Autore:
iridaniaFandom: Supernatural
Characters/Pairings: Castiel
Rating: pg13
Disclaimers: not mine
Summary: Come da titolo, remix dell'episodio 17x07 (The born-again identity)
The born-again identity (Remix)
La prima cosa di cui prende coscienza è una densa nebbia scura che avvolge ogni cosa nella tenebra più profonda. Da principio pensa a un sogno degenerato fuori dal suo controllo. Ma, per quanto ci provi, non riesce a svegliarsi e l'incubo assume le forme di una bestia primordiale che spalanca le fauci e tenta di divorarlo.
Un liquido dalla consistenza simile alla pece si stringe attorno al suo corpo e gl'impedisce la fuga. Tenta di ribellarsi, di gridare e chiedere aiuto, ma appena schiude le labbra qualcosa penetra nella sua gola e comincia a scavarsi la strada verso i suoi polmoni. Solo allora si rende conto di essere sott'acqua.
Crede di aver bisogno d'ossigeno.
Cerca di raggiungere la superficie, avido di luce, ma la nebbia artiglia la sua pelle e i suoi vestiti e lo trascina più giù, in profondità, dove tutto è freddo e buio. Ogni forza l'abbandona, e lui non può fare altro che affidarsi, stremato, al volere della corrente.
È qui che, a sua insaputa, suo padre gli tende la mano per la terza volta.
Quando riapre gli occhi è steso, nudo e tremante, sulle rive d'un lago. Una voce di donna gli sussurra parole che non riesce a comprendere: qualcosa riguardo a un'ambulanza e a dei paramedici. Lui annuisce, troppo stanco per obiettare, e alterna il sonno e la veglia a ogni battito di ciglia.
Riprende i sensi in una stanza d'ospedale con la destra ammanettata alla sponda del letto e un poliziotto in divisa fuori dalla porta. Ancora stordito, appoggia la testa sul cuscino e torna a dormire; non sogna di nulla se non delle imprecazioni d'un uomo che lo chiama verso la superficie.
Gli dicono che il suo nome è James Novak. Gl'infilano due aghi nel braccio e uno nel collo, e poi lo accusano di omicidio e di una serie di altri crimini di cui vorrebbe non comprendere la gravità. La sua unica confessione è quella che non ricorda nulla né di se stesso né delle atrocità che avrebbe commesso. I medici sono fin troppo svelti a confermare la sua versione dei fatti: tra una diagnosi e l'altra infilano parole come 'psicosi' e 'sociopatia', e una stringa di sintomi e sintomatologie che dicono 'in linea con questo tipo di episodi'. Ma registrazioni e impronte digitali rimangono lì, inconfutabili testimoni delle sue colpe, e le manette restano strette attorno al suo polso.
"Dov'è la sua famiglia?", continuano a chiedergli.
"Non lo so", ribatte lui, imperterrito, "Ne ho una?"
Non ricorda nulla di sua moglie e di sua figlia. Se non fosse per il rimorso che l'aggredisce ogni volta che ne pronuncia i nomi potrebbe giurare che Amelia e Claire non sono altro che un'invenzione di fantasia. Ha il terribile sospetto d'aver fatto loro qualcosa d'imperdonabile, ma ha paura di scoprire cosa. "Stanno bene?", domanda, frustrato. Gli agenti gli rivolgono un'occhiata intrisa di veleno e lo lasciano solo con una cena a base di gelatina. Tutto ha il sapore acido dell'acqua stagnante.
Due settimane dopo viene trasferito in un carcere di massima sicurezza. È un'operazione che avviene quasi in segreto, nelle prime ore del mattino, e niente del suo arresto è divulgato attraverso i media. Al suo arrivo, l'unica domanda che gli viene posta è se ha dei complici ancora in libertà. Il suo 'No!' è talmente netto che, per un istante, lui stesso si trova a dubitarne la veridicità.
È possibile che abbia convinto se stesso di una storia altrimenti priva di fondamento? Che davvero sia così abile nel mentire?…
Non ha ricordi dei crimini di cui è accusato, ma non crede di essere una cattiva persona. Tutt'altro: anche al massimo del suo stato confusionale sa che c'è un grande affetto a permanere dentro di lui. Nel tempo si convince che, a dispetto di chi James Novak fosse, le sue azioni non possono essere state dettate da altro che da amore e devozione. Ciò che gli resta da fare è scoprire verso chi o che cosa questi erano rivolti. Prova una grande tristezza nel fatto che la risposta non risiede in Claire e Amelia.
Ogni notte prega Dio di restituirgli i suoi ricordi, così da poter fare ammenda dei suoi peccati e ottenere quel perdono che tanto ardentemente desidera. Dopo mesi di espiazione ancora non si sente degno dell'eredità che ha raccolto: il nome di James Novak lo infastidisce, specie se pronunciato da labbra estranee, e quasi giunge ad odiare se stesso per essersi appropriato di un'identità che non riesce a conciliare con la propria.
La vita della prigione non fa per lui. Non si tratta di una questione di carattere (in sé scopre un orgoglio che rasenta l'arroganza), quanto piuttosto della sua apparente incapacità di rapportarsi col prossimo. Gli risulta difficile comprendere le motivazioni alla base delle azioni altrui, come se tra lui e gli altri esistesse un divario originato da più che semplici differenze culturali.
È nel suo peculiare modo di esprimersi e nella sua inabilità nel comprendere ironia e sarcasmo che il resto dei detenuti individua il suo punto debole. Gli affidano titoli che non vuole ripetere e rifiutano di lasciargli prendere parte a qualsiasi attività di gruppo, dalle partite di poker ai tornei di basket. Lui decide di non reagire a quelle provocazioni, in parte perché non sono mai di tipo fisico, e in parte perché si sente di meritare quello scherno.
Il tempo passa rapido, in un'infinita monotonia. Poi, un giorno, qualcosa cambia. È seduto in una delle stanze comuni a guardare la tv, quando il notiziario passa un breve servizio su due serial killer che stanno seminando il panico nel paese. Qualcosa dentro di lui si spezza. Invece di evitarlo, ora è lui a cercare il conflitto.
Nessuno è più sorpreso di lui della forza che si nasconde nei suoi muscoli apparentemente fragili. Perde il conto delle volte in cui viene messo in isolamento: cinque, sei, forse dodici alla fine del primo mese. Gode di ogni istante.
Per ore e ore non ci sono che lui e quattro pareti nude: uno spazio chiuso dove può sfogare la propria ira senza il timore di far del male ad altri che a se stesso. Prende a calci e pugni ogni superficie disponibile. Danna il proprio nome e maledice Dio per averlo abbandonato senza una ragione manifesta. Per quale motivo, si chiede, dovrebbe espiare i peccati di un uomo che non conosce? Per quale ragione è sopravvissuto a un inferno d'acqua solo per essere confinato nel dubbio e nell'incertezza?
Dato fondo a tutte le sue energie si accascia a terra, le dita sanguinanti, e aspetta di essere ricondotto nella sua cella. All'inizio è troppo sconvolto per notarlo, ma quando la rabbia lascia il posto alla rassegnazione, la sua mente è abbastanza calma da notare qualcosa di peculiare: sebbene le sue mani siano sempre sporche di sangue e sudore, non sono mai segnate da alcun tipo di ferite o abrasioni.
"Dicono che giocavi a essere Dio", gli rammentano le accuse dei suoi compagni di cella. "Dicono che ti credevi immortale".
In principio è totalmente allibito dalle sue capacità di guarigione; poi, lentamente, comincia a testare i limiti di quell'abilità ritrovata. La sera, prima di spegnere le luci, si procura diversi tipi di lesioni (graffi, tagli, e lacerazioni) e il mattino seguente spalanca gli occhi nello scoprire le sua pelle intatta e ogni ematoma assorbito.
Presto il suo segreto smette di essere tale. Gli altri prigionieri notano subito che qualcosa in lui è cambiato e, dopo un breve periodo di esitazione, cominciano a cercare il suo aiuto. Si rivolgono a lui per mal di testa, contusioni, e per tutti quei problemi con cui non si arrischiano a presentarsi in infermeria, come crisi d'astinenza e tagli di lama. Le prime volte lui si limita ignorare le loro richieste con una risata divertita, ma poi, esausto delle loro suppliche, comincia a curare ogni tipo di afflizione con una semplice carezza.
Ogni volta che richiude una ferita è come se la sua Fede venisse rinnovata. Il senso di vuoto che lo tormenta si fa meno insistente e nel guarire gli altri trova il modo di sanare parti di sé che ha rinnegato molto tempo addietro.
Non ci vuole molto perché la voce delle sue attività raggiunga il mondo esterno. Il primo demone lo avvicina nella lavanderia, durante un cambio di turno. È un uomo dal volto deturpato che gli sorride malizioso mentre lo chiama 'Angelo' e lo costringe con la schiena al muro. Lui lo attira più vicino e, d'istinto, gli preme il palmo contro la fronte. Una luce abbagliante scaturisce a quel contatto e, quando riapre gli occhi, il corpo che ospitava il demone giace privo di vita ai suoi piedi, due buchi neri e vuoti laddove una volta c'erano gli occhi.
Le sue azioni non hanno conseguenze immediate. Nessuno si fa avanti come testimone di quell'insolito omicidio, e i nastri di sorveglianza non restituiscono che inutili scariche elettrostatiche. Senonché, le circostanze di quella morte si dimostrano abbastanza interessanti da attirare l'attenzione di qualcun altro.
Una decina di giorni dopo l'attacco del demone, una guardia che non ha mai visto prima si presenta alla porta della sua cella. È un uomo sulla cinquantina dall'aria autoritaria e lo sguardo intelligente che lo porta in una stanza buia e gli pone una semplice domanda: "Cosa sai dei Winchester?"
Una molla scatta nella sua testa. "Che devo fare ammenda nei loro confronti", proclama, senza esitazione.
La guardia gli mette una mano sulla spalla. "In tal caso, meglio pensare a un modo per tirarti fuori di qui".
"Perché?"
"Perché mi dicono che, al momento, avere dalla nostra un angelo del Signore ci sarebbe di grande utilità", gli tende la mano. "Deacon".
"Cas", replica lui, aggrottando la fronte. "Credo che qualcuno mi chiamasse Cas, una volta".
Deacon annuisce, soddisfatto, e lui torna a pensare al suono di quel nome. Cas, ricorda, alla fine. È come se qualcuno gli avesse offerto una nuova vita.
will be xposted:
spn_purgatory ;
AO3