TITOLO: Touch too much.
AUTORE: StoryGirl.
GENERE: OneShot. Angst. Au. Romantica. Pwp (una sola scena).
RATINGS: Nc17.
DISCLAIMERS: Nessun personaggio mi appartiene, purtroppo.
PAIRING: Jin Akanishi, Ueda Tatsuya { JinDa } .
PROMPT: Scritta per l’anomeme sulle fiction scolastiche: Jin è il tipico liceale chiassoso, che ha voglia di divertirsi e un tantino tardo. Gli è sempre stato sulle palle il suo compagno di scuola Ueda (non è detto di classe, visto che Ueda è più grande, vedete voi se volete mantenere la differenza d'età o meno), che è troppo taciturno, scorbutico e si da anche un po' di arie, eppure proprio per questo si trova a seguirlo con lo sguardo e a cercarlo e a poco a poco se ne innamora.
RIASSUNTO: Se Jin scoprisse il segreto che si cela dietro allo sguardo del suo compagno di classe?
THANKS: A
yuya_lovah che l'ha letta in anteprima, come sempre.
A
weasleygirl89 che l'ha promptata.
A
mauve_amethyst, perchè l'ha betata.
PAROLE: 2774, con il conteggio di word.
Touch too much
Quando lo aveva visto per la prima volta, tutta la sua attenzione era stata calamitata verso di lui: Ueda Tatsuya.
Era uno studente eccellente, forse il più bravo dell'intera scuola e ogni volta che lo riprendevano glielo facevano notare.
"Akanishi_kun! Possibile?! Certo, non tutti potete essere come Ueda_kun, ma qui stiamo superando la soglia del minimo sopportabile, non credi anche tu?"
Sempre, in continuazione, e questo lo aveva decisamente spinto ad iniziare ad odiarlo: intensamente, incondizionatamente.
Sapeva che non era colpa di Ueda Tatsuya se aveva iniziato a provare quel sentimento verso di lui, ma sicuramente era colpa di quest'ultimo se il sentimento in tutto quel tempo non era cambiato nemmeno un po’, perché di certo lui poteva essere il più bravo della scuola, ma era spocchioso, fastidioso e persino snob.
Arrogante soprattutto: non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno e non rispettava neppure gli studenti più grandi.
Decisamente quel ragazzo non era ciò che lui poteva considerare un modello da seguire, ma neppure un probabile amico per la pelle.
Lui, Jin Akanishi, a differenza di Ueda Tatsuya, andava male a scuola, era irritabile al mattino e preferiva giocare piuttosto che studiare.
Certo, forse era un pochino tonto, ma non per questo era uno stupido, o forse le due cose erano collegate?
L'importante comunque non era come era lui, ma come era Tatsuya.
La prima volta che lo aveva pedinato era stato un giorno afoso: lo aveva visto rimanere dopo le lezioni, nonostante tutti andassero a casa e non aveva resistito.
Lo aveva seguito notandolo avviarsi verso l’aula di musica: il fatto che Tatsuya Ueda non partecipasse agli incontri di quel club lo aveva incuriosito, tanto da spingerlo a credere che avrebbe avuto un modo per potersi prendere gioco di lui, o ancora meglio, per avere la sua vendetta.
Se Ueda Tatsuya avesse usato gli strumenti di musica in modo anomalo, lui avrebbe potuto riprenderlo con il cellulare e dimostrare così che neppure questo ragazzo che tutti i professori credevano perfetto lo era più di tanto.
Certo, non si sarebbe mai potuto aspettare ciò che avrebbe visto, o meglio, sentito di lì a poco.
Lo aveva guardato soffermarsi ad osservare il pianoforte, lo aveva visto mentre si avvicinava ad esso e si sedeva al seggiolino, e aveva continuato a guardarlo mentre l’altro posava le mani sullo strumento, pronto a suonare.
E lui era lì, telefono alla mano, deciso a riprenderlo.
Quando aveva sentito quella melodia espandersi nell’aria, però, era riuscito solamente a premere l’avvio del video del suo cellulare, e nient’altro.
Non aveva ballato la danza di gioia per essere riuscito ad incastrare il suo acerrimo nemico, e nemmeno si era reso conto che il telefono stava riprendendo solamente il duro pavimento: no, perché Jin Akanishi era rimasto stupefatto da quel suono che arrivava dritto nelle sue orecchie.
Era forte, ma allo stesso tempo leggero: intenso, se così si poteva chiamare un suono, dal forte accento straniero, ovviamente non era una musica Giapponese, e lui non aveva idea di quale sinfonia l’altro stesse suonando.
Quel che era certo era che Jin Akanishi si sentiva intrappolato in una miriade di sensazioni diverse che andavano dalla felicità al disgusto di provare certe emozioni proprio per merito di uno come Ueda Tatsuya.
Quel giorno l’aveva ascoltato per tutto il tempo in cui Ueda era rimasto a suonare, di nascosto, quasi fosse un ladro ed aveva ripreso la sua musica senza neppure rendersene conto: solo quando Tatsuya aveva smesso e se ne era andato da quell’aula, probabilmente diretto a casa, Jin si era reso finalmente conto di ciò che aveva appena fatto.
Guardò il suo cellulare, guardò l’icona luminosa che lo avvertiva che quest’ultimo aveva ripreso tutto nel migliore dei modi possibili e si diede dello stupido.
Lui avrebbe dovuto incastrare Ueda Tatsuya per farlo riprendere dai professori, magari persino dal preside; insomma, per dimostrare a chiunque nel raggio di qualche chilometro che quello spocchioso ragazzo non era niente di che.
Era questo il suo scopo e invece cosa si metteva a fare?
Ad ascoltarlo come se non avesse mai sentito nulla di meglio nella sua vita: ed era così, ma questo Ueda Tatsuya non avrebbe mai dovuto scoprirlo.
Di certo, però, c’era una cosa che lo incuriosiva in tutto ciò: come mai quel ragazzino così snob, che ogni volta mostrava compiaciuto il suo lavoro, non aveva mai rivelato a nessuno quanto fosse bravo a suonare il pianoforte?
Sicuramente grazie a quel talento l’avrebbero fatto partecipare a dei concorsi: nessuno di quelli che Jin aveva ascoltato ne avevano uno simile.
Ora la sua missione era improvvisamente cambiata, anche se Jin non riusciva a capacitarsene lui stesso: ora voleva scoprire il motivo per il quale l’altro nascondesse questo segreto nel suo cuore e sicuramente ci sarebbe riuscito.
Per questo aveva continuato a pedinarlo, giorno dopo giorno, convinto che in quel modo presto sarebbe riuscito a comprendere la verità, ma non sapeva quanto si sbagliava.
Come se Ueda Tatsuya gli avesse letto nel pensiero, egli non era più tornato in quella stanza, non era più tornato a suonare, ma anzi, ogni giorno cambiava percorso come se sapesse che qualcuno lo stava seguendo.
Il problema principale era che Jin non si era accorto di nulla, aveva erroneamente creduto che l’altro non avesse più avuto il tempo di tornare in quella stanza, non avrebbe mai potuto credere di essere stato, in realtà, scoperto con le mani nel sacco.
Stava per avvicinarsi di più alla stanza dove era entrato Tatsuya, curioso di sapere cosa ci facesse lì dentro quando sentì una mano appoggiarsi alla sua spalla, si voltò, deciso a scacciare il moccioso che si era permesso di avvicinarsi a lui quando la sua bocca si aprì, ma le corde vocali non si mossero: davanti a lui vi era l’incubo di tutte le sue notti.
Ueda Tatsuya.
“Senti. Non so cosa stai cercando di fare, o cosa credi di essere, ma non sei Sherlock Holmes, e neppure Dylan Dog. Ti si nota subito quando cerchi di fare qualcosa, sai? E’ colpa della tua mole e della tua stupidità. Sei troppo grosso, o forse dovrei dire grasso, e fai così tanto rumore che è impossibile non notarti”
Jin era rimasto lì a boccheggiare, senza sapere assolutamente cosa dire: per prima cosa non aveva idea di chi fossero i due uomini citati, e poi… si era sentito un emerito idiota convinto, chissà perché, di essersi nascosto alla perfezione.
Di solito a quel punto avrebbe mollato un calcio a chiunque lo avesse trattato in quel modo, ma stranamente in quel momento non aveva voglia di finire a litigare, voleva solamente riuscire a dormire di notte senza più pensare a quel ragazzo che stava diventando la sua ossessione.
“Se vuoi che io non ti segua più dimmi perché non hai detto a nessuno che sai suonare il pianoforte? Sei bravo, e se lo ammetto io che ti odio vuol dire che è vero. Tu sei il solito ragazzo spocchioso e inutile. Ti vanti sempre di ogni cosa che fai, allora perché questa volta sarebbe diverso?”
Aveva notato gli occhi di Ueda aprirsi per la sorpresa di sentirsi rivolgere una domanda simile, ma non era preparato alla spinta che lo aveva fatto addossare contro il muro dietro di lui, e neppure alla stretta violenta che l’altro aveva portato sulle sue spalle.
Il suo volto era così vicino al suo che si sarebbe potuto mettere a contare le sue ciglia: lunghe, nere.
Non aveva mai notato prima quanto i suoi occhi fossero intensi, forse perché non lo aveva mai guardato come stava facendo ora.
Non gli dispiaceva, assolutamente: se non avesse avuto quel carattere e se non glielo avessero fatto odiare fin da subito forse, e solo forse, ci avrebbe fatto sicuramente un pensierino.
“Non impicciarti degli affari altrui. Io non lo faccio con te. Fammi il favore di non farlo con me, mi hai capito… Jin Akanishi? So chi sei. So che fai schifo a scuola, so tutto di te. Mi sono documentato quando ho notato che mi pedinavi ogni giorno, ma ora il gioco mi ha stancato. Stammi lontano, e io non ti farò del male”
Lo sapeva che quel ragazzo aveva fatto boxe, ma non credeva che un tizio dai lineamenti così dolci e dal corpo così fragile potesse essere tanto forte.
No, non l’avrebbe mai creduto possibile.
Aveva guardato le spalle di Ueda allontanarsi da lui, diretto chissà dove, e si era lasciato ricadere per terra, il corpo che tremava, aveva tirato fuori il cellulare e si era messo ad ascoltare quella melodia, quella che aveva rubato quel giorno.
Ormai era diventata una routine quotidiana ascoltarla e più lo faceva più desiderava poterla sentire nuovamente dal vivo, più lo faceva e più sentiva il cuore battere per quel ragazzo.
Forse non la voleva suonare perché ogni persona nel raggio di alcuni chilometri avrebbe iniziato a rincorrerlo, visto quanto quella melodia era bella, visto quanto poteva avvicinarlo a lui.
Una persona che suonava una cosa simile era sicuramente una persona fortunata ed odiava il fatto che Ueda Tatsuya non si accorgesse di tutto ciò.
Non l’aveva più seguito da quel giorno, ma continuava a guardarlo da lontano ogni volta che poteva farlo e l’altro non era decisamente cambiato nei suoi comportamenti.
Si isolava dagli altri senza un apparente motivo, e si credeva superiore: insomma, tutto come al solito.
Lo aveva visto andare in bagno e non era proprio riuscito a resistere, il suo corpo si era mosso da solo e lui non se l’era proprio sentito di fermarlo.
In un attimo era dentro anche lui e prima che Ueda potesse allontanarsi nuovamente aveva tirato fuori il cellulare facendo suonare quella melodia: aveva visto l’altro ritrarsi contro al muro quando aveva notato chi ci fosse insieme a lui nella stanza.
Aveva letto la sorpresa nei suoi occhi e l’aveva osservato tremare violentemente quando la musica era partita.
“Tu suoni una musica meravigliosa. Perché, dannazione. Perché non la vuoi far sentire a nessun altro? Sei… bravo. E io non ce la faccio a continuare così. E’ una cosa che mi rode dentro. Io non ho talenti particolari, ma vorrei averne. Vorrei riuscire a essere al di sopra della massa e tu che puoi farlo, continui a restare anonimo. Perché? Dannazione dimmelo, perché io qui ci sto perdendo il sonno”
Non aveva notato le lacrime che adornavano gli occhi di Ueda, non le aveva notate neppure quel giorno perché troppo preso a fare altro.
“Vuoi sapere perché? Sei un microcefalo senza cervello Jin Akanishi. Secondo te se piango ogni volta che la suono vuol dire che ci sto proprio bene a farlo, vero? Sei per caso un cretino? No, aspetta, non rispondere a questa domanda, so già la risposta anche da solo. Sì, lo sei, se no non ti saresti mai avvicinato di nuovo a me. E poi, perché diavolo dovrei dirlo a te? A te che nemmeno ti conosco?”
Jin aveva alzato lo sguardo dal cellulare, aveva notato le sue lacrime ed era entrato immediatamente nel panico: non voleva che l’altro piangesse.
Gli si formava una strana cosa allo stomaco che poi risaliva, e risaliva, e gli andava a pizzicare il cuore e quello gli dava fastidio, tanto.
Gli faceva male, per questo Ueda non doveva piangere.
“Non… non piangere, ti prego”
Si era avvicinato, muovendo una mano verso di lui: voleva stringerlo a sé, voleva accarezzare le sue guance bagnate, voleva baciare quegli occhi rossi e passare una mano in quei capelli setosi, ma l’altro non glielo permise.
“Non. Ti. Muovere. Io non so chi sei tu, ma non voglio avere niente a che fare con te”
Jin si era immobilizzato sul colpo e poi aveva chinato la testa, appoggiando il cellulare a terra e lasciando ricadere le braccia ai lati del suo corpo.
“Io mi chiamo Jin Akanishi. Sono un ragazzo che viene ripreso ogni santo giorno. A cui è stato detto centinaia di volte di assomigliare a te. Di prenderti come esempio. Sono lo stesso ragazzo che ti ha odiato per un’infinità di tempo e lo stesso ragazzo che si è ricreduto sul tuo conto grazie a quella melodia. Un ragazzo che nel vederti piangere sta male, un ragazzo che si è reso improvvisamente conto di volerti considerare, ma certo, ovviamente non sono un tuo amico. Cosa potrebbe fregarmene di te? I nostri destini si sono già incrociati, cerca di guardare in faccia la realtà”
E quando Ueda aveva riso, perso tra sé e sé, lo aveva guardato stranito: cosa c’era ora da ridere?
“Non avrei mai creduto possibile che tu potessi essere così acuto, sai?”
E anche lui si era ritrovato a ridere, mentre entrambi sentivano la tensione essere spazzata via da quei sorrisi che adornavano i loro volti.
Si erano avvicinati, Jin era riuscito ad abbracciare l’altro mentre quest’ultimo aveva assunto un’aria sprezzante per poi farsi più timida, e più gentile.
“Quella canzone me l’ha insegnata mia nonna. E’ stata lei a farmi amare il pianoforte, è stata lei a insegnarmi tutto ciò che so. Lei è morta, è morta prima che io riuscissi a realizzare il nostro sogno e a far ascoltare questa canzone a tante altre persone. E’ morta e… io non ci riesco più a suonare”
Lo aveva stretto più forte, nel cuore la vaga sensazione di essersi appena innamorato di quel ragazzo: a prima vista, quando la sua maschera era crollata facendo notare il suo vero io.
“Io sono sicuro che lei sarebbe orgogliosa di vederti suonare”
E mentre sentiva il corpo accanto a sé rilassarsi del tutto aveva sospirato per poi sentirsi nuovamente premere contro il muro ed avere un deja-vù di quel giorno.
Solo che a differenza di quel giorno Ueda non l’aveva stretto con violenza, no, questa volta l’altro lo aveva baciato: aveva premuto le sue labbra rosse contro le sue prendendo subito il controllo, facendogli aprire la bocca ed infilandogli la lingua in quell’antro caldo.
Jin si era riscoperto a ricambiare con ardore quel bacio, abbracciando le spalle di quel ragazzo, stringendosi a lui, mugugnando compiaciuto nel sentire la sua erezione che si stava risvegliando: non sapeva se era per il gusto del proibito, se era perché lo stavano facendo in un bagno dove poteva entrare chiunque da un momento all’altro, o se era perché stava baciando lui, ma gli piaceva, follemente.
Ueda non aveva fatto tanti complimenti, gli aveva tolto la maglietta e ora stava baciando il suo petto, facendolo gemere a voce alta: dannazione, non riusciva a comprendere il motivo per il quale non ribaltasse le posizioni, di solito non gli era mai piaciuto fare il passivo.
Però… stava così bene tra le sue mani che si sarebbe fatto fare di tutto, ed in effetti era quello che stavano facendo.
Ci misero poco a ritrovarsi nudi l’uno tra le gambe dell’altro: Tatsuya lo aveva guardato negli occhi respirando agitato, Jin poteva vedere la sua erezione pulsare.
“Posso?”
Non gli era servita sicuramente una laurea in scienze umanistiche per capire a cosa si riferisse l’altro e si ritrovò ad annuire, spaesato.
Tatsuya gli aveva portato due dita alla bocca facendogliele leccare, senza mai perdere il contatto visivo e poi gliele aveva portate alla sua aperta che Jin, sapeva, essere assolutamente vergine.
Gliele aveva messe dentro e se da un certo punto di vista non avrebbe mai creduto di provare niente di simile nella sua vita, il dolore era stato così forte che per un secondo, solo per un secondo, aveva deciso di lasciar perdere tutto, ma poi Tatsuya aveva iniziato ad accarezzargli il membro e tutto era sembrato andare al proprio posto.
Quando era entrato dentro di lui aveva sentito il corpo sul punto di spezzarsi in due e si era chiesto se era questo ciò che avevano provato le ragazze, ed i ragazzi, con cui era stato.
Non lo avrebbe mai saputo, ma neppure ci teneva così tanto, perché il suo cervello era tutto impegnato nel ripetere a sé stesso quanto fosse bello sentirlo duro dentro di lui, mentre si muoveva arrivando fin nel suo profondo.
Non ci avevano messo poi molto a venire, e neppure a rivestirsi, e neppure a ritrovarsi di nuovo l’uno nelle braccia dell’altro.
“Mi è piaciuto”
Era stato Ueda a spezzare il silenzio e Jin si era ritrovato ad annuire alle sue parole.
“Anche a me”
Era poi seguito un silenzio imbarazzante.
“Allora… possiamo essere amici?”
Tatsuya in quel momento, a quella domanda, aveva pensato che Jin, alla fin fine, era sempre il solito stupido.