Titolo: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Fandom: Libro > Sherlock Holmes
Personaggi: Sherlock Holmes e John Watson
Parte: One shot
Rating: PG
Conteggio Parole: 1969
Avvertimenti: Introspettivo, Triste
Note: dedico questa storia a
minnow, come regalo di compleanno e come ringraziamento per…tutto… perché esiste!
VERRA’ LA MORTE E AVRA’ I TUOI OCCHI
L’avvenimento che mi accingo ora a raccontare è forse il più sentito di tutta la mia intera esistenza. È un avvenimento che ricordo con amaro piacere, dettato forse dal fatto che non si ripetè più.
Tutti - o meglio, tutti coloro che si sono avvicinati con una certa fedeltà ai miei scritti - sanno che cosa accadde alla fine di giugno del 1902, quando io e il mio fedele compagno, Holmes, cogliemmo con le mani nel sacco colui che si era a noi presentato come John Garrideb, mentre in realtà era niente di meno che Evans il Killer.
Rimasi lievemente ferito alla gamba, e se già di per sé il dolore che provavo non era assolutamente paragonabile a quello che avevo provato in guerra, quando mi ferirono la spalla, la reazione del mio amico mi fece del tutto scordare la mia, seppur lieve, pena.
Per un attimo il suo viso si era trasfigurato in una maschera di puro terrore; i suoi occhi si erano come sciolti, rivelando la sua natura umana, di solito nascosta sotto lo strato superficiale, ironico, del suo genio.
Dopo essersi accertato che stavo bene, il suo sguardo era tornato su Evans; ricordo che le sue parole sicure, dure come la pietra, rivolte a colui che mi aveva appena sparato, mi procurarono una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Decisi di accantonare i miei pensieri in un angolo della mia mente e dedicarmi solo all’uomo che avevamo davanti.
Così lo avevamo scortato a Scotland Yard insieme a Lestrade e ai suoi uomini, e poi Holmes aveva insistito affinché io andassi a farmi visitare - cosa che giudicai allo stesso qual tempo tenera, perché mostrava di nuovo di essere preoccupato per me, ma anche offensiva, dal momento che sarei stato in grado di curarmi da solo.
Ma decisi di accontentarlo, anche se il vero motivo di questa mia resa non mi era del tutto chiaro, o meglio, volevo che non fosse chiaro.
L’avvenimento che tanto mi sconvolse interiormente, e che ancora oggi mi sconvolge, accadde durante il tragitto tra l’ospedale e Baker Street, in una carrozza.
Io e il mio caro amico eravamo seduti ai lati opposti. Io guardavo la strada che scorreva oltre il vetro, cercando di fare ordine nei miei pensieri confusi e di capire le cause di quella strana sensazione di cui sopra.
Stranamente, quando Holmes aveva rivolto a Evans una neanche poi tanto velata minaccia di morte, io mi ero sentito al sicuro, come se niente e nessuno avrebbe potuto ferirmi finché fossi stato col mio amico.
Dico stranamente perché in realtà i fatti mi avevano appena dimostrato il contrario. Ero con lui ed ero appena stato ferito.
Il perché di questi miei sentimenti mi tormentavano, e andavano a legarsi indissolubilmente a tante altre sensazione di simil natura che a volte sentivo. E tutte riguardavo lui, Sherlock Holmes, il mio più caro amico.
Fino ad allora non ero rimasto spaventato da certi pensieri, appunto per la loro natura confusa e non ben definita.
Ma quel giorno, ripensando ai fatti appena avvenuti, sentendo il suo sguardo su di me, ebbi paura. Ebbi paura perché ero finalmente riuscito a dare un nome ai sentimenti che mi agitavano l’anima ogni qual volta mi trovavo vicino a Holmes.
E me ne vergognai anche, profondamente.
Mi mossi a disagio, attirando la sua attenzione.
“Mio caro amico, spero che lei stia bene.”
Mi guardava con gli stessi occhi freddi che sempre lo avevano contraddistinto, così diversi da quelli che si erano posati su di me solo poche ore prima.
Il suo sguardo mi ferì come non mai, incrementando la mia sensazione di disagio.
“Sì, è tutto a posto.”
Risposi, guardando un punto imprecisato oltre la sua spalla.
Guardarlo negli occhi in quel momento avrebbe significato fargli capire la natura dei miei sentimenti.
Un pensiero mi attraversò improvvisamente, lasciandomi senza fiato.
Come potevo essere certo che lui non lo avesse già capito, lui sempre così attento a ogni minimo dettaglio?
E se lui sapeva, perché non aveva fatto in modo di farmelo capire, come era sua abitudine quando non capivo qualcosa?
Il suo sguardo ora era indirizzato fuori dal finestrino, annoiato.
Ebbi così la possibilità di osservarlo, per la prima volta conscio dei miei sentimenti per lui.
Erano anni ormai che lo conoscevo, anni durante i quali eravamo invecchiati insieme. E mai, lo avevo guardato come in quel momento.
Non potevo più mentire a me stesso, il mio interesse per Holmes non era di natura prettamente morale. Non so dire quando era cambiato, da quanto tempo andasse avanti così, ma non ero più in grado di controllare il mio sguardo che percorreva la sua figura.
Un pensiero senza nessuna logica si impossessò della mia mente, impedendomi di pensare razionalmente ad altro.
Mi chiedevo per quale motivo si fosse agitato tanto, se il suo interesse nei miei confronti potesse essere di natura simile al mio.
Mentre tiravo le tendine del mio finestrino, continuando a guardarlo, avrei dovuto pensare che avevo Sherlock Holmes davanti a me, e che se c’era già una vaga e minima possibilità che provasse qualcosa per me, di certo l’avrebbe considerata scorretta.
E l’avrebbe considerata scorretta non tanto per l’immoralità di per sé, ma perché provare dei sentimenti, per lui, avrebbe rappresentato un nemico per la sua mente logica e fredda. La passione e il sentimento non erano adatti per la sua persona, né tantomeno l’amore.
Tuttavia in quel momento non pensai lucidamente a tutto questo, e cominciai ad avvicinarmi a lui; non pensai che il mio gesto avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per il mio spirito.
Holmes notò subito la luce del mio lato che veniva a mancare. Aprì la bocca, sicuramente per dire qualcosa, ma si bloccò, osservandomi.
Accostai anche la tendina del suo lato.
Ero davanti a lui ora, seduto sul bordo del sedile, di modo che ci fosse pochissima distanza tra i nostri due corpi.
“Amico mio, che cosa ha intenzione di fare?”
La sua voce era ferma, velata di ironia come sua abitudine, ma i suoi occhi tradivano una certa preoccupazione.
Non volevo che avesse paura di me. Non lo avrei forzato a fare nulla contro la sua volontà, né ero sicuro di volerlo io stesso.
Consideravo ancora tutto questo prettamente sbagliato e immorale, ma mi sentivo come se una chimera si fosse impossessata della mia anima, spingendomi in un gesto che non credevo possibile.
Sollevai un braccio e posai una mano sulla guancia del mio compagno; la poca barba che la ricopriva, gli rendeva la pelle ruvida.
Il suo sguardo, assolutamente indecifrabile, cercava i miei occhi, per capire - o molto più probabilmente, avere conferma - del motivo che mi spingeva a fare ciò che stavo facendo; ma io seguivo il movimento delle mie dita sulla sua pelle.
Mi sarei dovuto fermare, ma le mie dita continuavano a scorrere sul suo viso. E così toccai il suo mento, e tracciai dei cerchi intorno alle sue labbra; risalii poi sul suo naso, disegnai i contorni dei suoi occhi, spianai le prime rughe della vecchiaia che cominciavano a comparirgli sulla fronte.
Affondai le dita tra i suoi capelli ormai striati di grigio, mentre un sospiro mi usciva tra le labbra. Erano incredibilmente morbidi.
I suoi occhi catturarono i miei.
Senza rendermene conto cominciai ad avvicinarmi a lui, più di quanto non fossi già, molto più di quello che le regole dello Stato imponevano.
Il cuore mi martellava vergognosamente nel petto, spaventato all’idea di ciò che stavo per fare e della sua possibile reazione; avrebbe potuto spingermi via, reagire in maniera violenta. Ma finora non aveva dato segno di disdegnare quelle che potevo definire con un solo termine, carezze, anche se la sua immobilità non mi faceva ben sperare.
E infatti, non appena le mie labbra furono a un soffio dalle sue, Holmes girò la testa di lato, fissando lo sguardo sulla tenda.
Mi ritirai frettolosamente al mio posto, aprendo la tendina, facendo modo che il basso sole della sera entrasse nella carrozza, illuminando i miei occhi lucidi.
Sentii di nuovo il suo sguardo su di me e mi voltai a fissarlo. Di nuovo, il suo sguardo divenne liquido, se possibile tenero.
Ma fu solo un attimo, un secondo di umanità su quella sua maschera fredda.
Non parlammo mai di quel che avvenne quella sera di fine giugno del 1902. Ci comportammo come se niente fosse mai successo.
Più e più volte aveva dimostrato in che modo tenesse alla mia persona, più e più volte aveva tentato quello che a me era parso un goffo approccio da parte di una persona che sapeva tutto di quasi ogni cosa, ma non sapeva nulla della cosa più importante di tutte.
Ma io mai detti cenno di intendere i suddetti approcci, offeso dal suo rifiuto, vergognandomi dei miei pensieri malati e impuri che mi avevano preso durante quel viaggio in carrozza.
Senza sapere però, che me ne sarei pentito.
Ora che mi trovo qui, in piedi, di fronte alla lapide del mio amico, non posso fare più finta di niente.
Una lacrima scivola lungo la mia guancia, dignitosa, sola. Le mie spalle sono scosse da un fremito e mi appoggio al bastone, compagno affidabile dei miei ultimi giorni da vecchio.
La morte lo ha preso prima di me, benché io fossi il più anziano. La sua vita di sregolatezze, le droghe che ingeriva, lo avevano mangiato dall’interno.
Sono due anni che ogni giorno vengo qui, e ogni volta mi pento. Mi pento di non aver riprovato, mi pento di non aver seguito il mio cuore, dimostrandomi di non essere poi tanto diverso da Holmes.
Trascorro i miei noiosi giorni da solo, con i sensi di colpa come unici compagni. E conto i minuti che mi separano dalla mia prossima visita alla sua tomba; ogni volta mi ritrovo a lasciar scivolare una lacrima sulla mia guancia, sommerso dai sensi di colpa, dalla solitudine, pensando a quanto terribilmente mi machi.
E prego.
Prego che la morte mi prenda adesso e che mi riporti da lui.