[ Fic ] [ Super Who ] [ pg13 ] Blu Cobalto

Jul 14, 2011 01:49


Fandom : Super Who (Supernatural/Doctor Who crossover)
Pairing/Personaggi : Dean, il Dottore, Sam, Bobby - Impala/TARDIS (!)
Rating : pg13 (perché Dean parla forbito)
Genere : Gen, con del crack infilato nel mezzo (ma lo chiamo crack solo per non offendere la dignità personale di Dean)
Warning : spoilers per la fine della sesta stagione di Supernatural
Disclaimers : non miei, mai stati miei, mai saranno miei
Teaser : Chi non vorrebbe esplorare l’infinità del tempo e dello spazio a bordo di una Chevy Impala del ’67?


Blu cobalto
o: Dean Winchester e l'Occhio dell'Armonia

«Oh, andiamo!»

Dean sta guidando nel bel mezzo del nulla, circondato da un deserto di sabbia e cartelloni pubblicitari in stile ‘70, quando il motore dell’Impala comincia a fare uno strano suono. È un rumore piuttosto peculiare, a mezza strada tra l’infrangersi del vento contro una grondaia e il rigurgito intasato di un aspirapolvere contro la tappezzeria sudicia di una camera d’albergo.

Dean accosta, mette in folle, e spegne la radio troncando le ultime note di Dust in the Wind. Il rumore molesto si fa risentire, più forte di prima, sopra il mormorio limpido del motore.

Dalle indentazioni sul paraurti al contenuto del portacenere, Dean conosce ogni millimetro della sua auto. Imitare i gargarismi di un gabinetto intasato non è qualcosa che una Chevy Impala del ’67 potrebbe fare nemmeno con le candele sporche e la marmitta ingolfata - e, non che ci sia bisogno di precisarlo, la sua bambina è in ottima salute. Però il rumore persiste, e Dean comincia a sospettare che la strega che incontrato due stati fa abbia avuto il tempo di preparargli un’ultima sorpresina prima che lui riuscisse a farla fuori.

«Ok». Con un sospiro contrariato, gira le chiavi nell’ignizione; il suono di risucchio cessa all’istante.

Dean scende dall’auto e, torcia alla mano, apre il cofano dell’Impala. Si concede due secondi di totale confusione; poi sbatte le palpebre una, due, tre volte, in rapida successione, e richiude il cofano con uno scatto violento. Gli ci vogliono tre minuti buoni per convincersi che quello che ha visto deve essere il frutto di qualche fattura ben piazzata, perché non è possibile che… che…. «Checcazzo».

Dean riapre il cofano, ma l’allucinazione è ancora lì dove l’ha lasciata.

L’interno del vano è completamente vuoto ad eccezione di una scatola ottagonale che ha preso il posto del motore. A prima vista sembrerebbe essere una cassaforte metallica di qualche tipo, con tanto di lucchetti e catene a tenerla chiusa. Una specie di lampadina incastonata sulla sua parete sinistra illumina di azzurro la parte superiore del cofano. La luce sfrigola al ritmo incostante con cui alcune molle e valvole dalla forma irregolare pompano del liquido dorato attraverso i tubi trasparenti che fuoriescono dal centro della scatola e spariscono da qualche parte nel buio.

Ma non è quello strano marchingegno a preoccuparlo. Il vero problema sta nella fottuta piscina che fluttua nel vuoto sotto di esso, oltre quello che Dean giura essere l’armadio di una biblioteca. E Cristo santo, c’è un pinguino in costume da bagno che gli sta facendo ‘ciao’ dall’alto di un trampolino.

Dean fa un passo indietro. «Respira, respira»; si dice, facendo scorrere le mani dalle cosce fino alla ginocchia. Aria dentro, aria fuori. Aria dentro, aria… Dean si accuccia a terra, preme la parte bassa dei palmi contro le palpebre chiuse e scuote la testa, tentando di schiarirsi le idee.

Scartata l’ipotesi che una strega di quinta categoria sia in grado di creare illusioni che contemplano animali tropicali, distorsioni dello spazio, e luci da discoteca, l’unico possibile responsabile è la quantità d’alcool che Dean si è scolato la sera prima. Ha solo bisogno di recuperare il sonno arretrato, o qualche stronzata simile. Tutto qui.

Decide di guidare fino alla città più vicina e spendere un po’ di tempo con la prima ragazza con la terza di reggiseno che gli capita di fronte. Ma quando risale in auto e stringe le mani sul volante, qualcosa gli impedisce di girare le chiavi nell’ignizione e accendere il motore: qualcosa nella forma di un uomo nudo appallottolato sul sedile del passeggero.

«Ciao, Dean», dice l’Uomo Nudo, la voce rauca e un sorriso appena accennato.

Dean si morde il labbro inferiore, chiude gli occhi e conta fino a dieci. Niente da fare: l’Uomo Nudo è ancora lì ed è nudo quanto prima, tutto arti da pipistrello e costole sporgenti.

«Checcazzo», impreca Dean.

L’Uomo Nudo fa una smorfia di dolore e si preme una mano contro la parte alta dello stomaco.

Dean appoggia la schiena contro lo sportello del guidatore e muove il braccio fino a che le sue dita non sfiorano la semiautomatica infilata nella cintura dei jeans. «Ehi, stai… stai bene?», s’informa, sospettoso, per guadagnare tempo.

L’Uomo Nudo digrigna i denti: «Starò bene», dice. «Devo solo abituarmi a questo nuovo corpo».

«Come?», chiede Dean, cauto.

«L’ultimo è circa esploso quando mi hanno sparato con un raggio della morte».

Il sangue gli gela nelle vene. «Cosa diamine sei?», domanda, puntando la pistola contro il petto dell’Uomo Nudo. Le circostanze non promettono niente di buono.

L’Uomo Nudo tenta una risata, ma le convulsioni lo costringono nel sedile del passeggero. «La domanda è chi», farfuglia.

«Come?»

«Chi».

Dean toglie la sicura. «Ok: Chi. Cazzo. Sei.»

L’Uomo Nudo posa lo sguardo sulla canna della pistola. «Davvero non ti ricordi di me?», chiede. «Lo trovo offensivo». Sembra sincero - troppo sincero, quando le uniche creature sovrannaturali che un Winchester si lascia dietro sono o morte o troppo scaltre per farsi uccidere.

«È un po’ difficile riconoscervi quando saltate da sacco di carne a sacco di carne».

«Non suono un demone», si lamenta l’Uomo Nudo, offeso.

Dean comincia a perdere la pazienza. Per quanto non gli piaccia l’idea di sporcare gli interni della sua bambina di fluidi corporei, al momento non è troppo contrario a premere il grilletto. «Ok», concede. «Allora torniamo al punto di partenza: Cosa sei?»

L’Uomo Nudo ha l’indecenza di sbuffare. «Sono il Dottore», risponde.

«Il Dottore», ripete Dean. È sicuro di non avere mai avuto a che fare con una creatura sovrannaturale con un nome simile. Si ricorda di qualche chirurgo, però; e l’immagine di uno zombie dal bisturi facile e il camice inzuppato di sangue che gli viene alla mente non è esattamente delle più rassicuranti. «Scendi dall’auto», ordina.

L’Uomo Nudo scuote la testa. «Preferirei non muovermi al momento».

Dean non ha ragione di pensare che stia mentendo: i suoi muscoli sono scossi dai tremiti, i suoi occhi sono lucidi, e la sua pelle è madida di quel sudore tipico delle febbri allergiche. Tra tutto, sta soffrendo come un cane. Non che la cosa faccia molta differenza. «Scendi dall’auto», insiste.

L’Uomo Nudo - il Dottore - alza le mani in segno di resa: «Ok, ok», dice. «Ma dovresti sapere che spararmi non servirebbe. Non con la rigenerazione ancora in corso eccetera».

Dean rafforza la stretta attorno alla pistola e i suoi occhi si fanno due fessure. «Ah sì? Vogliamo provare?», sfida.

Il Dottore mormora qualcosa del tipo ‘più scorbutico di quanto ricordassi’ e mette il piede destro fuori dall’auto.

«Avanti», lo incita Dean. Ha giusto aperto la portiera quando la voce del Dottore gli arriva alle orecchie, estatica. «Oh, fantastico. Questo è… oh, fantastico!»

Dean aggrotta la fronte; qualsiasi cosa stia rendendo felice Lady Godiva, non può essere niente di buono. Non si rende conto della terrificante veridicità di questo pensiero fino a che non esce completamente dall’abitacolo e nota quello che è successo alla sua bambina.

Il tetto dell’Impala è blu. E non un blu qualsiasi: un blu elettrico, quasi fosforescente. Blu le portiere, blu il cofano, e blu i cerchi in lega. Blu a non finire. Dean si sente svanire.

«Fantastico!», dice ancora il Dottore.

D’istinto, Dean solleva la pistola e gli spara tre colpi nel petto. «Figlio di puttana!», impreca.

Il corpo del Dottore cade a terra con un tonfo sordo. Dean si concede un sorriso soddisfatto: nessuno tocca la sua bambina. Nessuno.

Dean torna a prendere posto nel sedile del guidatore. Negli ultimi 30 secondi, anche gli interni sono cambiati. Oro e ottone sono i colori predominanti, ma il cruscotto è di una strana sfumatura marrone e la tappezzeria è di un rosso scuro simile a quello del sangue secco. Ai lati dei sedili sono spuntate delle specie di sfere e, al posto della radio, un telefono a gettoni sovrasta la leva del cambio.

Dean vorrebbe bestemmiare il nome di trenta inesistenti divinità diverse, ma il groppo che ha in gola gli impedisce di formulare alcun suono che non sia uno strozzato Uhhghn. Incapace di fare altro, porta lo sguardo sul contachilometri, ora fisso su 00000456, e boccheggia per cinque minuti buoni prima di riprendere il controllo di sé.

«Ok». Si tratta sicuramente di una maledizione di qualche sorta. Ma Dean conosce il nome del bastardo (o, almeno, il nome del tipo di creatura che il bastardo era) e il suo cadavere; con un semplice lavoretto di ricerca e un bel barbecue non c’è ragione che le cose non si risolvano. Inutile preoccuparsi, giusto? Giusto.

Dean picchia il pugno contro il cruscotto e maledice la propria avventatezza.

«Beh, è stato divertente», dice una voce alla sua destra.

Dean scatta all’indietro e urta accidentalmente il clacson dell’Impala con il gomito sinistro. Invece del solito tuuum acuto, quello che ne esce sono le prime note di un’opera classica.

«Mozart. Concerto per pianoforte o clavicembalo K 107».

«Come?!»

Il Dottore fa una smorfia. «Non più il mio genere, però», dice, con un velo di rammarico.

Dean torna a sollevare la pistola. Il che ok, forse è un po’ inutile, perché i tre proiettili che gli sparato prima - proiettili d’argento - stanno giusto scivolando fuori dal corpo del Dottore, avvolti da una strana luce dorata. «Che cazzo», impreca, gli occhi sgranati.

«Rigenerazione», fa il Dottore, petulante. «Te l’avevo detto». La sua voce è più fioca di prima, ma i suoi movimenti sono decisi, e il suo corpo ha smesso di tremare.

Dean mette da parte anche la teoria della febbre assassina; forse lo spettro (o quello che è) sta davvero semplicemente abituandosi al suo nuovo ospite. Il che significa che tra poco il Dottore avrà la forza necessaria per incantare più che la tappezzeria dell’Impala. “Merda”, pensa.

Dean è fottuto, semplicemente fottuto. Ma è anche ben determinato a non morire per mano di un uomo nudo. Almeno non mentre l’Impala è colorata di blu. «Che cosa vuoi?», temporeggia.

In piedi accanto all’auto, il Dottore si appoggia di peso al tetto dell’abitacolo e sbircia all’interno del finestrino. «Un paio di pantaloni», dice, indicando con un cenno significativo le proprie parti basse.

Tutto considerato, Dean la ritrova una richiesta piuttosto ragionevole. Specie considerate le loro attuali posizioni relative. Cristo.

Dean scende dall’abitacolo e recupera un borsone dal sedile posteriore. Più per abitudine che altro, si assicura che la canna della pistola sia puntata contro uno dei punti vitali del Dottore. «Accomodati», dice, lanciando il borsone sul tetto dell’Impala.

All’interno c’è ben più dei pantaloni che Dean ha usato l’ultima volta che si è finto un impresario musicale. Boxer, tanto per cominciare, perché per quanto Dean sia turbato all’idea che un essere-non-identificato indossi la sua biancheria, il pensiero che tale essere-non-identificato se ne vada in giro senza niente sotto i calzoni lo turba giusto un tantino di più.

«Oh, splendido», commenta il Dottore, estraendo l’ennesimo indumento dal borsone.

«Ehi, quella non è per te!», ammonisce Dean. Si era completamente dimenticato della giacca di pelle.

Il Dottore sembra deluso; poi abbandona la giacca sul tetto dell’Impala assieme a un’orribile cravatta a strisce marroni e torna a sorridere un sorriso irritante: «Ok», acconsente.

«Ok», gli fa eco Dean. «Cosa hai fatto alla mia bambina?», chiede.

Il Dottore alza gli occhi al cielo: «Oh, ci risiamo». Si stringe la radice del naso tra indice e pollice, come per cacciare una violenta emicrania.

«Allora?», insiste Dean.

Il Dottore si porta le mani ai fianchi: «Senti non ho tempo di spiegar-»

«Chiudi il becco!» Dean perde la pazienza. Passi l’Uomo Nudo nel sedile del passeggero. Passi il fatto che l’Uomo Nudo sia una creatura con cui non ha mai avuto a che fare prima. E passi anche il fatto che i proiettili si sono dimostrati inutili contro la nudità dell’Uomo Nudo. Ma… «La mia bambina è blu!»

«Cobalto», dice il Dottore.

«Cosa?»

«Cobalto, non blu. È una colorazione ben distinta».

Dean decide di ignorarlo. «C’è una luce azzurra al posto del motore, la tappezzeria sembra uscita da un film porno degli anni ‘80 e c’è uno stramaledetto pinguino nel radiatore!»

«Oh, Frobisher è ancora in piscina?»

Dean si morde l’interno della guancia sinistra e deglutisce. Non ha intenzione di dare allo stronzo la soddisfazione di perdere il controllo. Non di nuovo. Il bastardo probabilmente si sta divertendo a confonderlo. «Ascoltami bene, ciccio», dice, serio, «Non ho intenzione di assecondare i tuoi giochetti. E ti posso assicurare che nessuno se ne va da nessuna parte fino a che non mi dici cosa cazzo sta succedendo. Chiaro?»

Il Dottore si schiarisce la gola. «Beh, tecnicamente non è stata colpa mia», si difende. «La TARDIS è semplicemente entrata in rotta di collisione con la tua auto e, visto che il protocollo di emergenza era attivo, ha deciso di connettere il suo nucleo operativo alla struttura meccanica della tua… ah, IMPALA.»

Dean fa per ribattere; guarda di lato; sbatte le palpebre. E poi rivolge al Dottore uno sguardo tra l’incredulo e l’indignato. «Prego?»

«La tua auto si è fusa con la mia astronave».

Dean solleva un sopracciglio. «Astronave», dice, senza alcuna inflessione nella voce.

«Esatto!»

«Perché tu sei… un alieno», offre, ironico.

Il Dottore annuisce, entusiasta, e fa scorrere la mano lungo il tettuccio dell’Impala. Il gesto è terribilmente simile a una carezza e Dean giura che le vibrazioni che stanno misteriosamente percorrendo la carrozzeria l’Impala sono tali e quali a quelle di un gatto che fa le fusa. Il che non ha senso, perché l’Impala non ha una volontà propria; e anche se ce l’avesse, la sua bambina non si concederebbe mai in quel modo alle attenzioni di uno sconosciuto.

Dean s’impone di calarsi. Cauto, comincia a spostarsi verso il retro dell’Impala. Il Dottore non sembra fare caso ai suoi spostamenti, occupato com’è a corteggiare il tetto dell’auto. Dean approfitta della sua apparente distrazione per studiarne la figura e, quando il suo sguardo arriva al suolo, le mani gli tremano: i proiettili che il corpo del Dottore ha espulso giacciono integri ai suoi piedi, come se fossero stati fatti cadere contro il terreno.

Dean stringe la presa sulla semiautomatica e si ferma a valutare le proprie opzioni. Forse ha davvero sottovalutato quella dannata strega. Ma se il Dottore stesso è frutto di un qualche incantesimo da qui in avanti le sue allucinazioni non possono che peggiorare. C’è solo da sperare che questo casino sia dovuto a una fattura e non a una qualche pozione.

Con un occhio puntato sul Dottore, Dean si accosta al bagagliaio e accede al doppiofondo. I fucili, i piedi di porco, i pugnali, e il resto delle armi sono tutti al loro posto e, Dean nota con un sospiro sollevato, non ci sono pinguini in vista. L’unica cosa sospetta è una chilometrica sciarpa di lana compressa sul fondo cassetta degli attrezzi.

«Oh, è un po’ che non la vedevo», commenta il Dottore, tutto allegro.

Dean getta la sciarpa sul tetto dell’Impala, sopra la giacca di pelle, e carica uno dei fucili con dei pallettoni di sale. Il Dottore comincia a ondeggiare sui talloni, le mani infilate nelle tasche posteriori dei pantaloni; ha la sfacciataggine di sembrare annoiato: «Bel tempo», commenta, studiando il cielo libero dalle nuvole. «Un po’ ventilato, però».

Dean è troppo intento a valutare la sua prossima mossa per rispondere. Non è mai caduto vittima di maledizioni così potenti prima di adesso. Ed è piuttosto sicuro che creature che si credono omini verdi non siano qualcosa che capita tutti i giorni, anche nella sua area di lavoro. Forse farebbe meglio a chiamare-

«Così!», lo distrae il Dottore, all’evidente ricerca di un argomento di conversazione: «Come sta l’angelo?»

Dean aggrotta la fronte. «Angelo?», chiede, sospettoso, sistemando la presa sul fucile. Allucinazione o no, il Dottore è abbastanza solido perché i pallettoni di sale abbiano un qualche effetto. O almeno crede. «Quale angelo?»

Il Dottore fa un gesto spazientito con la mano sinistra: «Oh, ‘quale angelo’», gli fa eco, seccato, «Non uno a cui piace piangere, di sicuro».

«Di che cazzo stai parlando?» L’indice di Dean spasima contro il grilletto.

«No, davvero. Dov’è l’angelo? Ho bisogno di un essere ragionevole con cui parlare».

Oh, per carità divina. «Senti ciccio, non ho idea di cosa diavolo tu stia parlando. Ma ti posso assicurare due cose: uno gli angeli non esistono. E due-».

«Certo che gli angeli esistono!», interrompe il Dottore. «E: ehi, sei tu quello che mi ha praticamente costretto ad aprire l’Occhio dell’Armonia per -»

«L’Occhio di che?»

«Dell’Armonia! Grosso buco nero che alimenta il mio pianeta e permette alla mia TARDIS di sfruttare le vibrazioni del vortice temporale per viaggiare nello spazio-tempo? Io e Sam abbiamo passato ore a spiegarti le conseguenze di-»

«Come conosci Sam?!»

«Quel T-Rex erbivoro ha provato a toccare il mio sedano!»

L’affermazione è talmente ridicola che Dean è fisicamente ridotto al silenzio.

«Senti», riprende il Dottore, «capisco che il nuovo corpo sia un po’ sconcertante, ma non c’è veramente ragione di-». S’interrompe di colpo.

Dean si trattiene a stento dal gridare. «Che c’è adesso?»

«Sono in un nuovo corpo», sussurra il Dottore, appena udibile. Poi, inspiegabilmente, si piega in avanti e comincia a studiare la propria immagine riflessa nel tetto - ancora blu - dell’Impala. «Le mie orecchie», dice, grave, portandosi le mani alle stesse.

Dean inarca un sopracciglio. Oh, Dio: qualcuno gli dica che il pazzoide non crede di essere un alieno senza orecchie. Perché scoprire di avere appendici in più (o in meno) rispetto a quante uno si ricorda manderebbe in paranoia chiunque. (Giusto come quella volta che è suo padre stato donna per tre giorni) (Mai successo. Mai successo. Mai successo!).

«Che hanno le tue orecchie?», chiede, scocciato.

Il Dottore assume un’aria terribilmente seria. «Le definiresti… a sventola? Non che lo siano. Io le trovo perfettamente proporzionate».

Dean si gratta un sopracciglio col pollice sinistro. «Cosa?», chiede, confuso.

«Le mie orecchie!», insiste il Dottore. «Le definiresti a sventola?!»

Dean non esita un istante. «Diavolo, sì», risponde, ancora turbato. Quegli affari sono probabilmente meglio di un’antenna satellitare.

«Oh». Le espressioni sul viso del Dottore passano dall’ansioso all’offeso al ‘la tua morte è vicina’ prima di arrangiarsi in maniera definitiva a quella che, grazie al suo fratellino minore, Dean ha imparato a riconoscere come pura gioia geek. Dean non è mai stato un grande ammiratore della pura gioia geek - specialmente se accompagnata da farfugliamenti senza senso sotto forma di monologhi a mezza voce. Attività, quest’ultima, alla quale il Dottore si sta decisamente dedicando al momento, con tanto di sorriso da lunatico stampato sulla faccia.

La cosa più strana è che, sebbene i suoi movimenti e le sue parole si stiano facendo sempre più confusionari (e il suo accento sempre più inglese), il Dottore sembra perfettamente lucido. Magari la fine del processo di rigenerazione l’ha pure reso di nuovo vulnerabile ai proiettili. Dean sta decidendo il modo migliore per imbottirlo di tranquillanti, quando il Dottore riemerge dalle proprie elucubrazioni: «In che anno siamo?», gli chiede, urgente. E: andiamo! Dean ne ha veramente abbastanza. «2003», risponde, distratto, tanto perché sa di non avere altra scelta.

«Oh», il Dottore sembra mortificato. Inclinata la testa di lato, corruccia la fronte e, dopo aver studiato il viso di Dean per trenta secondi buoni, dice, completamente serio: «In effetti mi sembravi un tantino più femmineo di quanto mi ricordassi».

Questa volta, Dean gli spara nello stomaco. Come previsto, il colpo non lo uccide, né libera il corpo dalla possessione, ma a giudicare dai gemiti di dolore a cui il Dottore si è abbandonato, il pallettone deve avergli fatto un male del diavolo. Dean ghigna, soddisfatto. Femmineo, lui.

«Ok, signor alieno sono stanco dei tuoi giochetti!», dice, portandosi dall’altro lato dell’Impala.

Il Dottore è ancora steso a terra, le mani stese ai lati del corpo e la camicia a brandelli e appena intrisa di sangue laddove il sale è penetrato nella pelle. Sembra spazientito. «E io sono stufo della tua ottusità!», gli dice, puntandogli addosso due collerici occhi blu.

Dean ferma la propria avanzata e inarca un sopracciglio. «Come sai il mio nome?!», grida. La situazione si sta facendo ridicola. Dean ha bisogno di risposte, e adesso. Specie se questa allucinazione non è altro che un diversivo per arrivare a suo padre o a Sammy.

«Dean Winchester», risponde il Dottore, puntellandosi sui gomiti. «Abbiamo già stabilito che sei stato tu a chiamare me per la prima volta».

«Stronzate, non ti ho mai-»

«Invocato? Oh, no! Non sono un demone. Ti ho già detto anche questo. Comunque da solo non avresti i mezzi per chiamarmi sulla Terra. E il tuo angelo se la cava abbastanza male con un telefono normale: dargli un supertelefono sarebbe… Oh, beh, sarebbe da incoscienti», conclude, con un sorriso che rivela la sa chiara intenzione di mettere in pratica quell’esatto proposito non appena l’occasione gli si presenti.

Dean si preme la mano sinistra contro la tempia. Di nuovo questo fantomatico angelo. «Senti, ciccio: se escludiamo la modella sulla copertina dell’ultimo Busty Asian Beauties io non conosco nessun angelo».

Il Dottore lo guarda come se avesse detto una cosa terribilmente offensiva. «Certo che no! Siamo troppo indietro nella linea temporale. Non è ancora successo».

«Cosa?»

«Quando sono stato qui l’ultima volta ho usato te per individuare una delle possibili coordinate di atterraggio d’emergenza della TARDIS. Il raggio che ha causato la mia rigenerazione deve aver avuto qualche effetto sul quadro di comando e avermi spedito qui in anticipo».

«Oh, si: ora sei un alieno che viaggia nel tempo».

«A dire il vero viaggio nello spazio-tempo».

Dean emette una risatina strozzata: «Esattamente quanto stupido mi credi?!»

Il Dottore gli rivolge uno sguardo speculativo. «Vuoi davvero che ti risponda...?»

Dean solleva il fucile. «Oh, sì».

Il Dottore sospira. «Ok, senti, posso provarti che sto dicendo la verità».

«Come?»

«Sali in auto».

Dean inarca un sopracciglio. «Perché?»

Il Dottore sorride. «Sei mai stato a Barcellona?», chiede; e senza attendere risposta recupera il borsone dal tetto dell’Impala e si arrampica nel sedile del passeggero, ben attento a tenere le mani sollevate sopra la testa.

Dean non può fare altro che assecondarlo; dopo tutto soddisfare le richieste dello psicopatico potrebbe effettivamente aiutarlo arrivare in fondo a tutta la faccenda. Che diavolo. «Senza offesa, ciccio, ma a meno che tu non abbia incluso un razzo quando hai fatto il makeover alla mia auto, dubito che la mia bambina possa portarci in Spagna».

Il Dottore annuisce. «Non stiamo andando in Spagna».

«Corso di geografia di base: Barcellona è in Spagna».

«Barcellona la città è in Spagna. Barcellona il pianeta è a qualche migliaio di anni luce di distanza dalla Terra. Prima svolta a sinistra».

Dean sospira. «Senti, non so in quale trip allucinogeno questa rigenerazione ti abbia mandato, ma la mia Impala non può viaggiare nello spazio-tempo».

«Non hai ascoltato quanto ti ho detto fin’ora? La tua bambina si è fusa con la mia», insiste il Dottore.

«Certo. Come no. È tutta questa situazione del cazzo è colpa di una tresca lesbica».

Il Dottore non pare divertito. «Metti in moto e basta», dice, prima di ruotare verso il basso le bocchette dell’aerazione.

«Signorsì!», dice Dean, ironico. Ha appena spostato il piede sull’acceleratore quando qualcosa d’impossibile accade. Dall’altra parte del parabrezza, la strada e il deserto svaniscono alla vista, come ingurgitate del rumore di risucchio che si è risvegliato nel cofano dell’Impala. Il quadro di comando brilla di una luce azzurrognola: la lancetta della benzina schizza verso destra, il tachimetro impazzisce, e il contachilometri si azzera. Ogni suono cessa improvvisamente e, nel silenzio più totale, il telefono a gettoni che ha rimpiazzato la radio emette tre squilli distinti.

Calmo, il Dottore solleva il ricevitore e preme una combinazione apparentemente casuale di tasti.

L’istante successivo l’Impala si ritrova circondata da pareti di luce che si fondono e separano senza sosta, muovendosi in ogni direzione possibile: in alto, in basso, a destra, a sinistra, di lato… - è come attraversare un tunnel di lava, o immergersi nel flusso sanguigno di un maratoneta. Dean rivolge al Dottore uno sguardo pieno di panico.

«Vortice temporale», spiega il Dottore, incrociando le mani dietro la testa. «Di solito però non c’è questo panorama. Devo ricordarmi di includere delle parti in vetro nella prossima ristrutturazione della TARDIS», commenta, premendo il naso contro il finestrino.

Dean toglie le mani dal volante, come ustionato, e chiude gli occhi, il fucile a pallettoni dimenticato in grembo. Pochi istanti dopo, una strana musica comincia a levarsi in sottofondo; il ritmo gli ricorda le stupide canzoncine estive del tipo che Sam passerebbe ore ad ascoltare.

Qualcuno bussa alla portiera, insistente e, a malincuore, Dean è costretto ad aprire gli occhi.

Dall’altra parte del vetro, una strana creatura tentacolare in bichini rosa gli sta offrendo un Martini. Dean si lecca le labbra, rivolge alla strana creatura tentacolare in bichini rosa un sorriso incredulo e scuote la testa in quello che spera essere un rifiuto educato. I tentacoli della strana creatura tentacolare in bichini rosa si abbassano in segno di delusione e poi si allontanano in direzione di quella che sembra la versione aliena di un bar di Los Angeles. Dean nota suo malgrado che la strana creatura tentacolare in bichini rosa è senza ombra di dubbio di sesso maschile. Ew.

«Pianeta affascinante, Barcellona. Festivo», dice improvvisamente il Dottore, ancora spaparanzato sul sedile del passeggero.

Dean appoggia la fronte contro il volante e, dopo aver dato un ultimo sguardo a quanto di peggio la fauna locale ha da offrire, prende il respiro più profondo che abbia mai preso in vita sua. A meno che non abbia preso un abbaglio, una strana creatura tentacolare in bichini rosa c’ha appena provato con lui. Dean ha disperatamente bisogno di quel Martini.

Contemplare la possibilità che tutto questo sia reale è semplicemente inaccettabile. Insomma: vampiri e demoni sono un conto. Folletti? Ok. Con un po’ d’immaginazione, forse, potrebbe anche cascarci. Ma… alieni. E poi cosa ancora? Fatine?!

«È solo un’allucinazione», dice, cocciuto.

Il Dottore estrae una copia di Busty Asian Beauties dal portaoggetti più vicino, l’arrotola su se stessa, e colpisce Dean alla nuca. «Zuccone!», lo rimprovera.

«Ehi!», si lamenta Dean, massaggiandosi la parte offesa.

«Fammi indovinare: stai pensando streghe, demoni, e probabilmente Djinn», elenca il Dottore. «Beh, notizia dell’ultimo minuto: nessuno di loro può creare illusioni che contemplino curvature spazio-temporali o loro simulazioni così sfacciate. Ne perderebbero il controllo, i perdenti», aggiunge, sprezzante.

Dean lo osserva gongolare, silenzioso, fino a che una nuova melodia non attira la sua attenzione verso il bar a pochi metri da loro. Alcune… creature in abito da sera stanno mangiando qualcosa di molto simile a delle banane ricoperte di marshmallow e cioccolato fondente. Dean riconosce la canzone in sottofondo come Who wants to live forever dei Queen.

«Sei un fottuto alieno», dice dal nulla.

«Signore del Tempo», lo corregge il Dottore, puntiglioso. «L’ultimo, a quanto pare», aggiunge, quasi tra sé.

Dean appoggia la testa contro il sedile e si rende improvvisamente conto di qualcosa che, a questo punto, gli dovrebbe essere assolutamente ovvio. «La mia bambina è una fottuta macchina del tempo».

«Te l’avevo detto!», dice il Dottore, di nuovo sorridente. «Non è fantastico?»

Fantastico . Dean si sofferma per qualche istante ad ammirare il paesaggio fuori dal parabrezza - un pianeta ad anni luce dalla Terra che, stando alle coordinate suggerite dal telefono a gettoni, si trova circa 4500 anni nel futuro - e corruga la fronte.

«No, non è fantastico!», urla, improvvisamente adirato.

«No?» Il Dottore pare sconvolto. «Chi non vorrebbe esplorare l’infinità del tempo e dello spazio a bordo di una Chevy Impala del ’67?»

«Io!», replica Dean, sempre più irritato, «La mia bambina è blu».

Il Dottore sbuffa. «Cobalto», insiste, «e non vedo perché tu debba essere così fissato col colore della carrozzeria. Possiamo sempre ridipingerla».

Dean gli rivolge uno sguardo omicida.

Il Dottore comincia a giocare con la leva del finestrino. Quando un tentacolo scivola nell’abitacolo, accompagnato da un Martini e da un fazzoletto con un numero a 13 cifre, il Dottore digita una nuova combinazione sul telefono a gettoni e ordina a Dean di inserire la retromarcia ‘prima che il barman ci inviti a un ménage a trois’.

Dean non se lo fa ripetere due volte.

Tre minuti dopo (o qualche migliaio di anni prima), quando finalmente il deserto riappare sotto le ruote dell’Impala, il cervello di Dean è ancora troppo occupato a processare il fatto che è appena stato su un pianeta alieno per avere totale controllo sul suo corpo. Il che spiega perché Dean stesso si ritrovi senza sapere come piegato in due sul ciglio della strada con lo stomaco alleggerito dei pasti degli ultimi 5 mesi. Il sapore di acido che gli sale alla bocca è tanto forte che è appena consapevole dei colpetti di falsa compassione che il Dottore gli sta dando sulla spalla.

«Cristo», impreca Dean, passandosi il dorso della mano lungo le labbra e il mento.

Il Dottore fa un passo verso destra; ha l’aria di essere egualmente affascinato e disgustato dalla pozzanghera di vomito ai loro piedi.

«Come ti conosco?», chiede infine Dean. «Nel futuro, intendo». Questa volta non c’è alcuna aggressività nel suo tono. Anche se, a dirla tutta, non è nemmeno sicuro di volere una risposta.

Il Dottore sembra insicuro sul da farsi; poi sorride come suo solito e immerge le mani nelle tasche dei pantaloni. «Ho aiutato te, un vecchio montanaro ubriacone, e quell’erbivoro di tuo fratello a privare Dio dei propri poteri», dice, serio.

Dean annuisce, intontito. Quando la nausea è passata abbastanza da permettergli di stare in piedi, si preme pollice e indice contro gli occhi. La sua vita è strana. «Dio, eh? Beh, questo spiega gli angeli», concede. «Immagino che avrei dovuto pregare di più», aggiunge, quasi per scherzo.

Il Dottore sorride, malinconico. «Credo che un abbraccio sarebbe stato sufficiente», sussurra, appena udibile.

Dean gli lancia uno sguardo incredulo, ma il Dottore non sembra disposto a elaborare ulteriormente la propria risposta; probabilmente lo sta solo prendendo in giro. E beh, Dean non può dire di non meritarselo. Il fatto che lui - e, scommette, la maggior parte dei cacciatori - non sappia un accidenti di alieni oltre le stronzate propinate dai fanatici dell’Area 51 (se si esclude la parte riguardo alle sonde anali, che Dean teme essere fin troppo vera) non è incoraggiante. Avranno bisogno di fucili a pallettoni più grandi.

«Ok, Doc, qual è la prossima mossa?», chiede, interrompendo la sua stessa tirata paranoica.

Il Dottore ruota sul calcagno sinistro e si avvia ad aprire il cofano dell’Impala. Dean fa di tutto per ignorare il fatto che mentre era occupato a vomitare l’anima sul ciglio della strada una specie di sirena è apparsa sul tetto.

«Poniamo fine alla tresca tra la tua Impala e la mia TARDIS», dice il Dottore, contento. «In caso contrario, potremmo assistere alla creazione di buco nero anomalo e alla conseguente distruzione dell’Universo».

Dean annuisce, stupido. «Oh, bene». La sua bambina è decisamente troppo giovane per una relazione fissa. E Dean è sicuro che il suo inconscio ha già preso ad associare il blu cobalto a qualche specie di malattia sessualmente trasmissibile di origine aliena. O alla fine del mondo. Una delle due.

«Ah, vediamo!». Il Dottore continua a rovistare nel cofano. Ogni tanto si ferma per rivolgere un saluto al pinguino che occupa ancora la piscina o per estrarre da chissà dove un qualche oggetto dalla forma insolita. Dean deve scansarsi per evitare la pioggia di materiali non identificati che il Dottore si lancia dietro le spalle. Quando qualcosa di terribilmente simile a un frigorifero portatile gli atterra accanto al piede sinistro, Dean batte in ritirata e si porta sul fianco dell’Impala.

Alla fine, il Dottore riemerge dal cofano con una specie di cacciavite stretto nella mano destra e un’espressione vittoriosa stampata sul viso. «Eccoti qui!», esclama.

Dean è piuttosto sicuro di non aver mai visto nessuno provare tanta felicità nello stringere in mano un attrezzo da meccanico. Beh, non nella vita reale, almeno. «Sai, Doc, non sono ancora se ti credo oppure se sono impazzito», confessa, mentre il Dottore prende posto sul sedile dietro a quello del guidatore.

«Divertente: è la stessa cosa che ho pensato la prima volta che ti ho incontrato».

«Oh».

«Già», il Dottore infila il simil-cacciavite nel posacenere e preme un qualche bottone segreto. Il simil-cacciavite comincia ad emettere un sibilo acuto.

Dean si gratta la nuca. «Sei sicuro di potermi dire tutta questa roba? Insomma non ci sono regole sulle linee temporali o minchiate simili?»

Il Dottore scivola verso destra, punta il simil-cacciavite contro il tettuccio, e annuisce. «All’incirca. Il tempo non è una linea continua. Ci sono solo alcuni eventi che non possono essere cambiati, eventi che devono accadere, ed eventi se venissero disturbati causerebbero l’implosione dell’Universo stesso», spiega. «Tutto il resto è in movimento e si riforma in ogni istante».

Dean annuisce: «E il mio sapere di Dio e degli angeli è qualcosa in movimento».

Il Dottore allunga la gambe fuori dall’auto, si infila il cacciavite in tasca, e sorride. «Non ne ho ancora la minima idea», ammette con un sorriso maniacale.

Dean lo osserva sgusciare nello spazio tra i due sedili anteriori. Oh. Ok. Rassicurante.

«Pronti!», urla il Dottore, che nel frattempo si è messo a cavalcioni del telefono a gettoni, un piede incastrato tra parabrezza e cruscotto anteriore e l’altro affondato nel sedile del guidatore.

Dean trattiene un’imprecazione. «Ok, e… siamo sicuri che la mia Impala tornerà com’era prima?», chiede, sospettoso.

Il Dottore scende dall’auto con il telefono a gettoni stretto in mano. «Sicurissimo», dice, gettando a terra la cornetta. «Ora, sta indietro».

Dean obbedisce, reclutante.

Il Dottore si affaccia dal finestrino all’interno dell’abitacolo, gira la chiave d’ignizione e scatta indietro. Un secondo dopo l’Impala svanisce nel nulla risucchiata dal suono dell’aspirapolvere intasato.

«Fantastico!», dice il Dottore.

«La mia bambina!», dispera Dean. D’istinto la sua mano scivola allo stivale dov’è nascosto il suo pugnale di riserva. Ma prima che possa fare qualcosa di stupido (e probabilmente violento), il suono si fa risentire.

Dean e il Dottore si voltano, e l’Impala ricompare nel bel mezzo della strada, intatta, la carrozzeria di nuovo splendidamente nera. Pochi metri alla sua sinistra c’è una cabina telefonica color cobalto.

«La TARDIS», capisce Dean.

Il Dottore annuisce. «Non è magnifica?!»

«Si, è… qualcosa», ammette Dean, stupito. Doveva immaginarsi che l’astronave di un simile pazzoide non avrebbe potuto avere una forma comune. Non che si fosse davvero aspettato una DeLorean.

Per la seconda volta, il Dottore batte le mani tra loro con fare soddisfatto. «Beh, fine dell’Universo evitata. Per questa volta».

Dean annuisce, l’attenzione ancora divisa tra l’Impala e la TARDIS. «Già».

«Oh, quasi dimenticavo». Il Dottore prende la mano di Dean e gli sfila l’anello che porta all’indice. «L’ultima volta ti ho trovato grazie a questo», spiega, premendo il simil-cacciavite contro il metallo.

Dean lo lascia fare, sospettoso, ma si vede bene dal protestare. «Ok», dice, infilandosi nuovamente l’anello al dito.

Il Dottore apre la porta della cabina telefonica. Dal poco che riesce a intravedere, Dean non è sorpreso nell’avere conferma che l’interno è molto più grande dell’esterno - un’altra caratteristica che la TARDIS sembra avere in comune con l’Impala. «Fottuti buchi neri», mormora, divertito. L’interno della TARDIS potrebbe persino trovarsi in un’altra dimensione, o roba simile, per quanto ne capisce lui.

«Ehi, sicuro di non voler visitare per bene Barcellona?», chiede il Dottore. «Magari uno dei quartieri meno squallidi, stavolta. O qualche altro pianeta. Abbiamo un sacco di tempo».

Dean emette una risata strozzata. «Come se potessi mai tradire la mia bambina».

Il Dottore sorride. «Condivido il sentimento», dice, accarezzando la porta della TARDIS.

«Forse la prossima volta», concede Dean.

Il Dottore annuisce soddisfatto. «Fantastico!», commenta. «Oh, e stai attento. Con le modifiche che ho fatto l’onda d’urto causata dall’ignizione del motore potrebbe avere conseguenze impreviste. Niente di mortalmente pericoloso. Ma…».

«Lo terrò a mente, Dottor Brown», promette Dean.

Il Dottore gli rivolge un sorriso sghembo. «Ci si vede, Dean Winchester», dice, svanendo all’interno della TARDIS.

Dean rimane immobile a osservare l’immagine dalla cabina telefonica farsi sempre più flebile fino a che davanti a lui non ci sono altro che un infinito deserto e chilometri di strada asfaltata. Poi solleva la mano in segno si saluto. «Alieni», mormora tra sé.

Ancora scosso, risale in auto e muove le mani lungo la curva del il volante. La sua bambina è quella di prima: i sedili sono privi di borchie, la sua copia di emergenza di Busty Asian Beauties è nel portaoggetti sul lato del passeggero, l’autoradio è di nuovo un’autoradio, e… «Bastardo!» Il borsone con l’orrenda cravatta marrone e la giacca di pelle di suo padre è svanito.

Dean scuote la testa e sorride. La prossima volta che si troverà faccia a faccia con quel ladruncolo del Dottore starà ben certo che Sammy tocchi il suo sedano nel modo più sconveniente possibile.

Con questi piani di vendetta freschi nella mente, Dean gira la chiave nel quadro di comando e si prepara a tornare al motel dove suo padre lo sta aspettando.

Ingranata la prima, il motore esplode in un terribile lampo di luce. Dean trasalisce, un invisibile peso improvvisamente premuto all’altezza del petto. È come essere catapultati nel vortice temporale una seconda volta - ma senza le cinture di sicurezze allacciate. Dean ha giusto il tempo di maledire il Dottore e la sua fottuta onda d’urto prima di perdere i sensi.

* * *

Parte 2 di 2

1. fandom: tv, 6. type: crossover, 3. character: sam winchester, language: italian, 4. pairing: -, 3. character: dean winchester, 6. type: oneshot, 2. tv: supernatural, 3. character: 5th doctor, 5. rating: pg13, 0. fic, 3. character: 9th doctor, 2. tv: doctor who, 3. character: bobby singer

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