Ed ecco la seconda e ultima parte di questo decimo capitoletto... Ripeto: verrà un Epilogo (come regaluzzo di Natale, direi ^^), ma, beh, questa intanto è la fine. Grazie per aver letto, sono stata davvero felice di raccontarvi - siete, come dico sempre, l'unico motivo per cui ho scritto. Baci sparsi, pìpol *_*
Che cali il...
Norah Jones, “Come Away With Me”
“Su questo non si discute. Ho già firmato”. Karl sorrideva fiero, mentre Kim tentava di arrabbiarsi per qualcosa che invece, nel più profondo del cuore, l’aveva riempita di un’euforia profonda e irrefrenabile. “Ma perché? Non ce n’era alcun bisogno, io e Kylie in qualche maniera ce la saremmo cavata lo stesso...”, provò a ribattere la rossa.
“Questo lo so benissimo, ma il punto è un altro. Io non me la caverei affatto, senza di te. Senza voi due, anzi. Per cui, vendere la mia quota di Crimson Farm a James è stato il meraviglioso modo per fare felice lui, che così resta coi cavalli e le affascinanti zingarelle di passaggio, e me, che sono libero di scappare dove voglio con le mie due teste rosse preferite”, fece il giovane ridacchiando.
“E adesso, dove conti di stare? Anzi, dove andremo a stare, visto che il posto dove ci hai ospitate nelle ultime settimane ormai appartiene solo a tuo fratello e che al prefabbricato hanno messo i sigilli?”, ribatté Kim, cercando di non farsi contagiare del tutto da quel sorriso disarmante. Erano ancora di fronte alla caffetteria, lei aveva appena smontato dal turno e Karl aveva cullato Kylie nell’attesa.
“Vedi, le case sono solo gusci. Noi piccoli paguri ci spostiamo dall’una all’altra senza perdere niente di nostro. Quindi...”, iniziò Karl, tra l’ironico e il poetico. Kim lo prese in giro: “Paguro sarai tu! Vuoi dire che ci trasferiamo? Ma...”. Karl la guardò divertito, fino a pronunciare platealmente: “Tu, Kim Smart, vuoi prendere il qui presente Karl McKenzie come tuo legittimo convivente, finché Phoenix non ci separi? Un appartamentino confortevole, anche se piuttosto modesto, ci aspetta all’incrocio tra l’Undicesima e Sheridan. Che dici, accetti?”.
Attendeva la risposta con la faccia spavalda, Karl, ma aveva una morsa nello stomaco. Finché lei non gli saltò al collo, mangiandogli la faccia di baci.
***
Rischiava di far tardi. E, quella mattina, era l’ultima cosa che doveva accadere. Ma Rain si prese lo stesso qualche istante per riflettere, scrutando nelle profondità del grande specchio in corridoio mentre tentava di dare un ordine a quei capelli ribelli e nerissimi. Nelle ultime settimane aveva creduto di vivere in un sogno. Grace si era affidata a lui non come ad una zattera fortunosa trovata tra i flutti della disperazione, ma come l’isola perduta e ritrovata, la meta a lungo sognata che aveva rinunciato a cercare. Oltre alla passione fisica e mentale che li divorava come due ragazzini, fonte di una luce nuova negli occhi di entrambi, presto tra i due s’era innescato anche un meccanismo di confortevole e reciproca comprensione: lui non poteva pretendere che convivessero, perché Grace non intendeva sconvolgere o ferire suo figlio, e Rain questo era perfettamente in grado di capirlo.
Ma da Sam, rifletteva Rain, in effetti non proveniva alcuna ostilità nei suoi confronti, anzi: gli era parso d’intendere che il bambino stesso volesse riunirli entrambi sotto lo stesso tetto. Forse il piccolo cercava di ricreare una famiglia tutta intera, senza un padre che si fermasse al pub per qualche pinta di troppo prima di rincasare e trattare la moglie come una cattiva serva.
O almeno, questo era ciò che lo spirito d’osservazione e una sensibilità non comune avevano suggerito a Rain, nel leggere negli occhi di Samuel una gioia infinita quando s’erano riuniti tutti a tavola per la prima volta e in molte altre occasioni. Erano diventati più che amici, insomma, lui e il tenerissimo Sammy: giocavano insieme come un neopapà entusiasta e un bimbo fatto di argento vivo, col sole negli occhi e nelle risate.
Ma Grace continuava a non voler neanche parlare di un concreto futuro per la loro strana coppia: ogni volta che Rain affrontava un certo discorso, lei dava segni di disagio, forzandolo a cambiare argomento e a vivere come una cicala spensierata, dall’oggi al domani. Senza un domani, in effetti. Quante volte l’aveva già lasciato solo in quel letto...
Perciò, mai Rain avrebbe pensato che quei due monelli che ridacchiavano parlandosi sottovoce potessero architettare una cosa simile. Con la complicità di Neil e May, evidentemente. Il completo sobrio ed elegante che attendeva Rain nell’armadio era un regalo di quei nonnini straordinari. Grace, ignara di tutto, con addosso buona parte dei risparmi di Rain trasformati in seta e pizzo, sarebbe stata portata all’ingresso della chiesetta locale con una benda sugli occhi e la promessa di una “giornata speciale per mammina” organizzata proprio da Sam e Jewel. Rain si sarebbe inginocchiato davanti a lei, con proposta plateale e irrifiutabile - e il destino si sarebbe compiuto così, per rivoluzione dal basso, con due folletti in età scolare che avevano coartato i nonni e, pian piano, Rain stesso.
Una nuova vita iniziava quel giorno: e il giovane uomo si ripromise, sistemandosi la cravatta color portafortuna allo specchio, che avrebbe fatto qualunque cosa per dimostrarsene degno.
***
Bal e Emerald non avevano mai manifestato eccessiva preoccupazione. Con l’ottimismo incosciente e le lenti rosa dell’innamoramento puro, erano certi che il caso di Claude e della sua fidanzatina all american si sarebbe risolto in fretta e al meglio. Nell’attesa, avevano trascorso giorni chiusi nel caravan bordeaux in preda a risatine trattenute e urletti soffocati, impegnatissimi a rimettersi in pari con gli anni di sciocca distanza che li avevano tenuti separati. Volevano entrambi un bambino, e, seppure avessero accettato di rimandare le nozze al ritorno di Claude, avevano comunque allegramente deciso di portarsi avanti col lavoro, nel frattempo.
Perciò, quel giorno di luglio, quei due erano occupatissimi a fare fuochi d’artificio nel privato del lettone scuro che gli aveva fatto da nido confortevole nelle ultime settimane. Si coccolavano sorridenti, preda della più pura, paga ed egoista felicità perfetta, senza accorgersi che, con discreto baccano, Claude era tornato dall’allegra evasione portandosi dietro un carico dolcissimo coi capelli a strisce colorate. Forse l’indomani, al campo, si sarebbe celebrata una doppia cerimonia.
Aster fissò il tramonto morente. “Che dici, sorella? E’ora?”, sussurrò in direzione di Nyx, come sempre al suo fianco. Guardando incerta la grande gatta nera che la osservava silenziosa, la vecchia gitana pensò al da farsi e a quanto fatto. Moon aveva trovato qualcosa di molto simile ad un amore, in quel buco di paese sabbioso; Balthazar ed Emerald s’erano finalmente confessati il proprio. Claude, ex enfant terribile, era appena rientrato pianificando entusiasta un matrimonio tradizionale sinti nel mezzo degli States; la sua giovanissima, adorabile mogliettina gagé [non gitana, N.d.A.] forse non aveva ancora chiara in mente la dura strada del fuoricasta ora e sempre, maledizione (o benedizione?) secolare, ma sembrava splendidamente motivata a scoprirlo con le proprie forze. Jewel, infine, aveva quasi trovato una seconda casa a Tsegi, riuscendo a conquistare qualunque resistenza con la grazia di una perla rara. Ma nel paese stesso molte cose erano cambiate, Aster lo sapeva. Il vento della trasformazione aveva soffiato forte e spolverato cuori e palazzi, riportandoli alla vita. Che non si arresta mai davvero. Riposa sotto la brace, si nasconde sotto la cenere, ma cova per anni il suo fuoco, pronta a divampare nuovamente con forza e a riscaldare perfino gli animi più gelidi. Aster sorrise, mentre una stella pareva balenare veloce in quel cielo ancora aranciato.
“Sì, mri pen [sorella mia, N.d.A.]. E’ tempo di andare adesso, per me e per te. Il deserto è un luogo più fiorito di quando siamo arrivate, ma il nostro compito non è ancora terminato”, rispose infine la gatta con dolce fermezza, facendo ondeggiare la morbida coda.
THE END