Love's Bitch

Nov 24, 2010 20:55

Buonasera.
Come anticipato sia qui sul LJ che sulla fanpage, da stasera sono qui a postarvi il progettino a cui sto lavorando da un po' di tempo e che è "leggermente" diverso dal mio solito: sapete com’è… una cerca di non scadere nel dramah a tutti i costi, nel melenso, nello scontato e nel morboso… (e sottolineo cerca, perché ogni tanto comunque ci cade lo stesso :-S)… e questi poi si vendicano, eh. E reclamano a gran voce il loro diritto ad esistere: ci siamo anche noi! Anche noi vogliamo dire la nostra, anche noi vogliamo PARLARE!!!

Bene… dato che negli ultimi tempi sono stata totalmente ossessionata da questo personaggio, che mi ha martellato il cervello per giorni, impedendomi di concentrarmi su qualsiasi altra storia o micro-storia dovessi portare avanti (sì, mi riferisco ovviamente alla LoD regolare… -___-), ho pensato di cogliere i classici due piccioni con una fava, concentrando qui tutta la parte meno allegra, meno “normale” (si fa’ per dire) e meno ironica dei miei pensieracci bacati… presentandola, oltretutto, in prima persona… e come molti di voi sapranno, nel 90% dei casi, io ABORRO la prima persona. E anche lei ha gridato vendetta.

Avvertenze: pur essendo ambientata nello stesso universo della LoD (più precisamente, durante la settima e l'ottava generazione) è una cosa del tutto inutile ai fini della storia regolare, è ossessiva, morbosa, totalmente politically incorrect e pure molto noiosa (in pratica c'è solo quasi testo). Potete evitare tranquillamente di leggerla, io non mi offendo, giuro :) è solo che dovevo scriverla… e, dato che qualcuna di voi ci teneva a leggerla (forse per masochismo, non so :-D), eccola pure pubblicata. Spero TANTO che sia un’eccezione alla regola… un’enorme eccezione, ma pur sempre eccezione. Altrimenti, poeticamente parlando, son cazzi :-S

Se proprio volete leggere, ogni volta che storcerete il naso di fronte ad una frase, un pensiero, un'iperbole infarcita di retorica etc., ricordatevi una cosa: non è colpa mia, sono i Tricou. Ecco ç____ç

Se, pur con tutta questa fantastica presentazione, avete deciso vostro malgrado di affrontare la lettura… sedetevi. Prendetevi una tazza di te’ caldo. Fate un bel respiro e preparatevi a perdere PARECCHIO tempo inutilmente… condoglianze a tutti!!!
(chi dovesse arrivare in fondo... please, ditemi qualcosa, anche brutta, ma fatemi sapere come avete trovato l'ambaradan, ecco -__-)





- Love’s Bitch -

“Siamo tutti il grande amore di qualcuno.”
Andrew Sean Greer
“Le confessioni di Max Tivoli”

------- prologo

Ho sempre pensato che l’Inferno, inteso come luogo di punizione dopo la morte, non esista. Perché se esiste io avrò dei gran problemi, in un futuro sempre più vicino.

In effetti, non sono mai stata credente… come potevo esserlo, essendo nata in una famiglia come la mia? Dopo essermi innamorata, però, ho iniziato a credere alla reincarnazione… non era possibile che un amore del genere, così profondo, così intenso, così complesso, fosse il frutto di una vita sola e destinato ad esaurirsi con essa… io avevo già amato quella persona, in passato. E l’avrei amata ancora, in futuro. Questo non era che uno dei tanti cicli della nostra infinita storia… che chissà quando era iniziata e chissà quando sarebbe finita…
Non è stato per il gusto del proibito, dell’incestuoso, che mi sono innamorata di lui… con questo però non voglio dire che sia stato un caso, che il lui in questione fosse mio cugino. Anche se non avessimo avuto un legame di sangue, lo avrei amato lo stesso, di questo sono certa. Ma non era certo un caso che fossimo così vicini… non credo nelle coincidenze.

Riguardando le vecchie foto ogni tanto scoppio a ridere, nel vederci, tutti vestiti a festa, già così diversi: lui, biondo e stellato, perfetta incarnazione del Piccolo Principe, con un sorriso imbarazzato ma sincero… io, perennemente abbigliata in scuro, con i miei capelli color carbone, mentre sfoggiavo un sorrisetto di tutt’altra sorta, molto meno rassicurante… le stranezze della vita.




Eppure, pur essendo così apparentemente diversi, le nostre strade erano inestricabilmente intrecciate, che noi lo volessimo o no. Ed oggi che sono una vecchia signora, che inizio a sentire su di me il freddo mantello del Tristo sempre più vicino, posso vedere chiaramente i nostri percorsi, come fossero strade che si sono dipanate nello scorrere del tempo… ma, anche da questa privilegiata prospettiva, non riesco a capire se tutto fosse già stato deciso al momento della nostra nascita o se le cose sarebbero potute andare diversamente… non lo saprò mai. Perché è così che è andata...

-------uno

Xavier Fricorith Kvornan Tricou. E’ questo il suo nome sui documenti. Per me, è sempre stato solo il mio Amore. Niente di più e niente di meno. Mentre quasi tutti gli altri l’hanno sempre conosciuto soltanto come mio cugino.

Cugino… una parola che ha sempre avuto il sapore del paradiso e quello dell’inferno… quel benedetto, e maledetto al tempo stesso, legame di sangue.

Quando è stato, di preciso, che ho iniziato ad amarlo, raggiungendo il punto di non ritorno e modellando secondo la sua forma tutta la mia esistenza?

Di certo non è stato quando eravamo bambini… figli di due sorelle, e non di due sorelle qualunque: figli di due Tricou, nati a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra, lui prima di me, quindi il maggiore. Ma ero io la femmina… ero io che avrei ereditato tutto, un giorno, dato che a casa nostra, da sempre, funzionava così… a meno che dimostrassi di esserne incapace. E non lo ero: nessuno ha mai messo in discussione la mia capacità di leadership. Al contempo, però, quello diligente e studioso e bravo era lui. Eravamo in competizione… in competizione totale, fin dalla più tenera età. Erano proprio i nostri parenti a volere che fosse così, e soprattutto una persona: nostra nonna Jennicor.

Era lei il capo della nostra famiglia, all’epoca, il capo assoluto, incontrastato, forte anche delle sue origini non del tutto umane (no, le stranezze di noi Tricou non si limitano soltanto agli affari). Suo marito, nonno Jonathan, era un uomo debole e stanco, ormai anziano e sfatto, nonostante recasse ancora tracce di un’antica bellezza… guardando le vecchie foto, era facile capire perché i due un tempo si fossero amati ed avessero deciso di sposarsi… ma quello era il passato: nel presente, invece, il nonno aveva smesso da tempo di tentare di arginare il suo dispotismo, e, per sopravvivere, preferiva concedersi lunghi periodi lontano da casa, che spesso avevano conseguenze (siamo stati abituati ben presto a veder spuntare qualche nuovo parente quando meno ce lo aspettavamo... ecco un’altra delle stranezze di famiglia), ma finendo sempre per tornare da lei. Abbiamo sempre conosciuto bene il significato della parola “ossessione”…




I genitori di Xavier erano un’eccezione, nel clan: zia Jessica, pur essendo una Tricou fatta e finita, era una brava madre, attenta e capace, mentre Zio Kevin era semplicemente una persona gentile. Come fosse finito fra noi, come mia nonna avesse mai potuto dare la sua approvazione a Jessica e le avesse permesso di rivelargli tutto… non l’ho mai capito. Loro erano un’oasi di serenità nell’anormalità di casa…




Quanto ai miei genitori… loro rientravano molto meglio nella tipologia Tricou, non fosse stato per la debolezza estrema di entrambi. Mia madre, Noelle, era una donna fatua e incostante, molto più interessata al (dubbio) prestigio che le portava il nostro nome ed alle sue numerose storie, che non ad altro… mio padre, Kent, non era da meno. Le primissime immagini che ho di loro vertono tutte sugli stessi ricordi: o non c’erano, o erano impegnati a rinfacciarsi a vicenda le corna dell’altro, o erano in camera a… riappacificarsi. Io quasi non contavo… almeno, non come figlia: contavo solo come futura (si sperava) capofamiglia…




Abitavamo tutti nella stessa, grande villa, conosciuta come la “Casa degli alberi caduti”… un luogo decisamente lugubre in cui crescere. I piani erano occupati secondo l’importanza del nucleo: i nonni occupavano l’attico, noi il primo e gli zii il piano terra.

Quando ero molto piccola, non mi interessava per niente questa divisione gerarchica, anzi, sognavo spesso di scoprire che i miei genitori in realtà erano quelli di Xavier… che ci avevano scambiato per sbaglio nella culla e che quel maledetto bambino biondo, sempre così apparentemente sereno e felice, era figlio di quei due promiscui, ignoranti, volgari genitori…

Quando diventai un po’ più grandicella, invece, iniziai ad apprezzare il fatto di non essere figlia loro… o meglio, di non essere figlia dello zio Kevin, dato che mi presi un’enorme cotta per lui. Da questo si potrebbe immaginare che io sia sempre stata attirata da relazioni proibite… ma no, in quel caso no: intanto non sarebbe stato incesto (io e Kevin non avevamo nessun legame di sangue), e poi si trattava solo di una normale reazione adolescenziale all’unica figura maschile gentile e dolce che avessi mai avuto modo di conoscere, tutto lì.

Che poi ogni tanto immaginassi di sedurlo, per far scoppiare un enorme scandalo in casa… beh, questo è sicuramente meno normale e più da Tricou. Che, dopotutto, è ciò che sono.




Come ho dovuto imparare ben presto, la nostra famiglia porta avanti da secoli un’attività volta al recupero, alla conservazione e al reindirizzamento delle opere d’arte, distribuita in un’efficiente rete in tutto il sim-stato: sì, siamo dei criminali. Mercanti d’arte, per essere precisi. Ci sono alcuni rami secondari che si occupano anche di altro, ma quello principale è impegnato in questo, da molto tempo.

Essendo il nostro “lavoro” così ben definito, fin da piccolissimi noi bambini siamo stati abituati a considerarlo come normale e giusto, e siamo stati educati con severità per potere, un giorno, prenderne le redini e portarlo avanti con metodo ed abilità… come già detto, essendo io la femmina, il peso del comando sarebbe ricaduto principalmente sulle mie spalle, mentre gli altri parenti mi avrebbero solo aiutato.

Non era questa, la cosa che rifiutavo… anzi. Diciamo che la consapevolezza che un giorno sarei diventata io il capo fu l’unica cosa che mi trattenne dal lasciare tutto definitivamente. Il problema era la costrizione, la rigidissima educazione che ci veniva impartita da tutti e soprattutto da mia nonna, che non tollerava il minimo sbaglio da noi, non curandosi minimamente dei nostri desideri e dei nostri pensieri.
Vivevamo in un mondo a parte… questo mi era fin troppo chiaro. Benché, fuori casa, ci comportassimo più o meno normalmente, benché frequentassimo altre famiglie, almeno di facciata, noi eravamo… diversi. Impossibilitati a stringere rapporti veri con chiunque non fosse uno di noi… in trappola.

Era una cosa che non sopportavo, e facevo di tutto per dimostrarlo: mentre tutti lusingavano e temevano Jennicor, limitandosi a parlare male di lei solo alle sue spalle, io la sfidavo apertamente, vestendo come mi pareva, andando male a scuola, rifiutandomi di studiare qualsiasi cosa avesse a che fare con la nostra attività, portando i miei ragazzi in casa, proprio sotto ai suoi occhi (sono stata piuttosto precoce in quel senso, anche se più per curiosità che per un vero interesse, oltre che per far arrabbiare mia nonna), rientrando a tarda notte completamente sbronza... tutto il repertorio, insomma. Sono anche scappata di casa un paio di volte, ma sono stata riacciuffata talmente in fretta e punita così severamente da aver desistito quasi subito.

In tutto questo, mentre io mi davo cercavo di imporre la mia individualità con ogni mezzo a mia disposizione, mio cugino si dimostrava, anno dopo anno, studioso, obbediente e diligente… in breve, era il cocco della nonna, sempre pronto a fare quello che gli diceva lei, a piegarsi alle sue direttive, a dare ascolto ai suoi consigli. Jennicor, ovviamente, non perdeva occasione per mettere in evidenza le nostre differenti condotte, esaltando la sua: io ero ribelle, libertina, deludente… lui era intelligente, capace, serio e avrebbe potuto anche togliermi il diritto al comando. Tutto questo creava intorno a noi un clima di competizione letale… cosa che mi colpiva relativamente: all’epoca, di lui non mi interessava affatto, lo ignoravo, per quanto possibile… lo consideravo solo un piccolo leccapiedi e lo disprezzavo profondamente.




Questo stato di cose durò per anni. A dire la verità, Xavier si era sempre mostrato gentile e aperto anche con me e sembrava più che disposto a diventare mio “amico”… certo. Come se io ci potessi cascare. Lui, secondo in linea di successione, che voleva diventare mio amico… ero piccola, non stupida.

E poi, durante l’autunno, poco prima che compissi 16 anni, successe qualcosa di imprevisto: la morte dei miei zii Jessica e Kevin.
Fu un fulmine a ciel sereno, e, per quello che ne so ancora oggi, fu davvero un incidente: mentre stavano rientrando da un viaggio, la loro auto fu colpita da un pirata della strada, che li fece finire nella corsia inversa… non ci fu niente da fare. Per la nostra famiglia fu un duro colpo: siamo spietati, con gli altri e a volte anche tra noi, ma non sopportiamo l’idea di essere feriti dall’esterno.

Dopo la scomparsa della figlia, Jonathan si rinchiuse sempre più in se’ stesso e non passarono molti mesi che ci lasciò anche lui… mentre Jennicor reagì a modo suo, rendendo il nostro mondo ancora più ristretto, ancora più limitato, tenendoci ancora più al guinzaglio. Come prima direttiva, dopo il funerale, diede ordine di far sgomberare il piano terra dalle cose appartenute agli zii e di sostituirle con mobili e suppellettili nuovi… tutto il piano ormai apparteneva a Xavier, e lui, anziché protestare come avrei fatto io nel vedermi strappare via i ricordi dei miei genitori (se fossero stati i miei), accettò anche questo, apparentemente senza fare una piega.

Io continuavo a non capirlo, e non mi interessava minimamente… almeno fino al fatale momento in cui lo sorpresi nell’armadio. Successe per caso… e cambiò tutto.

Era l’ora di cena e, stranamente, mio cugino era in ritardo… la nonna, spazientita, mi mandò da basso a chiamarlo, dato che non rispondeva al campanello (sì, in casa ci muovevamo secondo gli scampanellii di Jennicor, come dei bravi cagnolini… a tutt’oggi, quello è un suono che odio). Quando scesi a piano terra, di malavoglia come sempre, sulle prime non riuscii a trovarlo… fino a che non notai una luce accesa in quella che prima era stata la camera dei miei zii e che ora stava solo aspettando di venire smantellata, e le ante del guardaroba aperte… incuriosita, sbirciai dentro… e lì trovai Xavier, accucciato sul fondo del mobile vuoto, che stringeva forte a se’ un vestito di sua madre, bagnandolo di lacrime.




Dovetti essermi lasciata sfuggire un moto di sorpresa, perché ricordo che lui si girò di scatto, il terrore dipinto sul viso, come un animale stanato da un cacciatore… e poi… non appena vide che si trattava di me… si tranquillizzò. Si asciugò gli occhi, mi rivolse un sorriso tremulo e mi disse che sarebbe salito di lì a poco.

Ecco… se dovessi definire il momento in cui per me tutto cambiò, fu quello. Quando lo vidi rannicchiato in quell’armadio, abbracciato stretto ad un vestito da donna, con le lacrime che gli sgorgavano dagli occhi a fiotti. E soprattutto quando lui, invece di preoccuparsi per essere stato beccato proprio da me, la sua rivale, si era calmato… e mi aveva sorriso. Non capivo.

Tanto per testare le sue reazioni, lo misi immediatamente alla prova: quando ci raggiunse a tavola, quella sera, iniziai a parlare alla nonna del fatto che non ero riuscita a trovarlo subito… quando menzionai l’armadio, lo vidi irrigidirsi e lanciarmi un’occhiata incredula, alla quale risposi con uno sguardo glaciale, finché… non cambiai discorso, concludendo in maniera neutra e lasciando che lui si giustificasse per il ritardo con una balla, alla quale io non feci eco in alcun modo.

Prima di andare a dormire mi fermò… per scusarsi con me.

Scusarti… per cosa?

Per averti guardato male, prima… sai, per un attimo, mi sono preoccupato… ma ho fatto male, dovevo saperlo che non avresti potuto farlo.

Ah sì?

Certo! Sei mia cugina… io mi fido di te.

Si fidava… di me?? E perché? Quando mai gliene avevo dato motivo? In pratica non ci guardavamo neanche… cosa aveva in mente? Faceva parte tutto di un piano, per guadagnarsi la mia fiducia e tradirmi in seguito? Se era così… era bravo, e molto. Era decisamente convincente: dopo quella sera, iniziò a cercare di comunicare con me… inizialmente solo al ritorno da scuola, poi sempre più di frequente. Era timido, ma mi parlava, mi rendeva partecipe delle sue idee… si confidava con me, tranquillo e sereno… come se io non fossi la sua peggior nemica! Come se io non fossi pronta a pugnalarlo alle spalle, non appena mi fosse servito! Diavolo… eravamo Tricou. Nella nostra famiglia sopravviveva solo il più forte ed il più furbo, non c’era spazio per i sentimenti nobili.

Infatti, nonostante i cambiamenti che stavano avvenendo dentro di me… ero sempre io. E quindi ci misi un po’ ad accettare la cosa: cercavo di capire quale fosse il suo gioco… senza riuscirci, perché, come so adesso, un gioco non c’era. Xavier era sincero.

Più passava il tempo, e più lui mi trattava come fossi la sua migliore amica. Dopo averlo ignorato per tutti quegli anni, mi scoprii curiosa di saperne di più… a lui non sembrava importare che non lo incoraggiassi, che simulassi un’indifferenza che ormai non provavo più… e mi parlava: di quanto gli mancassero i suoi genitori, delle sue cose, dei suoi sogni (che sapeva non si sarebbero mai realizzati), dei suoi progetti (idem), mi spiegava come sarebbe stata la sua vita, se solo fosse nato in una famiglia diversa. Della sua passione per la musica, del fatto che, di nascosto, una sera era riuscito ad andare ad un concerto di musica punk che l’aveva folgorato e che, da allora, aveva iniziato una collezione di cd che la nonna non avrebbe mai approvato, nascosti sotto un’asse del pavimento di camera sua, come nella migliore tradizione…

Parlava di cose stupide ed importanti allo stesso tempo: con me era spontaneo, naturale, diverso da come si presentava in casa… e, sebbene non volessi ammetterlo neanche a me stessa, ero dannatamente felice che mostrasse solo a me la sua vera personalità.
Improvvisamente lo scoprii affine a me: allora anche lui si sentiva in gabbia, costretto, completamente a servizio della famiglia… inutile come individuo. Solo che, invece di reagire ribellandosi, come facevo io, lui l’aveva accettato e cercava di adeguarsi al meglio delle sue possibilità, pur non rinunciando ad essere se’ stesso. Non avevo mai pensato, prima di allora, che fossero questi i suoi motivi. Che capisse, anche meglio di me, la nostra situazione, ma che avesse reagito con serenità anziché irritazione.

Mi stava… conquistando. Senza neanche rendersene conto, senza neanche volerlo. Io, che avevo imparato molto presto a non fidarmi di nessuno, a non cercare l’affetto di nessuno, reagivo mio malgrado al suo, che era disinteressato e puro… e che, senza accorgermene, agognavo disperatamente, come una piantina secca anela l’acqua…




E, come se non bastasse questo… mi ammirava. Ammirava il fatto che io avessi il coraggio di contrastare Jennicor ed il resto della famiglia, che cercassi di sfidare le convenzioni: era sicuro che sarei diventata una capofamiglia perfetta, e non si vergognava a dirmelo…

Gwen… lo so che sarai tu il capofamiglia, un giorno. E mi sta bene. Anzi, mi sta benissimo: io non voglio diventare il capo… preferisco che sia tu, sotto ogni aspetto. Tu sei molto più forte e adatta, e poi… io non me la sento di portare sulle spalle un peso del genere. Ma sarò felice di aiutarti a condividerlo, come tuo secondo, se a te andrà bene.

Ci volle più di un anno perché lo ammettessi, ma alla fine… cedetti. Lasciai che le emozioni si infrangessero con violenza contro tutte le barriere che mi ero costruita intorno e le travolgessero, distruggendole, sommergendo tutto, riempiendo il vuoto che c’era, colmando il mio bisogno di affetto, mai esplicitato ma ben presente… quei sentimenti erano cresciuti in me per tutti quei mesi, lentamente ma inesorabilmente… avrei potuto amarlo… e così lo amai. Lo amavo. Lo amo.

-------due

Avevo finalmente accettato di provare quei sentimenti, avevo deciso di fidarmi di Xavier e di amarlo: già questa non era cosa da poco, per me… la mia non era una situazione facile, visto il grado di parentela che ci legava, ma ero sicura della sua amicizia e della sua ammirazione: forse non ci sarebbe voluto poi molto perché queste due si tramutassero in qualcosa di più. E chissà come sarebbe andata, se il Fato non ci avesse messo lo zampino, facendo incrociare le nostre strade con quelle di una ragazza fino ad allora sconosciuta, ma il cui nome avrei ricordato per sempre: Regina Neengia.

Era più o meno nostra coetanea, figlia di un conoscente di mio padre, capitato in città durante le vacanze e passato a trovarlo per alcuni giorni… durante i quali, mio cugino si prese per lei una cotta in tempo di record, mandandomi fuori di testa.

Ma come… avevo impiegato mesi per ammettere quello che provavo per lui, per permettere a me stessa di affezionarmici… avevo appena iniziato a pensare a come potessi fare per conquistarlo, per concretizzare il mio amore… e improvvisamente spuntava dal nulla questa, rischiando di mandare tutto all’aria??

Completamente all’oscuro di quello che mi passava per la testa, Xavier mi raccontava tutto della sua nuova consapevolezza… dico nuova perché, come sospettavo e come aveva ammesso candidamente lui stesso, non aveva nessuna esperienza con le ragazze: aveva sempre avuto troppa paura ad avvicinarle, vista la nostra situazione… ma stavolta era diverso: Regina gli piaceva troppo per rinunciare in partenza. Aveva intenzione di tentare.

Io ressi, finché potei… ma allora non avevo l’autocontrollo che avrei imparato, a mie spese, con gli anni. In breve tempo divenni verde di gelosia, talmente gelosa da star male fisicamente, soprattutto dopo che fui involontaria testimone (e, credetemi, involontaria è dir poco) del loro primo bacio…




Ricordo poco del periodo immediatamente successivo: so che stavo malissimo. Ero divorata da dentro, soffocata, ossessionata… non riuscivo a pensare ad altro: iniziai ad avere delle crisi di panico, prima raramente, poi sempre più spesso… mio cugino non si accorgeva di niente, perso com’era in quella sua inedita storia, ed io facevo di tutto perché non capisse, ma ero straziata e non sapevo come uscirne.
In quei momenti di nera disperazione, l’unica cosa che mi dava una sorta di feroce sollievo era immaginare tutti i modi in cui avrei potuto uccidere Regina: ci pensavo ossessivamente, pianificavo le mie mosse, ogni volta diverse, in tutti i dettagli… la mia versione preferita consisteva nello strangolarla: immaginavo cosa avrei provato, nello stringere la mia mano intorno al suo collo sottile, nel sentire il battito del suo cuore frenetico contro le mie dita, la sua vita letteralmente nelle mie mani… nel soffocarla, come lei stava facendo con me, lentamente, con piacere… nel vederla ripiegarsi, afflosciarsi su se’ stessa, cadere a terra come una bambola rotta… questi erano i pensieri che mi si rincorrevano in testa, quando tentavo di riportarli verso una parvenza di sanità mentale. La cosa mi pare piuttosto indicativa di quanto fossi lontana dalla stessa, in quei giorni.

E poi… non so quale fu il ragionamento che mi portò alla decisione che presi… forse, semplicemente, mi ricordai chi ero. Qual era il mio sangue. Cosa significava il mio cognome. Cos’era scritto nella nostra storia.

Ero una Tricou.

Forse non per mano mia… ma avevo i mezzi per farlo accadere, nella realtà. Regina Neengia poteva sparire… come se non fosse mai esistita… era così facile… così ovvio. Se lei fosse sparita… tutto sarebbe tornato come prima. Dovevo solo trovare il modo…

E lo trovai.

Non l’ho menzionato prima, ma, come potete ben immaginare, la nostra attività fa’ sì che possiamo disporre di centinaia di persone alle nostre dipendenze, dirette o meno. In effetti, io non mi considero una ladra, ma un’imprenditrice: in vita mia non ho mai rubato neanche uno spillo… abbiamo tante di quelle persone che lo fanno per noi, perché mi dovrei disturbare?

Tra i nostri collaboratori, all’epoca, c’era anche l’uomo a cui mi rivolsi per la parte pratica del mio piano: era poco più di un tirapiedi, occupava un posto molto basso nella scala gerarchica, ed era anche per questo che faceva al caso mio. L’altro e più importante motivo per cui lo scelsi era perché avevo qualcosa che lui desiderava.

Lo avevo sorpreso più volte a guardarmi, gli occhi bassi, apparentemente rispettosi, ma in realtà saturi di una malcelata lussuria… perfettamente consapevole della distanza che ci separava, che uno come lui, così palesemente inferiore per nascita, cultura, aspetto, non avrebbe mai potuto neanche sfiorare una come me… così si limitava a seguirmi, con quello sguardo lubrico, sordido, volgare. Non sono mai stata tipo da spaventarmi per cose del genere, ma quell’uomo non mi piaceva e lo evitavo quanto possibile.

Non avrei voluto ricorrere ad una cosa simile, ma non avevo altro a disposizione: non avevo soldi, non avevo influenza, non avevo niente… se non me stessa. E, per Xavier, avrei fatto anche quello.

Una volta stabiliti con chiarezza i rispettivi… campi di interesse, l’accordo fu raggiunto piuttosto velocemente: stabilii con attenzione ogni dettaglio, per quanto riguardava ciò che volevo io… mentre per il resto, lasciai che fosse lui a decidere le modalità ed i tempi. Vi risparmio i particolari, di quella parte della nostra transazione: dirò solo che, come prevedibile, fu una cosa squallida. Eppure, allo stesso tempo, fu anche piacevole. Sapere di stare facendo tutto quello per Xavier, di sacrificare me stessa sull’altare dell’amore mi dava uno strano appagamento… forse pensavo, nella maniera contorta che mi è usuale, che più mi fossi umiliata e più sarei stata degna di lui… o forse stavo solo alimentando il mio cupio dissolvi, chi lo sa. Non saprei come spiegarlo, a parole… ma dopotutto, nella mia vita, repulsione e piacere sono andati spesso di pari passo…




Una volta rispettata la mia parte del patto, anche il mio complice fece lo stesso: fu proprio da Xavier che venni a sapere della misteriosa scomparsa di Regina, che nel frattempo era ripartita con suo padre, ma con cui continuava a sentirsi. Inizialmente, non avere più sue notizie lo lasciò perplesso… con il passare dei giorni, passò dalla confusione alla preoccupazione: tentò anche di indagare, insieme ad alcuni dei nostri dipendenti, su cosa le potesse essere successo… ma, anche allora, io non lasciavo niente al caso… avevo messo in conto che sarebbe successo, e mio cugino non riuscì a scoprire niente.

Con il passare delle settimane senza che ci fossero novità, Xavier giunse infine ad uno stato di apatia e depressione che mi avrebbe spaventato… se non avessi previsto anche quello. Anzi, contavo che sarebbe andata così: avrebbe soltanto agevolato quello che sarebbe stato il mio compito, dopo. Non solo avevo riportato la nostra situazione a quella di partenza, togliendomi di torno Regina, ma l’avevo migliorata: a chi mai si sarebbe potuto rivolgere il mio povero cuginetto per cercare consolazione… se non a me?

C’era rimasta solo una questione in sospeso da sistemare… ovviamente sto parlando del mio “aiutante”. Presto o tardi, avrebbe senza dubbio iniziato a minacciarmi, perché tornassi di nuovo a soddisfare le sue voglie, se non avessi voluto che raccontasse tutto alla mia famiglia…

Se sbarazzarmi della mia prima rivale fu dettato dalla gelosia e, in minima parte, mi fece sentire male con me stessa ed in colpa verso Xavier, sbarazzarmi di lui fu una cosa totalmente programmata e mi dette invece solo un’enorme soddisfazione. Fu anche incredibilmente facile: bastò accennare a mio padre del fatto che quell’uomo, quel tirapiedi… mi spaventava. Non che mi avesse mai fatto niente… ma mi metteva paura. Mio padre fu la scelta più logica: se l’avessi detto a mia nonna, o anche a mia madre, sicuramente si sarebbero insospettite e avrebbero indagato, rischiando di venire a conoscenza di tutto. Mio padre, invece, non era così furbo da sospettare di essere manipolato… quantomeno, non da me. E, al contempo, aveva comunque i mezzi per eliminare il problema senza destare clamore… cosa che puntualmente fece. In famiglia si seppe solo che quell’uomo era stato “trasferito” ad un nuovo incarico, come si premurò di farmi sapere papà durante una cena, con una lunga e significativa occhiata… successivamente, dietro mia domanda diretta, mi abbracciò forte e specificò che non mi avrebbe più fatto paura… mai più. E bravo papà… anche lui era servito a qualcosa, alla fine.




Con quella mossa, discreta ed efficace, ero convinta di essere al sicuro: il verme era stato sistemato, nessuno avrebbe più potuto risalire a me per la scomparsa di Regina… era tutto perfetto! Quanto ero ingenua, all’epoca…

E quindi… arrivò il momento.

Non ricordo molto della notte in cui sedussi mio cugino… d’accordo, questo non è vero. In realtà ricordo ogni parola, ogni gesto, ogni dettaglio, con estrema chiarezza. Ma non so quanto sia adatto descriverlo in questa sede, dato che le mie memorie resteranno per sempre a far parte dell’eredità di famiglia… come tutto quello che ho fatto in vita mia. E’ quantomeno curioso notare che non ho avuto remore a scrivere dei miei primi atti criminali, mentre ne ho a descrivervi quello che ne è seguito.

Comunque, ecco come andò: era il cuore della notte quando scesi dabbasso, negli appartamenti di Xavier, e, quando entrai in camera sua, dopo aver bussato distrattamente nel nostro codice, lo trovai esattamente come l’avevo immaginato: ancora vestito e completamente sveglio, sdraiato sul suo letto a fissare il soffitto. Era chiaro che stava pensando a lei, ed io, avendolo previsto, avevo adottato alcune… contromisure, chiamiamole così, semplici ma idonee, come il presentarmi a lui in una mise apparentemente casuale ma in realtà studiata attentamente: a piedi nudi, con una canotta dalle spalline sottili, stretta tanto da evidenziare le forme ma non da risultare volgare, ed un normale paio di slip, tutto bianchissimo… in realtà già all’epoca avevo una predilezione per la seta, ovviamente nera, ma il cotone candido avrebbe fatto più al caso mio, ammantandomi di una parvenza di purezza (del tutto immaginaria) ma lasciando allo stesso tempo scoperta abbastanza pelle da far puntare subito i pensieri maschili in una determinata direzione…

E infatti: non mi ero mai mostrata così spogliata ai suoi occhi e lo vidi distintamente distogliere lo sguardo, arrossire… e poi arrossire ancora. La prima era l’ovvia reazione di un ragazzo di fronte alla (parziale) nudità femminile, la seconda invece era stata dettata da senso di colpa e vergogna… prima che arrivassi io si stava struggendo per Regina, come poteva pensare certe cose di un’altra?? e poi… ero sua cugina, non avrebbe dovuto proprio pensarle, certe cose, di me. Il mio dolce amore, i cui pensieri sono sempre stati limpidi come uno specchio d’acqua…




Quella notte giocai con lui come il gatto con il topo… conducevo le sue idee esattamente dove volevo io. Dopo averlo fatto agitare ulteriormente, dato che mi ero avvicinata a lui e mi ero seduta sul letto, una gamba nuda che sfiorava la sua, decisi di calmarlo e di riportarlo su un terreno meno accidentato… non volevo spaventarlo subito: lo guardai dritto in faccia, nella mia migliore interpretazione di sguardo franco e sereno, e gli presi una mano, stringendogliela forte, come a volerlo confortare… a questa dimostrazione di amicizia “disinteressata”, reagì come speravo: si rilassò e, se pure ancora incerto, mi sorrise… almeno fino a quando, sempre guardandolo fisso ma lasciandogli finalmente intravedere parte dell’abisso in cui mi trovavo, non spostai sul mio seno la mano che gli avevo catturato, con decisione, facendogli mozzare il fiato in gola.

Ebbene, lo ammetto, all’epoca ero una seduttrice piuttosto rozza. Ma avevo 17 anni ed ero ancora, nella misura in cui era possibile, innocente. E poi non sono mai stata al meglio delle mie possibilità, quando si trattava di Xavier… c’erano sempre troppi sentimenti in ballo, perché riuscissi a ragionare a mente completamente lucida. Senza contare che la pur banale mossa risultò essere piuttosto efficace ai miei scopi.

Comunque: mio cugino, va’ detto in suo onore, inizialmente difese la sua virtù con una resistenza che potrei definire solo come “eroica”, vista la sua situazione psicologica e fisica in quel momento, e che, venendo da chiunque altro, mi avrebbe offesa a morte… che invece da lui non solo capivo, ma amavo anche. Quando infine cedette, non fu per ciò che feci, ma per ciò che dissi… e, anche in questo, si trattò della cosa più banale: gli confessai di amarlo, profondamente e disperatamente, a dispetto del nostro legame di sangue, a dispetto di tutto e di tutti. Gli giurai solennemente che io, per lui, ci sarei sempre stata, che non mi avrebbe mai persa, che sarei stata sua per sempre… che io non lo avrei mai lasciato. A questo non poteva resistere… e infatti, non lo fece.




Dopo quella notte diventammo inseparabili, se pure su piani diversi: di giorno, che fossimo a scuola oppure a casa, continuavamo a comportarci come nulla fosse… quando calava il buio, io sgattaiolavo puntualmente dalla mia stanza, silenziosa come un’ombra, per scendere dabbasso e rifugiarmi nel suo letto… notte dopo notte. Non disse mai di amarmi: non me l’ha mai detto, in tutta la sua vita… non ha mai voluto mentirmi, neanche per pietà. Sebbene innamorata, non ero cieca… sapevo che stava con me per altri motivi: perché ero io ad amarlo e gliel’avevo chiesto, perché comunque mi voleva bene, ovviamente per il sesso, e perché tra le mie braccia e le mie gambe sperava, cercava disperatamente oblio da tutto il resto… la morte dei suoi genitori, la scomparsa della sua ragazza, il cognome che era costretto a portare e tutto quello che ciò significava. Io lo sapevo, lo sapevo benissimo, ma non mi interessava: qualsiasi cosa, purché fosse mio.

E mio lo stava diventando sempre più: invece di aiutarlo a fuggire, lo facevo impantanare, notte dopo notte, nella palude stagnante della nostra famiglia. Lo plasmavo come fosse creta, trasmettendogli i miei pensieri e spronandolo ad imparare a pensare come me, a ragionare come un vero Tricou. E non solo questo… ieri come oggi, sono sempre stata un’amante molto esigente, ho sempre preteso il massimo dai miei partner… anche sotto quel punto di vista, quindi, fornii a mio cugino un’educazione completa. Tutte le donne che ha avuto dopo di me mi dovrebbero solo ringraziare: le lunghe ore che passavamo a letto, impegnati ad esplorare a vicenda ogni centimetro della nostra pelle, sopperendo la scarsa esperienza con l’entusiasmo proprio di quell’età e sperimentando tutto quello che ci veniva in mente, hanno dato i loro risultati. Quindi, vedete… in fondo, sono una filantropa.

Quei primi mesi della nostra relazione furono i più felici della mia esistenza. Ero innamorata e finalmente avevo l’oggetto del mio amore tutto per me. Mi sentivo invincibile, credevo di poter fare qualsiasi cosa: eravamo insieme, io e lui… tutto il resto non contava. Ancora oggi ricordo con estrema precisione le ore trascorse rannicchiata contro di lui, con le mie dita infilate tra i suoi capelli e le sue che tracciavano invisibili disegni sulla mia pelle nuda… parlavamo tanto. Io ero addirittura arrivata ad immaginare la nostra vita futura, quando saremmo stati… beh, non liberi, ma più grandi, ed avremmo potuto agire di conseguenza. Non vedevo l’ora di andare via da quella casa. Mio cugino, giustamente, mi diceva che quello sarebbe stato molto difficile, dato che abitavamo lì da generazioni e generazioni… ma non lo stavo a sentire: saremmo andati via insieme, io e lui… ovunque ci fosse lui, quella per me sarebbe stata “casa”. Xavier stesso era “casa”.




-------tre

Ve l’ho detto… ero ingenua.

Non trovo altre giustificazioni, se non questa, al non aver previsto quanto successe dopo… al non aver previsto che Jennicor avrebbe scoperto quello che stava accadendo tra noi, nel giro di poche settimane.

L’altra cosa che non avevo previsto fu la sua reazione: quando ci chiamò nel suo studio e ci disse di sapere esattamente cosa facevamo di notte io e lui, Xavier arrossì e abbassò gli occhi, pieno di rimorso e vergogna… io, al contrario, balzai in piedi e le dissi, senza mezzi termini, che non mi interessava minimamente quello che aveva da dire lei a riguardo, che io lo amavo e che avremmo continuato a fare quello che volevamo, qualunque cosa lei potesse fare, che presto saremmo stati maggiorenni e saremmo andati via insieme. Jennicor mi lasciò sproloquiare per un po’, con aria divertita, fino ad alzare una mano e gelarmi con una sola, semplice frase…

Non sono affatto contraria.

Di fronte a questa sorprendete affermazione, rimasi senza parole… mia nonna fece uscire Xavier dalla stanza e rimase da sola a parlare con me: era la prima volta che vedevo qualcosa di simile al rispetto, nel suo sguardo. Nella mezzora successiva espose chiaramente tutti i motivi per i quali era favorevole alla nostra relazione… che poi, si riducevano ad uno solo: meno gente sapeva di noi, più tutto restava in mano ai Tricou… e meglio andava.

Quando mi congedò, ancora stupita dalla sua approvazione, non resistetti comunque a chiarire bene una cosa…

Non l’ho certo fatto per te.

Certo che no. L’hai fatto per la persona più importante per te… ovvero, te stessa. Ma l’hai fatto anche per noi, benché ancora tu non te ne renda conto. Comunque vadano le cose, in futuro, noi non potremo altro che guadagnarci.




Quando raccontai tutto a Xavier, lui parve prenderla molto peggio di quanto mi aspettassi… non era felice, era rassegnato. E la cosa non mi piacque. Ma volli ignorare tutti i segnali poco rassicuranti che, da allora in poi, iniziarono a spuntare tra di noi…

Dopo che la nostra relazione fu resa di pubblico dominio, almeno in famiglia, portai tutte le mie cose nei suoi appartamenti, che divisi con lui per il periodo successivo: io e Xavier praticamente vivevamo come fossimo sposati. Ero felice, come si può essere solo a quell’età accanto alla persona amata… mi vedevo già invecchiare tra le sue braccia, giorno dopo giorno, anno dopo anno… saremmo cresciuti, saremmo maturati, saremmo sfioriti… l’uno vicino all’altra, per l’eternità.

Ma, come già accennato, i segnali di un suo raffreddamento nei miei confronti non tardarono ad arrivare… adesso che potevamo vivere il nostro “amore” alla luce del sole, mio cugino iniziò a rinchiudersi in se’ stesso… fu una cosa molto graduale e ci volle un po’ perfino a me ad accorgermene: non volevo neanche pensare all’idea che per lui rappresentassi ancora solo una potenziale via d’uscita, una forma di ribellione latente… credevo, volevo disperatamente credere che le cose, pian piano, fossero cambiate… che lui avesse iniziato a ricambiare il mio amore, magari ancora poco, ma, col tempo…

E invece… iniziò a parlarmi di meno. Iniziò a trovare motivi, con la scusa dello studio, per vedermi di meno. Iniziò a tenermi a distanza, prima impercettibilmente, poi sempre di più… io divenni nervosa e, invece di riflettere su quello che facevo, invece di studiare una strategia, di pianificare delle contromosse adeguate per tenere vivo il suo interesse, mi lasciai trasportare dai sentimenti e risposi nel modo peggiore possibile, ovvero… standogli troppo addosso. Cosa che, ovviamente, non ebbe altro effetto che farlo allontanare di più… come ho già detto, con Xavier non sono mai stata al massimo delle mie possibilità.

E poi… le cose precipitarono.

Iniziò tutto nel più banale dei modi, con una delle frasi più semplici e, allo stesso tempo, più difficili di sempre…

Gwen… dobbiamo parlare.

Mi impaurii non poco a questa sua uscita… e facevo bene: Xavier mi comunicò, con poche frasi pacate, non prive di gentilezza, che, dopo averci pensato tanto, aveva deciso di interrompere la nostra relazione. In termini meno formali: mi stava lasciando.

Il mio cervello si rifiutava di elaborare il senso di quelle parole… ma lui aveva appena iniziato. Mi spiegò che, dopo averci riflettuto a lungo e attentamente, era arrivato alla conclusione che non ce la faceva a stare con me… per via del nostro legame di sangue. Sapeva di aver sbagliato ad assecondare i miei voleri, e, sebbene non volesse darmi la colpa di niente, sebbene non volesse in alcun modo sminuire i miei sentimenti, era sicuro per lui che fosse stato tutto dettato dal pessimo periodo che stava passando dopo la scomparsa dei suoi e di Regina… e, a tal proposito, aveva anche altro da dire…

Vedete… quando io voglio qualcosa, agisco come l’animale che protegge il mio segno: sono decisa, veloce, letale. Mio cugino non è e non sarà mai così… ma c’è da dire questo, di lui: è tenace… molto più di me. Una volta iniziato a perseguire un obiettivo, non lo molla mai, neanche a distanza di anni. Quella fu la prima volta che dimostrò questa sua capacità… ma non l’ultima.

Xavier aveva continuato, a mia insaputa, ad indagare sulla scomparsa di Regina… non ho mai saputo come, ma, alla fine, era riuscito a trovare una flebile traccia che riconduceva a me, benché non fosse tale da poter provare qualcosa…

Io non ci credo, Gwen… non ci voglio credere. Non puoi essere stata tu… non ne saresti capace… non è vero?

Cosa avreste fatto, voi, al posto mio? E cosa credete che feci io? Negai, ovviamente… negai tutto, urlando, giurando e spergiurando su me stessa… tanto, ormai, cosa mi importava di me?? Se Xavier mi lasciava… io ero finita.

Mio cugino mi guardò, in parte sollevato… ma non completamente convinto. Il dubbio non era del tutto scomparso dai suoi occhi… e, in quel momento, capii, con una certezza dolorosa, che le cose tra noi non sarebbero mai potuto tornare come prima: lui sapeva. Non lo voleva ammettere, ma, inconsciamente sapeva che ero stata io… era tutto finito.

E infatti, nonostante dicesse di credermi… mi lasciò lo stesso. Stare con me era comunque sbagliato… e non avrebbe fatto altro che del male ad entrambi, facendoci avvolgere ancora di più nella ragnatela della nostra famiglia… se volevamo avere qualche speranza per il futuro, se volevamo cercare di vivere, di migliorare, di aprirci al mondo, stare insieme era la cosa peggiore che potevamo fare. Sapeva che ci sarei stata male, anche lui ci sarebbe stato male… ma lo faceva per il nostro bene.




Io lo odiai.

Finii di ascoltare tutto il suo bel discorsetto edificante, che doveva aver preparato attentamente da tanto tempo, in modo da non ferirmi, in modo da poter dire solo le cose corrette, in modo da poter essere nel giusto… e, senza dire niente, uscii dalla sua stanza. Una volta tornata in camera mia… non piansi, no. Io non piango mai. Semplicemente, iniziai a pensare a come potevo fare per ucciderlo. Era ovvio: lo stesso meccanismo interno che, a suo tempo, mi aveva dato il permesso di amarlo, adesso me lo faceva odiare… odiare con tutto il cuore. Se pensate che sia impossibile per una persona passare dall’amore all’odio in così poco tempo, così “facilmente”… vi invidio. E vi compatisco: non conoscerete mai il vero odio… ma non saprete neanche mai cos’è il vero amore.

Non uscii dalle mie stanze per due settimane. Ed intanto mi scervellavo, cercavo disperatamente un modo per ammazzarlo, e non un modo semplice: volevo che soffrisse, almeno quanto stava facendo soffrire me… e non era poco. Ma, pur continuando a pensarci ininterrottamente, sapevo anche che, stavolta, sarebbe stata un’impresa impossibile: la mia colpa sarebbe stata troppo evidente… neanche il mio status di futura capofamiglia avrebbe potuto proteggermi. Infatti, un giorno, dato che continuavo a rifiutarmi di uscire, fu Jennicor a venire da me. Per una volta, non disse niente del mio stato (indossavo ancora gli stessi abiti, non mi ero più lavata, non mi ero più pettinata e, in quel lasso di tempo, avevo dormito e mangiato poco e niente… sembravo un animale impazzito e, a tutti gli effetti, lo ero), non disse niente del fatto che io e Xavier ci fossimo lasciati, anche se ovviamente lo sapeva… no, era venuta a dirmi soltanto una cosa…

Qualsiasi cosa dovesse mai accadere a tuo cugino, d’ora in poi… anche se tu non c’entrassi niente… sarà una tua responsabilità. Di qualsiasi cosa si tratti, riterrò te direttamente responsabile. E prenderò i miei provvedimenti.

E con quello finirono i miei deliri assassini.

Dal giorno successivo, ripresi una parvenza di vita normale e ricominciai a mostrarmi in casa… quando però rividi Xavier e la mia prima reazione fu quella di saltargli agli occhi, graffiarlo e tentare di accecarlo, prima che riuscissero a fermarmi… capii che “forse” non ero ancora pronta.

Iniziai quindi il mio (ed il suo) piano per la sopravvivenza… perché era di quello, ormai, che si trattava. Non gli rivolsi più la parola. Non misi più piede nella sua zona della casa. Mandai qualcuno a prendere le mie cose nei suoi appartamenti, chiesi ed ottenni di cambiare scuola (dopo che mi fu negato il permesso di andare ad abitare per conto mio) e, in generale, cercai di evitarlo quanto possibile. C’erano dei fortunati periodi in cui riuscivo a non vederlo per più di due, tre volte al mese. L’unico modo per riuscire a respirare, per riuscire a restare in vita era quello di cancellarlo, di ignorare la sua stessa esistenza.

Eppure, ogni tanto, non potevo fare a meno di chiedermi come se la stesse passando lui: sapevo che mi aveva voluto bene… non quanto auspicavo io, ma mi voleva bene davvero… non doveva essere facile neanche per lui… per fortuna! Almeno un po’ avrebbe patito, anche se mai lontanamente quanto me!

E poi, un giorno, capii come potevo fare per farlo soffrire. Quando ci arrivai, scoppiai a ridere come una pazza. Era tutto lì, davanti ai miei occhi, ma mi ci volle un po’ per arrivarci… forse perché era troppo facile. Forse perché era proprio lì che mi voleva portare mia nonna… forse lei aveva già previsto esattamente come sarebbe andata… ed era proprio quello che voleva. Ma scoprii che, anche se era andata in quel modo, non mi importava. Non mi importava di essere stata manipolata… non stavolta.

Io sarei davvero diventata il capo della famiglia Tricou. La mia parola sarebbe stata legge, per chiunque. Avrei avuto il potere assoluto su tutti… su tutti quelli che avevano il nostro sangue. E, indovinate un po’ chi era che ce l’aveva, quel sangue…

Mio cugino non voleva essere il mio compagno, il mio amante? Bene… sarebbe stato comunque mio, ed in maniera molto meno piacevole. La libertà era ciò che agognava di più al mondo… la libertà sarebbe stato ciò che gli avrei negato: non sarebbe mai scappato. Non gliel’avrei mai permesso. Quel legame, che prima avevo disprezzato così tanto, sarebbe diventato la mia arma: un giogo, un filo di acciaio rosso che gli avrei serrato intorno al collo, come un guinzaglio… fino a soffocarlo, se necessario. Nonna Jennicor non sarebbe vissuta per sempre… io avevo il tempo, dalla mia parte. Non mi serviva altro.




----------------------------see you next week

moon lod, tricou

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