Kateikyoushi Hitman Reborn. Squalo/Dino. 001. Inizio

Aug 09, 2011 13:46

Titolo: There is no heart without you
Titolo capitolo: L'assassinio
Autore: seleniasan
Fandom: Katekyo Hitman Reborn!
Prompt: 076. Chi?
Pairing: Squalo x Dino
Rating: giallo
Genere: generale, giallo
Parole: 1250 parole
Avvertimenti: AU, shounen ai
Disclaimer: Squalo e Dino sono (c) di Akira Amano, io non ricavo nulla da ciò che scrivo, lo sapete, se fosse tutto mio KHR sarebbe un manga yaoi e questi due, come molta altra gente, farebbero ben altro.
Note: altro capitolo di una fic che terrà più prompt, perché mi piace vincere facile xDD *coffcoff* So che il titolo è quello di un capitolo/un volume di Bleach (il volume con Kaien, mi pare), ma mi piace veramente tanto quel titolo ç.ç
Tabella: http://seleniasan.livejournal.com/46595.html

02 - L'assassinio

Il giorno seguente Squalo, dopo aver tatticamente evitato qualsiasi domanda riguardante ciò che era andato a fare al cimitero, si era diretto verso l’Archivio Centrale Cittadino. Visto lo strano incontro di cui era stato protagonista, era deciso a sapere di più sul castello e su chi ci avesse abitato.
In quel momento era seduto a un tavolo di consultazione circondato da libri e cronache risalenti ad alcuni secoli precedenti, a poca distanza da un bestione elettronico chiamato computer, dal cui schermo nero le scritte verde acido mandavano una flebile luce innaturale. Squalo si passò una mano tra i capelli e sospirò frustrato. Le ricerche a tavolino non erano mai state il suo forte, tuttavia erano necessarie. Certo, avrebbe potuto evitare di complicarsi la vita e chiedere direttamente al fantasma, ma non era sicuro se ciò che aveva visto era effettivamente reale, o era frutto di un po’ troppa immaginazione. In effetti non era nemmeno certo di voler tornare in quel castello. Ma tant’è, se la chiave del caso era lì, allora avrebbe dovuto impegnarsi, volente o nolente.
Proprio quando stava per gettare la spugna, l’occhio gli cadde sul titolo di una cronaca risalente al 1863. Prese in mano il documento e ne lesse l’intestazione: “Sunto de la fortuna e caduta dello Casato Cavallone”. Poco sotto era disegnato uno stemma, che rappresentava un cavallo nero in posizione araldica. L’investigatore fece mente locale, poi si ricordò di aver notato un blasone simile all’interno del castello, quando all’improvviso si era trovato nell’atrio, ma fino a quel momento l’aveva considerato un dettaglio inutile. In fondo, fin dall’inizio era stato scettico su tutta la situazione. Fu così che iniziò a leggere.

“Lo castello, risalente al 1478 Anno Domini, era di proprietà de lo Conte Arduino de’ Cavalloni da Padova. Lo Conte, grande mecenate, sempre avea donato ospitalità a molti poeti e pittori. La tradizione fu mantenuta anche da li figli e sempre, pace o battaglia, codesto era lo luogo sicuro ove anche li innocenti potevano trovare rifugio. Lo castello fu successivamente restaurato nello anno 1813 dallo architetto Nicola Valenti, discepolo de l’illustre Randoni, su commissione dello Conte Massimo de Cavallone. Nel 1838 lo Conte Cosimo de’ Cavallone fu colpito da feroce disgrazia. La moglie, la Contessa Beatrice, decedette dopo aver dato alla luce un figlio, lo signorino Conte Dino de’ Cavallone. Lo Conte, disperato, si chiuse nel castello per mai uscirne e voci dissero che si fosse dato all’Occultismo, non traendo più né gioia, né felicità dalla vita. Lo figlio del Conte, nonostante tutto, crebbe in salute, lontano dalle inclinazioni del padre. All’età di ventidue anni, tuttavia, si ammalò gravemente. Si disse che fosse stato lo padre, che avea fatto un patto con lo Diavolo. Di lì a poco, infatti, lo signorino Conte si spense, consunto dalla malattia. Lo castello venne bruciato dagli abitanti della città in uno eccesso de ira e superstizione.”

Il resto del documento conteneva conteggi dei danni e morti di illustri ormai dimenticati. Squalo sospirò seccato.
Il cosiddetto “assassinio” era risolto. Andò quindi dalla responsabile e si fece fare una copia del documento, deciso a portarlo al fantasma, o scherzo che fosse, e indagare seriamente sulle sparizioni. Uscì dall’Archivio Centrale e si diresse verso l’agenzia.

Nel frattempo la signorina Bianchi, una diciassettenne pretenziosa, stava minacciando un seccatissimo Belphegor a proposito del suo cane, un barboncino di nome Romeo che aveva l’abitudine di scappare via, soprattutto a causa delle venefiche doti culinarie della padrona.
« Pretendo serietà da quest’agenzia! Perché credete che mi affidi a voi, altrimenti? Rivoglio il mio cane, e anche a breve! »
Il principe piantò un coltello sulla scrivania, tra le mani della ragazza.
« Ushishishi… Forse dovrebbe iniziare a chiedersi come mai scappa sempre quell’animale. »
« Non è divertente! »
Si sentirono alcune porte sbattere, poi li raggiunse la voce querula di Lussuria, che stava dicendo a Squalo di presentarsi da Xanxus. Il detective dai capelli bianchi imprecò e si diresse velocemente verso l’ufficio del capo. Belphegor,a quel punto, si rivolse ancora a Bianchi.
« Può provare a inventare qualche manicaretto che non sia velenoso, magari il cane torna da sé… Shishi… »
La ragazza si infuriò più di quanto non lo fosse già, gli sciolse una parte di scrivania con una torta probabilmente fatta con l’acido muriatico e se ne andò.
« Avrete mie notizie! »
Lussuria la condusse all’uscita. Qualche minuto dopo vide che Squalo usciva dall’ufficio del capo con i capelli e i vestiti macchiati di liquore.
« Squ-chan! Va tutto bene? »
« Voooi, tu che dici, cervello defunto? »
Senza lasciare nemmeno il tempo al segretario di formulare una risposta, uscì alla svelta con la grazia di un bisonte imbizzarrito.

Una volta davanti al castello, vi irruppe sfasciando le travi che sigillavano l’ingresso. Riprese un attimo fiato e chiamò a gran voce l’inquilino che lì abitava. Dino si fece vedere in cima alla rampa di scale:
« Siete tornato, signor Squalo! »
Ciò detto gli rivolse un sorriso e iniziò a scendere. Quasi in fondo alla scala, inciampò nei propri piedi e si stampò a pelle d’orso sul pavimento. Si rialzò massaggiandosi e si inchinò per scusarsi. L’investigatore, paziente come una tagliola, gli sibilò qualcosa sullo stare più attento, quindi gli mostrò la copia del documento che aveva preso all’archivio. Dino osservò il foglio con espressione interrogativa.
« Dunque? »
Squalo perse la pazienza e gli tirò un pugno, che ovviamente trapassò il nulla.
« Vooi, sei tordo! Qui c’è scritto come sei morto! Nessun assassinio, capito? »
Il biondo lesse il documento con fare assorto. Lo lesse più volte, poi scosse la testa.
« Ci dev’essere qualcosa di sbagliato… »
« È una cronaca ufficiale, non può essere sbagliata. »
Dino scosse ancora la testa.
« Non può essere. Davvero, il vaiolo mi stava consumando, ma non sono morto per quello. »
Lo spadaccino gli lanciò un’occhiata eloquente. Il fantasma si slacciò la sciarpa e l’alto colletto della camicia, mostrando all’altro lividi piuttosto evidenti intorno al collo. Squalo inarcò un sopracciglio.
« Questa, come potete vedere, è la prova che quella cronaca mente. »
« Vooi, se la metti così… »
« In cambio credo di aver scoperto qualcosa per il vostro caso. »
Ancora una volta, mentre il Dandy lo conduceva verso il cimitero, Squalo si stupì del fatto che Dino non faceva rumore. Non si sentivano i suoi passi, non si sentiva - a ben pensarci - nemmeno il suo respiro; inoltre, più che camminare, sembrava fluttuare nell'aria. L’investigatore lo osservò meglio. Era veramente pallido e sembrava brillare di una diafana luce. Mentre camminavano, Dino inciampò più volte e più volte si scusò. Fu così che arrivarono in un punto, presso un piccolo bivio, poco prima di arrivare al cimitero vero e proprio. C’era, sul ciglio della stradina sterrata, un pezzo di stoffa.
« Non ho visto altro. »
« Inciampi sempre, ma sei abbastanza in gamba. Ecco un indizio concreto su cui lavorare. »
L’investigatore sottolineò con un ghigno la parola “concreto”, mentre raccoglieva con attenzione il pezzo di stoffa e lo imbustava in una cartellina di plastica che si portava sempre dietro. Dino ridacchiò imbarazzato e rispose:
« Non c’è di che, signor Squalo. »
Squalo si voltò per dirgli qualcosa, ma dietro di sé non c’era nessuno. Il Dandy si era dileguato nel nulla. Rise ancora nervosamente, prima di pensare tra sé e sé:
“Liquore. Ho bisogno di liquore. E anche molto forte.”
A quel punto se ne andò da quel posto verso un bar del centro.

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