Titolo: Scent of varnish - 6
Fandom: The Hobbit (2012)
Personaggi: Bilbo Baggins, Thorin Oakenshield, Vari ed eventuali
Rating: Pg13
Avvertimenti: Slash hints, Modern AU
Conteggio parole: 6928
Riassunto: “Bilbo Baggins, basta.” Si ferma in mezzo alla stanza, sollevando il viso al soffitto e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. “Non stai andando in guerra, è solo una fottutissima cena. Una cena. Di lavoro, non un appuntamento.” Si volta, trovando di nuovo la sua faccia riflessa nello specchio all’ingresso della casa. “Dio mi fulmini adesso se è un appuntamento.”
Note: Giuro che un giorno rileggerò tutto e beterò dove ci sarà da betare.
Questo non è il giorno.
Questo il giorno in cui voi leggete il capitolo e sperate che sia venuto decente, perché insomma, io e il vino andiamo d'accordo quanto ci va d'accordo Bilbo.
Vi amo tutte. <3
Bilbo non riesce a realizzare bene cosa sia appena accaduto.
Insomma, si aspettava di tutto, ma non questo. Non di lasciare il suo indirizzo di casa su una pagina libera a caso dell’agenda di Thorin, non di vederlo mettere in tasca e sorridere caldo.
”Ti passo a prendere alle sette. Ti prego, non mettere una di quelle tue orride magliette.”
“Non ne avevo intenzione, e fa comunque troppo freddo.”
Chiude la porta di casa alle sue spalle, rimanendo per un istante immerso nel buio, l’unica luce accesa nella casa quella della cucina, dimenticata così da diversi giorni, ormai. Sospira, poggiando la testa contro la porta e guardando il soffitto senza vederlo davvero.
Non può essere una coincidenza, non può essere nemmeno qualche stronzata di quelle che sua madre ama, il destino, Dio che prima li fa e poi li accoppia. Deve essere solo una grande presa in giro.
Enorme.
Sbuffa ripetutamente, prima di allungare la mano contro il muro e accendere la luce. Si sente terribilmente diverso, rispetto a poche ore prima - Dio santissimo, nemmeno a quindici anni si è mai sentito così, davvero. Che problema hanno i suoi ormoni?
Si da una spinta e finalmente si allontana dalla porta, dirigendosi verso la cucina con la mente così piena di pensieri da sembrargli sgombra. Apre la dispensa in cerca di qualcosa di commestibile, ma ogni volta apre e chiude la dispensa senza prendere davvero qualcosa, incapace di vedere il cibo davanti ai suoi occhi. Non che abbia proprio fame, in ogni caso.
Ordinerà una pizza.
Accende la tv e butta il telecomando sul divano, dirigendosi a passi troppo veloci verso la sua camera da letto.
Ha meno di ventiquattro ore di tempo per rendersi presentabile, cominciare a parlare allo specchio e non apparire come un povero idiota. Palesemente, è una missione fallita in partenza.
Sbuffa frustrato, scuotendo la testa con forza mentre si stringe le guance. “Non ce la farò mai.” esclama, guardandosi allo specchio come se avesse davanti una persona vera, una persona più intelligente di lui. “Cioè, seriamente. Come gli è saltato in mente di invitarmi a cena fuori?”
Si passa una mano tra i capelli, respirando con piccoli sbuffi veloci. Dovrebbe esserne contento - lo sarebbe stato sicuramente qualche settimana prima, prima di realizzare cosa stesse covando da chissà quanto, poi. “Gesù.”
Geme appena, forse per l’ennesima volta da quando ha lasciato il suo ufficio; lo ha fatto mille volte, sotto la pensilina per proteggersi dalla pioggia, in autobus, davanti alla porta di casa.
Thorin lo ha inviato a cena.
“Mi ha invitato a cena.”
Comincia a sentirsi un malato mentale. Agita una mano davanti allo specchio, mandando al diavolo se stesso e chiudendosi in bagno e aprendo l’acqua per riempire la vasca.
È solo una cena di lavoro per parlare della sua inettitudine, probabilmente. Non dovrebbe preoccuparsi di nulla; alle sette uscirà di casa e per le undici sarà già sotto le coperte.
Thorin non ha nessun interesse per lui.
E per il bene del mondo, è meglio che non ne dimostri nemmeno lui.
*
Quando la sveglia suona lui è già sveglio da ore, a lasciare i minuti iberi di lscorrere inutilmente mentre fissa il soffitto con insistenza. Lascia alla musica il tempo di esaurirsi, prima di premere il tasto per disattivare l’allarme e alzarsi dal letto con un gemito frustrato. Trascinarsi in bagno è un’impresa più difficile del solito, le sue gambe appesantite dall’idea della cena che continua a roteargli in testa a intervalli regolari - possibile che nel petto prema la stessa ansia che avvertiva prima di un esame particolarmente complicato? A sapere che sarebbe stato così teso non avrebbe accettato. Seriamente, forse si sarebbe dato dello stupido per il resto della sua vita, ma altrettanto sicuramente adesso non sentirebbe il cuore martellargli nel petto dopo aver abbandonato il letto da appena cinque minuti.
Svuota la vescica fissando le pianelle lucide del muro. Nella sua testa, intanto, si profilano gli scenari più tragici, dal vino rovesciato addosso alla camicia preferita del presidente al presidente stesso che gli ride in faccia perché ”Oddio, non puoi avere una cottarella per me. Ti prego. È imbarazzante e assolutamente ridicolo.”
Abbandona il gabinetto per riempire i palmi delle mani di acqua gelida e schiaffarli contro la faccia. Il freddo lo aiuta a razionalizzare, a riflettere senza andare nel panico.
Almeno, non nei primi cinque minuti.
In ogni caso la sua tecnica appare, almeno per quel giorno, piuttosto fallimentare. Bilbo solleva lo sguardo per incrociare i suoi occhi blu, stanchi e disperati come si immaginava. Umiliato dalla sua stessa visione, scuote la testa e abbandona il bagno con ancora in mano l’asciugamano per il viso.
Lo abbandona sulla prima sedia che trova, quella della sala da pranzo. Sguscia in cucina e apre il frigo alla ricerca di qualcosa di caldo - l’acqua e il clima rigido che avanza lo stanno palesemente invitando a bere qualcosa di caldo per confortarlo, e in fondo chi è lui per non dar retta al tempo?
Un bel bicchiere di latte caldo lo aiuterà a calmarsi, ne è certo quasi quanto è certo che sua nonna sia ancora viva. Chiude lo sportello del microonde con uno sbuffo, il primo bip che fa partire la macchina e la sua mano a grattare insistentemente la spalla.
Non ha nessuna pretesa, per quella cena. In verità gli basterebbe solo che andasse bene, non è chiedere troppo.
C’è un’idea malsana che gli frulla in testa da quando è tornato a casa, la sera prima. Spera che il latte lo faccia rinsavire, perché fare una cosa simile è sicuro corrisponda più o meno a un suicidio. Intanto ci pensano i tre bip del microonde che pretende le sue attenzioni, a distrarlo dai suoi pensieri.
Tazza di latte in una mano e scatola di biscottini al burro in un’altra, Bilbo si accomoda al tavolo e comincia a mangiare, il televisore spento, unica compagnia il rumore dei suoi denti che masticano.
No, il latte decisamente non lo sta aiutando.
Una gamba è partita per conto suo, il tallone che continua insistentemente a sbattere sul pavimento e risollevarsi, il nervoso che si sta lentamente appropriando del suo corpo. Sente che tra poco dovrà chiudersi in bagno e star piegato sul cesso per almeno mezz’ora, come succedeva durante gli esami di diritto commerciale - brutto affare, quello, non se lo dimenticherà per tutta la vita. Prima ancora che se ne renda conto è di nuovo in piedi, a camminare col viso affondato nelle mani e a gemere come se gli avessero appena strappato un arto, come se fosse nel bel mezzo di un attacco di coliche renali.
Meraviglioso.
“Bilbo Baggins, basta.” Si ferma in mezzo alla stanza, sollevando il viso al soffitto e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. “Non stai andando in guerra, è solo una fottutissima cena. Una cena. Di lavoro, non un appuntamento.” Si volta, trovando di nuovo la sua faccia riflessa nello specchio all’ingresso della casa. “Dio mi fulmini adesso se è un appuntamento.”
Rimane immobile per qualche istante ad attendere un segno dal divino. Ma nemmeno nel cielo grigio c’è segno di attività elettrica, per cui Bilbo sospira e lascia cadere le spalle, tornando a sedersi per finire la sua colazione. Butta un occhio al cellulare, giocandoci con la mano libera.
Non può farlo. Ne andrebbe della sua vita.
Mangia giù gli ultimi sorsi di latte arrendendosi al fatto che non può pensare di scegliere i vestiti da indossare senza richiedere un parere esterno. Non ha alcuna intenzione di parlarne con sua madre - vuole vestirsi dignitosamente, non sembrare un damerino -, e Frodo sa soltanto abbinare abiti di dubbio gusto per le sue serate in discoteca, niente che possa anche solo lontanamente avvicinarsi a una cena di lavoro. Non può, non può davvero farlo, ma le uniche persone a cui possa chiedere che rimangono sono loro.
Ho bisogno di una mano - B
Bilbo lascia il telefono sul tavolo, alzandosi per andare a lavare la tazza. Lo scrosciare dell’acqua lo rilassa, almeno finché l’apparecchio del demonio non vibra deciso sul tavolo. Asciuga la tazza, riponendola sul ripiano - la sistemerà dopo, quando avrà la testa libera dalla preoccupazione più stupida del mondo - e acchiappando il cellulare.
Oh Bilbo, dove vuoi, quando vuoi - K
Brutto idiota. Bilbo scuote la testa, sorridendo. A volte si chiede come sia possibile che esistano persone come Kili.
Si risponde che è meglio non saperlo.
Non fare l’idiota, sono serio. Ho un - si ferma a guardare un momento lo schermo, sentendo un groppo alla gola quando realizza che le sue dita stavano per scrivere appuntamento. Trae un sospiro e riprende a scrivere. una cena importante stasera, e non ho idea di come vestirmi.
Lascia scivolare il cellulare nella tasca del pigiama, muovendosi verso la camera da letto. Serranda sollevata e armadio aperto, comincia a valutare se può farcela da solo, ma l’idea sfuma non appena pensa che in fondo la maglia giallo limone che ha comprato quattro anni fa con sopra Spiderman non sia la scelta migliore.
La sua tasca vibra con insistenza - Bilbo immagina bene di aver appena scoperchiato il vaso di Pandora.
Cena? Con chi? Dove, perché? Non puoi chiedere di aiutarti a scegliere cosa indossare se non ci dai dettagli. Appuntamento galante? Non sapevamo fossi impegnato. Ricordati di comprare i profilattici, altrimenti ti caccerà via con una sberla. Come è successo con Fili l’ultima volta che ha fatto finta di apprezzare la figa. -K
Non si stupisce di vedersi riflesso nello specchio dell’armadio come se avesse davanti a sé un filtro rosso sangue. Le sue orecchie stanno letteralmente andando a fuoco assieme al suo viso, mentre le gambe si fanno tese come corde di violino.
Ti ho detto di non - oh, per Dio. Non ho nessunissimo appuntamento galante e soprattutto non mi servono i preservativi! Si ferma a fissare il vuoto. È una cosa sensata, dir loro cosa sta per fare? Dire che Thorin passerà a prenderlo per mangiare non si sa ancora bene dove, ma di certo non in un fastfood? È una cena di lavoro. conclude poi.
Ha idea di aver usato le parole sbagliate.
La conferma arriva mentre tiene in mano un paio di pantaloni gessati.
Lavoro? No aspetta. Che genere di lavoro? Non starai mica pensando di andartene, vero?
Sorride, scuotendo la testa, come se Kili o Fili potessero vederlo. No.
Mentre invia il messaggio, Bilbo si chiede se continueranno così ancora per molto. Non per altro, ma i soldi son quello che sono.
Probabilmente, in verità loro tre sono gemelli separati alla nascita, perché il telefono comincia a squillare, il nome di Kili che lampeggia con insistenza sul display. “Oh santissimo Signore.” Balbetta, rifiutando la chiamata.
No, non può davvero rispondere. Spera che demorda.
Ma chi vuole prendere in giro. Kili richiama ancora, e Bilbo e sicuro che può rifiutare tutte le chiamate che vuole, ma non otterrà nessun risultato. A malincuore accetta la chiamata, avvicinando timorosamente l’apparecchio all’orecchio.
“P-pronto?”
“Che accidenti vuol dire che hai una cena di lavoro?”
Lo sapeva. Lo sapeva. Il suo riflesso lo guarda giudicandolo. Riesce a leggere nei suoi occhi te lo avevo detto:
“Vuol dire quello che ho detto, niente di più.”
“No, Bilbo, niente di più un corno! Non puoi avere una cena di lavoro, non puoi averla mentre sei ancora un tirocinante, non puoi averla prima di noi!”
“Non so che dirti.” risponde semplicemente, e si aspetta che il ragazzo cominci a lamentarsi di quanto suo zio sia infinitamente ingiusto e crudele, ma le sue aspettative vengono del tutto deluse dal ridacchiare sommesso che sente oltre la cornetta. “Kili…?”
“Sono qui, sono qui, scusa. Capisci che tutto ciò è decisamente fuori dalla norma.”
“In che senso?”
“Te l’ho detto quando sei arrivato.” C’è un momento di pausa in cui Bilbo è sicuro che Kili stia sorridendo a suo fratello. “Lo zio non invita mai nessuno a cena.”
“Non so se tutto ciò sia rassicurante o no.” Dall’altra parte del telefono sente distintamente le risate dei due fratelli, e nella sua testa comincia a chiedersi se abbia fatto bene a chiedere proprio a loro. “In ogni caso, ho seriamente bisogno di sapere cosa mettermi addosso senza apparire come un idiota.”
“Oh Bilbo, non preoccuparti. In questi casi è meglio andare per qualcosa di semplice, lo zio non è un fan della formalità estrema quasi quanto non è fan dei tuoi vestiti da uomo che si crede ancora un adolescente.”
“Grazie.”
“Figurati, per un amico. Ehi cos- Fili non- lascia!”
C’è un momento in cui l’unica cosa che arriva al suo orecchio è un rumore fastidioso e non identificabile, che sfocia alla fine nella voce di un Fili decisamente divertito. “Bilbo, nero.”
“… come?”
“Metti qualcosa di nero, evita le cravatte e, Dio del Cielo, non mettere camicie sgargianti. Probabilmente andrete al suo ristorante preferito, non è nulla di particolarmente elegante per cui resta nei tuoi panni - non troppo, in effetti, ma… oh, insomma. Fai come t’ho detto e andrà tutto bene.”
Bilbo ritrae appena il viso, sorpreso, mentre con gli occhi è già impegnato con la ricerca degli abiti giusti. “Non… cosa vuol dire andrà- cosa dovrebbe andare bene?”
“Tutto, Bilbo! Vai e colpisci la base!”
Sta per replicare, il viso di nuovo di un colore oscenamente scuro, ma di nuovo sente quel rumore terribile e poi la chiamata cade, avvolgendolo nuovamente nel silenzio.
Nemmeno un minuto dopo, un messaggio. Linea caduta. Facci sapere come va - K&F
Perché ha l’impressione che si aspettino qualcosa che lui sta cercando di smettere di desiderare?
*
Bilbo è convinto di star per impazzire, e il motivo è nella sveglia sulla parete della cucina. Non è umanamente possibile che nel giro di cinque minuti sia passata più di un’ora, perché lui non può davvero aver passato un’ora a fissarsi allo specchio con addosso un paio di jeans scuri e una camicia rimasta chiusa nel cassetto per mesi. Forse il tempo lo ha perso chiedendosi se indossare o meno un maglioncino sopra, decidendo solo quando ha visto il tempo sgocciolare inesorabilmente che poco importa l’eleganza, preferisce proteggersi dal freddo.
Scappa in bagno quando mancano cinque minuti alle sette, toccandosi le guance per premurarsi che siano lisce come il sedere di un bambino, per sistemare i riccioli fuori posto e vederli inesorabilmente immutati. Prende il dopobarba e se lo schiaffa sulle guance, sperando di non avere un brutto odore, sperando di non fare brutte figure - sperando che Thorin abbia bucato e si presenti in ritardo, o non si presenti affatto.
Le sue speranze sono sempre vane.
Il campanello trilla e riempie l’aria e le sue orecchie, facendolo andare in fibrillazione. Bilbo scatta fuori dal bagno e inciampa su una sedia, riuscendo a non cadere per miracolo e aprendo la porta con il viso arrossato e un po’ d’affanno - affanno che svanisce di punto in bianco quando i suoi occhi incrociano quelli di Thorin e, oddio, respirare non è più contemplato.
“Buonasera.” sorride lui, la barba tenuta corta, i capelli legati accuratamente sopra la nuca. Bilbo lo fissa per qualche istante, incantato dal volto rilassato - sembra più giovane, così, sembra quasi raggiungibile. Scuote rapidamente la testa e si fa da parte per farlo entrare, mentre una mano si allunga sulla sedia ancora in bilico per raddrizzarla.
“Buonasera a te. Entra, prendo la giacca e sono pronto.”
Thorin annuisce, varcando la soglia di casa e restando educatamente sull’ingresso. Bilbo va a passo svelto in camera, prende la giacca e sospira, guardandosi allo specchio un’ultima volta.
Se non va tutto bene, giura che ucciderà qualcuno.
*
Bilbo passa l’intero viaggio in auto a chiudere e aprire i pugni sulle cosce e a guardare interessato un paesaggio che avrà visto almeno mille volte nella sua vita. Ogni tanto si lecca le labbra, ogni tanto annuisce alla voce suadente della speaker alla radio, ma non alza mai troppo lo sguardo, troppo spaventato all’idea di incrociare quello di Thorin.
Non andrà affatto bene.
Thorin sbuffa divertito, mentre si infila nel parcheggio del ristorante. “Spero ti piaccia mangiare italiano.”
“Credo sia la prima volta, in realtà. Se escludiamo la pizza del take away, ma ho seri dubbi che quello sia mangiare italiano.”
Entrambi ridono, e Bilbo sente un po’ di tensione scivolare ai piedi e spandersi sul tappetino dell’automobile. Quando l’auto si ferma si lecca le labbra e finalmente, con un po’ di coraggio, riesce a guardare Thorin negli occhi e sorridergli.
“No, decisamente no. Si mangia bene qui, sono sicuro apprezzerai.”
La macchina si ferma silenziosamente, e entrambi slacciano la cintura nello stesso momento. Bilbo è felice di poter respirare di nuovo aria fresca - c’è l’odore leggero di salsedine in mezzo a quello di smog, attutito dal freddo.
Thorin chiude la macchina e si muove verso l’ingresso del ristorante, l’insegna PREGO che brilla nel buio, indicando a Bilbo di seguirlo con un cenno della testa. Il ragazzo cerca di trattenersi il più possibile dall’infilare le mani in tasca e martoriarsi i palmi delle mani con le unghie e ci riesce, finché non deve abbandonare la giacca sull’appendiabiti e non ha più nascondigli validi. Si guarda attorno, dedicandosi al locale, analizzando l’arredamento mentre sistema la borsa sotto il tavolo.
“Anche questi mobili sono opera vostra?”
Thorin gli si siede di fronte. “No, no. Sto spesso lontano dai posti che arredo. Sai, scaramanzia.”
Bilbo è affascinato da come Thorin saluti con un cenno della testa i dipendenti, come se fosse di casa. “Vieni qui spesso?”
“Abbastanza. Mi piace la cucina italiana, è sicuramente più sano dei fastfood.”
“Non lo metto assolutamente in dubbio.”
Thorin gli allunga il menù, senza smettere di guardarlo negli occhi - oddio, non mangerà nulla, ne è sicuro. “Prendi pure quello che vuoi, non farti problemi.”
“Oh, me ne faccio eccome, il mio portafoglio non è gonfio come il suo, sa, non vengo pagat-“
“Offro io.”
Deve aver capito male. Per forza. “Cosa? No!”
“Oh, sì invece.” batte il menù contro il tavolo, e lo sguardo nei suoi occhi è così serio e così bello che sente il suo stomaco contorcersi. “Ed è un ordine, Baggins. Quindi, adesso scegli e fai il bravo.”
Bilbo stringe le labbra, sollevando le sopracciglia. “Siamo tornati al cognome?”
“Funziona meglio, quando devo dare degli ordini.”
Oh. Santo. Dio.
Non uscirà vivo da quel posto, ne è sicuro. Si lecca le labbra in un gesto del tutto involontario, prendendo il menù e abbassando lo sguardo. “Potrei farle spendere più di quanto può permettersi, signor Presidente. Lei non ha alcuna conoscenza sulla profondità del mio stomaco.”
“Oh, non è un problema.”
Sa che intende non è un problema spendere soldi; peccato che lui lo interpreti in modi totalmente sbagliati. Ogni tanto dovrebbe mordersi la lingua prima di parlare, sua madre glielo dice sempre. Scorre le pagine giusto per rendersi conto di quanta roba gli provocherà il mal di testa prima che possa decidere cosa mangiare, mordicchiandosi il labbro mentre si sforza di capire cosa ci sia nei piatti soltanto leggendo il nome italiano, e fallendo miseramente.
“Sei teso?”
Bilbo alza la testa di scatto. Lo sguardo di Thorin è mutato radicalmente, rispetto a pochi istanti prima. Stringe gli occhi, chinando appena la testa di lato. “Ti sembro teso?”
“Un po’. Niente che un bicchiere di vino non possa calmare, comunque.”
“Non sono teso.”
Non gli dà nemmeno il tempo di replicare. Si limita a riabbassare lo sguardo sul menù. “… sicuro che…?”
Thorin annuisce, intuendo la domanda. Il problema è che se potesse prenderebbe tutto. Non ha mai assaggiato nulla di quello che vede scritto, ma sembra tutto delizioso.
Passa almeno un quarto d’ora, prima che Bilbo si decida a prendere un piatto di spaghetti alla bolognese e una porzione di vitello tonnato e ignori totalmente quello che ha presto il suo capo. Per un momento si perde a giocare con la carta, almeno finché la cameriera non gliela sfila dalle mani con un sorriso gentile.
Stronza.
Non passa troppo tempo, comunque, prima che qualcosa di nuovo colga la sua attenzione. Una bottiglia nera e lunga, con un’etichetta bianca e anonima a coprire metà facciata. Ci allunga le mani e se la rigira - è piacevolmente fresca, al contatto. “Peppoli.” legge, alzando un sopracciglio. Non che ci capisca molto di vini.
“È un vino toscano. Dicono sia una bella regione d’Italia, quella. Covo di cultura.”
Thorin sfila la bottiglia dalle mani di Bilbo, sfiorandolo appena. Se fosse un’adolescente al primo amore, ora Bilbo starebbe mugolando mentre la sua testa si affollerebbe di pensieri insensati e ad alto tasso di zucchero.
Non mugola, non sente il cervello produrre pensieri stupidi, no. Sente solo il cuore perdere un battito per strada - ordinaria amministrazione, ormai.
“Un po’ irraggiungibile, almeno per il momento.”
“Quando avrai uno stipendio, prendi l’idea in considerazione, allora.”
“Lo farò.”
Thorin gli sorride mentre stappa la bottiglia e lascia uscire i fumi alcolici, versandosi poi un bicchiere e riempiendo anche quello di Bilbo. “Fino a quel momento, in ogni caso, sarai obbligato a lavorare per questo brutto muso.”
“Oh, non-“ Non hai assolutamente un brutto muso. Anzi. Probabilmente hai il muso più bello che io abbia mai visto, e non hai semplicemente idea di quanto io desideri stringerti il viso, sentire la barba pungermi le mani e sentire la tua lingua che frega contro la mia, e il tuo respiro caldo addosso e- “non hai assolutamente un brutto muso.”
Non lo ha davvero pensato. Spera di non averlo detto. È un po’ strano quando il cervello va per conto suo mentre parla, di solito non porta mai a nulla di buono. Ma Thorin sorride affabile, alimentando la sua voglia di fare quello che ha appena pensato ma palesemente non ha detto, e può trarre un sospiro di sollievo.
“Non preoccuparti, Bilbo. Puoi dirmi la verità, non ti lascerò pagare il conto.”
“Ma sono più che serio.”
Sottolinea il concetto annuendo vistosamente. Strappare l’ennesimo sorriso a Thorin è una vittoria personale - potrebbe quasi piacergli. L’uomo davanti a lui prende il bicchiere tra le dita e fa arieggiare il vino, accennando poi a Bilbo.
“Brindiamo, allora.”
Bilbo prende il bicchiere, lo guarda incuriosito, e poi lo alza verso Thorin. “A cosa? Al tuo non brutto muso?”
“Al mio non brutto muso.”
I bicchieri tintinnano, prima che entrambi li portino alla bocca. Bilbo sente le bollicine frizzare sulla sua lingua, la bibita fresca che scivola rapidamente giù per l’esofago. È un secolo che non beve qualcosa di così alcolico, sente appena la gola pizzicare, ma non se ne preoccupa - più che altro non ne ha il tempo, perché il cameriere arriva con le mani occupate per poggiare il suo piatto di spaghetti e quello di lasagne di Thorin.
“Il tuo sembra più consistente. Forse ho sbagliato piatto.”
“Una cosa alla volta. Ti rifarai la prossima volta.”
Come se ci sarà, poi, una prossima volta. Considerando i prezzi sulla carta, non metterà piede lì dentro tanto presto - sicuramente non da solo. Inforca qualche spaghetto e lo porta alla bocca, mugugnando deliziato.
“Mh, è buonissimo.”
“Oh, lo so. Vengo qui da anni, ormai. I padroni erano amici di mio padre, i loro nonni di mio nonno. Sono di famiglia, qui. Penso si sentano obbligati a portarmi sempre buoni piatti.”
“Magari sono semplicemente bravi.”
Bilbo alza lo sguardo lentamente, trovando Thorin troppo concentrato sulla sua lasagna per dedicargli attenzione. Spera profondamente che nominare suo padre non gli rovini la giornata, non ha idea di come funzionino queste cose, di come si affrontino. Potranno anche essere passati anni, ma la perdita di una persona cara sicuramente non è qualcosa che passa rapidamente come acqua sotto i ponti.
Manda giù un altro boccone di pasta e diversi sorsi di vino, quando Thorin gli chiede d parlargli della sua famiglia.
“Non c’è molto di interessante da dire. Abbiamo sempre vissuto a Hamilton, ed eravamo una famiglia numerosa finché i miei cugini non hanno deciso di trasferirsi in Europa. Io sono figlio unico, mamma non lavora, papà fa il giardiniere, anche se ogni tanto si mette a giocare con l’impianto elettrico della casa. Siamo piuttosto ordinari. Noiosi, forse. Di certo non ci succede mai nulla di interessante. Questa pasta comunque è deliziosa.”
Thorin annuisce, e lo guarda coi suoi occhi meravigliosi. Brillano. È felice di essere lì? Perché lui è davvero contento, invece.
Oddio, il calore che si sta spandendo sul suo addome sembra qualcosa di insopportabile. Anche vedere Thorin che finisce il suo secondo bicchiere di vino è insopportabile. Per fortuna si riempie di nuovo il bicchiere, e lo riempie anche a lui.
Gli piace vederlo bere.
“Come mai non sei andato anche tu in Europa?”
“Se escludiamo la crisi come motivo principale - la loro, mica la nostra, ormai ai telegiornali non si parla d’altro - a me piace stare qua. E Auckland è abbastanza lontana da Hamilton per riuscire a trovare i miei spazi e abbastanza vicina da potermi permettere di tornare a casa se ne sento la mancanza.” Abbassa lo sguardo, sorridendo appena, pensando a sua madre a casa che lo crederà probabilmente in qualche discoteca a ballare fino alle cinque del mattino. “Ho un cugino qua, con cui ogni tanto esco. Ma ha la sua cerchia di amici, e io comincio a sentirmi troppo grande per uscire con un diciannovenne.”
“Posso capire.”
Bilbo sente le orecchie arrossarsi, e il calore nel ventre espandersi ancora di più. Può capire perché nella sua vita privata ha un caso simile al suo o può capire perché lui è il signor Oakenshield, presidente della Oakenshield and company che ha sulle spalle quasi quarant’anni ma ne dimostra decisamente di meno?
“E comunque, Auckland è un bel posto.” dichiara, mentre il cameriere arriva per prendere i piatti sporchi e sostituirli dopo pochi minuti con i secondi. Ha perso il conto dei sorsi di vino, ma non importa. “Auckland è davvero un bel posto,” ripete. “Non c’è troppo fracasso, si sta tranquilli, ci sono belle persone. Non mi sono mai trovato male con nessuno da quando mi sono trasferito. Cioè, sì, più o meno. E lei- tu, hai sempre vissuto qui?”
Sente la gola raschiare. Forse si sta ammalando? Nel dubbio manda giù un altro sorso.
“La mia famiglia non si sposta da Auckland da due generazioni, ormai. Siamo anche noi una famiglia numerosa, ma con molti il rapporto si è sfaldato. I capi reparto dell’azienda, loro sono la mia famiglia più stretta. Non abbiamo legami di sangue, solo di fratellanza. A parte Kili e Fili, loro sono figli di mia sorella.”
“Oh, Fili e Kili, sì. Non erano molto felici di questa cena. Credo. Non so, sono piuttosto ambigui.” Bilbo si tocca diverse volte la punta del naso, prima di riprendere a parlare. “In verità dicono che tu non porti mai nessuno a cena fuori.”
Thorin ride, scuotendo la testa mentre taglia il suo pesce - Bilbo non è sicuro di sapere cosa sia, ma in fondo non gli interessa granché, quando ha qualcosa di più bello a cui dedicare la sua attenzione. “No, si sbagliano. Non è che io non porti nessuno a cena fuori. Semplicemente, non porto loro.”
“Oh, a loro non piacerà saperlo.”
Il vitello tonnato è qualcosa di mistico. È carne che sa di pesce. Non capisce quali siano i meccanismi astrali dietro quella che palesemente è stregoneria. Si sente sudare. Non può essere colpa del vitello tonnato, e non sapendo a chi dare la colpa - darla a Thorin sarebbe un terribile, terribile cliché - si sbottona il primo bottone della camicia, sperando porti un po’ di sollievo. “Caldo.”
“Mh?” Thorin smette di mangiare, guardandolo per un istante. “Stai bene, Bilbo?”
“Oh sì, sì. Solo, fa caldo. Fa davvero caldo.”
Thorin lo sta guardando così intensamente che Bilbo si sente obbligato ad abbassare lo sguardo. Si passa una mano sul collo, sentendolo appena umido. La sua pelle scotta, e si chiede se le mani di Thorin siano fredde come la bottiglia che ha toccato nemmeno mezz’ora fa, perché gli piacerebbe averle addosso, adesso.
Oddio, no.
Si lecca le labbra, quando riesce a mandare giù l’ultimo boccone di vitello. “No, seriamente.” esordisce poi. “Solo io ho caldo? È insopportabile.”
Thorin si guarda attorno e poi alza le spalle. “Io sto bene.” Si avvicina, abbassando la voce, Bilbo che si piega verso di lui per sentirlo meglio. “Tu sei sicuro di star bene?”
“Mai stato meglio. Credo. Non so, c’è qualcosa che non mi quadra, davvero, ma forse è solo il caldo. Mi pare di stare ai Tropici. Non che ci sia mai stato, non mi interessa nemmeno, ma se ai Tropici fa caldo quello è il caldo che sentirei io se fossi lì.”
Annuisce, mordendosi il labbro. Pensa che un bicchiere di vino lo rinfrescherà, ma quando allunga la mano verso la bottiglia la mano di Thorin si avvolge attorno al suo polso e - Dio - è così fresca che potrebbe attaccarsi a lei per sempre.
“Bilbo.” No, non parlare con quella voce. Mi fai girare la testa. “Bilbo, quanti bicchieri di vino hai bevuto?”
Stringe gli occhi, cercando di ricordarsene, ma la testa gira, e stavolta non per il suo nome pronunciato dalle labbra del presidente. “Non… non mi ricordo, forse tre.” Alza gli occhi per incontrare quelli di Thorin. Lo vede corrucciato, e gli dispiace. “Ho… fatto qualcosa di sbagliato?”
Non riesce a smettere di umettarsi le labbra. E più guarda Thorin negli occhi e più gli vien voglia di continuare a farlo. Riesce a cogliere quel leggero movimento degli occhi quando la sua lingua scivola fuori, anche se dura per pochi secondi. “No, Bilbo. Ma forse è meglio se smetti, per ora. Vuoi che ti porti a casa?”
“Provaci e ti ammazzo.” Thorin lo guarda sorpreso. Oddio. “Oddio. Scusa. Volevo dire no. Cioè. Voglio… non voglio tornare a casa.”
Vorrebbe mordersi la lingua con forza per impedire di parlare, perché sente che sta lentamente perdendo il controllo delle sue facoltà mentali. Si slaccia un altro bottone della camicia, allargando la stoffa con la mano e lasciando il collo in esposizione, pronto a ricevere quel minimo di fresco presente nella stanza.
Voglio stare con te. Voglio che mi porti a casa tua e mi fai vedere la tua camera da letto.
Si mette la mano in bocca di colpo, come se avesse detto qualcosa di sbagliato, di impronunciabile. Guarda Thorin con gli occhi sgranati, e l’altro abbassa un sopracciglio, perplesso. “Dimmi che non ho parlato.”
“Non hai parlato, Bilbo. Ma penso che tu abbia bisogno di un po’ di aria fresca, per cui ora stai buono qui, io vado a pagare e poi facciamo un bel giro, d’accordo?”
Annuire è la cosa più intelligente che ha fatto da quando ha cominciato a bere. Osserva Thorin mettersi in piedi e allontanarsi dal tavolo, non prima di avergli dato una pacca rassicurante sulla spalla. Lo segue finché non arriva alla cassa, e cerca di non perdersi un briciolo del suo viso, della voce che arriva frammentaria alle orecchie.
Prende un altro sorso di vino perché sente la gola troppo secca, ma si premura di poggiare il bicchiere prima che il suo superiore torni. Si premura di mettere su la sua faccia migliore quando Thorin torna e gli allunga la mano per invitarlo ad alzarsi. “Ce la fai?”
“Sto bene, Thorin tranquillo.”
Stringe la mano di Thorin e si solleva dalla sedia, ma un giramento di testa rende l’operazione più difficile di quanto sembri. Sente le dita di Thorin stringersi attorno alla sua vita, lo sguardo bruciante sulla sua fronte. “Scusa.” Bofonchia, ridacchiando. Un passo alla volta, camminano tra i tavoli, Bilbo che continua a sentire la testa girare come una trottola.
Per fortuna non è solo. In fondo si sente felice di poter approfittare della sua gentilezza. Non è sicuro che la vedrà più, poi, ma in fondo che importa?
In ogni caso, non avrebbe potuto avere di meglio.
“Avrei dovuto chiederti se reggevi l’alcool.”
“Sto beneeee.” sbotta, trascinando le vocali e concludendo ogni frase con una risatina isterica.
La ventata di aria fresca che gli accarezza il viso, una volta fuori, è una benedizione. Respira a pieni polmoni, sentendo la leggera patina di sudore raffreddarsi sul collo e le mani di Thorin stringersi sui suoi fianchi. Sarebbe bello se adesso lo baciasse - sarebbe bello anche se lo sgridasse, in realtà, perché il nodo allo stomaco che ha sentito minuti prima gli è piaciuto e vorrebbe davvero sentirlo ancora una volta.
“Grazie.”
Si avvicinano all’auto, Thorin poggiato sulla portiera, Bilbo che fa di tutto per restare in equilibrio davanti a lui. Il ragazzo sente la mano grande e fresca dell’altro poggiarsi sulla sua fronte, scostargli i capelli dagli occhi. Non riesce a trattenersi dall’emettere un sospiro di sollievo.
“Va meglio?”
La mano di Thorin scivola lungo la guancia, fermandosi per un istante prima di scendere ad avvolgere il collo. La testa di Bilbo si tende come quella di un gatto, la lingua che passa tra le labbra, un altro sospiro che scappa dalla sua bocca. Annuisce, tenendo gli occhi chiusi per godersi il momento. Buon Dio, se avesse saputo che bastava così poco per sentire le sue mani addosso…
Si sente vuoto, quando Thorin si sposta per aprirgli la portiera. “Sali, un po’ d’aria ti farà bene.”
Obbedisce, prendendo posto mentre Thorin si sposta dall’altra parte. Poggia la testa sul sedile e comincia a ridacchiare, le mani premute sul viso.
“Mh?”
“Sono un idiota, vero?” sbotta, spostando una mano e guardando l’altro con un sorriso contratto.
“Un po’. Ma non preoccuparti, domani avrai la tua giusta punizione.” Gli stringe una coscia, e Bilbo sente una scarica risalire fino al basso ventre. Oh buon Dio, è tutto amplificato. Le sensazioni, la voglia, la secchezza continua sulle labbra… Se Thorin smettesse di parlare, non sentirebbe più niente, si sentirebbe svuotato di qualunque cosa. Lo guarda, mordendosi il labbro mentre ogni parte del suo corpo prende fuoco. Deve cercare di controllare il suo respiro, e sa che l’unico modo per farlo è smettere di fissarlo.
Per fortuna è Thorin il primo a interrompere il contatto visivo. Infila le chiavi e mette in moto l’auto, abbassando i finestrini e permettendo a Bilbo di gemere di piacere contro la portiera.
“Non portarmi a casa.” Mormora contro il metallo, tenendo gli occhi chiusi. Lo sguardo di Thorin pizzica sulla sua nuca, ma non può voltarsi a guardarlo, non può davvero.
“Non preoccuparti.”
“Non voglio chiamare mamma e dirle che mi sono ubriacato a una cena con te. Poi si lamenterà che non mi ha insegnato niente. E non voglio nemmeno andare a letto, è brutto andare a letto dopo -“ Si morde il labbro con forza, sospirando forte. “È brutto andare a letto e basta.”
Non si rende nemmeno conto di star gesticolando; se ne accorge solo quando apre gli occhi e si ritrova davanti la baia, il mare buio e nero e denso come cioccolata fondente. “Ho capito. Ti vergogni di me e vuoi buttarmi in mare.”
Thorin ride, scuotendo la testa. “Non essere ridicolo.”
È bello, Thorin che ride. È bello anche quando non lo fa, ma quando ride lo è di più.
Dio, sta straparlando. Lo ucciderà davvero, alla fine.
Non che gli importi. Gli va bene anche quello. Si china in avanti e si tiene la testa tra le mani, ridendo appena più forte. La testa ha ripreso a girare come una trottola, le vampate di calore non si quietano, anzi. Più va avanti e peggio diventa. “Anche a te gira il mondo? No perché se lo fa forse dovresti smettere di guidare, non voglio fare il bagno dopo mangiato, non è bene.”
“No, Bilbo, non gira. Ma se preferisci, posso fermarmi finché non smette, mh?”
“Buona idea.”
Thorin trova parcheggio davanti al mare. Si muove, ma quello è normale. Forse non dovrebbe muoversi così troppo, ma questo è un dettaglio che può trascurare. Guarda Thorin e lo vede rilassato contro il sedile, e lui lo imita perché pensa che sia una buona idea.
“Ti do noia?”
“No. Quante volte devo ripeterti di stare tranquillo?”
Di nuovo. Di nuovo la mano sul collo, di nuovo quella voglia di mugolare di piacere che si arrotola nella pancia. Fa uno sforzo davvero grande per limitarsi a sospirare, limitandosi a godere del contatto. “Va meglio così?”
“Molto meglio. Però forse dovrei tornare a casa. Non che voglia ma poi magari mi viene da vomitare e io non voglio che tu mi veda vomitare, no, no.” Gli occhi si chiudono lenti, mentre la mano di Thorin preme sul suo collo, scorre sulla pelle calda. Bilbo pensa che dovrebbe obbligarlo a portarlo a casa, perché tra poco si ridurrà a un brodo, e già sente le mani prudere per toccarlo, ma non può, non può davvero.
E poi riapre gli occhi, e il respiro si ferma. “Merda.”
Thorin ritira la mano, le sopracciglia contratte in un’espressione dubbiosa. “Cosa?”
“La borsa. Ho lasciato la borsa al ristorante. Sono un idiota. Perché sono un idiota vero?”
Comincia a ridere con forza, scuotendo la testa, prima di stringersi lo stomaco e aprire la portiera, un conato di vomito che gli scuote l’esofago e lo obbliga a piegarsi sull’asfalto. E dire che non aveva nemmeno la nausea.
È ridicolo che pensi più alla mano contro la sua schiena che al vitello tonnato che torna a visitare la sua bocca semidecomposto.
Annaspa, mentre sputa per pulirsi la bocca e si rimette sul sedile. “Oddio. Che imbarazzo.”
“Sei così imbarazzante che ti lascerei qui.” sorride, allungandosi per richiudere la portiera. “Ti porto a casa, mh?”
Bilbo annuisce, riprendendo fiato, senza nemmeno rendersi conto di quello che Thorin gli ha appena detto.
È quando vede una strada diversa dalla sua, decisamente poco familiare, che il cuore di Bilbo comincia a battere forte e la sua testa comincia a fare viaggi mentali troppo lontani dal reale.
Casa di Thorin.
Oddio.
“Thorin…”
Thorin accosta, spegnendo il veicolo davanti a un cancello verde scuro e togliendosi la cintura. “Siamo arrivati.”
Bilbo annuisce, aprendo la porta senza osare mettere piede fuori dall’abitacolo senza che il suo capo venga ad aiutarlo. “Aggrappati.” sente al suo orecchio, e Bilbo obbedisce, silenzioso, avvolgendo le braccia attorno alle sue spalle e facendosi trascinare su.
Di quello che succede dopo ricorda ben poco.
*
La prima cosa che realizza quando riapre gli occhi è la pulsazione terribile alla testa. La seconda, il sapore terribile sulla lingua, che gli fa strizzare gli occhi dal disgusto.
La terza cosa, quella, ci mette un po’ a realizzarla. La stanza è illuminata flebilmente, la serranda sollevata per un terzo che fa filtrare le prime luci del mattino. Il peso sopra le sue spalle è dolce, caldo, confortevole. Se non sentisse la necessità di andare a lavarsi i denti rimarrebbe lì tutto il giorno. La mano accarezza la coperta di mollettone, tiepida del suo corpo. Lui apre e chiude gli occhi cercando di abituarsi alla luce, lieto che non sia forte, lieto che fuori ci siano, probabilmente, troppe nuvole a filtrare i raggi del sole. C’è l’alone di qualcosa di fresco sulla sua fronte, gli ricorda tanto i baci che gli dava sua madre prima di andare a dormire.
Si rende conto, lentamente, che c’è qualcosa di sbagliato, nella sua stanza.
Lui non ha mai avuto una trapunta blu. E la sua finestra è a destra del letto, e questa è tutto fuorché a destra.
Sente il cuore battergli velocemente nel petto, mentre comincia a ricordare sprazzi della sera prima. Oddio.
“Oddio santissimo.”
Si mette seduto di colpo, gemendo di dolore mentre una fitta gli taglia in due la testa.
Non è camera sua. Per forza, quella non è nemmeno casa sua. È casa di Thorin. Oddio.
Non ricorda assolutamente di essere entrato nella casa. Ricorda soltanto le sue mani sul collo, sulla schiena e, Dio, come diavolo c’è finito nel suo letto?
Si tocca il petto, assicurandosi di avere i vestiti addosso. Il maglioncino non c’è più, e qualche bottone è slacciato, ma è sicuro di averli slacciati lui, quelli, per cui non può essere stato Thorin. Batte le mani sulle cosce, sentendo il rassicurante rumore della stoffa dei jeans che sfrega contro le sue mani.
Sospira, sentendosi più tranquillo. Se ha ancora i vestiti addosso forse non ha fatto nulla di compromettente. Deglutisce all’idea di alzarsi, ma ha bisogno di vedere Thorin e, possibilmente, di farsi riportare a casa. Con le gambe ancora molli cerca di alzarsi in piedi, tenendosi la testa con una mano mentre con l’altra cerca l’appoggio del muro.
La casa è immersa nel silenzio. Bilbo si guarda attorno, affascinato. È una casa grande, appena alla sua destra c’è una rampa di scale - spera di non doverla fare per trovare il suo superiore, perché non è sicuro che arriverebbe vivo. Cammina a passi lenti, fino a raggiungere quella che sembra il salotto.
Sorride, vedendo i piedi di Thorin sbucare dal bracciolo del divano. Gli si avvicina, girando attorno all’armadio e lasciando alle sue gambe la possibilità di cedere lì, vicino al suo viso. Gli sistema il plaid sulle spalle, mentre si lecca le labbra guardando il suo viso.
Si sente così stupido.
Se non avesse quel sapore orrendo in bocca, se fosse una situazione diversa - se fosse ancora ubriaco - probabilmente si allungherebbe sul suo viso per sentire meglio il suo odore, quel velo di vernice che ormai sembra essere onnipresente, si allungherebbe sulle sue labbra per sentire se c’è ancora il sapore dei suoi caffè. Sospira, passandosi una mano sulla bocca.
Comincia a convincersi che la sua non sia solo una cotta.
Si abbraccia la pancia, appoggiando la testa sul divano e fissando il vuoto. Thorin si farà delle domande, se lo trova lì, ma non importa perché è convinto, in ogni caso, di non potersi nascondere ancora per molto.
“Bilbo..?”
Il ragazzo sussulta, raddrizzandosi immediatamente e imprecando per l’ennesima fitta alla testa. “Oh, cazzo. Scusa. Non volevo svegliarti.”
Thorin scuote la testa. “Non preoccuparti. Come stai?”
“Penso che tra poco mi si aprirà la testa in due. E ho un sapore di merda in bocca. Ma immagino di essermelo meritato.”
“Immagini bene.” Bilbo osserva Thorin mettersi seduto e battere una mano sul posto libero accanto al suo. “Siediti, ti preparo una tazza di tè.”
Bilbo si tira su a fatica, sospirando di sollievo quando sente il calore del corpo di Thorin impresso sul divano avvolgergli le cosce e la schiena. Prende la coperta e se la mette addosso, cercando di non far notare troppo quanto sia felice di sentire il suo profumo, flebile ma presente.
In fondo non è andata così male. Se lo può tenere stretto, finché non avrà qualcosa di più.
Ammesso che lo otterrà, prima o poi.