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Here is... il resto ;) Grazie della pazienza!!
The Futureheads, “Carnival Kids”
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Ora della nanna! La marmocchietta rideva, allegra e stremata. Che sensazione meravigliosa, vederla sorridere così... In realtà Karl era parso molto restio a lasciarle dormire anche solo un’altra notte in quella topaia, ma Kim era stata irremovibile: fare il passo più lungo della gamba non avrebbe giovato a nessuno dei due. Era necessario che passassero qualche tempo insieme, che si conoscessero come persone normali e non come una sfigatissima ragazza madre e il suo supereroe personale. L’orgoglio di lei non avrebbe permesso niente di meno. Comunque, poco ma sicuro: tra i due era stato sicuramente lui a compiere la scelta migliore, esponendosi, rischiando. Lei aveva rinunciato al rischio due anni prima, quando vedersi riflessa in una creaturina formato bambola l’aveva portata a rivedere nettamente le sue priorità. Ma oggi ne aveva imparate di nuove...
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Accettando di farsi portare fuori per un’intera giornata con la piccola Kylie a far da mascotte, Kim aveva immaginato che il rapporto con questo strano e testardo biondo intraprendente sarebbe prevedibilmente decollato verso lidi inattesi. Ma non sapeva da quanto tempo non le fosse capitato di ridere così. Quanto alla cucciola, era praticamente andata in estasi di fronte a tutte quelle giostre e ai palloncini colorati... Che idea ridicola, il Lunapark. Che idea del cavolo. Che idea adorabile!
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L’aveva perfino baciato. Dio, che cretina. Sembrava una ragazzina alla prima cotta... Con prole, ma è un dettaglio! Un adorabile dettaglio che aveva stretto tra le braccine quell’orsacchiotto di marca con tale gioia che... Karl in qualche misura andava ricompensato. Senza strafare, s’intende. L’idea di saltargli al collo era stata difficile da trattenere, ma Kim poteva fieramente dire d’esserci riuscita... Per il momento.
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Rivide in mente la scena della gelateria, con la nanerottola che dormiva felicemente esausta nel passeggino e l’aria da coppietta collaudata che lei e Karl avevano assunto agli occhi dei passanti: s’era inevitabilmente innescato un letale qualcosa tra lei e quel mastino di ragazzo appiccicoso.
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Ma, più che sbuffare con stizza, se Kim ripensava all’incontro dolce e adolescenziale delle loro labbra le veniva da sciogliersi in burro e miele. Che razza di posto magico era quello? Le avevano mica drogato la coppa ai frutti di bosco? Rise tra sé al pensiero.
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“Fa’ che tutto questo non sia solo un sogno”, pregò. Poi si preparò ad addormentarsi serena, col nuovo peluche di Kylie tra le braccia e accanto a lei un annuncio promettente scovato sul giornale: “Cercasi Cameriera”. Cercasi seconda occasione. Cercasi un briciolino di felicità.
***
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Col cuore in gola, neanche sapesse chi era ad aver bussato, Rain scese le scale saltando i gradini a due a due e precipitandosi all’ingresso così com’era, coi soli pantaloni del pigiama e l’espressione stravolta. Spalancò la porta come se fosse stata una questione di vita o di morte, e in effetti si trovò davanti le proprie: Grace era diventata questo, per lui. La vita e la morte, l’ossessione e la rinascita, il presente doloroso e il futuro agognato. E adesso gli si era presentata a domicilio. Cos’era, uno scherzo di pessimo gusto? Non avrebbe saputo dominarsi ancora, avrebbe finito col rovinare ogni cosa...
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Rain ammutolì, osservandola arrossire davanti al suo scarso abbigliamento. Si fece da parte per farla passare senza accennare minimamente a scusarsi o a vestirsi. Nessuno dei due parlò, in effetti. Il dialogo fu tacito e per questo più sconcertante. L’uomo attese con contenuta impazienza che lei posasse sul traballante tavolino di cucina i dolcetti appetitosi che portava con sé - chissà perché, però, al momento non gli interessava affatto assaggiarne uno.
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La raggiunse alle spalle, senza sfiorarla, e la vide distintamente rabbrividire nell’attesa e nell’anticipazione, socchiudendo gli occhi. Grace voltò piano il capo. Rain le diede qualche secondo di tempo per leggere nel fondo dei propri occhi inselvatichiti e in tempesta le peggiori migliori intenzioni, in modo che, se lei avesse voluto sottrarsene, avrebbe potuto raggiungere nuovamente la porta d’uscita da quella casa e da quel cuore malato. Ma Grace sostenne lo sguardo affamato di lui. Finché poté, almeno.
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Rain fece appena in tempo a notare che lei sembrava essersi fatta ancora più bella in suo onore, smessi i completini casalinghi e abbracciata la propria voglia di vivere, che si ritrovò incollato a quelle labbra angeliche con l’urgenza di chi ha inseguito il suo zahir per secoli e ora se lo ritrova tra le mani.
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La sollevò tra le braccia, impedendosi di consumare in una fretta squallida il tesoro ardente che gli si era consegnato con amore, e si diresse verso le scale stringendo a sé il prezioso bene come per non privarsene mai più.
***
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Mentre aspettavano che l’equivoco tizio alla reception finisse di servire un cliente e consegnasse loro le chiavi di una qualsiasi delle camere del motel squallido sulla highway, Vivica e Claude avvertirono il battito cardiaco accelerare freneticamente, anche se per ragioni diverse. Lei sentiva, dopo aver raggiunto un simile punto di non ritorno, di essersi imbarcata in un’avventura dalla quale niente avrebbe potuto realmente tirarla fuori. L’ebbra felicità per il presente e il terrore per il futuro incerto danzavano in Vivi scambiandosi le maschere. Lo fissava angosciata, speranzosa, innamorata. Lui invece ricordava ossessivamente i racconti di Aster sulle tradizioni sinti che erano alla base della sua stessa storia. Una su tutte gli martellava la fronte. Non appena fosse stato solo con Vivi gliene avrebbe parlato, o la sua coscienza non avrebbe avuto pace. Com’era bella. Com’era esageratamente, perfettamente bella, pensò sentendo lo sguardo di lei su di sé e non osando ricambiarlo. Se soltanto...
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Aster era praticamente sola al campo quando quel gigante di maleducazione era arrivato sbraitando. Malcolm LaMar, forte dei suoi soldi e di poco altro, reclamava a gran voce sua figlia. “Dov’è? Dove l’avete nascosta, delinquenti?”. Emerald e Balthazar si erano allontanati poco prima in direzione della vicina chiesetta, con l’intenzione di informarsi sulla possibilità di celebrare un matrimonio in chiesa per loro che a tutti gli effetti erano aconfessionali: al municipio avrebbero preteso troppe carte, e di aspettare non se ne parlava. Moon s’era brevemente riaffacciata all’ovile per poi tornare da James, preda di un invincibile effetto-calamita. Jewel era ancora da Sammy, probabilmente alle prese con un lauto pranzetto allestito dai sensi di colpa della famiglia Donovan. Claude, infine... Non era al campo, Aster lo sentiva distintamente.
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Solo Nyx fece scudo all’anziana capofamiglia mentre quello straniero invadente prendeva a calci le loro cose, infischiandosene delle più elementari norme di rispetto e civiltà. “Non sono più qui. I ragazzi che cerca non sono qui”, lo gelò Aster. “Può anche mettere a soqquadro tutto il campo, per quel che vale, ma non speri che glielo lascerò fare senza chiamare aiuto. Si chieda piuttosto per quale motivo la situazione della sua famiglia è arrivata a questo punto”.
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Intanto, guardandosi attorno con un pizzico di disagio nella stanza numero 8 del Canyon Lodge, Vivica e Claude depositavano in terra i poveri bagagli che erano riusciti a portare con sé. “Mi dispiace da morire... Non era così che volevo finisse. Sarei rimasta al campo con te per un milione di anni”, fece Vi, con le lacrime in gola.
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“Ehi, che fai? Mi piangi adesso? Non azzardarti, eh? Per scendere più in basso di così basta scavare!”, scherzò il ragazzo sfiorandole il viso. Poi, siccome l’indifesa Vivi non accennava a smettere di singhiozzare, lui decise che quello era il momento (seppur non il luogo) più adatto per intraprendere il discorso lasciato a metà poco prima.
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Si sedette sul letto, poi se la tirò accanto con dolcezza e infinita cautela. Non poteva rischiare di rovinar tutto, non ora che aveva ricordato ogni cosa.
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“Vieni, scricciola, mettiamoci comodi, ti racconto una storia. Aster l’avrà ripetuta milioni di volte a me e alle mie sorelle...”, iniziò Claude. “Sai, noi non siamo zigani al cento per cento. Siamo un miscuglio di incroci genetici che vanno avanti da secoli. Il risultato è la faccetta adorabile che ti sta davanti!”. Una risatina nella penombra: “Ah, ecco perché sei così carino...”, mormorò Vivica a voce sufficientemente bassa da non arrossire ma abbastanza forte perché lui lo percepisse.
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Risero assieme, mentre lei si accoccolava meglio accanto al suo personalissimo eroe. “Allora chissà da quale meraviglioso Dna sei spuntata te, fatina”, fece lui, sornione. Poi, dopo averle strappato un nuovo sorriso, riprese: “Perciò ci ritroviamo anche un sacco di abitudini piuttosto... strambe, ecco, un po’ bohemien un po’ rom. Aster ha fatto ininterrottamente la spola tra il vecchio e il nuovo mondo, ma ci ha sempre insegnato le tradizioni da cui proveniamo”.
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Claude deglutì, tirandosi su a sedere. Era arrivato il momento. “Sai che da noi c’è una pratica precisa legata al fi... fidanzamento?”, balbettò.
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Vivica saltò letteralmente sul posto, voltandosi a guardarlo di scatto. Troppa grazia. Tra loro non c’era ancora stato nemmeno un bacio! “Ecco”, continuò lui, senza avere il coraggio di guardarla in viso, “in realtà quello che abbiamo fatto io e te in questi giorni è proprio il corteggiamento tipico, con tanto di fuga in gran segreto. Anche se in realtà, beh... secondo le usanze sinti e harvati, a questo punto io e te saremmo già...”, e qua Claude trattenne il respiro, imbarazzato, “...insomma, diciamo, marito e moglie. Saremmo marito e moglie. Ecco, l’ho detto. Questa è la... fuga nuziale dei giovani. Naslinppeng, si chiama. Giuro”.
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Poi si distese con aria assente, in attesa che una risata o un urlo di terrore gli segnalassero la... permanenza in vita di Vivi. E invece, il nulla. Non osava guardarla. La sentì stenderglisi accanto in religioso silenzio. Lei non aveva spiccicato parola fino a quel punto - non per terrore di quanto lui stesse cercando di dire, in realtà, ma per paura che, se l’avesse interrotto, Claude non avrebbe più proseguito. Lo guardò di sottecchi con gli occhi stellati, ubriaca di favole. “Ma mica va seguita alla lettera, ’sta storia, eh!”, corse ai ripari lui, che ancora non riusciva a guardarla in faccia per più di qualche secondo. “Addirittura, secondo alcune versioni, a questo punto io dovrei pure farti una specie di serenata... vabbè, al limite ci mettiamo a cantare Kiss of Dawn con le cuffie dell’Ipod, che ne so”, riuscì a sdrammatizzare ugualmente Claude, mentre si lasciavano andare insieme ad una risata liberatoria.
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Si abbracciarono stretti, sempre senza guardarsi, ma ormai il buonumore incosciente e le farfalle nello stomaco li avevano contagiati entrambi. “Le famiglie comprensive dovrebbero riabbracciarci, al ritorno, e organizzare un festone spaziale - anche se è più probabile che tuo padre ci spezzerà le ossa... - e il matrimonio, che sarebbe il romadinipèn, diventerebbe valido a tutti gli effetti”. Solo a quel punto Vivi, finalmente, lo interruppe. “Ma finora queste storie non ti erano mai passate manco per l’anticamera del cervello, no?”, provò ad obiettare la ragazzina, con un brivido di eccitazione lungo la spina dorsale.
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“Questo lo dici tu. Cavolo, ci penso dal momento in cui sei piombata in mezzo al campo quella notte”, disse Claude, cedendo finalmente all’impulso di inginocchiarlesi davanti.