Titolo: Scent of Varnish - 3
Fandom: The Hobbit (2012)
Personaggi: Bilbo Baggins, Thorin Oakenshield, altra gente bella e brutta.
Rating: PG13
Avvertimenti: Modern Au
Conteggio parole: 4594
Riassunto: “Non avete nulla da fare, voi due?”
“Quello che hai da fare tu.”
“Assolutamente niente.”
Fili e Kili si scambiano un’occhiata divertita sopra la sua testa - li odia per essere così alti, lui che a fatica raggiunge il metro e settanta (a malapena e con l’aiuto della suola delle scarpe). Bilbo sbuffa sonoramente, scuotendo la testa arreso.
“Non mi tormenterete per tutta la giornata, vero?”
La mano di Kili è così pesante sui suoi riccioli ramati che Bilbo teme di perdere qualche centimetro. “Noi non ti tormenteremmo mai, Bilbo, zio Thorin è una croce abbastanza pesante da solo.”
Note: Okay, ci ho messo meno tempo del previsto, per sto capitolo, considerando che l'altro l'ho postato venerdì, poi. O_O' E devo dire la verità, VOGLIO BENE A QUESTO CAPITOLO.
Thorin sarà anche una trave in culo, ma mi sa che ha trovato pane per i suoi denti. E quindi niente. Buona lettura, lasciate un commento che apprezziate o meno e ci vediamo al prossimo giro! <3
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Ti ricordi il completo tremendo che avevi il primo giorno di lavoro? Bene, mettilo per domani. - K
Ci mette un po’ di tempo, Bilbo, prima di capire chi diavolo sia la K che gli manda sms all’una del mattino. Sbadiglia sfregandosi gli occhi, avvolto dal torpore piacevole di un sonno che è riuscito a prendere a malapena un’ora prima, prima di rileggere il messaggio e collegare i puntini. Domani - oggi, ormai - è sabato. Sabato uguale esposizione.
“Kili, Cristo.” geme contro il cuscino, lanciando il cellulare tra le coperte e tornando a dormire. Riuscire a dormire di nuovo adesso sarà un’incognita.
Domani lo ucciderà.
*
Si liscia la camicia con le mani mentre si guarda allo specchio chiedendosi se, alla fine, abbia fatto bene a seguire il consiglio di Kili. Avrebbe messo una cravatta, ma la paura di essere chiamato nuovamente damerino da Dwalin ha vinto sulla sua voglia di apparire come una persona dignitosa, e alla fine si accontenterà solo di indossare il completo, e che tanto basti anche agli altri.
Sua madre si commuoverebbe, a vederlo conciato così.
Esce di casa con un toast tra i denti, avvolgendo meglio la sciarpa attorno al collo mentre sopra la sua testa soffia un vento decisamente troppo fresco per i suoi gusti. È felice che, comunque, il sole stia sorgendo splendido davanti a sé, perché significa che chiunque verrà all’esposizione vedrà quella meraviglia di luci e colori di cui è stato testimone in questi giorni.
Porterà sicuramente a qualcosa di buono. Qualunque concezione di buono abbiano in quell’azienda.
Passa i restanti dieci minuti di tragitto con le mani in tasca, senza pensare a nulla. Ha bisogno di tutte le sue forze per affrontare la giornata - sarà lunga, ne è più che certo.
*
L’odore delizioso di dolci colpisce il suo naso con una delicatezza inaspettata. Si guarda attorno, mentre entra nell’edificio, per trovare Bifur e Bofur intenti a sistemare le ultime cose, chi spazza per terra, chi sposta un mobile perché la luce vi cada meglio sopra. Quando lo vedono, entrambi lo salutano con la mano, Bofur che gli fa cenno di avvicinarsi con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto.
“Ehi Bilbo, vieni a darci una mano!”e Bilbo non se lo fa ripetere due volte, appendendo il giaccone all’appendiabiti e raggiungendoli. Dare una mano è poi un eufemismo, visto che le sue braccia molli e deboli non possono certo spostare mobili così pesanti come fossero piume. Ma gli fa piacere, fare qualcosa, per cui quel che può lo fa più che volentieri.
C’è ancora un’ora di tempo prima che la mostra apra al pubblico, e in quell’ora parte dei dipendenti si riversa dentro la sala, Kili e Fili che gli vanno incontro, scompigliandogli i capelli e togliendo loro quel poco di dignità che era riuscito a dargli.
“Come sei bello, Bilbo.”
“Davvero elegante!”
“Se non la piantate, vi affogo con i bignè.” sbotta, le orecchie rosse di imbarazzo, mentre cerca di dribblarli e scappare. Cosa non troppo difficile, in ogni caso, considerando che i fratelli restano esattamente fermi dove sono, ridendogli alle spalle.
Stupidi.
Bilbo si muove verso il tavolo del rinfresco, dove Bombur discute con Nori e Dori con un dolcetto in mano e i baffi già sporchi, ma prima che possa anche solo salutarli, si ferma in mezzo all’andito, guardando la porta aprirsi e Thorin entrare. Improvvisamente, Bilbo sente una sensazione di disagio farsi spazio nello stomaco - non sta nella stanza col il suo superiore da tre giorni, ormai. L’idea di doverci avere a che fare lo manda totalmente nel pallone.
Per fortuna, come al solito, Bilbo non è oggetto delle attenzioni di Thorin. Lo guarda mandargli un’occhiata poco attenta, prima di avvicinarsi a Bombur e impedirgli così di fare qualunque cosa volesse fare.
Bilbo si morde il labbro, prima di scuotere la testa e cercare qualcuno con cui scambiare due chiacchiere; finisce disgraziatamente tra Kili e Fili, l’unico posto dove proprio non vorrebbe essere.
“Non avete nulla da fare, voi due?”
“Quello che hai da fare tu.”
“Assolutamente niente.”
Fili e Kili si scambiano un’occhiata divertita sopra la sua testa - li odia per essere così alti, lui che a fatica raggiunge il metro e settanta (a malapena e con l’aiuto della suola delle scarpe). Bilbo sbuffa sonoramente, scuotendo la testa arreso.
“Non mi tormenterete per tutta la giornata, vero?”
La mano di Kili è così pesante sui suoi riccioli ramati che Bilbo teme di perdere qualche centimetro. “Noi non ti tormenteremmo mai, Bilbo, zio Thorin è una croce abbastanza pesante da solo.”
Fili ridacchia, un pugno chiuso davanti alla bocca per attutire il suono della sua voce, e Bilbo si arrende, rilassandosi contro il muro e guardandosi attorno.
“Pensate che verrà molta gente?”
“Abbiamo intasato le cassette della posta di tutta Auckland, puoi scommetterci tua nonna che verrà un sacco di gente.”
Mezz’ora più tardi, si ritrova a scoprire che Kili ha ragione. Quando le porte aprono al pubblico, esattamente alle nove in punto, entrano insieme una ventina di persone, e Bilbo è stupito e meravigliato come un bambino. In poco tempo la stanza si riempie di un brusio delizioso, madri che tengono i bambini per mano e mostrano loro le meraviglie dei mobili, che ai loro occhi brillano come gioielli, uomini d’affari che si fermano ad ammirare la fattura degli armadi, dei letti, dei tavoli.
Qualcuno si ferma a parlare con Thorin, ogni tanto, che davanti a un potenziale cliente o finanziatore cambia volto: lo vede passeggiare con diverse persone, il viso rilassato, un sorriso caldo e gentile dipinto su quelle labbra che lui non è abituato a vedere.
Dannato, schifoso opportunista.
Vorrebbe mettersi in mezzo a qualunque discussione stia avendo e rovinarla, o forse spera soltanto che quel sorriso per una volta venga dedicato a lui, ma sa che entrambe sono solo pensieri che non troveranno mai forma nella realtà. Con un sospiro si avvicina al tavolo del buffet e si versa un bicchiere di succo d’arancia, sorseggiandolo piano mentre trova una sedia su cui riposarsi un momento.
Entra un uomo particolare, capelli biondo platino e sopracciglia così folte e scure da portare Bilbo a chiedersi se non sia ossigenato. Saluta Bombur e Nori con un gesto del capo, il viso congelato su un’espressione fredda, quasi aliena, prima di avanzare lungo il corridoio. Bilbo lo segue con lo sguardo, incuriosito. Non crede di aver mai visto creatura più bella - e strana, senz’ombra di dubbio.
Si avvicina a Thorin, interrompendo il suo dialogo con un cliente.
Non deve star simpatico al suo boss, questa persona strana, perché il suo sorriso si tende pericolosamente in qualcosa di affilato e tagliente, e i suoi occhi si stringono a due fessure poco rassicuranti, mentre la mano si allunga a stringere rapidamente quella del biondo.
“Thranduil.”
Bilbo sobbalza, voltandosi per trovare di nuovo Kili alle sue spalle. “Come?”
“È il principale fornitore di legna dell’azienda, i suoi materiali sono i più buoni della Nuova Zelanda. Il problema è che è anche un po’ una trave nel culo-“
“Kili!”
Il ragazzo ride, dando una pacca sulla spalla di Bilbo. “Non bisogna mai avere paura di dire la verità, Bilbo, dovresti imparare anche tu.” L’occhiataccia che Bilbo gli dedica basta per smettere di ridere e lasciargli sul viso solo un sorriso compiaciuto. Entrambi guardano verso Thorin, che sostiene lo sguardo di Thranduil come se da quello dipendesse la sua vita. “In ogni caso, tra lui e lo zio le cose non sono mai andate esattamente lisce come l’olio. Thranduil è uno che fa pagare profumatamente la sua roba, diciamo pure che se ne approfitta. E per quanto Thorin lo disprezzi, non può evitare di comprare da lui. C’è un’estrema differenza tra un prodotto fatto con la sua legna e un’altra di qualsiasi tipo.”
“Spero almeno abbia l’esclusiva.”
“No, ma non è importante. Non è solo il materiale a fare un buon prodotto.” Kili sorride, guardandosi attorno, e Bilbo non può che concordare, osservando tutto quel ben di Dio che la gente è venuta ad ammirare.
È in momenti come questo che si sente fiero di lavorare in un posto simile.
L’esposizione non si interrompe nemmeno un minuto per pranzo, anche se Bilbo si ritrova obbligato ad assentarsi per cinque minuti per mettere giù qualcosa di più sostanzioso di un bignè - o una trafila di bignè, considerati quanti Bombur gliene ha messi in mano. Dopo aver chiesto il permesso a Thorin, e aver ricevuto un semplice cenno d’assenso in risposta, Bilbo scappa fuori dall’edificio per sedersi sull’erba morbida e addentare lo splendido panino con cotoletta che ha preparato prima di uscire - poco importa se la pastella non è croccante come dovrebbe, tutto va bene finché dentro non c’è crema pasticcera o cioccolata. Mastica piano, distendendo le gambe sul prato e prendendosi il suo tempo, ignorando dalle persone che entrano ed escono dalla sala.
È felice che il cielo sia così terso almeno quanto è felice di aver sentito i commenti estasiati dei visitatori nel vedere i giochi di luce che hanno ipnotizzato lui; è sicuro che, senza nulla togliere alla bellezza dei mobili, i colori caldi del soffitto riflessi sui legni pregiati abbiano giocato un ruolo degno di nota nel tenere inchiodati i potenziali interessati al loro posto.
Socchiude gli occhi e sorride, godendosi uno degli ultimi venti tiepidi dell’autunno che se ne va.
Si rialza in piedi non appena finito il panino, dandosi una sistemata e rientrando nell’edificio. Avanza a passi ampi fino a raggiungere Bofur, che gli sorride caldo non appena incrocia il suo sguardo.
“Hai visto quanta gente? Per una volta quei due hanno fatto un buon lavoro.”
Bilbo annuisce, entusiasta. “Non pensavo sarebbero venute così tante persone.”
“Alcuni sono clienti abituali. Tipo quel signore grande e grosso lì.” Bofur indica a Bilbo un uomo di colore che chiacchiera allegramente con Bombur sotto l’arco della stanza dei mobili da salotto. “Beorn ha una catena di locali a tema fantasy, una meraviglia. Ci sono andato, una volta, in un suo locale fuori Auckland. Una meraviglia per gli occhi, sembra di essere in mezzo a una foresta. Balin ha disegnato i progetti e sono uno più bello dell’altro. Dovresti andarci, una volta.”
“Forse quando avrò la macchina.”risponde Bilbo alzando le spalle.
“Potremmo andare tutti insieme, prima o poi. Magari alla fine del tuo tirocinio.”
“Magari sì.”
Entrambi si avvicinano al rinfresco ridacchiando per prendere da bere. E mentre comincia a mandare giù il succo, Bilbo si rende conto di una cosa.
Bofur non sta più ridacchiando. Nessuno di cui possa riconoscere la voce, lì attorno, sta dicendo una parola. Si volta verso l’andito, cercando Thorin con lo sguardo.
Non crede di averlo mai visto più nero di così. Kili e Fili gli stanno andando incontro, i visi che si voltano a intervalli irregolari verso gli altri.
I visitatori non sembrano aver notato nulla di strano. Lui neppure.
“Bofur?” chiede a voce bassa, cercando una spiegazione nei suoi occhi. Ma Bofur continua a fissare davanti a sé, sorseggiando la sua bibita e cercando di far finta di niente.
Bilbo segue il suo sguardo - segue lo sguardo di tutti i suoi colleghi, fino a fermarsi su quello che crede sia il motivo di tanto afflizione. È alto - più di Thorin, forse quanto Dwalin, e quindi spaventosamente - snello, e ha sul volto un sorriso che, sulle prime, a Bilbo sembra quasi rassicurante. Ha una morbida nuvola di riccioli rossi sulla testa, e gli zigomi affilati gli danno un’aria di autorità difficile da ignorare.
Sono gli occhi, ad inquietarlo. Stonano brutalmente con il suo sorriso affabile, piccoli, chiari; da quella distanza non riesce a capire di che colore siano: a volte sembrano verdi, altre sembrano possedere una leggera sfumatura dorata.
L’uomo incrocia il suo sguardo e gli sorride, e Bilbo sente un brivido percorrergli la schiena.
Non riesce a capire se sia di piacere o di terrore.
“Smaug.” sente alle sue spalle, e si volta per guardare Bofur, ben felice di interrompere il contatto visivo con quell’uomo.
“Smaug?”
Bofur non risponde più, ben deciso a non dare all’uomo la benché minima attenzione. Riempie di nuovo il suo bicchiere e si allontana, facendo a Bilbo cenno di seguirlo con la testa. Bilbo lo lascia andare avanti di qualche passo, voltandosi a guardare di nuovo l’uomo - Smaug, si chiama Smaug - prima di seguire il suo collega.
Lancia occhiate in ogni dove, osservando i volti rigidi degli altri.
Kili sta stringendo il polso di Thorin con così tanta forza che la mano del presidente ha preso un colore pallido - forse perché non circola più sangue, o forse perché quel sangue sta correndo dritto alla testa di Thorin.
Spera di non dover vedere mai più quell’espressione sul viso del suo capo, perché lo terrorizza, e per quanto possa mal sopportarlo, nessuno dovrebbe avere un viso così scuro e angosciato, nemmeno lui.
*
Arrivare in ufficio lunedì con l’aspettativa di dover riprendere a fare il solito lavoro - quello di addetto al trasporto del caffè - provoca in Bilbo una leggera angoscia che si aggrappa alla bocca dello stomaco e sembra non voler smettere di stringere. Stamattina si è svegliato con una sensazione strana, l’influsso benefico dell’attività degli ultimi giorni che ancora pulsa nelle sue vene.
Non vuole essere relegato al ruolo di porta-caffè, davvero. Fare qualcosa lì dentro lo ha fatto sentire utile, non ha intenzione di passare il resto del tempo in quell’azienda a fare da cameriere.
Il solo pensiero gli fa tremare le mani.
Quando mette piede alla Oakenshield and company, Bilbo decide che oggi sarà il giorno del cambiamento. Deve esserlo, perché non ha più intenzione di farsi trattare come una pezza da piedi - due settimane di test sono più che sufficienti, si dice mentre sale le scale per raggiungere l’ufficio di Thorin.
Può sempre continuare a portargli il caffè, non ha detto che non lo farà. Solo, vorrebbe poter aver la possibilità di mostrare le sue capacità in altri ambiti. In fondo, con la mostra se l’è cavata più che bene, perché mai non dovrebbe riuscirci altrove?
Prima di aprire la porta dell’ufficio si ferma un attimo a fissare il pomello, deglutendo. Dovrebbe parlargliene? Come, poi?
È sicuro che Thorin lo incenerirebbe con lo sguardo. Scuote la testa, allontanando l’idea dalla sua testa mentre preme la mano sulla porta e la apre, trovando Thorin già chino sulla scrivania.
“Buongiorno.”
La risposta che riceve è un misero cenno della testa. Le spalle di Bilbo si abbassano visibilmente, mentre va a prendere posto al suo tavolo. Lascia la giacca sulla sedia, sospirando appena. Thorin alza il viso e lo guarda.
“Qualche problema, Baggins?”
“No, signor Oakenshield.”
E no, in fondo non c’è nessun problema, se l’altro non lo vede. Il problema è suo e se lo dovrà tenere ancora a lungo, probabilmente. Thorin riabbassa lo sguardo, la punta della sua penna che sfrega contro la carta di qualche documento che non vedrà mai. Perde qualche istante a fissare quello che ha appena scritto e a storcere il naso, prima di parlare.
“Portami un caffè, allora.”
Che strano. Non se lo aspettava proprio. Avrebbe potuto chiederglielo prima che si sedesse, ma tant’è.
Mentre si alza, mentre esce dalla stanza e scende al piano di sotto per avere il primo incontro ravvicinato con il distributore della giornata - c’è Kili che sta entrando nel suo ufficio e lo saluta con la mano, sorridendogli comprensivo - Bilbo comincia a ripensarci. In fondo dovrebbe parlargliene. È un suo diritto. Non venire pagato è già una gran piaga, e avesse voluto fare il cameriere avrebbe mandato il curriculum altrove. Guardando la bevanda scura riempire il bicchiere, Bilbo si convince che parlarne sia la cosa migliore da fare. E lo deve fare adesso, perché altrimenti questa storia andrà avanti per troppo tempo, e se ne pentirà amaramente, lo sa.
Stringe il bicchiere in mano, risoluto.
Ne parleranno, discuteranno, magari Thorin lo ignorerà, ma lui ci avrà provato.
Apre la porta dell’ufficio che il cuore gli martella nel petto, e ha paura di stringe con troppa forza il bicchiere - non vuole proprio rovinare la sua maglietta nuova, no.
“Signor Oakenshield?”
Thorin si ferma per un momento, guardando un punto fisso nel vuoto, prima di sospirare e mettersi dritto sulla schiena. “Dimmi.”
“Io…”Si schiarisce la voce più volte, abbassando lo sguardo verso il caffè - come se potesse dargli la forza di parlare poi. “Io vorrei… cominciare a lavorare seriamente.”
Alza lo sguardo giusto in tempo per vedere il sopracciglio di Thorin alzarsi, perplesso. “Prego?”
“Non mi fraintenda, signor presidente. Io sono davvero felice di portarle il caffè ad ogni ora del giorno e della sera, mi creda. Solo vorrei far qualcosa di più attinente al mio corso di studio, e non ricordo ci fosse qualcosa che avesse a che fare con la ristorazione, ad essere sincero.” Forse vuole farsi uccidere. È palese. Il problema è che non riesce proprio a metter freno alla sua lingua - e come potrebbe, dopo tre settimane di sofferenza? Come, dopo esser stato trattato come una bestia per tutto il tempo da una persona che dovrebbe guidarlo durante la sua permanenza lì dentro? Si ferma un momento e prende fiato, prima di ricominciare a parlare, Thorin che lo guarda con espressione sconvolta, come se fosse appena caduto dal pero. “Insomma, sono sicuro che ci sia qualcosa che io possa fare, se lei sta tutto il giorno lì a non scambiare una parola con nessuno e a grattarsi la testa dalle otto del mattino alle sei del pomeriggio. Visto che sono un suo tirocinante, mi piacerebbe, ecco, imparare a far bene la mia professione, e non credo davvero che lei abbia cominciato come ho cominciato io.”
O forse sì. Questo spiegherebbe molte cose. Thorin comunque non glielo dirà mai.
“Baggins,” dice, dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante. “In primo luogo, vorrei il mio caffè, se non ti è troppo di disturbo. Riguardo alla sua richiesta, temo che al momento non possa essere esaudita, per cui si metta il cuore in pace. Il suo lavoro è quello di assistermi. Sfortunatamente per lei, non ho bisogno di nessuna assistenza, e temo che sarò così per molto tempo.” Smette di guardarlo, scuotendo la testa, ma Bilbo si schiarisce la voce di nuovo, e Thorin stavolta sbuffa con più insistenza.
“Con tutto il rispetto, sono sicuro che qualcosa da fare ci sia anche per me. E non so perché lei pensi che io sia un inetto, ma vorrei avere la possibilità di dimostrarle il contrario.”
Thorin si passa una mano sul viso, scuotendo la testa. “No.”
No.
No.
No.
“No. Okay, va bene. No.” Bilbo annuisce e fa un passo sul posto, stringendo più forte il bicchiere di plastica. “Sa cosa le dico? Che uno, lei è davvero un gran cafone. Un cafone con i controfiocchi, se mi permette.” Thorin sgrana gli occhi. Adesso sono alzate tutte e due le sopracciglia. Ha la sua attenzione, suppone. “Due, il caffè se lo può andare a prendere da solo, da adesso in poi.” E Bilbo sente un brivido lungo la schiena, mentre si porta alla bocca il caffè per il suo capo e lo manda giù con due sorsi lunghi, la bevanda ancora calda che gli scotta appena la lingua. Poco gli importa, in ogni caso, perché l’espressione sul viso di Thorin è così impagabile che vale tutto il dolore. Accartoccia il bicchiere di plastica e lo butta nel cestino, prima di dirigersi verso il suo tavolo e prendere la giacca per tenerla sottobraccio. “Tre, sa cosa le dico? Che visto che non le servo, non c’è bisogno che io stia qua. Ci vediamo domani, arrivederci.”
Bilbo non dà a Thorin tempo di rispondere. Con un cenno della testa esce dall’ufficio e sbatte la porta alle sue spalle, scendendo gli scalini rapidamente e ignorando chiunque gli butti gli occhi addosso. Fili esce dal suo ufficio e se lo ritrova davanti, riuscendo ad evitarlo per un soffio.
“Bilbo?” lo chiama, allungando un passo verso di lui. “Bilbo, dove vai?”
“A casa! Ne ho avuto già abbastanza di lui per un giorno solo!”
Andasse al diavolo.
Andassero tutti al diavolo!
*
Beve il tè piano, a piccoli sorsi, lasciando alla bevanda il tempo di spargere il calore nel petto, lasciando al corpo il tempo di assorbirlo. Sospira ogni volta che la tazza tocca la superficie del tavolo, guardando alla televisione con sguardo vuoto.
Si sente un idiota.
Come ha anche solo potuto permettere alla sua lingua di essere così tagliente? Se prima per Thorin non era nessuno, adesso sarà ricordato il tirocinante che ha osato dirgli come fare il suo lavoro con lui e che è stato sbattuto fuori dall’azienda a tempo record.
Il cellulare vibra sul tavolo, e per un momento ha paura che sia qualcuno del centro didattico che gli comunica di cercarsi un’altra locazione, che alla Oakenshield and company non è più desiderato. Per fortuna, è soltanto un messaggio.
Tutto bene? Ho provato a parlare con Thorin, ma non mi ha detto una parola. - Bofur
Sospira di sollievo. Se lo avesse voluto mandare via, glielo avrebbero già comunicato, no? Figurarsi, Kili e Fili lo avrebbero riempito di messaggi solo per ricordargli della sua idiozia. Pigramente tira su il telefono, rileggendo il messaggio.
Sto bene. Non è successo nulla. Solo una piccola discussione. - B
Butta il telefono affianco alla tazza da tè, affondando il viso tra le mani. Il telefono non ci mette troppo a vibrare di nuovo.
Che cos’è successo? Kili e Fili sono nel suo ufficio da mezz’ora.
Bilbo sorride appena. Ecco perché non lo sommergono di messaggi. Ho espresso il mio disappunto per il suo atteggiamento. Non so nemmeno come l’abbia presa. Sono andato via. Immagino non voglia vedermi, domani.
Vieni e non preoccuparti. :)
Bofur usa le emoticon. Gli viene da ridere. Preme il dorso della mano sulle labbra e sospira divertito, un Grazie scritto velocemente sulla tastiera prima di alzarsi da tavola e andare in bagno.
Ha bisogno di isolarsi dentro la vasca. È l’unico modo per recuperare un po’ di calma.
*
La prima cosa che riceve al mattino è una pacca affettuosa da parte delle persone con cui ha legato. Bombur gli mette tra le mani una ciambella, strizzando l’occhio, Bofur si offre di accompagnarlo fino allo studio, in caso ce ne sia bisogno.
Ringrazia tutti con un sorriso e scuote la testa, senza però rifiutare il cibo. Ne avrà davvero bisogno.
Si prende il tempo di salire le scale, un morso per ogni gradino che fa, e quando la ciambella finisce si ritrova inesorabilmente di fronte a quella porta che poco meno di ventiquattro ore prima ha sbattuto con una forza che nemmeno gli appartiene. Si schiarisce la voce ed entra, sentendosi totalmente impreparato a qualunque cosa si troverà davanti.
Thorin è in piedi, il sedere poggiato sulla scrivania, gli occhi che si sollevano da un mazzo di fogli che stringe tra le mani. “Oh. Baggins.”
Bilbo rimane lì, sulla porta, guardandolo imbambolato. Pensava di trovare una persona infuriata, o quanto meno toccata dal discorso di ieri. Invece, Thorin sembra rilassato, sicuramente più tranquillo di lui. Bilbo annuisce al suo nome, e Thorin gli allunga il mazzo di fogli che ha tra le mani, agitando la mano per invitarlo a prenderlo. “Mi chiedevo giusto dove fossi finito. Porta questo a Ori, è la lista dei materiali in arrivo dalla Mirkwood, digli di tenersi pronto e di chiamare qualcuno per farsi aiutare a trasportare la roba dentro. Poi ho bisogno che passi da Smeagol per ritirare il report mensile. E poi c’è un fax da mandare alla Evenstar. Hai bisogno che ti segni tutto o ti ricordi?” Bilbo lo guarda imbambolato. Non può credere a quello che sente. Prende i fogli con le mani tremanti, strizzando le palpebre diverse volte mentre guarda Thorin. “Non avrai altri giorni di vacanza, per cui vediamo di lavorare, mh?”
“S-sì, sissignore.”
Bilbo esce dalla stanza e comincia a correre, le orecchie rosse per la gioia, il cuore che gli batte forte in gola. Non riesce a credere che parlare sinceramente a quella statua di marmo sia servito a qualcosa, deve essere sicuramente un sogno. Quando bussa alla porta del reparto, Ori lo accoglie con un sorriso, prendendo in mano i fogli a lui destinati e stringendogli la spalla amorevolmente.
“Cominciamo ad ingranare, eh Bilbo?”
“Lo spero,” risponde annuendo, “lo spero davvero tanto.”
Ripete a Ori tutto quello che Thorin gli ha detto di riferire e poi scatta fuori dalla stanza, raggiungendo la sala informatica che si sente più leggero. Smeagol lo guarda a bocca aperta, sorridendogli.
“Sei felice. Si vede.” e Bilbo annuisce, e si chiede quante volte annuirà ancora, durante la giornata.
Ovvio che è felice, come non potrebbe? “Avere qualcosa da fare mi rende felice,” risponde, senza riuscire a smettere di sorridere. “Thorin ha bisogno del report mensile, potresti stamparmelo?”
Smeagol salta giù dalla sedia per andare ad accendere la stampante, prima di tornare al suo computer. “Sono contento per te. Con me il signor Oakenshield non si è mai mostrato troppo disponibile.”
“Dovresti provare a insultarlo.” risponde subito l’altro, scuotendo la testa. “Credo sia una delle persone più difficili che io abbia mai comprato, un vero osso duro.”
Il sorriso di Smeagol è leggero, debole. A Bilbo si stringe il cuore, perché sa esattamente cosa voglia dire.
E poi, non ha certezza che le cose siano migliorate di colpo. Può anche darsi che Thorin abbia sbattuto la testa e sia ancora stordito, per quel che ne sa lui. In ogni caso, quando Smeagol gli consegna il foglio col report, Bilbo si sente fiducioso come non lo è mai stato tra quelle mura, ed esce dalla sala informatica fischiettando, andando a raggiungere i fax per completare la sua prima missione del giorno.
È lì che qualcosa comincia a solleticare fastidiosamente il suo petto. Mentre prepara i fogli da inviare via fax, i suoi occhi cadono su altri fogli appena arrivati, evidentemente, dato che nessuno è ancora venuto a prenderli. Sfila i fogli dal vano, dando un’occhiata rapida a quel che vi è scritto sopra.
Non gli piace per niente.
Attende che il fax abbia finito di inviare i dati, per prendere poi la sua copia e tornare di corsa in ufficio. Dentro, trova Bifur e Bombur intenti a discutere con Thorin di qualcosa - non capisce bene cosa, però. Non che gli interessi.
Bussa alla porta per far notare a tutti la sua presenza, e Bifur e Bombur lo salutano calorosamente, dandogli una pacca sulle spalle non appena si avvicina alla scrivania.
“Spero di non aver interrotto nulla di importante, ma… c’era questo, nel fax.”
Allunga il foglio a Thorin, e nel momento in cui vede la sua espressione cambiare, vorrebbe non averlo mai fatto. L’aria si tende spaventosamente, e il prurito al livello del petto di Bilbo si fa più intenso - fastidioso forse è il termine più giusto. Il foglio fa una brutta fine, accartocciato da mani rabbiose e buttato ad un lato della scrivania. “Cazzo.” sbotta l’uomo, sospirando pesantemente, e Bifur si allunga sul foglio per distenderlo e vedere cosa c’è scritto.
Un gemito di frustrazione scappa dalle sue labbra.
“Pensi che sia ancora lui?”
“Certo che è lui. Chi diavolo vuoi che sia?”
Non gli piace la sua voce, adesso. Gli incute un timore che non avrebbe mai pensato di provare. Bombur si tende sulla spalla di Bifur per riuscire a leggere anche lui.
“Quando capirà che non serve a niente cercare di fregarci i clienti? Sta diventando insopportabile.”
“Lo è sempre stato. Smaug non è mai stato tipo da cedere alla prima difficoltà.”
“Smaug?”
Tutti si voltano verso Bilbo. Thorin lo guarda dritto negli occhi e sembra perforarlo. “Nulla che ti riguardi, Baggins.”
“Ma signor Oakenshield, non-“
“Ho detto nulla che ti riguardi. Esci, vai in sala relax, vai dove vuoi. Ti chiamo io quando avrò bisogno.”
Bilbo non se la sente di insistere. Stringendo le labbra tra i denti dà un’occhiata a Bifur e Bombur, che gli danno un’occhiata comprensiva, e poi esce, lasciandosi alle spalle un’aria nera che sfocia con quello che sembra chiaramente un pugno contro la scrivania, e un gemito di frustrazione che, probabilmente, si ricorderà davvero a lungo.