Second Sight

Mar 24, 2009 12:41

Titolo: Second Sight
Fandom: Muse, Placebo
Autore: Erisachan
Genere: Drammatico, Introspettivo e anche un pò angst via!
Rating: NC-17
Stato: oneshot
Note: Slash,  . Scritta per lo Spring Party '09 indetto da audrey_darko 
Riassunto: Steve se ne è andato dai Placebo, e nello steso periodo Brian viene mollato da Matthew, quest'ultimo fa le sue considerazioni
Disclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, questa non vuole essere una rappresentazione veritiera ne dei fatti ne del carattere dei personaggi utilizzati, non è a scopo di lucro.

Second sight

Brian Molko commenta "Essere in una band assomiglia molto a un matrimonio, e in una coppia - in questo caso in un trio - le persone possono crescere diversamente durante gli anni. Dire che non ami il tuo partner è inesatto, considerando tutte le cose che avete vissuto insieme. Ci sono semplicemente momenti in cui realizzi che vuoi cose diverse dalla tua relazione e che non puoi più vivere sotto lo stesso tetto, per così dire."

Sfogliavo una rivista quando sono incappato nel commento di Brian, non potei fare a meno di pensare che stesse parlando di noi, sapevo che non era quello l'argomento trattato, bensì uno decisamente più importante, Steve se n'era andato dopo 11 anni e quelle erano le uniche parole che lui era riuscito a dire al riguardo. Sapevo bene, benissimo, quanto in realtà stesse pensando e rimuginando su quanto accaduto, eppure non potei fare a meno di irritarmi, Brian non è mai stato in grado di esternare emozioni diverse dalla rabbia o dall'apprezzamento sessuale, i momenti in cui abbiamo davvero condiviso qualcosa nella nostra storia sono stati i litigi e le scopate, gli unici nei quali mi abbia regalato qualcosa di più di un sorriso apparentemente forzato e una battuta fuori luogo; quando sta male, male davvero, non te lo viene a dire, non ne parla, si chiude in camera e resta seduto con gli occhi bene aperti, cercando di capire come sia potuto succedere a lui,in quale momento ha commesso l'errore che ha scatenato tutto, o se l'errore, per una volta, è stato di qualcun altro.
So che non stava parlando di noi, eppure non riesco a non pensarci, non riesco a evitare al mio sguardo di voltarsi a fissare il cuscino che fino a due settimane fa aveva ospitato la sua testa.
Non riesco a non sentirmi un perfetto stronzo per averlo lasciato proprio adesso, eppure come ha detto lui, a volte realizzi che non puoi più stare sotto lo stesso tetto e quindi te ne vai.

Sono passati due anni, quattro mesi e dodici giorni da quando ho deciso che sarei stato con Brian, da quando gli ho lasciato il permesso per entrare nella mia vita ben conscio che ne avrebbe fatto quello che voleva, senza negarsi i capricci, inconsapevole che non ero davvero pronto a lasciare che accadesse.
Sono passati quattordici giorni da quando gli ho chiesto di resituirmi la copia delle chiavi di casa mia, quattordici giorni da quando io gli ho restituito le sue, altrettante notti che la voce di Brian non mi accompagna verso il letto e mi risveglia al mattino.

Ho richiuso la rivista con l'impulso di prendere il telefono e chiamarlo, sbattendomene delle conseguenze, buttando nel cesso tutti gli sforzi che avevo fatto in quei giorni per impedirmelo.
Non lo feci.
Scrissi quattro cifre di quel numero che avevo imparato a memoria molto tempo prima, poi restai a fissarle col dito che ancora sorvolava un quinto numero che a quel punto, sapevo non avrei mai schiacciato, nella mia mente sentivo nitidamente la voce di Brian che rispondeva al telefono dopo molti squilli, lo sentivo chiedere chi ci fosse all'altro capo della linea senza ricevere risposta, poi la stessa domanda, prima gentilmente, poi con rabbia mal celata seguita da un tonfo sordo che avrebbe richiuso la comunicazione.
Non avevo parole da dirgli, nulla che suonasse meno ipocrita al suo orecchio di quello che a me avevano fatto pensare le sue parole trascritte con cura dai giornalisti, niente che non suonasse della pietà di un amante non più tale verso qualcuno che aveva lasciato coscientemente.
Mi mancava il coraggio di dirgli mi dispiace e sapere che mi avrebbe riso in faccia mandandomi affanculo, e ricordandomi che non aveva mai avuto bisogno della pietà di nessuno, tantomeno della mia.
A conti fatti, forse quello di cui avevo paura era che non la alzasse affatto quella cornetta.
Eppure mi dispiaceva davvero saperlo chiuso in casa a camminare a piedi scalzi sui vetri che lui stesso aveva rotto.
Io amavo Brian, semplicemente non avevo abbastanza coraggio per affiancarlo in quella passeggiata sanguinante, sul pavimento che avevo imposto ai miei piedi di dimenticare.

Incontrarsi era invevitabile, nel mondo della musica, più speficiatamente nel mondo della musica a Londra, ancora più specificatamente nel mondo della musica a Londra nella cerchia di Bono, ci si conosceva tutti, era impossibile non incontrarsi, eravamo adulti abbastanza da non poter dire "se c'è anche lui allora io non vengo" e in ogni caso lo erano abbastanza gli altri per non permetterci di comportarci in questo modo troppo a lungo.

Era una delle feste di Bono quando ci rivedemmo, come sempre c'era una moltitudine di gente presente nel grande atrio, eppure non mi fu difficile localizzarlo, era vicino al catering con in mano un bicchiere che più tardi avrei scoperto essere champagne, era solo e fissava la gente che chiaccherava amabilmente coprendo l'area circostante, senza lasciare spazio a nulla, se non ai pensieri.
Non mi sentivo pronto a rivederlo, erano passati quattro mesi da quando ci eravamo lasciati e tra noi non c'era stata una parola, ne uno sguardo incrociato, perciò mi diressi dalla parte opposta cercando di non urtare nessuno.

La notte mi piace, lascia spazio all'immaginazione, alla creatività, di notte l'aria è meno rarefatta, si respira meglio, ci sono meno rumori a disturbarti, per questo me ne stavo sul balcone, a fumare una sigaretta e a pensare che prima o poi sarei dovuto rientrare e affrontarlo, in un modo o nell'altro.

- Non credevo che saresti riuscito ad arrivare fino a qui così in fretta e senza urtare nessuno per giunta! -

Brian faceva sempre così, arrivava di soppiatto e ti colpiva quando ti sentivi al sicuro, come il più perfetto dei predaori.

Non sapevo che il mio cuore sapesse battere così veloce.

- Brian...che ci fai qui? -

- Sono stato invitato -

Aveva ancora tra le mani lo stesso bicchiere di pochi minuti fa, ormai ne restava ben poco da consumare.

- Lo so, intendevo che ci fai qui, su questo balcone -

- Mi sembra evidente, saluto un vecchio conoscente -

Buttò giù d'un fiato il liquido restante, mi sembrò che insieme ingoiasse anche le mie speranze di poter avere un dialogo tranquillo, se mai ne avevo davvero avute.

Aveva usato la parola conoscente, non amico, né amante, né compagno, molto diplomatico, o semplicemente volutamente stronzo, non avevo ancora deciso.

- Come vanno le cose? -

- E come dovrebbero andare? Bene, come sempre -

Imparai a suo tempo a decifrare le stronzate di Brian, in quel momento me ne resi conto davvero, fissandolo negli occhi sfrontati che ti sfidavano a ribattere, ostentava sicurezza, come sempre, ci tenni a farglielo notare, che il gioco non reggeva più, non con me.

- Ho imparato da tempo cosa significano i tuoi bene Brian, ormai l'ho capito -

- Sul serio? E io che credevo che te ne fossi scappato proprio perchè non ci riuscivi a capirmi! -

- Io non sono scappato -

- Strano, a me sembrava abbastanza evidente che è stato così -

Parlare con Brian era una danza di colpi, alcuni bene assestati, altri solo tentativi di parare e sferrarne un altro sperando che fosse l'ultimo.

- Ho letto il tuo commento -

- Quale? Ne rilascio molti -

- Quello sull'abbandono di Steve, era su un giornale poco dopo l'accaduto -

Per un attimo la sua armatura barcollò, solo per un attimo i suoi occhi mi diedero l'illusione di avere ceduto, per un momento solo.

- Era su molti -

- Già, davvero ironico da parte tua comparare la vostra relazione a un matrimonio, proprio tu che di relazioni non sai nulla, di sacramenti tanto meno -

- Fino a prova contraria io ho avuto delle relazioni, una proprio con te se la memoria non mi inganna -

- Noi non avevamo una relazione, avevamo del sesso, e dei litigi quando il primo non bastava più -

- Non mi sembrava che ti fossi mai lamentato del sesso, anzi mi sembrava che ti piacesse molto…davvero tanto -

Era così vicino che potevo sentire di nuovo quell’odore che mi ero negato da tempo, succedeva sempre così con Brian, se non trovava un modo per attaccare la tua anima con le parole, lo faceva col corpo, l’arma migliore di cui disponesse.

- Non ne ho voglia Brian -

- Sai benissimo che non è così Matthew - era la prima volta che pronunciava il mio nome in questa conversazione - tu mi hai sempre voluto, ora, come ogni volta -

Ricordo bene il movimento della mia mano che decisa si posava sulla spalla di Brian per allontanarlo, lo sguardo contrariato che vi posò sopra, i suoi piedi muovere un passo, il viso così vicino al mio da potermi specchiare nel suo sguardo.

- Non risolverà niente questo, lo sai -

- Non c'è niente da risolvere -

- Non è vero, sappiamo entrambi che non è così -

- Invece è esattamente così, ormai, da risolvere, non c'è proprio un cazzo di niente -

Il profumo di Brian mi era mancato davvero tantissimo.

Fare sesso con Brian era naturale, semplice, appagante, come due anni fa, lo fu anche quella sera, in un modo diverso, con più conti da saldare, con il senso di mancanza da cancellare con labbra affamate, con le mani esperte di sempre, con la mappa del corpo dell'altro impressa nella mente, da un inchiostro indelebile.

Ci sedemmo a terra, io con la camicia ancora slacciata, lui col solito sorriso che mi regalava solo in quei momenti, a volte sembrava che fossimo in grado di capirci solo tramite i sensi, il tatto per darci piacere, la vista per appagare il nostro egocentrismo nel vedere chiaro il godimento dell’altro, l’olfatto per ricordare sempre gli odori e riviverli a confronto con quelli di chiunque, l’udito per quei sorrisi senza rumore che riuscivano a riempirti l’anima, il gusto per ogni nuovo sapore che ci trovavamo addosso, per ogni storia che raccontava, per quelle storie che erano solo mie e sue, e di nessun altro.

- Sai, una volta ho letto una cosa in un libro, diceva più o meno così: nel flusso indefinito degli eventi e degli stati d'animo, gran parte della storia è incisa nei sensi, era così ridicolmente adatta a noi che non potei fare a meno di riderne -

Sentire queste parole uscire dalla sua bocca mi fece rendere definitivamente conto che tutto quello che mi ero raccontato quando me ne andai dalla sua vita, quando cacciai lui dalla mia, erano solo le stronzate di un uomo che non riusciva ad accettare che la persona che amava non fosse esattamente come desiderava, mi fece desiderare solo una cosa, ancora una volta, andarmene; ma sapevo che se l’avessi fatto non ci sarebbero state impronte da seguire per poter ritrovare la strada e tornare, di nuovo, indietro.
Perciò restai lì, seduto di fianco a Brian, in silenzio, ad aspettare.

- Steve se n’è andato davvero sai? -

Non sapevo cosa rispondere, ne avevamo parlato prima che succedesse, sapevo che litigavano e sapevo che i “non è niente, si risolverà in un modo o nell’altro” di Brian significavano che presto tutto sarebbe andato a puttane.

- Non credo di aver mai preso sul serio l’ipotesi che lo facesse, ho sempre pensato che non se ne sarebbe mai andato, che sarebbe sempre stato quello dietro cui potevo nascondermi quando facevo incazzare qualcuno di troppo, forse è stato proprio quello il mio errore, non averci creduto -

Quando sentii la sua testa appoggiarsi sulla mia spalla, voltai istintivamente il volto verso il suo.

Piangeva.

Una volta mi aveva detto che il trucco era come un’armatura, col trucco non puoi piangere, altrimenti si scioglierà facendo apparire il tuo viso come quello di un clown, perciò non potevi piangere, per non provare vergogna di te stesso.

Eppure ora stava piangendo, era perfettamente truccato, ma nonostante questo continuava a lasciare che il suo volto si coprisse di sottili strisce nere per colpa del mascara colato.

Lo abbracciai istintivamente, come si fa con i bambini caduti da una giostra che credevano non avrebbe mai potuto nuocergli, e invece, quando meno se l’aspettavano, li aveva fatti cadere scorticandogli la pelle.

Era la prima volta che Brian piangeva, non che io credessi veramente che non avesse mai pianto in vita sua, ma era la prima volta che lo faceva con me affianco, che si lasciava consolare dalle mie braccia che non erano affatto forti, ma forse in quel momento lo furono abbastanza.

Lasciai che si calmasse porgendogli un fazzoletto di stoffa quando sentii i singhiozzi spegnersi e il respiro tornare al ritmo di sempre.
Notai il fazzoletto bianco sporcarsi del nero del suo trucco, una volta questo mi avrebbe fatto pensare alla mia anima macchiata dalle parole di Brian, ora non era altro che un fazzoletto sporco tra le sue mani.

Ai nostri giochi avevamo partecipato abbastanza entrambi.

Sì alzò da terra annunciando che sarebbe andato in bagno per risistemarsi il viso, restai seduto a terra fissandolo aprire la finestra che lo avrebbe riportato tra le luci della sala, lo osservai abbassare la maniglie e voltarsi a guardarmi, rivolgendomi di nuovo la parola.

- Ho ancora la tua copia delle chiavi di casa mia -

- La tua è ancora sul mobile dell'entrata -

- Fine -

Fidelity contest Spring's party '09
Erisa

contest [iii]: fidelity's spring party ', fangirl: erisa, placebo/muse

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