[Sherlock BBC] Watch the hospital that's just across the street from your apartment balcony

Oct 04, 2012 13:48

Titolo: Watch the hospital that's just across the street from your apartment balcony
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: John Watson, Sebastian Moran
Rating: Pg13
Avvertimenti: Nessuno 
Conteggio parole: 2026 (fiumidiparole)
Riassunto: "Entri pure, dottore." dice, premendo la mano sulla maniglia e invitandolo ad entrare con un cenno del capo. Il suo sorriso è così rassicurante da risultare quasi inquietante. Ma annuisce, ringraziandola, e se la lascia alle spalle mentre entra con la testa bassa, e richiude la porta.
"Finalmente, dottore."
Sente un brivido gelido scorrergli lungo la schiena, mentre si volta. Non è possibile. Probabilmente ha sentito male, e confonde la voce di quell'uomo sdraiato sul letto con quella di qualcuno che non può, non può essere lì.
Note: 397. Siediti con me delle 500themes_ita. Lo avevo detto io.


X novembre 2012

John batte la penna sul tavolo due volte, prima di cominciare a trascrivere la ricetta. La donna davanti a lui, paziente ormai abituale che ha seguito per mesi, prima che si decidesse a dargli retta e facesse un test di gravidanza, lo guarda con un espressione velatamente angosciata, anche se non riesce a capire perché.
O forse non vuole, il che è un dettaglio trascurabile.
Una firma, un timbro, e il foglio è in mano alla donna, che si alza in piedi, rassettandosi. Quando lo saluta, e allunga la mano diafana per stringere la sua, il sorriso che le dipinge il volto gli sembra triste.
“Stia bene, dottor Watson.”
Lui annuisce e ringrazia. Come ogni volta.
Sono mesi che sente questa frase. Da quanto ha ricominciato ad esercitare, tre mesi fa, chiunque entri nel suo studio sembra sentirsi in dovere di dargli conforto in qualunque forma, sia una semplice frase, o un vassoio di dolci, o un invito a mangiare fuori.
Fa scattare la penna, lasciandola poi sulla scrivania.
Buttare fuori tutta l’aria dai polmoni fa quasi male, adesso. Perché la gente si ostina a ricordargli qualcosa che sta cercando di mettere da parte per non star male? Affonda le dita nei capelli, grattando la cute fino a sentire la pelle sotto le unghie.
Sono le sette, e fuori è già buio. John guarda la sua scrivania un’ultima volta, prima di alzarsi in piedi e raggiungere l’appendiabiti. Al momento, l’unica cosa che vuole è tornare a casa e lasciarsi affondare nella vasca da bagno, possibilmente senza pensare più a niente almeno fino all’indomani.
Ma qualcuno bussa alla porta, e il sente già il suo desiderio scoppiare come una bolla di niente.
“Dottor Watson?”
Mary Jane lavora come centralinista da poco tempo, sta finendo la sua seconda settimana. Prima o poi si abituerà a chiamarlo per nome.
“Dimmi, Jane.”
Lei abbassa appena lo sguardo, le guance che diventano rosate quando sente il suo nome. “Hanno… chiamato da una clinica privata. Una persona è stata ricoverata presso la loro struttura, e ha chiesto espressamente di lei.”
John alza il sopracciglio, perplesso. Le uniche tre persone che potrebbero aver chiesto di lui hanno il suo numero, non quello dell'ambulatorio. "Ti hanno detto chi è?"
"No. Informazione riservata, non hanno voluto dirmelo."
Mary Jane abbassa lo sguardo, visibilmente rammaricata. John sospira e si sistema la giacca, abbozzando un sorriso e cercando di soffocare la stanchezza. "D'accordo, Jane. Grazie. Se mi lasci scritto l'indirizzo, vedo di andare subito."
Lei annuisce, sorridendo composta, e torna alla sua postazione mentre John raccatta le sue cose. E' stato un buon acquisto, Mary Jane. E' efficiente, rapida, forse solo un po' timida. Ma si può passare oltre, tutto sommato. Infila poche cose dentro la borsa, spegnendo la luce prima di lasciare il suo studio. Ritira un post-it giallo, un indirizzo appena sbavato nelle ultime lettere. Fa un cenno della testa a Jane, mentre il biglietto sparisce in una tasca dei pantaloni e si dirige verso l'uscita.
" Buona serata, dottor Watson."
Sente una nota triste, l'ennesima della giornata. Sembra cucita al suo nome.

Weymouth Street non è così lontana da casa sua, per fortuna. Si stringe il bavero attorno al collo, quando scende dal taxi e chiude la portiera, attraversando la strada per entrare dentro l'edificio. La luce bianca e asettica gli dà quasi fastidio, costringendolo a stringere appena le palpebre per evitarsi un mal di testa che altrimenti sarebbe assicurato. Raggiunge il banco informazioni mentre si guarda attorno, la ragazza dietro il bancone che gli sorride affabile.
"Desidera un appuntamento?"
"In realtà sono stato chiamato."
"Il suo nome?"
"John Watson."
La ragazza si ferma, arricciando il labbro inferiore. "Oh, sì. Prego, mi segua."
John obbedisce. Si guarda attorno, mentre una leggera ansia comincia a prudere all'altezza del cuore. Harriet l'avrebbe chiamato. Lo stesso per la signora Hudson. Greg Lestrade, lui non lo sente da mesi, ormai, ma anche lui, se avesse avuto bisogno, probabilmente avrebbe preferito chiamarlo al suo numero, piuttosto che all'ambulatorio. Si morde il labbro, mentre la donna davanti a lui rallenta il passo, una porta bianca che odora di disinfettante - tutto odora di disinfettante, e sa di asettico, lì.
"Entri pure, dottore." dice, premendo la mano sulla maniglia e invitandolo ad entrare con un cenno del capo. Il suo sorriso è così rassicurante da risultare quasi inquietante. Ma annuisce, ringraziandola, e se la lascia alle spalle mentre entra con la testa bassa, e richiude la porta.
"Finalmente, dottore."
Sente un brivido gelido scorrergli lungo la schiena, mentre si volta. Non è possibile. Probabilmente ha sentito male, e confonde la voce di quell'uomo sdraiato sul letto con quella di qualcuno che non può, non può essere lì.
Sebastian Moran ha una sigaretta spenta tra le labbra, e lo guarda con un ghigno distorto da tre punti sulla guancia e una benda attorno alla testa. "Non mi guardare con quella faccia. Hai da accendere? Non posso muovere il braccio." ammicca, indicando la flebo e la sacca di sangue sopra la sua testa.
Lo fissa incredulo. Di tutta la gente del mondo, si sarebbe aspettato chiunque - forse addirittura Sherlock, se non fosse ormai convinto della sua definitiva dipartita - ma non certo lui. Ogni volta pensa che sia l'ultima volta in cui incrocerà il suo sguardo e ogni volta, puntualmente, viene smentito con una velocità disarmante. Si avvicina, la bocca semiaperta dallo stupore.
"Perché?"
"Perché erano in cinque e io non posso combattere per cinque, dottore. Tu non riusciresti a combattere nemmeno per se stesso, immagino riesca a capire perché io sia qui."
"Perché io." specifica, i palmi delle mani rivolte al soffitto. Sebastian sbuffa, tenendo la sigaretta tra i denti e alzando un sopracciglio, mentre il tonfo delle mani di John sulle proprie cosce vibra per un istante nelle pareti.
"Perché nella mia rubrica c'era solo il numero del tuo studio. L'ho fregato qualche settimana fa, fa sempre comodo avere il numero del proprio medico dietro, sai, in caso succeda qualcosa."
Deve essere un qualche tipo di punizione. La situazione è talmente paradossale da risultargli comica. "Da quando sarei il tuo dottore?" chiede, e la sua voce ha una nota che stride con i suoi pensieri, il sorriso stanco che spezza il viso a metà.
"Da più o meno trenta minuti."
Sebastian si lecca le labbra - c'è un taglio che lo spacca in due, vicino all'angolo della bocca. Lo guarda mentre appoggia la testa sul cuscino e finalmente lo guarda, lo guarda davvero, e si arrende all'evidenza.
Non se ne libererà mai.
"In ogni caso, ti avevo chiesto un favore." I suoi denti bianchi si muovono sulla sigaretta, il filtro appena martoriato tra i denti. John alza le spalle e storce il naso.
"Non puoi fumare, qui."
"Ho pagato per stare in questa stanza, direi di poter fare quel cazzo che voglio. L'accendino è nel cassetto."
John sospira. In fondo non è un problema suo. Il cassetto è praticamente vuoto, non fosse per l'accendino e il suo cellulare, adesso spento. Un clic, e allunga la piccola fiamma verso la sigaretta, e Sebastian ringrazia con un grugnito, prima di sospirare deliziato alla prima boccata.
"Siediti, fammi compagnia."
Vorrebbe andarsene. Non ha assolutamente voglia di restare chiuso in una stanza d'ospedale con quello che avanza del suo peggior nemico - avanzi, tutto ciò che gli ha lasciato Sherlock saltando da quel palazzo, avanzi di una vita frenetica ridottasi all'osso. Invece, a discapito di quanto il suo cervello continui a pensare - Alzati, John, alzati, vattene e elimina quest’uomo dalla tua esistenza - si lascia cadere sull'unica sedia nella stanza e affonda il viso tra le mani, sbuffando infastidito.
Ormai è lì.
"Che è successo?"
La domanda gli esce spontanea dopo alcuni minuti passati a fissare il vuoto, Sebastian che fuma e si lascia cadere la cenere addosso. "Preoccupato per me, dottore?"
"Mi hai fatto venire fin qui per un motivo o solo per farmi perdere tempo?"
"La seconda, probabilmente." ghigna, tirando fuori da sotto le coperte il braccio destro - ha un cerotto quadrato sull'avambraccio, probabilmente altri punti che cuciono altre ferite che porteranno soltanto altre cicatrici - e prende il mozzicone dalle labbra, spegnendolo contro il petto e bucando la maglia del pigiama, per poi lanciarlo in terra.
John sente il dolore da parte sua.
"Avevo un appuntamento al porto. Un carico d'armi di contrabbando proveniente dal medio Oriente e destinato a piccole comunità criminali nelle aree periferiche. Qualcuno deve aver mostrato troppo entusiasmo, perché all'arrivo del carico, oltre i nostri clienti c'era un gruppo di uomini davvero, davvero pessimi." Sebastian gioca col suo labbro inferiore, lo lecca, lo sfrega tra i denti. Si volta verso John e lo guarda, e lui vorrebbe distogliere lo sguardo, e non riesce. "Mi hanno lasciato solo con loro, e per fortuna sono stati abbastanza intelligenti da portarsi via le armi senza nemmeno ringraziare. Ma appena esco di qua..." Si passa un dito sulla gola, stringendo i denti. Poi il braccio cade con un tonfo al suo fianco, e Sebastian piega indietro la testa, guardando al soffitto. "Ho bisogno di morfina, non hai morfina?"
"No. E anche avendola, non te la darei."
Lui ammicca, e sposta lo sguardo.
John si sta distruggendo le mani, le unghie che grattano con insistenza contro la pelle arrossata. Guarda l'orologio, la lancetta che segna le sette e quarantuno minuti, e il tempo è volato, e gli sembra che non passi mai. Si alza, impossibilitato a restare seduto un minuto di più. "Fammi dare un'occhiata."
Deve tenere la mente occupata. Guarda Sebastian e si concentra per riuscire a vedere un volto che non sia il suo, il volto di chiunque altro, un volto coperto di sangue e riccioli neri collosi, gli occhi vuoti e-
Si blocca mentre gli tiene il mento tra le dita. Rivede occhi verdi come foreste nei giorni carichi di elettricità e nuvole scure, vivi, caldi. Ignora il suo sorriso sbilenco, concentrandosi sulla pelle rossa e secca, sul filo nero che tiene insieme la carne. Sotto la coperta, il braccio sinistro è fasciato dalla spalla e bloccato a livello del gomito con una fasciatura. "Hanno cercato di mettermi fuoco. Non ci sono riusciti."
Sente una leggera nausea prendere possesso del suo stomaco; improvvisamente, non ha idea del perché si stia trattenendo lì. "Quanto tempo?"
"Due settimane al più. Sono bravi qui. So che speravi in una vacanza più lunga, ma nemmeno tu puoi averci fatto così tanto affidamento, Watson."
"No. Infatti no."
Si risiede, la schiena flessa in avanti, i gomiti puntellati sulle ginocchia. Guarda Sebastian chiudere gli occhi e sospirare forte - la sua stanchezza di legge nelle rughe leggere attorno agli occhi, nel torace che si solleva e si abbassa lentamente.
Si risiede, la schiena flessa in avanti, i gomiti puntellati sulle ginocchia. Guarda Sebastian chiudere gli occhi e sospirare forte - la sua stanchezza di legge nelle rughe leggere attorno agli occhi, nel torace che si solleva e si abbassa lentamente. Si incanta su quel movimento, lascia che diventi il suo senza che se ne renda conto.
"Non hai davvero bisogno di me." mormora, guardando il pavimento, fissando le crepe nelle mattonelle.
"No." La sua voce è stanca come i suoi occhi. "Ma mi piaceva l'idea di vederti correre qui per me. Di farti fare qualcosa che non avresti mai fatto, altrimenti."
John rotea gli occhi, stringendo le labbra tra i denti. Sente l'odio per quell'uomo prudere sul petto, e Dio solo sa quanto se ne vorrebbe andare.
Cosa glielo impedisce, in effetti?
"Davvero divertente."
"Quando vivi per anni con una mente geniale, alla fine qualcosa la assorbi anche tu."
Lui non ne è veramente convinto. Storce il naso, infastidito, e si raddrizza per poggiare la schiena contro la sedia, in un sospiro che lo svuota del tutto.
Probabilmente non parleranno più.
Sebastian sembra perdersi in se stesso, mezz'ora più tardi. Il torace continua quel movimento ipnotico con lo stesso ritmo, ma adesso John può riuscire a sentirne il respiro rilassato, la sua testa che chissà dov'è, adesso. Resta a fissarlo finché non sente i morsi della fame e, con un occhio all'orologio, non scopre che si sono già fatte le nove, e lui dovrebbe essere a casa già da un pezzo. Nel tentativo di fare il minimo rumore, John si alza e si dà una sistemare, prima di dare le spalle all'uomo sul letto e avvicinarsi alla porta.
"Buonanotte, dottore."
Scuote la testa ed apre la porta, pregando Dio che il suo telefono non squilli per un bel pezzo.

2012, fandom: sherlock bbc, pg13, personaggio: sebastian moran, !500themes_ita, personaggio: john watson, !fanfiction

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