontro nelle vie di Brewham.
Non sa sinceramente se dispiacersi o meno del modo in cui sono evolute le cose tra di loro - se mai un loro è davvero esistito: è ancora convinto che le parole di Jimmy siano state soltanto un modo per nascondersi da qualcosa che Thomas ancora non conosce, eppure, non avendone la piena certezza, non può evitare di sentirsi in parte sollevato all’idea che l’altro sparisca dalla sua vita.
Evidentemente però Thomas non ha fatto i conti con il volere di Dio - o del destino, del fato, del cielo, di qualsiasi altra maledettissima cosa.
«Io e Branson abbiamo pensato che potremmo ospitarvi entrambi a casa nostra finché non trovate una soluzione alternativa» la notizia arriva con la voce gioiosa di Sybil mentre Thomas ancora tenta di prepararsi per lasciare l’ospedale. A quelle parole non si ritrova a gambe all’aria sul pavimento soltanto per un qualche miracolo.
«E-entrambi?» si schiarisce la gola nel tentativo di camuffare quella piccola incertezza che Sybil ovviamente ha già colto, visto il sorriso sornione che gli rivolge immediatamente.
«Sì, certo: non potevamo lasciare che il povero Jimmy dormisse in macchina, no?» e in effetti in ragionamento della donna non farebbe una piega se solo Thomas non fosse leggermente agitato all’idea di tornare alla stessa situazione in cui ha vissuto per un paio di settimane - poco tempo, sì, ma decisamente quel poco tempo gli è bastato per il resto della sua vita.
Dire di no a Sybil in ogni caso è del tutto impossibile, per questo un paio di ore più tardi si ritrova in un esiguo spazio - quello che Branson ha definito ampia e comoda camera da letto - insieme ad un altrettanto imbarazzato Jimmy. E c’è un letto solo, in quella stanza. Largo come due letti e mezzo, certo, ma sempre uno solo.
«Non preoccuparti: dormirò sul pavimento» Thomas si premura di rassicurarlo non appena Sybil lascia la stanza, rivolgendogli una mezza occhiata di sfuggita.
«Non dire sciocchezze, sei appena uscito dall’ospedale. Dormirò io sul pavimento».
«Sei rimasto ferito anche tu, Jimmy. Io sto bene» e nessuno dei due sembra particolarmente intenzionato a cedere su quell’argomento, così, senza che nemmeno se ne accorgano, finiscono per ritrovarsi entrambi nello stesso letto. Il che sarebbe perfino potuto risultare normale se soltanto fossero rimasti ognuno nel proprio spazio vitale.
Per la seconda volta da che si conoscono Thomas si ritrova con le labbra sulle sue, senza ben sapere chi dei due abbia dato inizio a quel bacio - non che gli importi realmente: gli basta constatare con piacere che Jimmy sembra del tutto intenzionato a ricambiare.
Di nuovo c’è un calore soffocante ad attenderlo - quello che ritrova nella sua bocca e tra le sue gambe -, un calore che Thomas accetta con gratitudine, afferrandolo e rincorrendolo senza sosta tra le lenzuola, un sorriso sincero dipinto sulle labbra.
È solo quando si ritrovano stanchi e nudi su quel letto, immobili in quell’intreccio di gambe e braccia, che Thomas si decide finalmente a parlare: «questa volta non sei ubriaco».
«Cristo--» Jimmy sbuffa sonoramente, voltandosi appena tra le braccia di Thomas e nascondendo il viso contro il cuscino; «perché hai così tanta voglia di parlare?»
«Perché mi piace capire quello che succede nella mia vita» risponde semplicemente Thomas, sporgendosi appena su di lui e ricercando il suo sguardo sfuggente.
«Non c’è nulla da capire» borbotta Jimmy da qualche parte contro il cuscino, ricevendo in tutta risposta una mezza risata silenziosa dall’altro: «tu sei quello che voglio capire, James».
«Ti ho già detto che non devi chiamarmi James».
«Smetterò di chiamarti James quando tu mi risponderai. Andiamo, me lo devi. Sono quasi morto per te» Thomas cerca di scherzare ma l’occhiataccia che riceve immediatamente dall’altro gli fa capire che quello forse non è stato un buon modo per convincerlo a parlare; «non- - non mi devi nulla, Jimmy, non l’ho fatto perché tu mi fossi debitore».
Quel mormorio accennato di scuse a quanto pare basta per ‘rassicurare’ l’altro, che improvvisamente decide di voltarsi e di tornare tra le braccia di un alquanto stupito Thomas.
«Non ora. Domani» e quella sorta di promessa sussurrata rimane sospesa nell’aria tra il loro odore e il suono dei loro respiri.
La spiegazione non arriva il giorno dopo, né quello dopo ancora né in verità per tutta la settimana seguente: Thomas si costringe a non chiedere nulla per quanto dentro di sé non voglia fare altro che affrontare una volta per tutte quel maledetto argomento.
L’unica nota positiva - se positiva può essere definita - di quell’assurda situazione è che almeno non si è ripresentato lo sconforto della lontananza di quella prima volta: ora Jimmy lo cerca spontaneamente quando sono in casa da soli. Lo cerca la notte per fare l’amore con lui, lo cerca perfino dopo, sistemandosi tra le sue braccia e chiudendosi in un ostinato silenzio che Thomas non riesce mai a rompere.
Dal canto suo Thomas si limita a stringerlo come può, rassegnandosi a rimanere in silenzio dopo la quarta notte di domande a cui nessuno vuole rispondere.
Quando la risposta finalmente arriva Thomas si domanda se forse non era proprio questo che Jimmy voleva ottenere, che non chiedesse più nulla e gli lasciasse tutto il tempo necessario a pensare di poter rispondere. James non gli lascia nemmeno un secondo per continuare a riflettere su quel fugace pensiero e Thomas impara ben presto che una volta spinto a parlare è davvero difficile fermarlo.
«Vivevo ad Edimburgo, prima. Ho- - capito di essere diverso più o meno quando avevo vent’anni. Ho avuto un paio di sporadiche relazioni assolutamente segrete per non più di un paio di settimane. Poi ho conosciuto Ivy e ho creduto di essere guarito: abbiamo organizzato il matrimonio dopo soltanto un anno di conoscenza e-- poche sere prima del gran giorno mi sono accorto che non potevo farcela. Che non era vero e che non ero affatto guarito. Così sono scappato e mi sono ritrovato qui - non chiedermi come, non lo ricordo nemmeno io» Jimmy si concede di riprendere fiato soltanto dopo aver pronunciato tutto quell’ammasso di ingarbugliate parole, senza avere realmente il coraggio di guardare l’altro negli occhi.
Thomas rimane in silenzio per qualche secondo, contribuendo ad aumentare il nervosismo di Jimmy - se ne accorge quando lo sente sfuggire al suo abbraccio e lo vede sedersi all’altro lato del letto, le spalle rivolte verso di lui.
È allora che Thomas capisce di amarlo: nel vedere il modo in cui si prende il capo tra le mani, il modo in cui china le spalle eppure si volta verso di lui, sfidandolo per l’ennesima volta con lo sguardo. È allora che Thomas capisce di amarlo con tutto se stesso.
«Perché ti importa tanto del passato?» sente Jimmy sibilare quasi in risposta a quella domanda azzardata ma non si scompone minimamente, troppo concentrato sugli occhi fiammeggianti dell’altro per pensare ai pericoli che sta correndo.
«Che cazzo di domanda, Barrow».
«Non dare la colpa alla domanda se non sai rispondere».
«Chi ti ha detto che non so rispondere? È una domanda del cazzo, punto e basta. E in ogni caso non mi interessa il passato».
Thomas sorride sornione, soddisfatto di essere arrivato esattamente dove voleva arrivare. Si sporge verso di lui, sfiorando dolcemente con le labbra un punto imprecisato della spalla destra dell’altro, mordicchiandone distrattamente la pelle subito dopo.
«Non ti importa del passato?»
«Ti ho già detto di no».
«Allora vieni con me a Londra. Ci lasciamo dietro qualsiasi cosa, soprattutto il passato, e cominciamo da capo» Jimmy rimane in silenzio, in parte distratto dai baci dell’altro, in parte seriamente coinvolto da quella proposta inaspettata.
«.. Ci sto» in fondo basta poco per rendere felice una persona: quelle due parole bastano perché sulle labbra di Thomas si disegni un sorriso che non sparirà tanto facilmente.
Fuori dalla finestra i primi raggi di sole primaverile si fanno largo tra le nuvole grigie, scaldando timidamente la campagna inglese e spazzando via poco a poco il freddo dell’inverno.