Hola, people... Disperavate, eh? E invece sono viva e vegeta! E porto doni ;) ..due aggiornamenti freschi freschi, per il nono capitolo di questa storiuzza. Perdonate la sparizione, ma prima il lavoro e poi la.. vita, diciamo, mi hanno messa a dura prova per un bel pezzo. Sono tornata, comunque! Recupererò tutte le vostre mille novità poco a poco, siate pazienti. Intanto.. buona lettura!! ^^
The Futureheads, “Carnival Kids”
Aveva accolto la bimba scalza con lo stesso affetto che avrebbe riservato a suo figlio, Grace. Si era premurata di far trovare ai due compagni di giochi un piattone di biscotti, del succo di frutta fresco e un paio di fette di cheesecake appena sfornata. Si era scusata personalmente con Jewel (“Che nome delizioso”, pensò), solennemente affrontando il discorso con lei come avrebbe fatto con un adulto: in cambio aveva ricevuto un adorabile bacino sotto gli occhi entusiasti e fieri di Sammy.
Poi, abbandonati i noiosissimi grembiulini domestici per qualcosa di più comodo e carino che non indossava da tempo (e ricordato alle sue labbra l’uso del lucidalabbra), s’era specchiata con un misto di vergogna e soddisfazione. Non c’era stato bisogno di parole con May: le aveva semplicemente dato un bacio di saluto e un sorriso d’incoraggiamento.
Grace salutò brevemente i bambini, prese la porta e uscì con la buffa sensazione di avere la
coscienza più a posto ora che in qualsiasi altro momento della sua vita (qualcuno lo chiamerebbe karma, ma tant’è...). Sarebbe andata a piedi, ovviamente. Portava con sé un vassoio di muffin fragranti, patetico pretesto per attraversare l’isolato e bussare a una certa porta poco più in là a mo’ di ringraziamento per gli infiniti disturbi arrecati. Dopotutto, quell’uomo aveva fatto molto per la famiglia Donovan nell’arco di pochissimi giorni.
Non ammetteva neanche a sé stessa che quei batuffoli di impasto al cioccolato erano ridicoli paraventi dietro ai quali nascondeva un cuore impazzito e stanco che non le rispondeva più a dovere... e che Grace riportava al suo legittimo proprietario in un portavivande da buona vicina, tra i dolci fatti in casa. Arrivata alla fatidica soglia si detestò per un attimo, tentata dall’idea di fare dietrofront per non commettere imprudenze. Poi le parole pronunciate da sua madre May poche ore prima eruppero nella sua mente con la forza quieta di una tempesta in bottiglia, e Grace scelse di vivere, finalmente. Bussò con delicatezza codarda alla porta di casa Storm. Non arrossì. Per il momento, almeno.
***
“Buongiorno!”, fece dolcemente James in direzione della sua personalissima Bella-Addormentata-Nel-Fieno, che aveva appena schiuso gli occhi chiari. “Ehi”, sussurrò lei con voce roca, “Oh. Ops”. Gli occhi le ridevano. James non resistette e la baciò per l’ennesima volta in poche ore. “Devo assolutamente farmi una doccia, sicuramente sembro uno spaventapasseri”, scherzò Moon, tenendolo a distanza. Fece per alzarsi con nonchalance, evitando di guardarlo in viso. “Ci vediamo presto, ok?”.
A James avrebbe fatto molto meno male uno schiaffo in pieno viso, rispetto a quelle parole così noncuranti e impersonali. Boccheggiando, il ragazzo si rese conto che per lei sembrava essersi trattato al massimo d’uno sport divertente. Il ragazzo aveva temuto qualcosa del genere, all’inizio, ma l’intimità stabilitasi tra loro durante la passeggiata del pomeriggio precedente lo aveva in qualche modo rassicurato. E invece... Intanto si tormentava su come risponderle, preda del terrore di smarrirla come ci si lascerebbe sfuggire una creatura incantata sbagliando formula magica.
“Frena frena frena! Se vuoi, abbiamo un intero locale di docce, in casa. E poi è appena l’alba, probabilmente la tua carrozza è ancora felicemente occupata”, riuscì a comporre James con disinvoltura, seppellendo in sé l’angoscia di perderla all’improvviso. “Non voglio abituarmi troppo, capisci? Casa mia ha otto ruote: per lavarmi m’accontento di un catino e di uno specchio”, disse Moon con tono leggero e un vago sorriso sul volto. “E poi, non vorrei abusare oltre della tua pazienza...”, aggiunse maliziosa. “Ma scherzi?”, non poté trattenersi dal dire lui: “Magari decidessi di non andartene... mai”, sussurrò.
Moon lo osservò come si guarda da profani un capolavoro d’arte moderna, ammirandolo per puro senso del dovere senza però trovarci alcun significato. “Sei dolce”, s’intenerì lei, “ma preferisco davvero tornare subito tra le mie cose. Facciamo così: farò la doccia qui e poi me ne tornerò al campo”, concluse con l’aria di aver avuto un’idea geniale. “Non prima di aver fatto colazione con me, allora”, fu in grado di dire James, pronto: “per quando sarai uscita dal bagno, avrai uno stuolo di pancakes croccanti ad attenderti!”. Moon sorrise e lo seguì fuori, pensierosa.
Karl restò con le sue adorate capoccette rosso fuoco per l’intera giornata. Dalla piccolina era stato subito preso in simpatia: traguardo apparentemente irraggiungibile era invece vincere la diffidenza di Kim, sempre sul chi va là. Lo sguardo imbarazzato della giovanissima mamma, corsa a prepararsi in fretta e furia per l’uscita improvvisata, fu un condensato di dolcezza: a Karl parve di scorgere una timidissima bimba ferita dietro la ferocissima corazza di lei, e si morse la lingua per non dirle subito quanto fosse bella coi capelli portati così.
Con un puro colpo di genio, Karl offrì loro una giornata al luna park allestito lungo la highway, un’installazione parzialmente disastrata che si reggeva in piedi per miracolo, e passarono ore buffe e spensierate senza alcuna preoccupazione al mondo. Salirono sulla ruota panoramica, si abbuffarono di popcorn, tentarono invano di trovare divertenti gli scheletri ballerini arrugginiti che il tendone ospitava per qualche ragione ignota.
Kylie ricevette un morbidissimo peluche nuovo di zecca vinto da lui al tiro al bersaglio, ma fu Kim a schioccare un buffo bacino da bimba felice sulla guancia compiaciuta di Karl, al settimo cielo.
Quando la piccola era crollata a bordo del malandato passeggino, impegnatissima col frullato squisito di quella strana gelateria da circo, i due si erano permessi due coppe multigusto in romantica tranquillità. Non c’era stato alcun bisogno di parlare.
Mancava solo...
***
Vivica aveva aperto gli occhi con impazienza. Il suo irresistibile rapitore dormiva ancora, allungato di traverso sul letto accanto a lei e completamente perso nel mondo dei sogni con l’aria pacifica e infantile di un angioletto da poster. Erano le otto del mattino e quella stessa stanza, alla luce del giorno, le sembrava una scenografia da fiaba: fialette di pozioni (magiche?) gettate un po’ ovunque, legno azzurrato e antico a far da solide mura, pile di libri variopinti e bastoncini d’incenso a bruciare - ogni cosa le sussurrava incantesimi, quando probabilmente non era che un concentrato di tradizioni arcaiche e superstizione moderna. Dio, quant’era carino Claude... Ebbe la tentazione di baciarlo sul naso e aspettarsi una qualche reazione, ma si contenne. Accese il cellulare per puro riflesso condizionato, mentre il profilo del bell’addormentato iniziava a dare segni di risveglio.
Vivi lo osservava da un po’. Fu tentata di alzarsi, imbarazzatissima. Poi gli sorrise dolce, piacevolmente sorpresa dall’irreprensibile comportamento notturno di quello che a tutti gli effetti sembrava il classico tipo che rimorchia a tutt’andare ovunque passi. Lui sorrise di rimando, cauto, stiracchiandosi come un gatto pigro. “Dormito bene?”, chiese lei con una nota di pura tenerezza nella voce. “Beh, vicino a te è stato decisamente difficile chiudere gli occhi... ma mi hai regalato gran bei sogni, almeno”, scherzò lui. Vivica arrossì. “Principessina... sai che mi piaci davvero tanto?”, si avvicinò il ragazzo. Vivi scattò automaticamente in piedi, improvvisamente terrorizzata dalla piega che il quadretto avrebbe potuto prendere.
“Ehi! Non farei mai nulla che potesse dispiacerti”, le sussurrò Claude all’orecchio, raggiungendola, “ormai speravo che l’avessi capito. Non... non mi sono mai comportato come mi vedi ora. Ha ragione Aster...”, concluse sorridendo tra sé. “Oh, mi sento una tale cretina...”, mormorò la ragazza nascondendosi il volto tra le mani. “Chi è che ha ragione?”, fece poi, incuriosita. Ma, mentre Claude iniziava a spiegarle gli strani percorsi che avevano portato una strega e una gatta a far da madri a tre marmocchi altrui, il cellulare della moretta iniziò a trillare.
La voce di Malcolm LaMar massacrò le orecchie di sua figlia, solito elefante in cristalleria. In sottofondo si sentiva la voce di Juno che, furiosa, minacciava ritorsioni raccapriccianti. “Dove accidenti sei, piccola stupida? Credi che io non sappia con chi sei in questo momento? Dammi solo il tempo di raggiungerti e quel pezzente sparirà dalla faccia della terra!”. Pur rabbrividendo, mentre Claude disperato iniziava a realizzare l’entità del disastro che avevano combinato, la sedicenne ebbe la prontezza di ribattere gelida: “Vieni pure, vieni, ma dove? Tu non hai la più pallida idea di quanto sono lontana! Non ci troverete mai!”, e troncò bruscamente la comunicazione. I due adolescenti si fissarono, sconvolti eppure stranamente elettrizzati: dovevano lasciare il campo immediatamente.
Correte a leggere la
seconda parte!! ^^