Salve a tutte!
Piacere di conoscervi, mi chiamo Monica e sono appena approdata qui su Pasticceria Italiana! xD
Sono una fan degli Arashi dei KAT-TUN e dei Kanjani8.
E tra l'altro sono la collaboratrice/socia di
vampiretta87, da ottobre, se non ricordo male!
Nonchè donna masochista! xD
Ma passiamo alla fiction che voglio farvi conoscere.
La scrissi l'anno scorso per un contest di Natale! Perdonatemi quindi se ve la sto propinando ora, in primavera appena iniziata!
Anche se... con questo tempo direi che di primavera c'è ben poco! xD
Comunque, spero che vi piaccia! L'ho scritta senza pretese... mi è venuta su di getto! Ci impiegai pochissimo a scriverla!
Era da parecchio che ne volevo scrivere una sugli Arashi! Sinceramente il risultato non mi dispiace affatto! :)
Bene... vi lascio alla one-shot!
Buona lettura! ♥
Titolo: Merii Kurisumasu!
Gruppo: Arashi
Pairing: No pair
Genere: Comico, sentimentale
Raiting: G
Disclaimer: Gli Arashi non mi appartengono, purtroppo. Invece Giulia e tutti gli altri sono stati inventati da me, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, è solo opera della mia fervida immaginazione.
Note: Una fiction leggera (ma lunga :P) che credo vi allieterà la giornata! ;)
Sarebbe una one-shot divisa in 3 parti, ma dato che tutta non mi ci entra, posterò una parte per volta!
“MERĪ KURISUMASU!”
20 NOVEMBRE
Ogni città, piccola o grande che sia, si trasforma durante le feste di Natale. Acquisisce quell'aria magica tipica di quel periodo.
Tokyo non era da meno. Da pochi giorni si erano iniziati a vedere i primi segni dell'imminente arrivo della festività: gli alberi spogli lungo i viali erano stati completamente rivestiti di luci colorate e i negozi addobbati a tema; facendo così diventare la capitale ancora più luminosa di quanto non fosse già. Era uno scenario fantastico, sopratutto per chi vi assisteva per la prima volta.
E questo era il caso di Giulia. Ormai erano nove mesi che si trovava lì a Tokyo, ma ad uno spettacolo del genere non era preparata. Anche perché era abituata alle luminarie della sua città: un piccolo comune italiano; quello per lei era tutto un altro mondo. Ultimamente, quando usciva per delle commissioni, rimaneva spesso impalata sul marciapiede a guardarsi intorno meravigliata. E ciò le causava sempre una strigliata da parte del suo capo, dato che ci metteva una vita a rientrare a lavoro.
Quel giorno non era da meno. Si era trattenuta fuori più dei dieci minuti che le erano stati dati per andare a comprare alcune cose al Konbini. E se non fosse stato per Kazuki, il suo capo, che le aveva telefonato due minuti prima sbraitandole nell'orecchio - rischiando per di più di romperle un timpano - che se entro tre minuti non si fosse ripresentata al bar le avrebbe ridotto drasticamente lo stipendio, starebbe ancora piazzata davanti la vetrina di addobbi natalizi immersa nel vitale - dal suo punto di vista - dilemma che la stava affliggendo da lì a una settimana: di che colore agghindare il locale. Era stato affidato a lei il compito di decorarlo - dopo essersi prostrata ai suoi piedi come se fosse stata una questione di vita o di morte, costui non era riuscito a dirle di no - e così si era imposta di fare la cosa in modo impeccabile. Il suo motto era: “Se le cose bisogna farle, allora devono essere fatte per bene!”.
Ora si trovava a zigzagare come un fulmine tra la folla, cercando di non trascinarsi dietro nessuno, nel disperato tentativo di arrivare in tempo. L'aria gelida di quel pomeriggio le sferzava la parte superiore del viso che non teneva avvolta nella sciarpa rosa. Controllò l'orologio al polso. Mancava un minuto: poteva ancora farcela. Riusciva a scorgere in lontananza l'insegna del bar riportante la scritta “ほうき星”: “Hōkiboshi”, cioè “Cometa”. Strinse i denti e accelerò per compiere quegli ultimi metri che la dividevano dalla meta. Dopo aver rischiato di travolgere una signora anziana che si era ritrovata improvvisamente davanti, si lanciò verso la porta che spalancò con impeto, facendo irruzione nel locale. Venne investita da un tepore piacevole che iniziò a propagarsi lentamente per il corpo. Gli zigomi, già rossi per la corsa e per il freddo, si fecero ancora più accesi. Le iridi nocciola saettarono all'orologio appeso al muro, sopra la porta che dava in cucina. Un sorriso soddisfatto le increspò le labbra sottili mentre ansimante sollevò le braccia in aria.
- Yatta! - esultò incurante della presenza di alcuni ragazzi seduti ad un tavolo che sorrisero divertiti. Ormai i clienti consueti erano abituati agli atteggiamenti strambi della ragazza. Ma non ebbe il tempo di godersi appieno quel momento di gloria perché ricevette una manata alla testa.
- Baka! - la insultò una voce maschile alle sue spalle. Giulia si voltò massaggiandosi la parte lesa. Davanti a lei incombeva un ragazzo moro che la osservava minaccioso: il suo capo, Kazuki Himura. Aveva due anni in più di lei e il locale era di sua proprietà. Gli occhi neri dal taglio orientale stretti in due fessure la fissavano spazientiti. La ragazza indietreggiò di un passo intimidita. - Quando ti dico dieci minuti, non significa che ne hai altri dieci di bonus... - la rimbeccò - e non provare a tirar fuori la scusa del quarto d'ora accademico! - la zittì prima che potesse emettere alcun suono.
Lei sbuffò e mise il broncio - Ma Hicchi... - il diretto interessato ringhiò pericolosamente nel sentirsi chiamare in quel modo: odiava quel soprannome, ma sembrava che a lei piacesse un mondo - ho tardato per una cosa importante... - cercò di giustificarsi - mi sono fermata a vedere una vetrina che vendeva degli addobbi natalizi veramente graziosi... -
- Ti prego... risparmiamelo! - la interruppe bruscamente decisamente seccato ritornando al suo posto dietro il bancone del bar. Era da quando le aveva dato il permesso di occuparsi della cosa che ne parlava in continuazione. Non ne poteva più.
- Solo che li avevano sia blu che rossi e ho iniziato a riflettere quale colore starebbe meglio qui dentro... - continuò imperterrita.
- Chotto matte... - la interruppe di nuovo - Hai perso tutto questo tempo a fissare una stupida vetrina? - chiese tra l'adirato e l'incredulo - Ma ti pare normale?! Non puoi lasciarmi da solo! Come faccio a gestire tutti i clienti? E' per questo che ti ho assunta! - sbottò stranito - E poi da quand'è che sai riflettere? - la schernì incorporandovi l'espressione più sorpresa che potesse fare - Pensavo che per te fosse un optional di cui non sei stata dotata! -
- Hicchi! - esclamò lei contrariata e offesa - Me ne sono andata adesso perché c'erano solo i ragazzi! - si difese indicando i cinque giovani seduti al tavolo - E non mi sembra che sia entrato nessun altro! Tra l'altro in dieci minuti quanta gente pensi che possa arrivare? -
- Sono venti i minuti! E piantala di chiamarmi in quella maniera! - sibilò lapidario fulminandola con lo sguardo - E poi portami rispetto... sono sempre un tuo senpai! -
- Demo... ci conosciamo da otto mesi ormai... - provò a replicare.
- Questo non cambia le cose! Non ti ho mai dato il permesso di darmi così tanta confidenza! - le ricordò - E falla finita di startene lì impalata a parlare di cose frivole... hai già perso troppo tempo... rimettiti subito a lavoro! -
- Sei crudele! - si lagnò dirigendosi con passo flemmatico a recuperare il grembiule nello sgabuzzino - E comunque non mi hai detto quale colore preferisci per le luci! - riprese il discorso una volta riemersa in sala.
- Non... mi... interessa! - scandì parola per parola in modo da chiudere lì il discorso.
La ragazza lo guardò crucciata per alcuni secondi, poi afferrò un vassoio e si diresse infastidita al tavolo dei giovani studenti - indossavano tutti la gakuran - a recuperare le tazze vuote sporche di cioccolata.
- Rosse! - proferì uno dei giovani dai capelli biondi ossigenati regalandole un sorriso.
Giulia restò con la tazza sollevata a mezz'aria e un'espressione ebete sul viso - Eh? - chiese non avendo capito cosa intendesse l'altro.
- Kataoka-kun sta parlando delle luci... - spiegò quello seduto di fronte, i capelli cortissimi, castani.
- Oh! Quindi, Sadacchi, pensi che rosse siano meglio? - domandò lei di nuovo di buon umore, ma mantenendo il tono basso per non rischiare di farsi sentire dal capo. Era contenta che qualcuno le desse corda, parlare con l'altro era come parlare con un muro.
Quello affermò deciso con il capo.
- Io le preferisco blu! - si intromise un terzo; era moro, la corporatura robusta.
- Demo, Ibu-kun, blu non sono molto natalizie... vanno bene per le luminarie esterne, qui ci starebbero meglio le rosse! - disse Kataoka.
Quello ci pensò su un po', poi dovette ammettere che l'amico aveva ragione.
- Credo che allora opterò per le rosse! Magari potrei aggiungerci qualcosa di oro... e potrei comprare anche qualcosa sul verde... - iniziò a ragionare la ragazza.
- Potresti fare anche un albero. - propose il ragazzo seduto di fronte a Kataoka.
- Mitsuwa-kun ha ragione! Sarebbe fantastico! - lo assecondò il vicino dai capelli tinti sul rosso.
Alla ragazza si illuminò il viso - Etto... in effetti mi piacerebbe un sacco poterne fare uno... - gli occhi le brillavano - magari potrei metterlo nell'angolo laggiù... - con il dito indicò il punto - Ora che ci penso, ho visto delle palline rosse e oro davvero belle, proprio l'altro giorno. - si ricordò, l'entusiasmo che andava incrementandosi - E potrei usare dell'ovatta per fare la neve finta da appoggiare sopra il davanzale delle vetrate... - il sorriso che le stava illuminando il viso si sciolse poco dopo - demo non so se Hicchi me ne darà la possibilità! - il suo umore le era tornato sotto le suole delle scarpe.
- Non c'è mica bisogno che glielo dici! - intervenne il ragazzo che era restato in silenzio fino a quel momento, aveva la carnagione più scura degli altri, gli occhi marroni e i capelli neri leggermente lunghi - Credo che Himura-san se la sia presa perché lo tormenti ogni cinque minuti. - spiegò, l'altra chinò il capo con aria colpevole - Prova a fare da sola, sono sicuro che riuscirai a fare un ottimo lavoro. Le idee che ci hai detto adesso non erano niente male! - concluse facendole l'occhiolino.
- Arigatou Mitsu-chan! - gli sorrise riconoscente.
- E se hai bisogno di qualche consiglio chiedi pure a noi... - suggerì il ragazzo dai capelli rossi - Tanto veniamo qui un giorno sì e l'altro pure! -
- Hide-chan... - mormorò lei prima di mordersi il labbro inferiore. Quei cinque le erano stati simpatici fin dal primo momento che li aveva conosciuti. L'avevano molto aiutata con la lingua e ad ambientarsi, nonostante fosse di ben otto anni più grande. Era felice di averli conosciuti. - Minna... siete davvero dei bravi ragazzi! - esclamò, gli occhi lucidi.
Con il calare della sera, nonostante fosse ancora pieno pomeriggio, e l'irrigidirsi della temperatura, il bar iniziò a riempirsi e la ragazza dovette immergersi completamente nel lavoro. Ogni tanto, fra un'ordinazione e l'altra, si fermava dai ragazzi, che si erano proposti di aiutarla, a fare una lista delle cose di cui aveva bisogno e anche di andare a comprarne alcune, dato che per lei era impossibile non potendo lasciare per molto il locale. Una volta terminata, prima di andarsene, le promisero che avrebbero iniziato a portare le prime cose l'indomani pomeriggio, subito dopo la scuola.
Era felicissima. Nonostante non sarebbe tornata in Italia per le vacanze, sembrava che potesse festeggiare comunque il Natale lì. I suoi parenti ci erano rimasti male quando aveva riferito loro che non sarebbe tornata. Per non parlare delle sue amiche. Ma non poteva farci niente. Aveva promesso a Kazuki che l'avrebbe aiutato sotto le feste: il bar sarebbe stato chiuso solo il giorno di Natale e di Capodanno. Non poteva certo lasciarlo da solo. E poi, in fondo, era meglio così.
Il sorriso solare che aveva avuto fino a quel momento sul viso andò scemando. Restò ad osservare il tavolo che stava pulendo, immersa nei suoi pensieri. I clienti se ne erano tutti andati data l'ora tarda. Spostò lo sguardo fuori la vetrata. A sinistra vi era la strada illuminata dai lampioni e dai fanali delle auto che sfrecciavano. Anche lì gli alberi erano stati ricoperti di luci blu. A destra vi era la piazzetta, con al centro una grande aiuola e una fontana che di giorno zampillava acqua. Lo spiazzo era attraversato ogni tanto da qualche passante: probabilmente gli ultimi lavoratori che si erano attardati in ufficio e adesso si affrettavano a rincasare.
Scosse la testa e si diede mentalmente della stupida. Aveva promesso che non ci avrebbe più pensato. Era difficile, ma ce l'avrebbe messa tutta. “Accidenti! Proprio adesso che ero su di giri... mi son rovinata la serata!” pensò sospirando affranta.
- Ano... - mormorò una voce alle sue spalle che la fece letteralmente saltare e gridare. Immersa com'era nei suoi pensieri non aveva minimamente sentito il campanello della porta suonare e quindi il cliente entrare. Si portò una mano al petto. Il cuore le martellava per lo spavento. - Gomen nasai! - sentì la voce scusarsi, ma percepì anche delle risatine. Imprecò tra se e sé e arrossì per la figuraccia. Si girò con il viso in fiamme, cercando di sorridere come meglio poteva. Da una parte sperava che colui che stesse sghignazzando di lei si strozzasse con la sua stessa saliva. - Iie... daijō... - le parole le morirono in bocca. Rimase a fissare i clienti per alcuni secondi incredula. Poi avvampò - peggiorando la tonalità del viso - e un mugolio sorpreso le uscì dalla gola. Notò gli sguardi perplessi dei cinque ragazzi e cercò di dire qualcosa di sensato, ma il suo cervello sembrava non voler funzionare. In quel momento si domandò dove diavolo fosse finito il suo capo, ora che aveva disperatamente bisogno di lui. Lo maledì mentalmente. - I-irasshaima-se! - farfugliò.
- Ano... state chiudendo? - chiese il ragazzo più vicino a lei, sorridendo, mentre gli altri quattro cercavano di trattenersi dallo scoppiarle a ridere in faccia, ma l'impresa era difficile.
Le ci volle uno sforzo tremendo per rispondergli - Chiudiamo alle due! - sussurrò. Sembrava che la voce non volesse collaborare in quel momento.
- Oh, perfetto! Allora ci accomodiamo! - esclamò il più alto e, senza farselo ripetere due volte, si sedette sulla sedia che aveva sottomano mostrandole uno splendido sorriso.
- Hai! Vado a prendere i menu. - informò dirigendosi con aria frastornata verso il bancone. Il cuore continuava a batterle velocemente, ma ora non era più per lo spavento. I rumori delle sedie le giungevano attutiti. “Probabilmente sto sognando!” iniziò a pensare “Sì! Non può essere diversamente! Questo è solo un sogno! Quindi non devo far altro che godermelo. Va tutto bene... è solo un sogno!” posò i menu sul tavolo. Avevano scelto quello nell'angolo in fondo al locale. Era abbastanza nascosto e appartato - Quando avete scelto chiamatemi! -
- Hai! Arigatō gozaimasu! - la ringraziarono i cinque individui sorridendole.
Il cuore le perse un battito. Ricambiò comunque il sorriso e si allontanò, continuando a ripetersi che si trattava solo di un sogno. Bellissimo per giunta. Probabilmente si era addormentata mentre stava pulendo. Sperava solo che il capo non si sarebbe arrabbiato quando l'avrebbe scoperta. Proprio in quel momento si sentì chiamare da lui. Entrò nel panico, convinta che si sarebbe svegliata da un momento all'altro. Lanciò un'ultima occhiata al tavolo da dove provenivano le risate di quei cinque ragazzi. “E' stato bello finché è durato!” pensò con aria afflitta. Chiuse gli occhi pronta a ricevere la sua punizione. Che non si fece attendere: la seconda manata in testa della giornata.
- Potresti evitare di dormire in piedi? - fu la richiesta spazientita che sentì pronunciare.
Riaprì gli occhi massaggiandosi la testa e notò che si trovava proprio nella stessa posizione e nello stesso posto di poco prima ed iniziò a preoccuparsi: ora era anche sonnambula. Forse aveva bisogno di una vacanza. Poi la consapevolezza si fece strada nella sua mente e disse addio allo splendido sogno.
Kazuki notò l'espressione delusa che le si era formata sul viso e corrugò la fronte - Che hai? - ma non attese una sua risposta. Spostò lo sguardo sul tavolo in fondo alla stanza e lo indicò con il capo - Ti stanno chiamando! - la informò.
- Eh? - esclamò lei confusa.
Lui la osservò con aria preoccupata. - Ho detto che i clienti che sono appena arrivati ti stanno chiamando! - ripeté. - Ma ti senti bene? -
Lei corrugò la fronte e si voltò verso il tavolo che nel sogno era occupato da quei ragazzi. E le prese un colpo - il secondo nel giro di pochi minuti - quando vide che non erano affatto spariti. Anzi, quello che le stava di fronte sventolava la mano e le fece cenno di raggiungerlo. Il tutto accompagnato da uno splendido sorriso che le fece perdere un altro battito. Ma non ebbe tempo di ammirarlo perché si sentì spingere con una certa veemenza verso di loro. Si voltò a guardare in malo modo il capo: aveva quasi rischiato di cadere. Ma lo sguardo che le lanciò era categorico: o ti riprendi o ti licenzio seduta stante. Ricevuto il messaggio si diresse titubante dai suoi clienti. Ora che aveva capito che non era un sogno e nemmeno tutto frutto della sua fantasia, il panico stava prendendo il sopravvento. Le mani le avevano iniziato a sudare e le si erano ghiacciate: succedeva ogni volta che era agitata. E di sicuro il fatto che quello non sembrava avere nessuna intenzione di staccarle gli occhi di dosso peggiorava solo le cose. Pregò mentalmente di non fare altre figure di merda davanti a loro. Quella di prima le bastava e avanzava.
- Cosa vi porto? - domandò con il tono più normale che fosse capace di produrre in quel momento. Afferrò il block notes e la penna pronta a scrivere.
- Etto... in verità... avremmo una certa fame! - rivelò quello seduto alla sua sinistra, puntandole i bellissimi occhi nocciola addosso; sembrava un po' in difficoltà - Però sul menù non c'è nulla che potrebbe... come dire... riempirci lo stomaco. - farfugliò.
“Ovvio, è un bar, non è mica un ristorante!” si disse lei rimanendo però composta. L'altro lanciò una veloce occhiata ai compagni che ricambiarono con una di incoraggiamento. La cosa non sfuggì alla ragazza che intuì che probabilmente stavano facendo parlare lui per cercare di abbindolarla. “Non vale giocare sporco!” si lamentò lei fra sé e sé.
- Quindi, se non è un disturbo, potremmo avere qualcosa che ci possa saziare? - proseguì con tono incerto.
La ragazza lanciò un'occhiata veloce ad ognuno prima di concentrarsi sul suo taccuino che improvvisamente iniziò a trovare interessantissimo. - Un piatto di pasta vi va bene? - chiese. Erano riusciti completamente nel loro intento. E come poteva dire di no a delle faccette così? Avevano tutti gli occhi da cane bastonato che la imploravano. E si capiva benissimo che avevano veramente fame. Non poteva mica lasciarli lì a morire. Ce li avrebbe avuti per sempre sulla coscienza, per non parlare del fatto che avrebbe privato il mondo della loro presenza. Questo era impossibile.
- Hontō ni?! - esclamarono all'unisono, sorpresi.
- Nessun problema! Dovrei riuscire a racimolare qualcosa... però mi ci vorrà un po' di tempo! Riuscite ad aspettare? - I larghi sorrisi che si formarono sui loro visi furono sufficienti come conferma. Anche perché la mandarono completamente in tilt e non ascoltò minimamente ciò che aveva aggiunto uno di loro dopo.
Era intenta a tagliare una melanzana quando Kazuki, rimasto a fissarla alle sue spalle per più di cinque minuti, si decise ad aprir bocca.
- Sai... non avresti dovuto farlo! - proferì incrociando le braccia.
Lei sorrise. Non poteva vederlo in faccia perché gli dava le spalle, ma poteva benissimo immaginare la sua espressione crucciata. Quei cinque non gli erano mai stati molto simpatici e in questo momento probabilmente stava desiderando che se ne andassero di lì il prima possibile. Forse si stava anche domandando perché avessero scelto proprio il suo bar. - Potrebbe sembrarti strano... e puoi benissimo non credermi... kedo non lo sto facendo perché sono loro! - replicò afferrando i cubetti di melanzana che gettò nella padella in cui stava friggendo la cipolla - Lo avrei fatto comunque per qualsiasi altra persona! -
Quello sollevò un sopracciglio poco convinto - Sarà... - commentò scettico - Tanto sei tu che devi lavorare in più... a me non cambia molto la cosa. - si discostò dalla parete sulla quale si era appoggiato e si diresse verso la porta che dava al bancone - Basta che pagano! -
- Ah, decidi quanto mettere un piatto di pasta! - richiese lei - Almeno poi glielo riferisco. -
- Uhm... considerando quanto guadagnano, potrei spillargli un po' di soldi! - disse mentre ghignava perfido .
Giulia roteò gli occhi e si voltò a guardarlo - Hicchi... i clienti sono tutti uguali! - gli ricordò.
- Senti da che pulpito viene la predica. Chi è che venti minuti fa si è precipitato fuori dal bar in cerca degli ingredienti per preparare qualcosa a quei cinque? - vedere la ragazza arrossire lo soddisfò - Tra l'altro ci hai impiegato pochissimo tempo ad andare e tornare... e sei dovuta anche arrivare fino a casa tua... -
Lei sbuffò spazientita - Piantala! - lo interruppe accigliata - E ora vai via che mi stai distraendo! - esclamò iniziando a spingerlo fuori della porta della cucina - Non voglio propinargli qualcosa di immangiabile! -
Il ragazzo scoppiò a ridere divertito. Gli gustava un mondo tormentarla.
Dopo mezz'ora finalmente Giulia posò i piatti stracolmi di pasta davanti ai cinque clienti a cui brillavano gli occhi per la felicità. - Gomen nasai! Vi ho fatto aspettare molto! - si scusò mortificata chinando il capo. Ci aveva impiegato più di quanto aveva calcolato.
- Iie, iie! Nessun problema! - la tranquillizzò uno di loro.
- Ano...cos'è? - le domandò invece quello che le stava di fianco, sulla destra.
- Tortiglioni con sugo e melanzane! E' una cosa semplice, ma è tutto quello che sono riuscita a racimolare a casa mia. - sussurrò arrossendo.
Calò il silenzio per alcuni secondi mentre un'espressione sconvolta si andava formando sul loro volto. Poi venne interrotto da un fiume di esclamazioni sorprese.
- Non dovevi disturbarti così tanto! - disse il più grande.
- Non vi preoccupate, l'ho fatto volentieri! - farfugliò abbozzando un sorriso imbarazzato - Qui non avevo ingredienti per prepararvi qualcosa! - aggiunse.
I cinque si scambiarono un'occhiata avvilita, poi spostarono lo sguardo sul piatto di pasta fumante sotto il loro naso. Un profumino invitante li trattenne dall'aggiungere altro e si concentrarono totalmente sul cibo. Un coro di “umae” si levò in aria non appena assaggiarono la prima forchettata.
E la cosa, ovviamente, riempì di gioia la cuoca. Ma non tanto per il fatto che avessero trovato buono ciò che aveva preparato. Lei era contenta per aver vissuto quel momento “dal vero”. Le loro espressioni dal vivo erano decisamente migliori di quelle che vedeva quando tutto questo accadeva in uno dei loro programmi televisivi. Il cuore le mancò di nuovo un battito. E si rese conto che se andava ancora avanti così non sarebbe arrivata alla fine della serata. Ma non poteva sperare in un modo più soddisfacente di morire: felice e appagata.
Dopo l'abbuffata di pasta - con tanto di bis - Giulia preparò loro una tazza di cioccolata calda con panna e dolcetti. I ragazzi furono molto stupiti nello scoprire che anche quei biscotti erano stati cucinati da lei.
- Sei davvero una brava cuoca! - commentò quello più basso.
- Arigatō gozaimasu! - non c'era niente da fare, ogni volta che le rivolgevano la parola avvampava, indistintamente da chi fosse dei cinque a farlo.
- Bravo! Bravo! - esclamò in un italiano stentato un altro, battendo le mani.
Giulia lo fissò alcuni secondi con aria indecisa - Si dice “brava”. - lo corresse - “Bravo” si dice ai maschi. - precisò.
- Oh, allora sei veramente italiana! - saltò su quello che aveva ordinato - Lo dicevo io! - aggiunse con un sorrisone soddisfatto. Lei affermò dopo essersi ripresa dall'ennesimo colpo.
- Da quanto sei qui? - si informò il più grande.
- Sono arrivata a febbraio per studiare giapponese un mese e mezzo. All'inizio il fatto di trasferirmi direttamente qui era solo una speranza, poi invece sono riuscita a trovare lavoro e a sistemarmi. - spiegò, felicissima che si stessero interessando a lei.
- Tornerai in Italia per Natale? - chiese un altro.
- Iie! Lavorerò fino alla Vigilia e anche l'ultimo dell'anno! Non riuscirei a rimpatriare. -
- Certo che il tuo capo potrebbe anche darti un po' di giorni di ferie per tornare a casa. Ti sfrutta proprio! -
Kazuki aveva sentito perfettamente la suddetta frase e seccato si diresse verso di loro, pronto a insultarli. Ma Giulia se ne accorse e rimediò fulminea. - Non mi sfrutta affatto, anzi mi tratta bene. E' davvero una brava persona. Se non fosse stato per lui ora non sarei qui. Sono io che ho deciso di rimanere per aiutarlo! - sorrise e non aggiunse altro. Con la coda dell'occhio vide che il capo si era calmato; sembrava anche sorpreso delle parole di elogio. Tirò un sospiro di sollievo.
- Certo che hai avuto davvero un gran coraggio nel decidere di partire e trasferirti così lontano da casa! - disse il ragazzo seduto alla sua destra - E' ammirevole! -
- Bé, non è stato poi così difficile! Era da un paio di anni che mi frullava per la testa l'idea di venire in Giappone. Mi ero innamorata dei vostri usi e costumi, nonché della vostra lingua. E trasferirmi qui era il mio più grande sogno che ho realizzato! Dopo che sono riuscita a mettere da parte un po' di soldi ho fatto le valigie e sono partita. Sapevo che quella era l'occasione giusta e che se avessi aspettato ancora non avrei più potuto farlo e l'avrei rimpianto per tutta la vita. Sono veramente felice ora di essere qui. - le parole le erano uscite da sole e si capiva quanto fossero sincere - E naturalmente l'amore per questa nazione è andato aumentando da quando sono arrivata. Mi sono trovata subito benissimo! -
Erano tutti rimasti in silenzio ad ascoltarla. L'impeto che vi aveva messo in quelle parole li aveva lasciati di stucco. Anche Kazuki era sorpreso. Giulia era una ragazza che non parlava molto e anche lui non era il tipo che faceva domande. Quindi non aveva mai avuto occasione di constatare quanto fosse importante per lei lo stare lì. Quando se l'era ritrovata otto mesi prima davanti, per chiedergli di essere assunta come cameriera, non ci aveva pensato molto ad accettare. E' vero che era straniera, ma le era sembrata subito una ragazza a posto. Aveva notato che era disperata e lui aveva assolutamente bisogno di aiuto. Solo quella volta le aveva fatto una domanda: perché ci tenesse tanto a lavorare; si ricordava ancora la risposta: “Perché se riesco a lavorare e a guadagnare decentemente non torno a casa!”. In quel momento aveva letto nel suo sguardo una forte determinazione. Aveva deciso comunque di tenerla in prova per una settimana. Ma già dopo due giorni l'aveva assunta. Era una gran lavoratrice e una persona seria. E poi c'era da aggiungere che, da quando era arrivata, i clienti erano aumentati in modo spropositato. Questo non poteva che soddisfarlo. Le labbra si piegarono in un sorriso e tornò dietro il bancone. Ma in quel momento, lanciando uno sguardo veloce all'orologio appeso al muro, si accorse di quanto si fosse fatto tardi.
- Minna-san mi spiace interrompervi, demo dobbiamo chiudere! - li informò.
Giulia sorpresa si voltò a guardare l'orologio che segnava le una e tre quarti. Sgranò gli occhi interdetta. Il tempo in presenza di quei cinque era volato.
Questi allora si alzarono e si prepararono velocemente, sotto lo sguardo malinconico della ragazza. Si diressero alla cassa a pagare continuando a elogiarla e ringraziarla per tutto quello che aveva fatto per loro. - Se non ci rivediamo... buon Natale e buon anno! - augurarono sia a Giulia che a Kazuki.
- Anche a voi! - ricambiò lei sorridendo. Si stava sforzando, lo sapeva benissimo. Avrebbe voluto sorridere sinceramente, ma in quel momento proprio non le riusciva. Aveva un sacco di cose da dirgli, ma le si era formato improvvisamente un nodo in gola. Riuscì solo a salutarli con la mano prima che scomparissero definitivamente. Restò imbambolata a fissare quel punto per diversi minuti. Con il cuore che le batteva all'impazzata e la triste realtà che le era piombata improvvisamente addosso: non li avrebbe più rivisti. Ma sicuramente non avrebbe mai dimenticato quella sera per il resto della sua vita.
- Signorina... dovresti sbrigarti a pulire... io vorrei chiudere e andare a dormire! - la riportò alla realtà il ragazzo - Tu fai lì, io penso alla cucina! - gridò dall'altra stanza.
Lei affermò e sospirò con aria abbattuta “Bé... ho avuto il mio regalo di Natale! Anche se in anticipo!” constatò cercando di restare allegra. Afferrò uno strofinaccio e la scopa e andò a pulire il tavolo. Era immersa nei suoi pensieri, intenta a ripercorrere le ultime ore di quella serata, così inizialmente non si era accorta che il tovagliolo di carta bianco che aveva appallottolato e gettato a terra aveva su delle scritte. Solo quando le ci ricadde l'occhio spostandolo con la scopa, le notò. Corrugò la fronte mentre si chinava a raccoglierlo. Lo spiegò e per poco non le prese un colpo quando lesse cosa vi era scritto. Gli occhi le si riempirono di lacrime che si riversarono sulle sue guance. Trattenne a stento un singulto. Rilesse di nuovo quelle poche parole, incredula: “Hountō ni, arigatō!”. Poco più sotto un kanji che conosceva perfettamente: “嵐”. - Arashi! - sussurrò asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Gesto inutile dato che continuavano a fuoriuscire. Sì, era stato proprio un bel regalo inaspettato di Natale poter incontrare quella sera i suoi idoli. Coloro che da diversi anni, ormai, allietavano ogni suo giorno. Aveva avuto la possibilità di parlarci quelle poche ore. Era davvero contenta.
Stava per alzarsi, ma qualcos'altro attirò la sua attenzione. A terra, sotto una sedia, vi era un oggetto colorato. Si allungò sotto il tavolo per afferrarlo e un'esclamazione sorpresa le uscì dalla gola - Questa è... - mormorò rigirandosi la sciarpa rossa fra le mani.
- Che stai facendo lì sotto? - chiese il capo che la osservava interdetto da dietro il bancone.
Giulia sobbalzò per lo spavento e questo le causò una capocciata contro il tavolo. Inutile dire che il ragazzo scoppiò a ridere divertito. - Itai! - si lamentò sollevandosi.
- Cos'hai in mano? - domandò incuriosito l'altro.
- Una sciarpa. - riferì massaggiandosi il punto che aveva sbattuto - E' di uno degli Arashi! - spiegò dolorante. Doveva essere di Ninomiya, c'era lui seduto in quel posto. Anche se non ricordava che la portasse quando erano arrivati. Ma in effetti non aveva fatto proprio caso a cosa indossassero. Si era concentrata solo sui loro visi - La metterò da parte, potrebbe venire a riprendersela! - mormorò appoggiandola su un altro tavolo.
- Aspetta e spera! - fu il commento aspro che le regalò lui. Ora che quei cinque se ne erano andati poteva tornare a parlarne male - Ne avranno una marea di sciarpe, cosa vuoi che importi loro se ne perdono una! O comunque, con tutti i soldi che hanno, potrebbero comprarsene a bizzeffe! -
Lei gli lanciò un'occhiataccia - Smettila di parlare così! - esclamò stizzita - Il fatto che ti stanno sulle scatole non te ne dà il diritto. - sibilò prima di ritornare a pulire a terra con la scopa.
- Che ci troverai di tanto speciale in loro... - borbottò mentre si dirigeva a cambiarsi.
- Il semplice fatto che appena li sento cantare o li vedo sorridere riescono a rendermi ogni giornata decisamente migliore di quella che mi si prospetterebbe! - rispose con tono autorevole.
- Io invece ogni volta che li sento cantare sto male! - dichiarò tragico.
Giulia scosse la testa, ma non rispose. Non le andava di iniziare un battibecco con lui. Era tardi e l'indomani mattina si sarebbe dovuta svegliare presto. Si sbrigò a pulire, afferrò la sciarpa, salutò il ragazzo e se ne tornò a casa. Ma già sapeva che avrebbe trascorso la notte insonne a ripensare ai quei cinque adorabili baka e a fantasticare su un possibile nuovo incontro. Questa volta forse, non inaspettato.