Would we be able to share each other's loneliness?

Sep 22, 2017 12:31


Saaaalve, non so quante di voi si ricordano di me ma ero un membro attivo della community attorno al 2008/2009? Qualcosa del genere. Ho lasciato il fandom per un po' in quanto il k-pop aveva preso possesso del mio cervello. Ultimamente sono tornata in fissa con il JE e mi sono accorta di avere un sacco di FF che non ho mai postato da nessuna parte *-*. Ho deciso di darci una sistemata in quanto scritte davvero coi piedi e di postarle in un posto familiare :P.
Su Dreamwidth non sono ancora abilitata e a dire il vero non ho ben capito come si possa cross-postare, ma dettagli irrilevanti.
Bentrovate a tutte <3!

Titolo: Would we be able to share each other's loneliness?
Genere: AU, Death-Fic
Fandom: Kis-My-Ft2
Raiting: PG-15
Pairing: HiroSuke (Kitayama x Fujigaya)
Desclaimer: I tizi non sono miei ecc ecc.
Note: La FF prende ispirazione da 1 Litre of Tears, potete immaginare come andrà a finire.


Odiava la confusione che c'era i primi giorni di scuola, tutti quei pivelli che strillavano per i corridoi fregandosene se a qualcuno potevano dare fastidio.
Buttò lo sguardo fuori dalla finestra notando le persone che stavano fuori, sembravano branchi di formiche da quanto erano piccoli e, se avesse potuto, avrebbe sputato in testa a tutti quanti solamente perché camminavano in maniera allegra. Lo snervavano,che c'era d'allegro nell'andare alle superiori?
Si era comportato come quelle formiche durante il suo primo anno di superiori?
Forse sì, anche se non aveva mai fatto tutto quel baccano perché non era decisamente da lui. Neanche gli piaceva quella scuola, l'aveva scelta solo per far felice suo padre e, se fosse stato per lui, avrebbe seguito i suoi - pochi - amici e non avrebbe vissuto quell'inferno di grida e di eccitazione.
Ripensandoci avrebbe dovuto ignorare la richiesta di quell'uomo, così come aveva fatto lui quando gli aveva chiesto di non lasciarlo solo; non si era fatto tanti problemi ad abbandonare la famiglia in fondo e lui non avrebbe nemmeno più dovuto considerarlo un padre.
Quando sentì qualcuno canticchiare per le scale, si voltò notando un ragazzo saltellare: quel tipo era il classico esempio di rompiscatole, di essere rumoroso e noioso. Non c'era niente da canticchiare, né da saltellare. Sì, quelli del primo anno erano decisamente una razza odiosa.
Tornò a guardare fuori dalla finestra cercando di reprimere i suoi istinti omicida, anche se quel coso lo stava davvero mandando su tutte le furie.

"Ah..!"

Udì solo un tonfo provenire da dietro di sé e si voltò notando il ragazzino sdraiato per le scale; come aveva fatto a cadere?
Anche se combattuto tra il volerlo lasciare a terra e l'aiutarlo, si avvicinò a quello dandogli una pacca sulle spalle per controllare che stesse bene.
Poteva sembrare un essere senza cuore, e forse un po' lo era, ma non era riuscito ad ignorare la sua caduta.

"Ohi, ti sei fatto male?"

"N-no."

Peccato che stesse piangendo, non gli sembrava proprio una reazione normale ad un “non mi sono fatto male”.
Non riuscendo a credere alle sue parole, quel tipo stava davvero piangendo, gli chiese di nuovo se fosse tutto a posto.

"Sicuro?"

"F-forse un pochino."

Sospirò cercando di alzare la testa al novellino, era meglio controllare che avesse così avrebbe deciso se portarlo in infermeria o meno. Non gli capitava tutti i giorni di vedere qualcuno cadere dal nulla e scoppiare a piangere a quel modo, forse quel tipo si era fatto seriamente male, forse era fin troppo sbadato e quelli non erano affari suoi ma non poteva fare finta di niente e andarsene - nonostante volesse solo starsene per conto proprio -. La sua mattinata era iniziata meravigliosamente.

"Ohi ragazzino, alza il viso."

"S-sto bene."

Stava talmente bene che si era messo a tremare.
Non era decisamente una reazione normale, cadere e piangere era quasi accettabile (seppur più comprensibile da un bambino di sei anni) ma tremare a quel modo era inusuale e strano.
Afferrandolo delicatamente per il mento, lo costrinse ad alzare il volto e sospirò notando la ferita che aveva al labbro.
Nella caduta aveva sbattuto i denti contro le labbra, una cosa normale che poteva succedere a chiunque canticchiasse e salisse le scale come un idiota.

"Hai un labbro aperto."

Il ragazzo rimase in silenzio spostando lo sguardo sul muro vicino.
Stava ancora piangendo, non credeva che un corpo umano potesse avere così tante lacrime da sprecare (lui non era un tipo che piagnucolava spesso, non lo considerava virile e si sarebbe ucciso piuttosto che farsi vedere a quel modo da un estraneo).
Posando lo sguardo su di lui, notò il suo volto e i suoi lineamenti fini e delicati. Aveva le labbra carnose, gli zigomi alti e gli occhi di color nocciola e grandi: era abbastanza carino, lo doveva ammettere.

"Mi...mi fai male."

"S-scusa!"

Non si era nemmeno reso conto di tenerlo ancora per il mento, si era distratto nell'osservarlo e la sua mano era rimasta al proprio posto.
Lasciò la presa arrossendo un pochino; che diavolo gli stava succedendo?
Non era la prima volta che trovava un altro ragazzo attraente, in fondo era gay e lo aveva sempre saputo - anche se non aveva mai avuto storie serie - , ma non si era mai imbarazzato così davanti ad un estraneo! Aveva una dignità insomma, non poteva mica arrossire ogni volta che vedeva una persona attraente.

"Andiamo in infermeria, moccioso."

"Fu-Fujigaya Taisuke."

"Uhm?"

"E' il mio nome."

Cercando di tirarlo su senza fargli male, sospirò per l'ennesima volta decidendo di lasciar perdere la sua acidità per qualche secondo; non gli avrebbe di certo fatto male tentare un approccio più gentile e delicato con quel tipo - Taisuke -.

"Kitayama Hiromitsu."

"Kitayama-sensei?"

"Uhm?"

"Nikaido-kun si è svegliato."

"Ok-"

Chiuse il cassetto della sua scrivania riponendoci con cura la foto che stava osservando.
Era un ricordo ancora doloroso, certo, ma guardare quel sorriso, ricordarsi come erano state le cose un tempo, lo faceva stare quasi bene.
Hiromitsu era sempre stato un tipo chiuso e burbero, non aveva molti ricordi della sua adolescenza e spesso si rendeva conto di essere stato il primo a non aver permesso agli altri di avvicinarsi a lui. Di quella sua mancanza di fiducia negli esseri umani, specialmente gli adulti, aveva sempre incolpato il padre e, crescendo, aveva fatto in modo che nessuno potesse più fargli del male o illuderlo di contare qualcosa.

Attraversando il corridoio arrivò all'altezza della camera di Nikaido e bussò alla porta di fronte a sé aspettando il permesso di entrare.
Nikaido era un ragazzino scorbutico e ribelle, si lamentava in continuazione di ogni cosa, anche la più piccola, e spesso metteva a dura prova la pazienza di Kitayama - non che ci volesse molto -.

"Ohi Nikaido-kun."

"Non mi piace Nikaido-kun."

"E' il tuo cognome, no?"

Il ragazzo ignorò la sua domanda voltandosi dall'altra parte.
Si avvicinò a lui cercando di mettersi nella sua visuale, tutte le volte facevano quella scenetta e Hiromitsu cercava di rimanere calmo e capire cosa potesse turbare così tanto quel ragazzino. Era davvero un ragazzo difficile, non parlava molto e si rifiutava anche di collaborare con lui, ma nonostante tutto voleva aiutarlo.
Era il suo dovere farlo stare meglio.

"Nikaido-kuuuun."

"Sei noioso."

Sorrise quando il ragazzo mise il broncio, era ancora un bambino ed ogni volta che si imbronciava lo dimostrava. Quella cosa lo divertiva, Hiromitsu poteva avere mille difetti ma quando vedeva Takashi comportarsi come un sedicenne il suo cuore si scaldava un poco.

"E' solo un taglietto al labbro, stai più attento la prossima volta."

"Ok!"

Quel tipo era davvero rumoroso, più degli altri pivelli che aveva visto in tutti gli anni delle superiori. Qualche secondo dopo alzò un sopracciglio incuriosito dalle parole dell'infermiera: non poteva credere alle proprie orecchie.

"Fujigaya-kun, non è che hai qualche problema d'equilibrio? In un mese sei caduto 3 volte."

"No, ovvio che no!"

Allora era solo un tipo maldestro, perché per cadere così spesso o non aveva equilibrio oppure era imbranato.
Però era carino, nonostante il suo essere fastidioso, aveva un bel sorriso, gli ispirava dolcezza...No, non doveva pensare a certe cose! Kitayama Hiromitsu non si faceva abbindolare dal primo ragazzetto carino che incontrava, non era così che funzionavano le cose.

"Ok, però sta' più attento. Kitayama-kun, lo affido a te."

"Ehh?"

Perché proprio a lui? Non era mica la sua balia, neanche gli piaceva quel bambino saltellante e lui non aveva tempo da perdere con uno del genere; il maturo e grande Kitayama non poteva badare a un ragazzino che si sfracellava per le scale solamente perché incapace di camminare come una persona sana di mente.

"Ma posso tornare a casa da solo! Non c'è bisogno che Kitayama-san..."

"Non chiamarmi Kitayama-san!"

"S-scusa?”

Forse era il caso di darsi una calmata, stava gridando come una ragazzina davanti all'idolo del momento e sembrava un isterico. Quello che intendeva dire con il suo rimprovero, da vero idiota, era di chiamarlo semplicemente con il suo nome o cognome lasciando perdere i convenevoli.
Come al solito non aveva saputo interagire con le persone, era una cosa che non gli riusciva per niente e per quello non aveva molti amici. Sua madre tentava in tutti i modi di farglielo capire, di dirgli di dover prestare più attenzione a come si poneva con gli altri ma lui non ce la faceva. Semplicemente non era nato per stare a contatto con le persone.

"Puoi chiamarmi Kitayama o Hiromitsu."

"Sul serio?"

Stava perdendo la pazienza, un altro dei suoi mille difetti.
Ce la stava davvero mettendo tutta per mantenere la calma e non scattare di nuovo, ma quel Taisuke era davvero irritante quando faceva domande senza senso! Gli aveva dato il permesso di chiamarlo col proprio nome, quindi perché continuare a insistere e chiedere se fosse sicuro? Certo che lo era, altrimenti non avrebbe detto niente.

"Uhm".

"Tu puoi chiamarmi Taipi!"

Le cose stavano sfuggendo di mano fin troppo velocemente, non lo avrebbe mai chiamato con un soprannome, non erano mica amici. Poi che razza di soprannome era “Taipi”? I suoi amici dovevano volergli male in realtà, non c'era altra spiegazione ad una cosa così idiota.

"Ah, coso..."

"Taipi!"

Aveva messo pure il broncio, ma quanti anni aveva, tre?
Non sapeva se piangere o buttarla sul ridere: quel ragazzino non si sarebbe attaccato a lui come una zecca. No, non lo avrebbe permesso, per anni aveva evitato il contatto stretto con le persone - per evitare di venire preso in giro - e di certo uno con quel soprannome non avrebbe vanificato i suoi sforzi.

"Ok, ok, Tai...pi?"

"Si!"

L'infermiera si intromise spezzando quel piccolo siparietto, per fortuna avrebbe aggiunto, consigliando a Taisuke di riposare di più e di stare più attento quando camminava per strada.
Hiromitsu guardò l'altro ragazzo non potendo fare a meno di chiedersi quanto fosse normale cadere così spesso. Non che fossero affari suoi, ma visto che aveva assistito a quella caduta per le scale e alla reazione successiva, si era incuriosito (e un po' preoccupato, ma non lo avrebbe ammesso nemmeno a se stesso).
Con tutte le volte che passava in infermeria, non si stupiva della confidenza che Fujigaya aveva con quella donna.
Uscirono pochi minuti dopo e vide Fujigaya continuare a sorridere come un ebete: che aveva poi da essere tanto felice?

"E' una bella giornata, vero Kitayama-kun?"

"Uhm."

Ignorando il cielo sopra di loro, si mise ad osservare quel ragazzino.
Nessuno che conosceva si era mai messo a contemplare il cielo come stava facendo quello, lui aveva sempre ignorato il sole e il cielo stesso, non si era mai fermato a pensare a quanto fosse bella la giornata o a quanto il calore dei raggi solari lo facevano sentire al caldo.
Taisuke invece era perso tra i suoi pensieri e con gli occhi non si lasciava sfuggire nemmeno la più piccola delle cose che spezzava quel manto celeste sopra di loro.

"Le condizioni di Takashi sono stabili."

"Ma può guarire?"

"N-no...non del tutto almeno."

Glielo avevano chiesto mille volte, ad ogni visita se ne uscivano con quella domanda e lui non sapeva più come rispondere senza sembrare uno stronzo gelido.
Per guarire, il povero Takashi, avrebbe avuto bisogno di un vero miracolo, sarebbe stato tutto più semplice se il ragazzo si fosse deciso a fare almeno una riabilitazione. Hiromitsu ci aveva provato un sacco di volte a fargli capire che quella era l'unica soluzione possibile per il momento, la riabilitazione lo avrebbe aiutato a non perdere la mobilità delle gambe e delle braccia, avrebbe rallentato l'avanzamento della malattia.

"Ma nostro figlio ha solo sedici anni!"

"Lo so, ma si rifiuta di collaborare e non so più cosa fare con lui.”

Ed era vero, da quando gli avevano detto di essere malato, Takashi si era buttato giù di morale chiudendosi ancora di più in se stesso. Non aveva mai preso in considerazione l'idea di doversi sacrificare per stare meglio, probabilmente, anzi no, sicuramente non accettava l'essere malato; come poteva dargli torto? Quella che lo aveva colpito era una malattia bastarda, una malattia rara, una malattia che non avrebbe mai dovuto colpire un ragazzo così giovane.
Kitayama sapeva benissimo gli effetti che poteva avere il non accettare una condizione, specie in un'età così particolare, ma sapeva anche di non poter costringere Takashi a fare qualcosa contro la sua volontà.

"E' un medico, no? Lo salvi!"

"I medici non salvano le vite umane?"

"Se Takashi non vuole aiutarmi, posso fare ben poco."

Lasciò il proprio studio ignorando i richiami dei due, se Takashi aveva deciso di non farsi curare, non poteva costringerlo a cambiare idea. Lui ci aveva provato, davvero tanto, ma quella situazione non era facile per nessuno di quelli coinvolti; capiva i genitori di Nikaido, capiva la loro voglia di vedere il figlio sano, ma Hiromitsu non riusciva a non mettersi nei panni del ragazzino. Chi meglio di lui poteva sapere cosa si provava in quella situazione? C'era passato anni prima anche se solo come spettatore silenzioso.

"Se morirò comunque, che senso ha farmi ricoverare? Rischio solo di perdere i miei ultimi attimi di vita, non voglio stare chiuso in una stanza di ospedale aspettando di morire.”

Scosse la testa entrando nella stanza di Takashi, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era ricordarsi del passato.
Non era mai un viaggio piacevole, anche quando riguardava le foto nei momenti più tristi della sua giornata, avrebbe davvero voluto un finale alternativo a tutto quello che gli era successo.

"I tuoi sono andati via...penso."

Non ne era sicuro in verità, li aveva lasciati nel suo studio ignorando i richiami e le minacce di farlo licenziare, come se il direttore della struttura avrebbe dato loro ascolto; Hiromitsu era il migliore che avevano là dentro, l'unico in grado di poter fare davvero la differenza nella vita dei pazienti (il che aveva del miracoloso considerando la sua poca propensione al contatto umano).

"Li hai lasciati soli?"

"Si..."

Adesso che ci pensava su doveva sembrare proprio un mostro agli occhi di Takashi. Aveva lasciato i suoi genitori nel bel mezzo di un incontro, di un esaurimento nervoso per lo stato di salute del figlio e lo aveva ammesso senza il minimo senso di colpa. C'era decisamente qualcosa che non andava in lui.
Il ragazzo sbuffò strusciandosi gli occhi in un secondo momento, stava piangendo?
Abbozzò un sorriso sapendo benissimo che sotto l'aria da cinico, c'era un ragazzino che non voleva morire. Takashi non era diverso da tutti gli altri pazienti che aveva avuto in cura, poteva sembrare duro e dire quanto non gli interessasse passare la vita facendo una cura che non avrebbe portato a nulla, ma sotto sotto sperava che ci fosse qualcosa da poter fare per stare meglio.

"Perché proprio a me?"

Mordendosi il labbro inferiore, Kitayama abbassò lo sguardo perdendosi un attimo nel proprio passato.
Cosa poteva rispondergli? Non lo sapeva nemmeno lui perché quella malattia lo aveva colpito, c'erano ancora tanti misteri attorno alla condizione di Nikaido e, per quanto Hiromitsu si sforzasse e studiasse, la scienza pareva rimanere sempre un passo indietro rispetto alla malattia.

"Perché proprio a me Kitayama?! Ho solo quindici anni!"

"Torno più tardi, Takashi.”

Se ne andò chiudendo la porta dietro di sé: gli faceva male occuparsi di Nikaido.
Sapeva benissimo che prima o poi si sarebbe pentito di aver preso in cura quel ragazzino, ogni volta che lo vedeva o parlava con lui, ogni volta che segnava i suoi progressi o meno, il passato tornava a tormentarlo facendogli perdere il controllo. Non riusciva a rimanere concentrato, non riusciva a mettere da parte quella voce e tutti i discorsi che avevano affrontato; rivivere la sua adolescenza lo turbava profondamente ed era come smettere di respirare.
Doveva staccare la spina per un po', prendere aria sul tetto della clinica lo avrebbe aiutato a stare meglio.

"Kitayama-kun!"

Taisuke era diventato la sua zecca dopo che lo aveva riaccompagnato a casa qualche giorno prima, aveva temuto potesse accadere perché il suo sesto senso non falliva mai.
Si voltò verso di lui sorridendogli, in fondo era tenero mentre lo seguiva da tutte le parti e faceva il tifo per lui durante gli allenamenti e le partite di calcio.
In quei giorni erano anche riusciti a parlare ed entrare in confidenza: Taisuke adorava fare shopping, giocava a basket e i suoi occhi si illuminavano quando vedeva qualcosa di estremamente carino, ovviamente nella sua testa.

"Neh Hiro, è la tua ragazza?"

"Ahah, spiritoso."

Aggrottando la fronte iniziò a giocherellare con il pallone che aveva tra le mani, pensando a Taisuke e a tutto quello che aveva notato di lui.
Fujigaya era sempre e comunque da solo, non lo aveva mai visto assieme a qualcuno che non fosse lui e non ne capiva il motivo; sembrava un ragazzo vitale e socievole, quindi perché non aveva amici?
Perché non era circondato da ragazzine sbavanti? Era un bel ragazzo, si sarebbe aspettato un'orda di persone ai suoi piedi e non di certo la solitudine - quella era una cosa che uno come lui poteva sperimentare, non uno come Taisuke -.
Si voltò di nuovo verso Fujigaya notandolo seduto sugli spalti, continuava a guardarlo e a sorridergli, lo salutava timidamente con la mano ogni volta che i loro sguardi si incontravano e, non potendone fare a meno, Hiromitsu arrossì cercando di fare finta di nulla.
Doveva smettere di fare quelle figure, andava bene arrossire quando si trovava da solo in camera sua a pensare all'altro ragazzo, ma farlo davanti ai compagni di squadra no!

Una volta finito l'allenamento e fatta la doccia, uscì dagli spogliatoi e trovò Taisuke ad aspettarlo. Gli sorrise avvicinandosi velocemente, non si era mai sentito a quel modo e non riusciva a capire perché la vicinanza del più piccolo lo rendesse così emozionato. Kitayama Hiromitsu non possedeva determinati sentimenti, per lui esistevano solo il rancore e la rabbia.

"S-sei stato bravo!"

"Grazie."

Ignorò gli sguardi della gente continuando a parlare con Fujigaya, tutto sommato gli stava simpatico,nonostante il suo essersi attaccato dopo nemmeno una settimana, quindi perché non doveva parlarci?
In più il suo entusiasmo era contagioso, potevano parlare davvero di tutto ed era una cosa nuova per lui; forse quel moccioso non gli stava facendo male, forse la sua presenza lo stava aiutando ad essere una persona diversa.
Anche i suoi compagni di squadra lo avevano notato, quel giorno gli avevano detto che sembrava meno arrabbiato col mondo, che sembrava una persona più socievole e “normale”.

"Neh Taipi?"

"Uhm?"

"Perché non hai amici?"

"Ho te, no?"

Quella sua domanda non lo aveva minimamente turbato, per essere uno che piangeva per ogni cosa, che metteva il broncio per stupidate, la mancanza di tatto di Hiromitsu non lo aveva minimamente scalfito.
Annuendo decise di assecondarlo, non erano amici, lo conosceva appena, ma era così adorabile e felice dopo la sua risposta che l'acidità aveva deciso di fare un giro. In più trovava davvero strana quella reazione alle sue parole, ma fin da subito Fujigaya non si era mostrato come un ragazzo comune.
Chissà se si accorgeva di quello che la gente diceva alle sue spalle, aveva sentito di qualcuno che gli dava del pazzo e di altri che spettegolavano sulla sua famiglia, forse Taisuke era troppo ingenuo per accorgersi di qualcosa oppure, semplicemente, faceva finta di niente.

"Stai bene, Hiromii?"

Quel soprannome gli giungeva nuovo, nessuno lo aveva mai chiamato a quel modo, in verità nessuno gli aveva mai dato un soprannome a parte sua madre (ma quelli erano imbarazzanti il più delle volte).
Gli sorrise di nuovo scompigliandogli i capelli, cosa che sapeva dare sui nervi a Taisuke, e lo vide gonfiare le guance come un bambino; non si rendeva nemmeno conto di quanto fosse carino a quel modo…

"Sto bene, Tai-chan."

Il ragazzo sorrise come soddisfatto per il fatto che lo avesse chiamato Tai-chan, era proprio come un bambino delle volte, non solo metteva il broncio e si impuntava su tutto, ma cambiava umore in due secondi lasciando interdetto Hiromitsu. Non aveva mai visto nessuno come Fujigaya.

"Che tenera coppietta che siete!"

"Fottiti idiota."

Guardando in cagnesco uno dei propri compagni di squadra, fece per avvicinarsi a lui quando sentì una mano di Taisuke stringersi al suo braccio. Si voltò immediatamente verso di lui e lo afferrò prima che potesse cadere per terra; non era la prima volta che accadeva e stava iniziando a preoccuparsi per la salute dell'amico. Ricordava ancora le parole dell'infermiera e quelle cadute sporadiche sembravano non essere rare, anzi.

"G-grazie."

"Sta' attento."

Provò a camminare ma la presa dell'altro non lo fece avanzare più di tanto; era una sua impressione o non si era mosso di un centimetro?
Stava cercando di non farlo avvicinare al suo compagno di squadra, probabilmente non voleva che si cacciasse nei guai come sempre e tentava di trattenerlo.

"Fujigaya?"

"Ah, scusa!"

Alzò un sopracciglio cercando di capire cos'era appena successo. Taisuke non si era spostato quando aveva tentato di trascinarlo, il che era strano visto quanto poco pesava e quanto fisicamente Hiromitsu fosse messo meglio di lui.
L' osservò mentre cercava di raggiungerlo, pareva in difficoltà a camminare e quasi inciampava di nuovo. Aveva qualcosa che non andava, ne era più che sicuro.

“Fujigaya?”

"Si?"

"No, niente.”

Non aveva nessun diritto di intromettersi e fargli un'altra domanda fuori luogo, aveva già tentato la fortuna chiedendogli come mai fosse solo e senza amici, non poteva permettersi di offenderlo chiedendogli se fosse malato o meno. In fondo non erano neanche affari suoi, non si considerava di certo il migliore amico di Taisuke.
Sospirò cercando di cacciare via il senso di inutilità che provava in quel momento, non poteva davvero fare niente per lui e non poteva costringerlo a parlare se non voleva; per quanto espansivo e aperto, Fujigaya aveva tutto il diritto di tenere certe cose per sé.

"Hiro-chan?"

Da Hiromii era passato a Hiro-chan, prima o poi non lo avrebbe più chiamato con il suo nome, se lo sentiva. Poteva sopportare tutto, ma Hiro-chan no, lo detestava dal profondo. Ignorò la voglia improvvisa che aveva di ucciderlo e notò il suo volto: Fujigaya era davvero carino (aveva perso il conto di quante volte lo aveva pensato), aveva un viso dolce, molto più di quello delle ragazze con cui era stato giusto per convincersi di non essere gay.
Gli piaceva quando sorrideva, era come se il suo volto cambiasse, come se assumesse una luce diversa. E poi aveva quel brutto vizio di osservare ogni cosa, di carpire ogni minima preoccupazione che passava per la testa delle persone, in quella di Kitayama in particolare. Di rimando, lui, si ritrovava a fare lo stesso e a preoccuparsi.

"Pensi troppo."

"Cosa?"

"Il sole sta tramontando!"

E dopo quello si ritrovò a correre trascinato da Taisuke verso un posto ignoto. I problemi che aveva avuto fino a qualche attimo prima parevano spariti, aveva notato anche quello in quei giorni, e non poteva fare a meno di chiedersi se fosse tutto normale.

"Kitayama-saaaan!"

Dopo aver fumato una sigaretta ed essersi perso ad osservare il tramonto come un quindicenne sul tetto di una scuola, era rientrato nell'edificio decidendo di fermarsi a comprare qualcosa da mangiare. Non trovava mai il tempo di farsi un bel pasto caldo o di tornare a casa, c'era sempre qualcosa da fare e visto che non lo aspettava nessuno a casa, perché prendersi la briga di tornare in un posto vuoto?
Davanti a lui si parò un ragazzo della stessa età di Nikaido, lo vedeva spesso perché passava molto tempo assieme all'amico e, inevitabilmente, Hiromitsu non poteva fare a meno di rivedersi nel giovane Senga.

"Senga-kun, sei venuto a trovare Nikaido?"

"Si! Sta dormendo però. "

Capitava spesso che Senga arrivasse quando Nikaido dormiva e, come ogni volta, si fermava a parlare con lui. Non che la cosa lo infastidisse, a volte anche lui aveva bisogno di qualcuno con quella vitalità, qualcuno che poteva tirarlo su di morale con un semplice sorriso o con una battuta stupida.
Senga era un ragazzo vitale, allegro e tentava in tutti i modi di far stare bene il suo migliore amico. Takashi lo apprezzava, glielo aveva confidato, ma spesso e volentieri tendeva a trattare male l'altro ragazzo per evitare che soffrisse assieme a lui.

"Nika-chan...morirà, vero?"

"S-Senga-kun..."

"Non puoi curarlo?"

Gli chiedevano tutti la stessa cosa, era giustificata come domanda essendo lui un medico ma la situazione con Nikaido era delicata.
Come diceva sempre, se Takashi avesse collaborato, se Takashi gli avesse dato ascolto, allora qualcosa da fare ci sarebbe stata.
Facendo cenno all'altro ragazzo di seguirlo in mensa, si misero seduti e Senga tirò fuori un pezzo di carta guardando infuriato il medico.

"Quello scemo, mi ha lasciato una lettera."

Si ritrovò in mano quello stesso pezzo di carta e alzò un sopracciglio sospettoso, quella era sicuramente la calligrafia di Nikaido ma quello che non capiva era cosa ci avrebbe dovuto fare.
Senga lo stava guardando furente, pareva quasi incolparlo di tutto quello che stava succedendo all'amico e non ne capiva il motivo.

"La devo leggere?"

Si azzardò a chiedere una cosa ovvia, almeno per una persona sana di mente, e notò il ragazzino annuire con veemenza. Senga era davvero assurdo quando ci si metteva.

"Si!"

"Probabilmente quando leggerai questa lettera sarò già morto...sto scherzando Sen-chan.
Visto che sei il mio migliore amico, ho deciso che ti lascerò tutte le mie cose, occupati sopratutto del mio pc e ricorda che si chiama Papaki!"

Se Kento non fosse stato così arrabbiato e preoccupato, Kitayama si sarebbe messo a ridere per la stupidità di quel nome.
Trovava quasi carino il fatto che Takashi volesse lasciare ogni sua cosa, anche quella più cara e compromettente, al migliore amico ma poteva capire benissimo perché Kento stesse reagendo a quel modo.

"Ti sembra normale? Io non lo voglio il suo pc, voglio che rimanga vivo."

“Lo voglio anche io, ma Takashi è testardo e non mi sta dando ascolto. Né a me, né ai suoi genitori…”

“Ci parlerò io allora, non può lasciarmi quello stupido Papaki.”

Entrò nel suo studio non molto dopo aver lasciato Senga e si mise seduto alla scrivania appoggiando le braccia sul mobile di legno. Si sentiva così stanco adesso.
Poteva abbandonare tutto e andarsene in vacanza?
Con gli anni credeva di essere diventato più forte ma evidentemente si sbagliava. Aveva avuto un sacco di pazienti ed era sempre riuscito a non farsi coinvolgere emotivamente e forse quello non lo rendeva un buon medico sotto il lato umano, ma sicuramente lo aveva aiutato sotto il lato professionale. Con Nikaido stava diventato tutto così diverso, la sua situazione stava prendendo troppa strada dentro di lui e rischiava seriamente di non riuscire più a vedere la sua malattia in maniera razionale. Si stava affezionando e non andava bene, Takashi stava riaprendo una vecchia ferita e più andavano avanti, più lui si sentiva perso e inutile.
Non era riuscito ad accantonare tutto e più ci pensava, più stava male. Era addirittura arrivato a scambiare Nikaido per Taisuke un paio di volte, soprattutto quando la stanchezza prendeva il sopravvento.

"Buona fortuna Hiro!"

"G-grazie."

Sorrise imbarazzato sistemandosi meglio che poteva la maglia della squadra. Quella partita era importante e il fatto che Taisuke fosse andato a fare il tifo per lui, nonostante non ci capisse molto di calcio, lo faceva sentire strano. Era quella sensazione che ormai lo accompagnava da mesi, quella stessa sensazione che tentava in tutti i modi di infilare nel cassetto dell'amicizia ma che, con il passare del tempo, stava fuoriuscendo per diventare qualcos'altro.
Erano passati un paio di mesi da quando si erano conosciuti e aveva imparato ad apprezzare ogni lato di Taisuke, da quello bambinesco a quello serio che usciva di rado. I suoi sentimenti erano contrastanti il più delle volte, non aveva idea di quello che stava provando e la cosa lo spaventava: odiava non avere il controllo delle proprie emozioni.

"Impegnati eh!"

"Uhm."

Era ancora l'unico a scuola che gli parlava, più di una volta aveva evitato che Taisuke cadesse per le scale e si facesse davvero del male; succedeva praticamente sempre in quel periodo e la preoccupazione lo aveva spinto a fare delle ricerche su internet per capire come mai l'amico stesse così.
Fujigaya faceva finta di nulla, gli diceva di non preoccuparsi e che pensava troppo, probabilmente era un problema delle scarpe e, in fondo, il suo equilibrio non era stato mai ottimo. Così gli diceva.

"Ci vediamo dopo Tai-chan."

"Si!"

Dandogli una pacca sulla spalla, Taisuke si allontanò voltandosi nuovamente per salutarlo. La sua camminata sembrava normale oggi, forse stava davvero bene ed era Hiromitsu quello che si faceva paranoie per niente.

"Waaah!"

Poteva sentire le grida della gente dopo che aveva segnato il goal della vittoria.
Si girò verso il punto in cui sapeva che stava seduto Taisuke e lo vide salutarlo con la mano, come faceva sempre. L'amico era contento del suo gesto atletico, sapeva che per lui quella partita contava particolarmente e sapeva quanto ci teneva a fare goal. Hiromitsu, da parte sua, era soddisfatto di vedere quel sorriso sul volto dell'altro ragazzo, non gli importava nemmeno dei complimenti che riceveva dagli altri.
In un attimo la sua felicità si trasformò in preoccupazione, però: gli occhi di Taisuke si chiusero improvvisamente e il suo corpo cadde a terra come un sacco di patate.

"Taisuke!"

Sapeva che lasciare il campo nel bel mezzo di una partita non era cosa gradita ma aveva visto cadere un suo amico, era anche normale voler vedere come stava. Avrebbe pagato le conseguenze del suo gesto un altro giorno, in quel momento importava solo vedere come stesse Taisuke.
Corse verso gli spalti preoccupato come non mai, aveva il cuore che gli scoppiava nel petto, come se volesse andarsene dalla propria gabbia, e le gambe gli tremavano. Quegli scalini di metallo parevano lontani e più si sforzava di raggiungerli, più sembravano allontanarsi.

"Taipi, Taipi..."

Non era normale che svenisse a quel modo, non era normale che cadesse ogni giorno almeno 3 o 4 volte. Non c'era nessun pessimo equilibrio, nessuno “Sto bene, sul serio” perché no, non stava bene!
Cercò di svegliarlo dandogli dei piccoli schiaffi sulla guancia prima di notare una pozza di sangue vicino alla sua testa. Gridò a qualcuno di chiamare un'ambulanza mentre si portava Taisuke al petto tentando di capire dove avesse la ferita. Strappandosi un pezzo della maglia, l'allenatore lo avrebbe ucciso, fasciò la testa dell'amico iniziando a mordicchiarsi il labbro con fare nervoso: doveva stare bene, non poteva lasciarlo da solo.

"Kitayama-sensei! Nikaido-kun sta di nuovo facendo le acrobazie con la sedia."

Sospirò andando direttamente in giardino, tanto quel moccioso si trovava là.
Gli aveva detto un sacco di volte di non fare il cretino con la sedia a rotelle, tra l'altro prendeva pure i soldi dai parenti degli altri pazienti, perché poteva essere pericoloso ma no, Nikaido Takashi doveva per forza andare contro ogni cosa che gli diceva.

"Takashi!"

"Ohi Hiromitsu."

Vide la sedia tornare su tutte e 4 le ruote e si avvicinò a Nikaido, rimproverarlo non sarebbe servito a nulla. L'adolescenza era quel periodo in cui anche il più bravo e calmo dei ragazzi perdeva la testa e decideva di ribellarsi a ogni autorità, lo aveva fatto anche Hiromitsu da giovane, ma arrivare a mettere in pericolo la propria incolumità per racimolare qualche spicciolo era qualcosa che non avrebbe mai pensato nessuno. Nessuno tranne Takashi ovviamente.

"Mi hanno pagato bene oggi!"

"Dovresti piantarla, è pericoloso."

"Dovrei marcire su quel letto? Avevo una vita prima, adesso passo le mie giornate a scrivere cercando di ricordarmi quegli stupidi kanji"

Il fatto che ne sbagliasse 2 ogni 3 era un dettaglio che poteva anche trascurare, in fondo non era il suo professore ed era già molto il fatto che tentasse di scrivere e di ricordare come farlo.
La sua malattia lo avrebbe portato a uno stadio vegetativo e fare esercizio manuale lo aiutava, per quanto poteva valere.

"A che ti servono quei soldi?"

"Voglio fare un regalo a Senga, vorrebbe una chitarra nuova ma i suoi genitori non gliela prendono."

Sorrise pensando a quanto fosse tenero col suo amico. Con Senga usciva il lato tenero e gentile di Takashi, lo aveva capito subito che quella che indossava era una maschera e che il suo vero Io usciva solamente in presenza del migliore amico. C'erano un sacco di cose in comune che aveva con quel ragazzino, gli ricordava fin troppo com'era stato lui alla sua età e avrebbe sperato per Nikaido una fine migliore, un cambiamento repentino che lui purtroppo aveva fatto troppo tardi.

"Hiro?"

"Uhm?"

"Che senso ha continuare a vivere in questo modo? Non sarebbe più facile buttarmi di sotto dal tetto e farla finita?"

"Se mi lasciassi annegare, sarebbe molto più facile."

Deglutendo per quell'affermazione, si abbassò alla sua altezza afferrandogli una mano. Voleva davvero aiutare Takashi, voleva vederlo stare meglio e crescere sano e forte: voleva che quel ragazzo avesse la vita che Taisuke non aveva mai avuto.
Taisuke che aveva smesso di lottare fin troppo presto.
Taisuke che lo aveva lasciato dicendogli che era meglio così, che arrendersi era l'unica via d'uscita.
Nikaido non doveva fare la stessa scelta, lui doveva lottare perché una soluzione c'era e andava semplicemente provata.

"Potresti anche guarire o stare meglio."

"Ho un motivo per farlo?"

"Non ti basto io?! Provaci almeno!"

Quante volte glielo aveva ripetuto.
Quante volte, con le lacrime, gli aveva chiesto se la sua presenza non fosse abbastanza.
Ripensandoci era stata una richiesta egoista e senza senso, Taisuke aveva avuto una famiglia amorevole alle spalle, qualcuno che si era sempre preso cura di lui, se c'era qualcuno per cui non avrebbe smesso di lottare erano proprio loro.

"I tuoi genitori, Senga...Non sono validi motivi?"

"Vado in camera."

"Takashi…"

C'era uno spiraglio di speranza per Takashi, Hiromitsu era convinto che prima o poi ci sarebbe riuscito a fargli accettare l'idea di continuare a lottare.
Gli avrebbe concesso la vita che meritava, gli avrebbe permesso di diventare adulto e di cambiare in meglio, di vivere le stesse esperienze dei suoi coetanei; sarebbe riuscito a convincere Nikaido a iniziare una terapia e la riabilitazione.
Strinse i pugni prima di incamminarsi verso il proprio studio, avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per aiutare quel ragazzino, era stufo di fare lo spettatore.

"Ti sei svegliato..."

"Hi-Hiro..."

"Mi hai fatto preoccupare, sai?"

"Mi...mi dispiace."

Scosse la testa avvicinandosi al letto di Fujigaya, sembrava così strano e diverso dal solito… Era pallido, cosa normale dopo aver perso i sensi, ma non era quello che lo rendeva diverso, no, c'era qualcosa che lo turbava e Hiromitsu riusciva a percepirlo dalla sua espressione e dal modo in cui il suo corpo agiva.
Non era mai stato un tipo bravo a decifrare il linguaggio del corpo delle persone, a malapena ci riusciva con quello verbale, ma Taisuke era un tipo fin troppo fisico e per uno come lui era stato un giochetto capire i suoi stati d'animo solamente guardandolo.

"Stai bene?"

"Uhm."

Quella non era sicuramente una risposta, mugolare non voleva dire niente! Non lo tranquillizzava, né lo faceva sentire meglio, per una volta pretendeva che l'amico fosse sincero con lui e smettesse di nascondersi dietro frasi fatte o versi strani.
Incrociando le braccia al petto, iniziò a fissarlo con fare minaccioso - per quanto potesse esserlo in preda alla preoccupazione - battendo le dita sui propri bicipiti. Voleva una risposta sensata e glielo stava facendo capire.

"E' un sì o un no?"

"Sono malato Hiro."

"Oh? Beh, ti cureranno, no? Sarà solo febbre…"

Per un po' di febbre non c'era bisogno di fare quella faccia, non era una cosa così grave… Perché aveva solamente la febbre, giusto?
Non ci credeva nemmeno lui, l'espressione di Taisuke non lasciava spazio alla speranza di una stupida influenza, era fin troppo ovvio che tutte quelle cadute e quei problemi a camminare e stare in piedi erano legati tra di loro e a quello svenimento poco prima.

"N-no...è atassia spino-cerebellare."

"La cosa?"

Dal nome sembrava qualcosa di complesso, qualcosa di irreale. Non aveva mai sentito di una malattia simile, non aveva mai sentito nemmeno quel nome ma lui di medicina non se ne intendeva e magari di spaventoso aveva solo il nome.
Mordicchiandosi il labbro fissò l'amico cercando di capire: perché non glielo aveva detto prima?
Perché non gli aveva detto la verità ogni volta che Hiromitsu gli aveva chiesto se stava bene?

"E' incurabile..."

"E' qualcosa di grave?"

Era una domanda stupida e lo sapeva, ma era talmente confuso e spaventato che non sarebbe mai riuscito a fare un discorso con senso compiuto.
“Incurabile”, la malattia del suo amico era incurabile e lui non sapeva cosa fare.
Si sentiva un completo idiota, era un inutile ammasso di capelli e preoccupazioni, un inetto che non sarebbe mai riuscito a far stare bene un amico.

"Non sarò più in grado di camminare né di parlare correttamente...Prima o poi sarò costretto a stare in un letto non riuscendo più a fare nulla."

Lo vide mordersi il labbro inferiore cercando di trattenere le lacrime.
Quella era la prima volta che Fujigaya si rifiutava di piangere, non si tratteneva mai davanti a lui e quello turbò Kitayama più del dovuto; vedere l'altro ragazzo tentare di rimanere forte, fare finta che quella malattia non lo stesse distruggendo gli faceva male, gli faceva capire quanto, in realtà, Taisuke fosse fragile.
Aveva sempre avuto un'idea diversa di lui, lo aveva sempre considerato una persona troppo allegra e solare, troppo propenso a piangere per qualsiasi cosa e adesso - che avrebbe dovuto piangere - faceva finta di nulla.

"Potrei morire anche bevendo, sai? E non sarò in grado neanche di mangiare..."

"Ta-Taisuke.."

Taisuke cercava di non piangere, ma il volto di Hiromitsu era rigato dalle lacrime. Non aveva saputo trattenersi, ci aveva provato per evitare di fare la figura dell'egoista e di far stare male l'amico, ma non appena lo aveva sentito dire che sarebbe potuto morire anche bevendo, non ce l'aveva più fatta.
Non era mai stato male per qualcuno.
Non si era mai interessato degli altri.
In tutti i suoi anni di vita non era mai esistito nessun altro all'infuori di lui.
Non era giusto, Taisuke non si meritava una cosa del genere, non si meritava di morire così giovane e… E non poteva già lasciarlo.

"Perché proprio a me Kitayama?! Ho solo quindici anni!"

E non sapendo che fare, lo baciò premendo semplicemente le labbra su quelle di Taisuke.
Non aveva mai baciato un ragazzo, ma Fujigaya gli piaceva e si era rifiutato di ammetterlo fino a quel momento; era così dolce con lui che non poteva fare a meno di sentire qualcosa di strano muoversi nel suo stomaco ogni volta che lo vedeva. Lo rendeva meno cattivo, meno stronzo, gli aveva fatto capire che anche lui aveva dei sentimenti.
Quando fece per allontanarsi dall'altro, sentì ancora le labbra di Taisuke contro le proprie,con la mano lo stava trattenendo alla base della nuca e Hiromitsu deglutì decidendo di spegnere il cervello e lasciarsi andare (cosa rara per uno razionale come lui).
Strusciò la lingua sul labbro inferiore dell'altro cercando di fargli aprire la bocca, portò le mani al petto di Taisuke stando ben attento a non fargli male e, quando le loro lingue si scontrarono, la presa sulla sua testa si affievolì lasciando posto a piccole carezze.
Quello doveva essere il primo bacio di Fujigaya, si capiva da come cercava di mantenere il ritmo del più grande e da come il suo corpo era in tensione; sorridendo tra sé e sé, Hiromitsu continuò a baciarlo rallentando i propri movimenti.

“Mi piaci, Taipi.”

"K-Kitayama-sensei, Nikaido-kun...non riusciamo a calmarlo!"

Si alzò immediatamente dalla sedia facendola cadere per terra, pensando immediatamente al peggio. Non potevano sapere con precisione quando Takashi sarebbe peggiorato, o quando avrebbe perso la capacità di compiere azioni normali; Hiromitsu viveva quei giorni con un'ansia profonda, non passava un momento che non si chiedesse quando quella maledetta malattia avrebbe portato il ragazzino a perdere le funzioni primarie.
Aveva visto con i suoi occhi quanto quella malattia poteva danneggiare il malato in poco tempo ed aveva paura di non poter fare niente per Nikaido.
Una volta arrivato in camera sua lo notò seduto sul letto, il corpo scosso da mille tremori e il volto rigato dalle lacrime.
Fortunatamente stava bene.

"Takashi?"

"Vattene!"

Aveva la voce rotta dal pianto, le mani stavano battendo contro le cosce e Kitayama capì: voleva camminare.
Si avvicinò al ragazzo ignorando che gli stesse gridando di andarsene, non poteva di certo lasciarlo solo in un momento del genere. Takashi non aveva nessuno con cui parlare, non aveva nessuno con cui confidarsi - neanche Senga -, e lui era l'unico che riusciva a capire cosa provava (e forse era fin troppo sicuro di poter comprendere le crisi del ragazzo).

"Takashi, calmati."

"Voglio camminare Hiro! Fammi funzionare di nuovo le gambe!"

"Non ne posso più di stare su questo letto!"

Se avesse potuto, lo avrebbe fatto più che volentieri.
Hiromitsu aveva passato la sua vita cercando una cura per quella malattia, aveva passato tutta la sua carriera ad informarsi, a migliorare le terapie tradizionali, ma ancora non era riuscito a fare niente.
Delle volte sentiva di aver perso solamente tempo, sentiva di aver gettato la sua vita combattendo una causa persa. Quanto era stato stupido e ingenuo a credere di poter fare la differenza, lui che non era mai stato niente per nessuno.

"Perché non provi con la riabilitazione? Potrebbe rallentare la progressione della malattia."

"Per quanti anni?! Sarebbe inutile, ormai sono destinato ad essere un vegetale, no?! Ieri mio padre neanche mi capiva mentre parlavo!"

Era già a quel punto, purtroppo.
Passandosi una mano tra i capelli, sospirò sedendosi accanto al ragazzino. Non si era mai avvicinato più di tanto a lui, non voleva passare per l'adulto appiccicoso e per il medico troppo amichevole, ma a volte avrebbe davvero voluto abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, che la riabilitazione lo avrebbe fatto stare un po' meglio.

"Non voglio vivere così, non voglio dover usare uno stupido aggeggio per parlare con Senga."

"Questo non è vivere Hiro, sto solo aspettando il giorno in cui non sarò più in grado di respirare."

"E allora collabora Takashi, non lasciarti andare a questo modo.”

"Perché non ti fai aiutare Taipi?"

"Avrebbe senso? Devo comunque morire, tanto vale stare a casa e non essere un peso per i miei."

Quante volte aveva tentato di far ragionare Taisuke, fin troppe. Diceva sempre di non voler essere un peso per i suoi genitori, di non volere che spendessero i loro risparmi in una terapia inutile. Pensava ai suoi fratelli minori, a quello che avrebbero passato a causa sua e al suo egoismo, senza soldi come avrebbero fatto? Non erano una famiglia ricca e quel poco che i genitori avevano messo da parte doveva essere usato per Yuusuke e Ryosuke, “Almeno loro due sono sani” era la sua frase preferita in quel periodo.

"Nika-chaaan!"

"Se-Senga!"

Vide Takashi cercare di asciugarsi le lacrime velocemente mentre Senga entrava nella stanza con un enorme mazzo di fiori.
Kitayama si alzò dal letto ridacchiando per l'evidente imbarazzo di Takashi: sospettava che tra quei due ragazzini non ci fosse una semplice amicizia.
Stava diventando vecchio, si ritrovava a fare riflessioni sulla vita sentimentale di due sedicenni piuttosto che pensare all'inesistenza della propria.
Scompigliando i capelli di Takashi, si allontanò da lui aiutando Senga ad entrare nella stanza con il suo enorme mazzo di fiori, doveva essere un'occasione speciale quella.

"Tanti auguri Nikko!"

"G-grazie."

Era il suo compleanno! Ecco perché Kento si era presentato così presto e con quei fiori, lui neanche sapeva la data di nascita di Takashi; doveva sul serio smetterla di rimanere distaccato dai suoi pazienti, finiva sempre per scoprire cose su di loro troppo tardi e poi se ne pentiva, proprio come stava accadendo con Nikaido.

"E' il tuo compleanno?"

"Si! Compie diciassette anni!"

Trovava adorabile Senga, era l'unico che aveva visto gironzolare attorno a Nikaido e gli ricordava vagamente se stesso da giovane. Certo, lui caratterialmente era più simile a Takashi che a Kento, ma la dinamica della loro amicizia era uguale a quella che lui aveva avuto con Taisuke.
Anche Kitayama aveva passato giornate intere in ospedale.
Anche lui aveva tentato a tutti i costi di far stare meglio la persona a cui teneva di più al mondo.

"So-sono st-stato con-con-te-nto di av-averti cono-sci-uto Hiro"

Cosa poteva organizzare di speciale per Takashi? Almeno nel giorno del suo compleanno doveva fare qualcosa di diverso dallo stare chiuso in camera o nella hall assieme agli altri malati.
Una giornata fuori o comunque all'aperto non gli avrebbe fatto male, tutt'altro; sperava che a quel modo, passando una giornata diversa, Takashi potesse finalmente decidere di lasciarsi aiutare.

"Perché non lo porti a fare un giro, Senga-kun?"

"Posso?"

"Si, è una così bella giornata in fondo, e non vedo perché far rimanere Nikko chiuso in camera il giorno del suo compleanno."

"Andiamo Nikko!"

oneshot, r:pg-15, p: hirosuke, gnr: yaoi, gnr: death fic, g: kis-my-ft2, angst

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