Fandom: RPF Scrittori
Personaggi/Pairing(s): Amélie Nothomb/Chuck Palahniuk
Challenge/Prompt: scritta per il p0rnfest #8, con il prompt Amélie Nothomb/Chuck Palahniuk, "I miei lettori hanno paura di me" "Anche i miei"
Warnings: lime, turpiloquio, ripetizioni volute, tentativi (falliti) di ricalcare lo stile meraviglioso di Palahniuk.
Citazioni e rimandi ad alcuni suoi libri (in particolare “Invisible Monsters” e “Soffocare”). Citazioni e rimandi ad alcuni libri della Nothomb (“Igiene dell'assassino”, “Metafisica dei tubi” e “Biografia della fame”). Poco p0rn, molto disagio umano. Questi due sono dei pazzi e li amo. Non mi sento molto bene. È tutta colpa di
lady_cocca1 Vai a quella volta della vacanza a Bruxelles.
Vai a quel vento del cazzo che mi apre la faccia e mi fa crescere le stalattiti nel naso.
Il freddo mi fa schifo, ma Bruxelles è così bella che mi fa piangere.
Riavvolgi il nastro fino al momento in cui decido di infilarmi in una libreria a caso, tanto per non crepare assiderato.
C'è la presentazione di un libro sconosciuto di cui non riesco a pronunciare il titolo in nessuna delle lingue locali.
Francese. Fiammingo. Tedesco. In Belgio le lingue ufficiali sono tre.
Qualcosa di francese lo capisco. Poco.
Ritorna al momento in cui dietro una pila di libri vedo un cappello nero enorme. Grande come un fungo geneticamente modificato. Imbarazzante come un'erezione. E sotto il fungo-erezione abita la faccia tonda e bianca di questa tizia assurda.
È piccola e fa luce da quanto è pallida. Le labbra pitturate di rosso creano un contrasto tipo pugno in un occhio. Il mio primo pensiero su di lei mi suona quasi razzista.
È una specie di geisha occidentale.
Sempre che una definizione del genere abbia senso.
Realizzo che quella è l'autrice del libro sconosciuto, e che sta rispondendo in francese ad una domanda del pubblico.
In sala tutti ridono.
Rido anch'io per pura solidarietà, perché non ne capisco abbastanza di francese.
La tizia comunque ha un modo di parlare che mi piace.
E ha questi occhi insani che guardano, studiano, setacciano e smembrano ogni cosa che incontrano con quella che sembra una fame incontrollabile.
Vedi anche: bulimia visiva.
Fai un passo indietro a quando mi metto a cercare tra gli scaffali dei libri editi in inglese e noto la faccia tonda e bianca della tizia che spunta da una copertina.
Igiene dell'assassino.
Ho del tempo da perdere e sono curioso come una scimmia.
Mi siedo in un angolo e mentre la conferenza continua io leggo, faccio indigestione di pagine.
Vai alla tizia che sembra una geisha occidentale e che ho imparato che si chiama Amélie Nothomb e almeno questo, almeno il nome, mi sembra giusto saperlo pronunciare bene.
Vai a Igiene dell'assassino, che mi ha frollato il cervello e sono ancora lì a pensarci.
Vai a quando mi sono messo in fila con altri poveri stronzi in attesa di un autografo e tutti ripetono 'merci amélie merci amélie' in loop.
Mentalmente faccio le prove su cosa dire.
Alla fine decido di evitare.
Mi sa che io e il francese non andiamo tanto d'accordo.
Arriva il mio turno di avvicinarmi ad Amélie.
Vedi anche: Amélie Nothomb, scrittrice.
Vedi anche: la geisha occidentale.
Le sbatto il libro sotto il naso. Igiene dell'assassino.
Lei firma, mi fissa in silenzio, attende.
Forse aspetta che mi decida a dire o fare qualcosa, anche solo un saluto, ma io sono troppo rincoglionito per rendermene conto.
I suoi occhi pazzi fissi su di me risucchiano le luci, i suoni, gli odori e tutto quanto intorno come un buco nero.
Sottovuoto sensoriale.
Anestesia cerebrale.
Compressione spazio-temporale.
Penso che potrei amarla.
La geisha, intendo.
Spontaneamente. Senza logica. Senza scampo.
Senza altri motivi che non siano le poche cose che ho scoperto di lei nelle ultime ore.
Mi scappa di dirglielo. In inglese ovviamente. Tanto lo so, lo sento che mi capirà pure se dovessi parlarle in una lingua inventata sul momento.
Dico: “Penso che potrei amarti.”
Lei scuote la testa. Il cappello fungo-erezione oscilla appena.
“I miei lettori hanno paura di me,” dice Amélie.
“Anche i miei.” dico io.
Amélie mi restituisce il suo libro autografato e dice: “Lo so.”
Dice: “Sono una di loro.”
Mi guarda e non so se stiamo parlando ad alta voce o leggendoci nel pensiero.
Questa cosa mi terrorizza e mi esalta. Reazione “combatti o fuggi”.
Avanti veloce. Troppo veloce. Riavvolgi.
“Mi piace che ci facciamo paura a vicenda.” dice.
Vai al periodo in cui ancora non ero gay.
Vedi anche: omosessuale.
Vedi anche: frocio, culattone, checca.
Vai a prima del coming out. Prima che la consapevolezza mi scoppiasse in faccia insieme con le interiora disgustose dell'amore.
Vai a quando te ne strafotti delle etichette, sempre e comunque.
Fai scorrere a ritroso la pellicola dei cuori spezzati, delle relazioni con una data di scadenza, delle scopate epiche e di quelle insigificanti.
Fermati nel momento esatto in cui capisci che l'orientamento sessuale e quello romantico finiscono in secondo piano quando ti innamori di un dettaglio. Di una cosa impensabile. Di una minima cazzata. Di una frase su un libro. Degli occhi alieni di una geisha occidentale.
Fai retromarcia e parcheggia là dove capisci che il resto non ha importanza di fronte a tutto questo.
Siediti. Inspira. Espira.
Comincia.
Nel bagno della libreria, nel cubicolo di una toilette per signore, Amélie mi abbassa i pantaloni e me lo prende in mano.
Mi guida, mi parla, mi bacia con il corpo e con le parole.
Soprattutto con le parole.
Usa un inglese accentato, melodioso come una canzone, una ninnananna disfunzionale che potrebbe tenermi insonne in eterno.
Amélie parla di viaggi, di persone che ha conosciuto e di quelle che non conoscerà mai, e si spoglia.
Dopo un po' ho il suo rossetto sparpagliato ovunque, anche tra le sopracciglia e sui peli pubici. Non s'è salvato niente.
Tutto il suo corpo è bianco e morbido e caldo.
I seni, la pancia, le cosce che apre per me.
Il bianco beve via qualunque cosa che non sia lei ed io insieme.
Amélie parla in monologhi infiniti, come i personaggi di quel suo libro che devo aver letto ore, secoli, millenni fa.
Deframmentazione cronologica.
Colora gli spazi vuoti sull'album degli eventi e torna al presente.
Amélie non smette di raccontare e di farmisi. Su e giù, su e giù. Schiocchi umidi accompagnati dai miei gemiti che si depositano sul velluto delle sue parole. Continuo ad ascoltarla, non riesco a fare altro, mi sembra di non aver mai fatto altro.
Mi dice che ha paura di non riuscire a vivere e consumare tutte le sensazioni che può.
Mi dice che odia non poter fare a meno di amare.
Mi dice che da bambina era terrorizzata dalle carpe.
“Carpe,” dico.
“Carpe,” ripete lei.
Amélie mi racconta del Belgio, del Giappone, del Bangladesh, della Cina, dei fottuti Stati Uniti.
Mi racconta di una volta in cui stava per affogare felice. Di una volta in cui è quasi morta di freddo dispersa in una tempesta di neve sul monte Fuji.
Mi racconta di quando era troppo magra per esistere.
Mi confessa che ama sua sorella Juliette più di ogni altra cosa in questo mondo e in quelli che verranno.
Amélie mi bacia, mi scopa e spreme fuori poesia, e le mie mani mappano i nei sulla sua schiena, e le stringono i capelli neri, lisci, lunghissimi sulle spalle nude.
Amélie non smette un attimo di guardarmi, mi mangia vivo, mi culla, mi smonta pezzo per pezzo e mi ricompone su nuove sillabe.
Dammi racconti di vita come pornografia e masturbazione.
Estasi intellettuale in endovena.
Dammi resoconti autobiografici in pillole.
Spingimeli giù per la trachea e trattienimi dall'esplodere in un orgasmo mentale.
Dico, “Non smettere di parlare”.
Come se fosse un'opzione.
Amélie non smette, nemmeno quando viene.
“Penso che potrei amarti,” dice.