Yumegari (La cacciatrice di sogni) è un’opera incompiuta delle CLAMP, sconosciuta ai più. Si tratta di un romanzo a puntate pubblicato sulla rivista mensile giapponese Monthly Shosetsu Asuka, edita da Kodansha Shoten, nel mese di aprile del 1996.
Purtroppo, per sua stessa natura di opera incompiuta, di Yumegari esistono solo il prologo e due capitoli, oltre ad alcune illustrazioni. È tuttavia un’opera estremamente interessante, poiché in essa è possibile ritrovare molti dei temi cari al gruppo di famose autrici; fra gli altri, la presenza pressoché costante del mondo onirico e delle persone capaci di esplorarlo - gli yumemi, i cosiddetti ‘sognatori’ - e di avere, tramite esso, visioni del futuro.
Con questa premessa, in Yumegari viene introdotta una nuova figura di ‘sognatore’, la quale, diversamente da quanto accade ad altri famosi yumemi dell’universo CLAMP (basti pensare alla principessa Hinoto e a Kakyo in X, alla principessa Tomoyo e a Sakura in Tsubasa Reservoir Chronicle), non si limita ad osservare passivamente ciò che accade nei sogni, ma, al contrario, può parteciparvi attivamente e modificarne l’esito.
Non è detto che un giorno Yumegari non possa venire finalmente concluso; tuttavia, considerato il lasso di tempo trascorso dalla sua pubblicazione iniziale, ciò è, almeno per il momento, alquanto improbabile.
Vi è tuttavia da considerare che le CLAMP, nel corso degli anni, non hanno mancato di citare o riproporre in un modo o nell’altro, quasi come fosse un gioco, un po’ tutte le loro opere, incompiute o meno. Il caso più eclatante è rappresentato da Tsubasa Reservoir Chronicle, in cui appaiono, in vesti differenti, praticamente tutti i personaggi inventati dalle quattro autrici; ma, nel caso di Yumegari, occorre andare a cercare nel quarto volume di xxxHOLic. Il lettore avrà infatti sicuramente notato il film proiettato nel terzo capitolo, in cui Watanuki e Doumeki si recano al cinema insieme alle due gemelle; ebbene, quel film altri non è che una citazione di Yumegari, anzi, ne rappresenta un punto cruciale. In particolar modo, una delle immagini proiettate è pressoché identica ad una delle illustrazioni uscite a suo tempo sulla rivista Monthly Shosetsu Asuka.
Detto questo, vi rimando alla lettura degli unici capitoli esistenti di Yumegari, ricordando che si tratta di una traduzione basata a sua volta su una versione in lingua inglese; è perciò possibile che siano presenti degli errori e delle differenze rispetto all’originale, e di questo mi scuso in anticipo.
Infine, vorrei precisare che questa traduzione è stata postata anche all’indirizzo
http://community.livejournal.com/istituto_clamp Buona lettura, e… non lasciatevi catturare dal sogno!
-- Glinda
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Yumegari (La Cacciatrice di Sogni)
di CLAMP
Storia: Ageha Ohkawa
Illustrazioni: Mokona
Traduzione: Rika e Minako Takahashi
A cura di: Kristin Huntsman
“Non esiste essere umano
che non sia in grado di sognare.
Tutti sognano, e poi…”
Può risultare reticente, può sembrare privo d’avidità.
Ciononostante, gli umani talvolta divengono maestri dell’inganno,
se posti di fronte ai poteri che controllano la notte…
Che cielo stupendo, mi viene in mente.
Un cielo chiaro, azzurro, davvero bellissimo. Quello che probabilmente verrebbe definito un cielo azzurro e privo di nuvole. Sto camminando sotto questo cielo azzurro.
Con la mano destra tengo un cestino intrecciato, e all’interno del cestino c’è un ‘cocomero’ a strisce verdi e nere. Un cocomero bello grande e maturo. In teoria dovrebbe essere molto pesante, ma non faccio fatica a portarlo. Continuo a camminare, con il cocomero che ondeggia su e giù ad ogni passo.
Il sole è molto intenso, ma non fa eccessivamente caldo. Indosso l’uniforme invernale della mia scuola - la marinaretta di colore nero - ma non sto sudando.
Cammino. Continuo a camminare.
Continuo a camminare, godendomi ogni singolo passo che compio sullo stretto sentiero di ghiaia.
La mia ombra si allunga verso l’orizzonte, ed è come se mi stesse conducendo in una direzione precisa.
D’impulso, sento il bisogno di superare la mia ombra, e inizio a camminare più velocemente.
Il sole continua a splendere di fronte a me, simile ad un kaki maturo. Ad un certo punto, il cielo è solcato da uno stormo di sconosciuti uccelli bianchi.
M’intestardisco nel voler superare la mia ombra, e aumento ulteriormente la velocità del mio passo. Ma, per quanto tempo passi, non riesco a superare la mia ombra.
La mia ombra continua ad allungarsi velocemente, come se non volesse farsi superare.
Il cocomero che porto nel cestino si è fatto pesante. Inciampo diverse volte sulla ghiaia, ma continuo a correre. Il cocomero ondeggia e sbatte continuamente contro la mia gamba destra.
Sono senza fiato. Mi chiedo perché sto correndo, non sono sicura di me stessa.
Perché ho iniziato a correre? Ah, già.
Per consegnare il ‘vaso dei pesciolini rossi’ che assomiglia ad un ‘cocomero’.
Nel ‘vaso dei pesciolini rossi’ nuotano quattro pesci rossi, con pinne caudali anch’esse rosse. Mi devo affrettare a consegnarlo.
Mi devo affrettare, affrettare a consegnarlo. Altrimenti l’acqua traboccherà e non ne resterà nemmeno un po’.
Sì. C’è un foro nel vaso dei pesci. Ecco perché l’acqua andrà tutta di fuori se non mi sbrigherò.
Quando l’acqua finirà, i pesci rossi inizieranno a camminare su due gambe e andranno in cerca di qualcosa da mangiare.
Ora che ci penso, mi è venuta fame. Ora che me ne sono resa conto, la fame si fa sentire ancora di più.
Ho fame. Se non mangio, potrei anche morire.
All’improvviso sento un suono provenire da qualche parte, lontano da qui.
Che cos’è? Non lo so. Ma è un suono acuto, ed è come se mi stesse chiamando.
Ma ho fame. Ho davvero una gran fame.
Voglio mangiare qualcosa. Anche se non è cotto - non mi importa se è crudo.
Voglio mangiare.
Oh. Mi rendo conto del peso che grava sulla mia mano destra.
Ci sono dei pesci rossi. Potrei mangiarli. E allora guardo il vaso dei pesci rossi nella mia mano destra.
Nel vaso dei pesciolini rossi c’è un ‘telefono’.
Il telefono del soggiorno. Il cordless nero.
Oh. Mi accorgo di qualcos’altro.
Il suono acuto e squillante che sentivo proviene dal telefono.
Infilo la mano nel ‘vaso dei pesciolini rossi’.
Pesco il telefono dall’acqua e lo accosto all’orecchio.
Ma il suono acuto non smette.
Buffo, visto che il telefono ce l’ho in mano.
“Pronto?” provo a dire. Nessuna risposta.
Ripeto “Pronto?” usando un tono di voce più deciso.
Poi…
La ‘voce di qualcuno’ mi echeggia nelle orecchie.
“Yuu-huu… è pronta la colazione, Tatsumi-chan.”
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“… E poi ti sei svegliata.”
Tatsumi annuì in risposta all’uomo seduto di fronte a lei, dall’altro lato del tavolo della sala da pranzo. Tatsumi Hojyo avrebbe compiuto 17 anni quell’anno, e frequentava il terzo anno delle superiori. Aveva i capelli neri e lisci, che le scendevano lungo la schiena. Era alta 1 metro e 67 centimetri. Una ragazza piuttosto alta, anche rispetto alle altre ragazze della sua età, la cui altezza media stava crescendo sempre più. Possedeva una corporatura solida - di certo non la si sarebbe potuta definire d’aspetto fragile - e indossava un’uniforme nera. La maggior parte della gente l’avrebbe descritta come una bella ragazza, ma Tatsumi era circondata da un’aura peculiare, che la faceva apparire come une persona scostante, difficile da avvicinare. Le sue sopracciglia sembravano disegnate secondo l’antica arte giapponese della calligrafia, e al di sotto di tali sopracciglia si trovavano un paio di occhi di colore chiaro. Tatsumi non aveva un carattere molto amichevole, e le persone che la incontravano per la prima volta si comportavano in maniera circospetta proprio a causa dei suoi occhi. Lei, ovviamente, non aveva cattive intenzioni; tuttavia, quando Tatsumi guardava qualcuno, quest’ultimo iniziava ad agitarsi e a chiedersi come si sarebbe dovuto comportare con la ragazza.
“Un ‘cocomero’ che diventa un ‘vaso dei pesci rossi’…”
Nonostante ciò, l’uomo seduto di fronte a Tatsumi sembrava a proprio agio, anche se lei lo stava fissando. L’uomo annuì, e nel frattempo digitò delle parole sulla tastiera del portatile appoggiato sul tavolo.
L’uomo si chiamava Kyosuke Kaga. Aveva i capelli tagliati corti, di un colore tendente al castano, anche se non sembrava che se li tingesse. Portava sempre gli occhiali, sebbene ci vedesse perfettamente. Era alto 1 metro e 80 centimetri. Aveva un aspetto giovanile perché indossava sempre jeans e maglietta, ma quell’anno avrebbe compiuto 28 anni. Sarebbe potuto sembrare un po’ sospetto, comunque di lavoro faceva lo ‘scrittore’. Il portatile che stava usando, apparentemente, faceva parte del suo materiale di lavoro. Tuttavia, ciò che Kyosuke stava scrivendo in quel momento di fronte a Tatsumi non era uno dei suoi soliti romanzi erotici.
“Che tipo di vaso era?”
Tatsumi strinse un poco gli occhi, cercando di ricordare. “… Un vaso come tutti gli altri,” rispose lentamente. Non era che lo facesse apposta, per accentuare il suo aspetto misterioso; solo, Tatsumi non riusciva a parlare in modo spedito.
“Beh, anche tra i vasi ordinari si possono trovare parecchie differenze… Che so, magari aveva il bordo ondulato, oppure azzurro - sai, come il vaso dei pesci a casa di Sazae-san [Sazae-san: nome di un famoso manga e anime, disegnato dall’ormai defunta Machiko Hasegawa, ndr]. O era un vaso a pallini? Con dentro dei ciottoli colorati…” Kyosuke passò in rassegna diversi tipi di vasi per pesci, come se volesse suggerire le parole più adatte a Tatsumi.
Tatsumi era incerta. Socchiuse di nuovo gli occhi, cercando di ricordare. “Era trasparente…”
Kyosuke annuì e trascrisse le parole di Tatsumi sul suo portatile.
“… e anche l’acqua era trasparente…”
Il rumore prodotto dai tasti premuti da Kyosuke sembrava incoraggiarla a continuare.
“… e normale.”
“…” Le dita di Kyosuke si bloccarono. Guardò Tatsumi.
Tatsumi gli restituì l’occhiata.
“… Ok, se ho ben capito, era un normale vaso per i pesci rossi. Un vaso normalissimo.”
Tatsumi annuì in silenzio.
“Nor-ma-le.” Kyosuke batté sui tasti facendo un gran rumore, e inserì la parola. Poi, osservò assorto lo schermo LCD del computer ed emise un suono lamentoso. “Allora, stavi camminando su un ‘sentiero di ghiaia’ con in mano un ‘cocomero’, quando all’improvviso il ‘cocomero’ si è trasformato in un ‘vaso dei pesciolini rossi’. Non sai nemmeno tu il perché, ma ti è venuta fame, e proprio mentre stavi per mangiare i ‘pesci’, questi sono diventati un ‘telefono’. E poi ti sei svegliata.”
Tatsumi aspettò con pazienza che Kyosuke ricominciasse a parlare.
“Mmmmh… quattro ‘pesci rossi’… quattro. Uno stormo di uccelli bianchi, e poi tu che cercavi disperatamente di superare la tua ombra, Tatsumi-chan…” disse Kyosuke pensieroso. Sedeva a gambe incrociate, e lo stesso fece con le braccia, proseguendo col suo ragionemento. “Probabilmente, la fame era dovuta al fatto che era ora di fare colazione. Il ‘telefono’, poi, è solo un’interpretazione onirica della sveglia, che stava per l’appunto suonando in quello stesso istante. Il problema a questo punto sono il ‘cocomero’ e il ‘vaso dei pesci rossi’…”
Mentre Kyosuke stava per andare avanti col suo ragionamento, si udì un rumore, proveniente da Tatsumi, una specie di ‘grrr’, come un brontolio. Il tipico rumore prodotto da uno stomaco vuoto, in quel caso quello di Tatsumi. La ragazza stessa ne rimase sorpresa. Ma c’era da dire che Tatsumi non era il tipo di persona con una grande varietà di espressioni facciali, quindi la sua sopresa si manifestò con uno spalancamento degli occhi appena percettibile. Kyosuke le arruffò i capelli affettuosamente, ma con un certo vigore, e sorrise. “Okay, facciamo una pausa e andiamo a mangiare qualcosa.”
Tatsumi si affrettò a seguire Kyosuke, che nel frattempo si era alzato e si era diretto in cucina.
Erano passati solamente tre mesi da quando i due avevano iniziato a vivere insieme nel quartiere Setagaya, a Tokyo, in quell’appartamento, composto da tre camere da letto, un salotto, una sala da pranzo e la cucina. Visto che la casa era di proprietà di Kyosuke, Tatsumi aveva la sensazione di vivere alle sue spalle. E anche se così non fosse stato, era Kyosuke che si incaricava di svolgere la maggior parte delle faccende domestiche, poiché lei andava a scuola. I due coinquilini si dividevano i compiti per quanto riguardava il bucato e le pulizie di casa, ma a cucinare era soprattutto Kyosuke. Anche se le spese per il vitto e l’alloggio erano suddivise a metà, Tatsumi si sentiva comunque in colpa.
Quando entrò in cucina, la colazione era già pronta, bastava solo servirla. Tatsumi prese in mano lo shamoji [cucchiaio per servire il riso, ndr], che si trovava accanto al poggiabacchette. Aprì la pentola del riso, e il vapore che ne fuoriuscì sprigionò tutto il delizioso aroma del takikomi gohan [piatto a base di riso ed altri ingredienti - come verdure, carne, od altro ancora - cotti insieme, ndr]. Si trattava di un piatto piuttosto elaborato da preparare per la prima colazione, ma Kyosuke, a quanto pareva, era un cuoco eccellente. Il cibo preparato da lui sembrava sempre appena uscito da una rivista di cucina.
Mentre versava il riso servendosi dello shamoji, Tatsumi pensò che avrebbe dovuto imparare a cucinare. Anche sua madre, a causa del suo lavoro, non sapeva cucinare, e così si limitava a mangiare l’eccellente cucina di suo marito. Tatsumi aveva proposto molte volte a suo padre di aiutarlo, ma lui le sorrideva sempre e le rispondeva che a lui cucinare piaceva, e più di tutti adorava cucinare manicaretti per Tatsumi e sua moglie.
Tatsumi riempì di riso due chawan [scodelle per il riso, ndr] - uno era di un semplice color bianco, l’altro di un delicato color pesca, con decorazioni a forma di coniglietto - e le portò in tavola, con fare nervoso. Il tragitto tra la cucina e il salotto (che fungeva anche da sala da pranzo) non era lungo, ma inciampare era sempre possibile, anche dove non c’era nessun impedimento. La verità era che Tatsumi a volte si rivelava un po’ impacciata nei movimenti, per cui si sentiva sempre nervosa quando aveva in mano qualcosa di fragile.
In un angolo del salotto si trovava un tatami [stuoia di bambù o di paglia di riso, ndt], e al di sopra di quest’ultimo un piccolo tavolo. Tatsumi posò i due chawan sul tavolino, un oggetto piuttosto piccolo, dalle gambe corte, simile ad un vecchio tavolo da tè, posto in una stanza dallo stile non esattamente giapponese tradizionale; tuttavia, esso si adatta a quell’ambiente, l’appartamento sorprendentemente pulito e ordinato di un giovane scapolo.
A proposito, pensò Tatsumi. A casa avevamo un tavolino simile a questo. Un bel tavolo da pranzo in legno. Noi tre lo usavamo sempre per mangiare. Non ricordo il periodo esatto in cui sparì, ma fino alle elementari è sempre stato nella nostra casa di Shinsu. Ah, ecco. Credo che qui in questo spigolo ci dovrebbero essere ancora i segni di quella volta che sono inciampata e ci sono andata a sbattere contro con la testa. Sì, proprio un segno come questo. Ce l’ha anche questo tavolo. A guardarlo più da vicino, si assomigliano davvero tanto. La forma delle gambe, la forma arrotondata degli spigoli…
“È lui.”
Tatsumi riaprì gli occhi con un sussulto. Di fronte a lei era seduto Kyosuke, a gambe incrociate, e in mano teneva il chawan con i coniglietti. “È il tavolo che si trovava a casa di tua madre. Me l’ha regalato quando eri ancora piccola, Tatsumi-chan.”
Tatsumi gettò un’occhiata a Kyosuke, chiedendosi come facesse a sapere quello che stava pensando. Allora gli chiese, esitante, se per caso si fosse addormentata. Kyosuke le rispose con un sorriso e le porse una ciotola laccata, colma di zuppa di miso [pasta fermentata di soia e altri cereali, usata per insaporire i cibi in sostituzione dei dadi, ndt] con vongole. “Esatto. Stavi lì seduta con gli occhi chiusi.”
E ti pareva, pensò Tatsumi sospirando.
Una delle specialità di Tatsumi era addormentarsi a qualsiasi ora, in qualsiasi momento, e a volte ciò le creava non poche difficoltà. Tuttavia, lei non poteva farci niente, era qualcosa che accadeva al di fuori della sua volontà. Si trattava di una vera e propria necessità per Tatsumi, visto che aveva ereditato questa facoltà - e questo lavoro - da sua madre.
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La madre di Tatsumi di mestiere faceva la Yumegari, ossia la Cacciatrice di Sogni.
Non è un’occupazione come le altre. Per praticarla non occorre sostenere degli esami; non tutti ne sono a conoscenza, e soprattutto, non tutti possono diventare Yumegari.
Yumegari. Questa parola designa coloro i quali possiedono la particolare facoltà di entrare nei sogni degli altri e di “parteciparvi” attivamente. Per loro stessa natura, i sogni appartengono ad ogni singolo individuo. Ognuno ha la propria mente, all’interno della quale si svolgono i propri sogni, e questi sogni non possono essere condivisi da estranei. Ciononostante, uno Yumegari è in grado di farlo. Egli penetra nei sogni di un’altra persona, osserva ciò che si svolge all’interno di essi, a volte si scontra con il ‘nemico’ che appare, ed infine rimuove tale ostacolo dal ‘sogno’ e dalla ‘mente’. È questo il lavoro di uno Yumegari.
Entrare nei sogni degli altri… Non sembra un’occupazione realistica. Esiste un esiguo numero di Yumegari, e ciò è dovuto al fatto che coloro i quali possiedono tale strana capacità sono originari di un’unica famiglia. Tatsumi e sua madre appartenevano a questa famiglia, il clan Hojyo, che viveva sulle montagne di Shinsu. E all’interno del clan stesso, erano pochi coloro i quali erano dotati del potere di osservare e penetrare nei sogni altrui.
Ma il lavoro di uno Yumegari non si avvale di una sola persona.
Ovviamente, entrare nel sogno di un altro non è un’impresa da poco. Vi sono sogni tranquilli, ma esistono anche sogni terribili, letteralmente capaci di spezzare il cuore. A volte, uno Yumegari che penetra all’interno di un sogno può rischiare di rimanervi invischiato, e di non risvegliarsi mai più. Per ridurre questo rischio, accanto alla figura dello Yumegari esiste quella dello Yumemori, ossia il Guardiano dei Sogni, che ha il compito di controllare i sogni dello Yumegari, in modo da non lasciare che superino il confine sottile tra la realtà e il sonno eterno. Per questo motivo, lo Yumemori è anche conosciuto con il nome di Risvegliante. Gli Yumemori non possono entrare nei sogni come gli Yumegari; essi si limitano a condividere lo stesso sogno degli Yumegari, poiché è ciò a cui essi sono destinati fin dalla nascita.
Anche la madre di Tatsumi era una Yumegari, e suo padre era il suo unico Yumemori. Sua madre era morta due mesi prima, e nella notte stessa della sua morte, Tatsumi l’aveva vista in sogno. A fianco di sua madre, vestita come sempre in kimono, c’era uno sconosciuto. Capelli corti, occhialetti rotondi, un orecchino all’orecchio destro. Sua madre le aveva riferito il nome dell’uomo: Kyosuke Kaga. E poi le aveva detto che l’uomo era il suo Yumemori, destinato unicamente a lei, Tatsumi.
Con in mente solo il nome e il numero di telefono che sua madre le aveva consegnato in sogno, Tatsumi si era dunque messa alla ricerca di Kyosuke, e quando alla fine lo incontrò in un caffè a Tokyo, fu subito sicura che fosse lui la persona che le aveva presentato sua madre, poiché aveva lo stesso viso dell’uomo del sogno.
L’uomo si era tolto gli occhiali dalla montatura rotonda, e le si era rivolto con un sorriso. “… bella, proprio come mi ha detto tua madre in sogno.”
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Da allora, Tatsumi era andata a vivere con quell’uomo. Gli Yumegari e gli Yumemori condividono gli stessi sogni, quindi è meglio che stiano sempre insieme. Devono imparare a capirsi, ad aprire i propri cuori, ad essere in perfetta sintonia l’uno con l’altra, altrimenti potrebbero rischiare entrambi di non riuscire più a far ritorno dal mondo dei sogni. In realtà esiste un altro ‘metodo’ per evitare che ciò accada, un metodo assai più semplice, ma Tatsumi non avrebbe mai osato metterlo in pratica.
Tatsumi non sapeva perché l’uomo, seduto di fronte a lei mentre mangiava con destrezza il pesce un po’ bruciacchiato, fosse diventato uno Yumemori e la stesse ora aiutando. L’esatta identità di Kyosuke rimaneva essa stessa un mistero. Il clan Hojyo, al momento, stava svolgendo delle indagini al riguardo, ma finora Tatsumi non aveva ricevuto alcuna notizia da parte della sua famiglia.
Il lavoro degli Yumemori e degli Yumegari è estremamente pericoloso, poiché essi si trovano costantemente a fronteggiare difficoltà senza uguali. Anzi, si tratta di un mestiere talmente pericoloso che le solite frasi trite e ritrite al riguardo non sono poi così lontane dalla verità.
In quanto membro del clan Hojyo, Tatsumi era stata addestrata sin da bambina a succedere a sua madre, una Yumegari. Dunque non aveva avuto esitazioni, né problemi ad accettare tale incarico, nemmeno dopo la morte di sua madre. Ma quale fosse il motivo per cui Kyosuke, che al contrario di lei non faceva parte del clan Hojyo, avesse accettato di divenire Yumemori, Tatsumi non lo sapeva proprio. Era anche vero che, per i suoi servigi, uno Yumemori veniva pagato profumatamente…
“… Kaga-san?”
“Chiamami pure Kyosuke, Tatsumi-chan,” offrì Kyosuke, rivolgendo un sorriso amichevole a Tatsumi.
Tatsumi si bloccò mentre stava per portare alla bocca le bacchette rosse con cui stava mangiando, e continuò a parlare. “Perché il nostro tavolino da tè si trova qui a casa tua, Kyosuke-san?”
Kyosuke la guardò con un’espressione del tipo, Ah, quello?, e poi rispose. “Me l’ha regalato tua madre.”
“Quando?”
“Più o meno quando frequentavo le medie.”
Tatsumi guardò Kyosuke di rimando, stringendo un poco gli occhi chiari. “Kyosuke-san, ma tu sei sempre vissuto a Tokyo.”
“Eh già. Nato e cresciuto a Tokyo.” Mentre pronunciò queste parole, Kyosuke preparava del tè verde giapponese, ma d’altronde, preparare qualsiasi tipo di tè era solo un altro dei suoi innumerevoli talenti.
“Quando sei venuto a Shinsu?”
“Non ci sono mai stato,” continuò Kyosuke, e intanto versò il tè verde dalla teiera in due tazzine. “Ma mi piacerebbe. Dopotutto, è dove sei nata tu, Tatsumi-chan.”
“Allora, vuoi dire che questo tavolo te l’ha spedito mia madre?”
“No, me l’ha dato di persona.”
“Ma mamma non si è mai mossa da Shinsu…”
“È vero.”
Tatsumi guardò Kyosuke come per dire, E allora come fai ad avercelo tu?
Kyosuke sorseggiò il tè appena versato, sorrise ancora e infine rispose.
“L’ho ricevuto in sogno.”