[Supernatural] In a perfect world you'd still be here (6/11)

Nov 27, 2011 01:05

Titolo: In a perfect world you'd still be here
Fandom: Supernatural
Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester, Castiel, Death, Michael, Lucifer, Mary Winchester, OMC, OFC, presenza minore di Bobby Singer
Pairings: Michael/Lucifer, Dean/OFC (diciamo... più o meno XD)
Rating: PG
Genere: AR (Alternative Reality), drammatico, angst
Parte: 6/11
Warnings: lieve linguaggio, accenni di incesto slash tra due angeli, spoiler fino alla fine della 6° stagione
Warning SPOILER sulla trama: Character death (sort of, la morte è solo temporanea)
Note: Post 6x22, inizio alternativo della 7° stagione.
Scritta per il bigbangitalia insieme alla mia adorata soulmate arial86.
Riassunto: Per riportare l’ordine nell’ormai irrimediabile anarchia causata dai Winchester negli equilibri di vita e morte, Death prende una drastica decisione: intervenire personalmente nel passato, modificando gli eventi. Le conseguenze riscrivono l’intera esistenza di Dean e Sam, creando una realtà alternativa in cui i due fratelli sono cresciuti vivendo una vita normale, completamente ignari dell’esistenza del soprannaturale. A 32 anni, Dean vive con sua moglie e i suoi due bambini, sereno seppur con il ricordo doloroso di suo fratello, morto quattro anni prima. Ma lo spirito di Sam, dilaniato dai ricordi della sua vera vita, ora vaga nel tormento. E mentre Dean, tra déjà-vu e ombre del passato, scopre l’esistenza di un mondo fatto di fantasmi, medium e cacciatori, qualcuno si sta muovendo in segreto per rimettere ogni cosa al suo posto.
Disclaimer: Caroline, Richard e i pupetti sono roba nostra, su tutti gli altri personaggi non deteniamo alcun diritto, per fortuna per loro e purtroppo per noi. Non ci guadagniamo niente se non il piacere di soffrire e far soffrire. ♥
Masterpost: QUI

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Desperate for changing
Starving for truth
I'm closer to where I started
Chasing after you
(Hanging by a moment - Lifehouse)

“Sa-Sam,” mormorò, incapace di avvicinarsi. L’apparizione dinanzi ai suoi occhi cominciò a sbiadire. “Sam,” ripeté allora Dean, con maggior convinzione, imponendogli di restare con la sola forza del suo sguardo.
Ti prego, fratellino, non andartene. Non ora.
Uno scatto, come se l’immagine di Sam si fosse dissolta e ricomposta in meno di un istante, e ora il fratello minore era completamente voltato verso di lui. E più vicino. Dischiuse le labbra e per un momento sembrò prendere un rauco e rumoroso respiro, ma quando lo ripeté, Dean si rese conto che stava sussurrando il suo nome. La figura del fantasma divenne nuovamente sfocata, per poi tornare a farsi vivida a un solo passo da lui. Gli occhi lucidi di Sam si strinsero con uno spasmo, mentre la luce lunare accarezzava le lacrime sul suo viso incorporeo. In un sospiro spezzato, sussurrò ancora una volta il nome di Dean, sollevando una mano tremante. Suo fratello ne osservò il movimento, paralizzato. Il lento arco compiuto dall’arto che non proiettava alcuna ombra, il modo in cui la luce l’attraversava in alcuni punti, solo per essere respinta in altri; il suo acquistare sempre più consistenza, come se la sua sola vicinanza potesse renderlo carne e sangue. E poi le dita di Sam si posarono sulla sua guancia, leggere come una piuma e gelide quanto brina.
Dean chiuse gli occhi. Inconsciamente si sporse in avanti, bramando quel tocco immateriale, che lo faceva a brandelli e allo stesso tempo pareva rimetterlo insieme, in un modo che non aveva mai conosciuto e che ora sembrava essergli mancato tutta la vita...
Al leggero cigolio del legno, lo spirito si allontanò. Era già scomparso prima che un incerto “Papà” risuonasse nell’aria. Dean si voltò. Era l’altro Sam, il suo Sam.
“Che ci fai in piedi, pulce?” domandò, la voce incrinata.
“Devo fare la pipì,” rispose il piccolo, in un sussurro cospiratore.
“Lasciami indovinare, il mostro nella tazza è già sveglio?” continuò il padre, adeguandosi al suo tono.
Sam annuì e Dean lo prese fra le braccia.
“Piangevi, papà?” chiese Sam, con tutta l’innocenza dei bambini, poggiandogli una mano contro la guancia, le sue ditine tiepide in doloroso contrasto con quelle che l’avevano sfiorato solo qualche istante prima.
“Sì,” ammise Dean, dopo una leggera esitazione. Non se ne era reso conto fino a quel preciso momento. “Ho urtato il piede contro il divano. Manterrai il mio segreto, pulce?”
“Va bene, ma non bacerò via la bua,” ribatté Sam, con una smorfia.
Dean rise. “E il mio piede? Non vorrai che cada?”
“Basterà un abbraccio,” assicurò il bimbo, cingendogli il collo.
Risalirono al piano di sopra.

“Non prendi neppure una fetta di torta? Guarda che Sammy non ti lascerà neanche le briciole,” disse Caroline, portando alle labbra la seconda tazza di caffè della mattina.
Sam annuì vigorosamente, nonostante il padre non potesse vederlo. “M’ p’afe la fhocco’ata,” confermò, fra un boccone e l’altro.
“Visto?”
La testa di Dean fece capolino dalla porta. “Le mie chiavi?”
“Al solito posto, nel piattino all’ingresso.”
Dean ritornò qualche istante più tardi, le chiavi levate al cielo in un gesto di trionfo.
“Tutto merito della mamma,” commentò Sam, addentando un’altra fetta.
Dean gli scompigliò i capelli. “Questa si chiama corruzione, pulce. Ma è giusto rispettare la mano che ti nutre.”
Caroline sorrise. “È un cocco di mamma, come il suo papà,” sussurrò, un lieve rimprovero evidente nella voce.
“Ne abbiamo già parlato, Caroline,” sospirò il marito, stanco.
“Riparliamone allora, Dean. Hai preso un giorno di ferie per andare a Lawrence da tua madre a fare cosa esattamente? C’entra ancora quel medium?”
“No, non c’entra niente,” rispose. Non una bugia, non ancora. “Ho solo bisogno di parlare con lei, è importante.” Si chinò sulla donna, attirandola in un bacio. “Va tutto bene, davvero.”
Sam si coprì prontamente gli occhi, ridacchiando.
“Non sai cosa ti perdi, pulce. Meglio delle torte.” Sua moglie gli assestò uno scherzoso colpo al sedere e Dean rettificò. “Diciamo che è un pareggio, va’.”
Strappò al piccolo Sammy un bacio al cioccolato e lasciò la cucina, accompagnato dalle risa della sua famiglia.

Il viaggio fino a Lawrence fu interminabile. La musica lo infastidiva, spegnerla lasciava però campo libero alle parole dell’angelo. “Puoi sempre chiedere a tua madre, se non credi a me,” si ripeteva, di continuo. E quando quell’incessante litania diventava assordante nell’amplificato silenzio dell’abitacolo, Dean la soffocava nelle voci della radio.
Arrivato dinanzi alla sua vecchia casa, interruppe con gratitudine lo sproloquio di un predicatore dal forte accento texano. “L’Apocalisse incombe su noi tutti, non lo…”
“Certo, amico, facci sapere quando pioveranno rane,” bofonchiò, sbattendo la portiera. La sua station wagon mandò un debole cigolio di protesta, doveva decidersi a portarla da un meccanico. O a barattarla con una scorta a vita di scatolette.
Suonò diverse volte il campanello, ma non ottenne alcuna risposta.
Più tempo per inventarmi qualcosa, rifletté, recuperando le chiavi di riserva dal vecchio barattolo di vernice in veranda. La cara, vecchia, prevedibile mamma, si disse ancora, augurandosi che fosse vero.
Il familiare profumo della sua infanzia lo accolse in un abbraccio. Quell’odore gli parlava di biscotti caldi e interminabili ramanzine nel salotto, di fortini costruiti coi cuscini del divano. Di Sam.
Gettò chiavi e giubbotto su una poltrona. Aveva pensato di aspettare sua madre in soggiorno, ma qualcosa lo richiamava di sopra.
Sostò qualche minuto fuori dalla camera di Sam, prima di entrarvi. Niente era cambiato da allora. Sul letto campeggiava ancora il poster che gli aveva regalato per il compleanno, vecchio ormai di dieci anni. “Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo” proclamava. E Sam l’aveva preso in parola. Si era iscritto alla facoltà di legge, pieno di ideali e determinazione.
“Avresti davvero cambiato il mondo, fratellino,” mormorò Dean, alla stanza vuota. Poi uscì. Cosa diavolo gli era saltato in mente? Non era mai riuscito a stare lì dentro per più di qualche minuto. Non sopportava quell’aria che sapeva di pulito e i mobili immacolati, le lenzuola fresche sul letto e i fiori sul davanzale. Per quanto quella stanza fosse pronta ad accoglierlo, Sam non sarebbe mai tornato. E lui non poteva sopportarlo.
Era di nuovo sulle scale, quando qualcosa in fondo al corridoio attirò la sua attenzione.
No, non può essere.
La porta dell’ultima camera era socchiusa. La camera di sua madre, quella in cui non permetteva a nessuno di entrare.
“Una donna ha bisogno di un angolino tutto per sé,” cinguettava, echeggiando la Woolf. Ma se qualcuno provava ad avvicinarsi, be’, l’uccellino lasciava posto a una tarantola. Dean l’aveva scoperto a proprie spese, quando si era avventurato sui sostegni dei rampicanti per dare una sbirciatina dalla finestra. Sua madre era intenta a leggere una semplice agendina rilegata in pelle. I capelli raccolti, lo sguardo assorto e lontano. Tutto qui?, si era chiesto Dean, un po’ deluso. È questo il grande segreto della mamma?
In quel momento, Mary si era voltata verso la luce e l’aveva visto. Sul suo volto si erano dipinte varie emozioni: senso di colpa, tradimento, terrore. E tutto a causa sua.
Dean aveva perso la sua presa sulle assi ed era caduto di sotto, accompagnato dal grido impotente di sua madre. La sua missione gli aveva guadagnato un braccio rotto, diverse escoriazioni e la solenne promessa di lasciar perdere quella stanza. E Dean l’aveva mantenuta, per tutti quegli anni. Aveva tradito una volta la fiducia di sua madre, non l’avrebbe rifatto. O almeno così credeva.
La sua mano si strinse sul freddo pomello di ottone e un brivido gli corse lungo la schiena.
“Guai a te se entrerai in quello stanzino: dovrai pentirtene amaramente![1]” si ammonì, la porta che cigolava. Abbassò inconsciamente gli occhi al parquet, ma non c’era traccia del sangue e dei corpi delle spose di Barbablù.
La camera era spoglia, ad eccezione di una scrivania, una sgangherata poltrona, due librerie ingombre di tomi e un vecchio baule. La finestra ora incorniciata da tendine variopinte: Mary Winchester non si faceva sorprendere due volte dall’identico trucco.
Dean si avvicinò ai volumi. Un’enciclopedia di cucina, un’altra sul punto croce, dei libri sul ricamo.
“Cosa ti aspettavi di trovare?” si chiese, a voce alta. “Un compendio sul satanismo? Il Necronomicon?”
I ripiani erano ricoperti da un fitto strato di polvere, che però scompariva in corrispondenza di un tomo sulla cura delle orchidee. La lettura ideale per una donna che non solo detestava quel tipo di fiori, ma aveva anche appena scoperto che il suo defunto secondogenito vagava senza alcuna speranza di trovare pace. Dean lo estrasse dalla fila. Gli bastò sfogliare qualche pagina per rendersi conto di cosa parlasse realmente: fantasmi. Il volume era costellato di disegni piuttosto forti; uno di essi lo colpì profondamente, quello di una giovane vestita di bianco, in attesa lungo una strada buia. Una ‘donna in bianco’, suggeriva la didascalia, nasceva dallo spirito di una madre che, tradita dal marito, aveva ucciso i suoi stessi figli. Lasciò che il libro cadesse a terra e ne prese altri. Vampiri, demoni, streghe, licantropi, i volumi insegnavano come riconoscerli e come ucciderli.
“Non sei un insegnante, ma un cacciatore. Tu e Sam avete sempre dato la caccia a mostri, demoni e fantasmi.”
Impiegando molte più energie del normale nel deglutire, Dean posò lo sguardo sul baule, un vago sospetto che prendeva forma nella sua mente. Si chinò su di esso, ma era chiuso con un grosso lucchetto. Be’, ormai… Un calcio ben assestato e la serratura arrugginita cedette. Sollevò il coperchio…
“Cerchi qualcosa, Dean?”
Sua madre.
Colto con le mani nel sacco, letteralmente. Si voltò, il cuore in gola, le guance in fiamme. Al diavolo, non era lui quello che doveva spiegazioni.
“Non dovresti lasciare il tuo armadio incustodito, non con così tanti scheletri al suo interno,” ironizzò, cercando di mascherare almeno in parte il tumulto che sentiva dentro.
Mary si poggiò contro lo stipite, lieve e aggraziata. Se Dean pensava che il suo esordio l’avrebbe presa in contropiede, si sbagliava. Sua madre trasse un lungo respiro, prima di cominciare a parlare.
“Sarà meglio che ti segga, se vuoi davvero avere questa conversazione,” suggerì, incolore.
“Credo che resterò così, se non ti spiace,” rispose lui, adeguandosi al suo tono. “E non preoccuparti di the e pasticcini, ammesso che sia questo che offri a chi ricevi in questa stanza.”
“Non ricevo nessuno in questa stanza. Non ho mai ricevuto nessuno in questa stanza, Dean,” confessò Mary.
“Neppure il tuo amico medium per un po’ di intimità fra cacciatori?” insinuò il figlio, con un sorriso. “Perché è questo quello che siete, è questo che sei, no?”
Mary strinse le dita in un pugno, i suoi occhi fiammeggiavano. Se fosse stata più vicina, Dean era sicuro che l’avrebbe schiaffeggiato, per la prima volta in vita sua.
“Mi dispiace,” mormorò, ed era sincero.
Mary scosse la testa. “Non scusarti. Suppongo di meritarmelo, in fondo,” disse, spostandosi sulla poltrona. “No, Richard non è un cacciatore, ma io lo sono. O meglio, lo ero.”
Dean richiuse il baule e vi si sedette. Ora come ora, le sue gambe avevano decisamente bisogno di un sostegno. “Immagino che neppure papà…”
“Nessuno sapeva niente, non dal suo lato della famiglia almeno,” confermò.
“Vuoi dire che…”
“Sì,” lo interruppe ancora. “Sia i tuoi nonni, sia i tuoi zii e cugini. Si potrebbe dire che la caccia è una tradizione di famiglia.”
“Ma tu ne sei uscita.”
“Quando ho sposato tuo padre.”
Dean annuì. “Adesso capisco perché non abbiamo mai ricevuto regali di Natale dal nonno.”
La cosa strappò un breve sorriso a sua madre. “Non potevo permettere che i miei figli fossero tirati su come soldati. Dovevo proteggere la mia famiglia, anche se forse…” La sua voce si incrinò e Mary scoppiò in un pianto dirotto. Dean fu al suo fianco in un attimo.
“Non è stata colpa tua, mamma,” sussurrò, cingendole le spalle. “Non saremo stati dei cacciatori, ma neanche degli sprovveduti. Quell’uomo era armato, probabilmente le cose sarebbero andate così in ogni caso. Non c’era nulla che potessi fare per Sam.”
Mary sollevò la testa, puntando su di lui uno sguardo carico di determinazione. “Forse, forse no. Ma c’è qualcosa che posso fare adesso: tenere al sicuro te e la tua famiglia.”
“Cosa vuoi fare?” chiese Dean, un brivido che gli accapponava la pelle sulle braccia.
“C’è un solo modo per liberarsi di un fantasma, ed è cospargere di sale le sue ossa e bruciarle.”
“E tu faresti una cosa simile?”
“Non sarebbe la prima volta,” ribatté lei.
“Lasciami articolare meglio, mamma. Faresti una cosa del genere a tuo figlio? A Sam?” esplose, incredulo.
“Dean, hai sentito anche tu quello che ha detto Richard. Non c’è alcun modo di dare pace a Sam, e io devo proteggere la mia famiglia, o almeno quello che ne resta.”
Dean restò in silenzio, troppo scioccato dalla notizia e dall’assoluta disperazione che coloriva le parole di Mary. Le posò le labbra sui capelli e la strinse a sé.
Non aveva bisogno di chiedere, per essere certo che sua madre non gli nascondesse altri segreti. Era stata una cacciatrice e, per tenere al sicuro il figlio che le era rimasto, avrebbe distrutto il fantasma di quello che aveva perduto; questo era tutto ciò che avrebbe potuto scoprire dietro la porta della stanza proibita. Ma quel Castiel gli aveva detto dell’altro... Forse l’angelo poteva davvero offrire loro un altro modo per aiutare Sam, un modo che Mary non conosceva, ma adesso il pensiero di convocarlo era diventato agghiacciante.
“Tu non dovresti essere qui. Questa vita, questa realtà, non sono le tue. Tua moglie, i tuoi figli, non esistono.”
Castiel aveva avuto ragione su Mary. Se aveva detto il vero anche su ogni altra cosa, Dean non era certo di essere pronto a scoprirlo.

Note:
1. Dean cita Barbablù, famosissima fiaba di Perrault, riferendosi alla stanza proibita in cui il protagonista conserva, legati alle pareti, i corpi di tutte le sue precedenti mogli.

Capitolo 7 →

genre: angst, content: hurt!sam, character: dean winchester, !big bang italia, genre: incest, character: castiel, fandom: supernatural, content: post-hell!sam, genre: alternative reality, pairing: dean/ofc, character: sam winchester, pairing: michael/lucifer, genre: slash, !fanfiction

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