Tanti auguri a teee, tanti auguri a teee, tanti auguri sourcream_onion, tanti auguri a teeeeeeee!
Non sono particolarmente capace di fare regali di compleanno via LJ, dunque mi sa che ti toccherà accontentarti del postaggio di questo capitolo ^^'... Sperando che ti piaccia.
E cento di questi giorni, possibilmente meravigliosi.
Capitolo. Penultimo capitolo di questa parte. Qua sotto.
Buona lettura.
Un Assaggio: "Nessuno in quelle terre avrebbe combattuto in quella stagione; il freddo e la neve tennero a bada per mesi i nemici di Hogwarts, il ghiaccio chiuse i passi e impedì loro di compiere persino le razzie ai danni dei villaggi della vallata, che erano state abituali durante l'autunno."
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Capitolo XVI
La tregua infranta
Per anni Salazar avrebbe ripetuto di ricordare chiaramente come la guerra fosse iniziata precisamente il giorno della nascita di Helena Ravenclaw. Godric, per natura meno portato alle esagerazioni e a fare tanta scena delle cose più semplici, rammentava vagamente che la bambina avesse uno o due giorni quando, davanti alla necessità imposta dall'esercito che muoveva contro di loro, lui e Salazar avevano cominciato a fare affluire nella vallata della scuola uomini armati reclutati in tutta l'isola.
I ricordi del periodo erano confusi, per il mago: erano stati giorni esasperanti e infiniti.
Helena era nata minuscola e sanissima, una meraviglia miracolosa che strillava a pieni polmoni, giorno e notte, e si addormentava solo dopo essere stata cullata per ore da qualcuno.
Lui l'aveva presa in braccio quando aveva poche ore, sentendosi un goffo omone inutile e cercando disperatamente di non sembrare impacciato come si sentiva; ma Rowena aveva riso ugualmente della sua cautela. Le creaturina era vivace e leggera, così fragile, tra le sue mani, che aveva avuto paura di farle male, e l'aveva in fretta restituita a Helga che lo scrutava con l'attenzione di un falco. Ma già da quei brevi istanti, Godric aveva notato che somigliava a Salazar.
Ed era vero, anche se sarebbe stato più palese mesi dopo. Aveva tanto di Rowena, della sua bellezza incredibile, fin da piccolissima. Eppure qualcosa nella linea degli occhi e della minuscola bocca rivelava che la bimba era del sangue di Salazar. Godric ne fu sollevato, principalmente; e Salazar sembrava così felice e fiero mentre la vezzeggiava senza ritegno, che Godric non gli invidiò nemmeno per un istante la paternità.
Nei primi mesi della sua vita, Helena fu la maggiore fonte di serenità per tutta la scuola, poiché i tempi erano bui. Ogni volta che la piccola veniva portata fuori dalle stanze di Rowena c'erano decine di studenti più grandi pronti a tenerla un attimo se sua madre era stanca, o a far piroettare per lei lucine colorate nell'aria.
Calista, che aveva sempre odiato perdere tempo con le attività più femminili, ricamò per lei una camiciola con un motivo di fiori di campo; e nemmeno Salazar, che aveva poca pazienza con la figlia maggiore, ebbe cuore di farle notare che la bimba era già troppo cresciuta per indossare un indumento così piccolo.
Intanto il castello si andava riempiendo di gente, principalmente alleati richiamati in vista della guerra imminente. Molte delle famiglie degli studenti di Hogwarts, maghi e streghe che sostenevano la scuola, vecchi amici che Godric credeva perduti e, ancor più sorprendentemente, qualche amico di Salazar; tutti giungevano al castello portando notizie, pronti a offrire il loro aiuto nella battaglia. Non c'era quasi spazio per tutta quella gente, nell'edificio. Godric lasciò le sue ariose stanze in cima alla torre e si trasferì nei sotterranei, con Salazar. Gli studenti vennero raggruppati nelle stanze più grandi per far posto agli ospiti.
Giunsero, tra gli altri, anche i figli di Helga. Godric, che non li aveva mai visti, ebbe di loro una buona impressione: erano due bei giovanotti nel fiore degli anni, e somigliavano alla madre. Come si aspettava da loro, erano affidabili e competenti, di buona compagnia. Attiravano lo sguardo delle fanciulle della scuola; e Godric dovette sforzarsi per non ridere quando Ileen, imbattendosi nel maggiore dei due mentre, al solito, correva come un ragazzaccio per le scale, si fermò di botto ed accennò una sgraziata riverenza da fanciulla compita, col volto in fiamme.
Oltre a maghi che alloggiavano al castello, Godric aveva racimolato anche un grande numero di guerrieri privi di magia. Per lo più erano mercenari; ma le famiglie degli studenti erano spesso giunte con i propri uomini.
Avevano fatto accampare tutti ai margini della foresta, sulla riva opposta del lago rispetto al castello. L'accampamento improvvisato era caotico e variegato; molti degli uomini portavano amuleti fasulli, inquietati dal trovarsi in un luogo magico, ma per la maggior parte erano soldati esperti, pronti ad obbedire agli ordini.
Con sollievo, Godric incaricò Gavin di pensare agli uomini, anche se non si esentò da qualche personale rivista alle truppe. Fin dal primo giorno il giovane si trasferì nell'accampamento, e prese ad occuparsi di ogni cosa, dai rifornimenti alle esercitazioni; gli ci volle qualche settimana per trasformare quel caos in qualcosa che somigliasse ad un esercito vero e proprio. C'erano tra gli uomini montanari induriti dalle intemperie e arcieri del sud, e intere compagnie che lavoravano insieme da anni erano accampate a fianco di piccoli gruppi di uomini raffazzonati da qualche mago nelle proprie tenute: la convivenza era complessa, ma la scuola pagava bene, e i problemi erano minori.
Gavin suggerì di spianare un sentiero che, attraverso la foresta, permettesse agli uomini di raggiungere il villaggio, per trovare qualche svago. Quando si rivelò impossibile, il giovane riuscì a sistemare le cose in modo che l'accampamento avesse una taverna improvvisata, attingendo alle scorte di vino della scuola, e riuscì persino a reclutare alcune lavoratrici, che presero a fare affari d'oro.
Salazar era l'ombra di Godric, in quei giorni. C'erano moltissime cose da fare, e Godric era senza dubbio il più impegnato. Salazar gli alleggeriva il lavoro, quando poteva, e intanto osservava i preparativi, sforzandosi di acquisire esperienza nel campo delle campagne militari, in cui era carente.
Una sera, mentre entrambi si trovavano all'accampamento, a supervisionare le scuderie provvisorie che Gavin aveva fatto allestire, Godric notò che un giovane garzone di stalla guardava affascinato dietro alle loro spalle, verso il castello già illuminato dalle torce. Venne fuori che il ragazzo poteva chiaramente vedere quello che ai soldati era invisibile; interrogato, descrisse chiaramente le torri e i bastoni di Hogwarts.
Era palese che avesse poteri magici, sebbene non fosse altro che un mozzo di stalla; Godric, d'istinto, gli propose di diventare un allievo della scuola. Salazar storse il naso, ma non disse nulla.
Il nome del ragazzo era Ignatius Peverell.
Tutti quei frenetici preparativi furono in qualche modo interrotti dall'arrivo dell'inverno.
Nessuno in quelle terre avrebbe combattuto in quella stagione; il freddo e la neve tennero a bada per mesi i nemici di Hogwarts, il ghiaccio chiuse i passi e impedì loro di compiere persino le razzie ai danni dei villaggi della vallata, che erano state abituali durante l'autunno.
Il castello era ben riscaldato, ma nell'accampamento si gelava. Persino i soldati più superstiziosi accettarono l'aiuto dei maghi per fornire calore alle tende e alle baracche improvvisate. Godric temette per qualche tempo che parte delle truppe se ne andasse, a causa del clima impietoso. Ma la disciplina creata da Gavin durante l'autunno resse ai rigori della brutta stagione; o forse, semplicemente, l'esercito preferì la protezione di Hogwarts ai pericoli di disertare con le linee nemiche accampate a meno di un giorno di marcia.
L'inverno, in quel modo, sancì una tregua forzata. Parte delle lezioni riprese, anche se ormai gli insegnamenti si limitavano a quanto potesse essere utile per i combattimenti che sicuramente attendevano tutti in primavera. Alcuni ospiti, annoiati dalla mancanza di distrazioni all'interno delle mura della scuola, presero volentieri parte alle lezioni, sia come allievi, che come Maestri improvvisati. Godric, nonostante la sua esperienza, imparò alcuni incantesimi che gli erano sconosciuti da un mago che aveva viaggiato a lungo nell'est, dove si adoravano dei di fuoco e si compivano incantesimi in loro nome.
Salazar si esercitava costantemente, nel tempo libero. Le sue difese erano velocissime e impenetrabili, e in ogni duello amichevole poteva tranquillamente tener testa a maghi armati di tutto punto, sebbene il suo braccio menomato non gli consentisse di reggere il peso di uno scudo.
Per Godric era sempre un sollievo vederlo emergere da una lotta con un sorriso fiero sul volto; sapeva fin troppo bene come tutta quella preparazione non fosse superflua. Era fiducioso sulle sorti della guerra, in generale: la sua paura più grande era quella per Salazar.
Quando le nevi cominciarono a sciogliersi, la tensione crebbe di nuovo.
Gli studenti mordevano il freno all'udire le notizie che arrivavano da fuori: il nemico era vicino e, apparentemente, immobile. Le normali linee di rifornimento che in quella stagione di solito fiorivano dei carri delle vettovaglie erano bloccate, come l'accesso alla vallata. Ad Hogwarts la popolazione era triplicata, senza contare l'esercito. Non c'erano lussi per nessuno, sebbene le scorte non fossero scarse, per il momento.
Helga si occupava personalmente delle cucine, e riusciva a fornire pasti caldi e soddisfacenti a tutti, col sostegno volenteroso degli elfi domestici. Non mancava l'essenziale, ma non c'era di più.
La guerra stava prendendo la forma di un assedio.
Ripresero le razzie nei villaggi della vallata. L'esercito nemico colpiva di notte e le sentinelle, maghi e non, che controllavano i passi, erano impotenti davanti a quegli attacchi imprevedibili. A sud le montagne erano poco più che colline, facilmente attraversabili nella bella stagione, e non fornivano un'adeguata protezione.
Godric si era aspettato che Jacob di York, o chi per lui comandava quell'accozzaglia di banditi e goblin che avevano contro, riversasse le sue forze nella valle per incontrare Hogwarts in campo aperto. Ma la strategia sembrava essere molto diversa, e molto meno onorevole.
Il timore più che naturale per la battaglia campale imminente si strava trasformando nella logorante inquietudine delle risorse che si assottigliavano.
Il denaro non era un problema, viste le notevoli risorse che la scuola aveva accumulato in quegli anni; ma le provviste non sarebbero durate, e agli alleati volontari non si potevano chiedere enormi sacrifici. Né tantomeno ai mercenari, se non si voleva correre il rischio di un'insurrezione.
Godric aumentò la sorveglianza sui confini. Ci furono scaramucce, e qualche volta i suoi uomini ricacciarono indietro le bande dei nemici incursori; ma qualcuno passava. Piccole squadre di uomini attaccavano le fattorie quasi ogni giorno, uccidendo gli animali e bruciando il raccolto. Non lo facevano per rifornire il loro esercito, giacché non erano loro ad essere tagliati fuori, e le loro pance erano piene di quando c'era sui carri per Hogwarts che avevano intercettato chiudendo le strade. Il loro scopo era impoverire la vallata, e costringere i contadini a chiedere al castello cibo con cui nutrire i propri figli, mentre i campi erano in fiamme. Godric non negò aiuto a nessuno, perché si sentiva responsabile di aver portato la guerra in quelle terre.
Mandò altri uomini sulle colline, con a capo il mago maestro negli incanti orientali del fuoco. Per un po' la situazione sembrò migliorare, ma la presenza di tanti uomini nei dintorni rovinò la caccia, e se i contadini avevano il grano e la frutta, mancava la selvaggina ai cacciatori.
Ormai ai capi dei villaggi della valle bisognava mandare scorte di cibo per gli affamati, per evitare che la gente insorgesse contro la scuola.
Godric dimagrì visibilmente in quel periodo: i ragazzi più affamati beneficiarono spesso dei pasti che saltava.
Le riunioni serali dei Maestri erano diventate consigli di guerra a tutti gli effetti. Cominciarono a prendervi parte anche maghi e streghe alleati che avessero competenze militari di qualunque genere, e persino i generali dell'esercito accampato oltre il lago.
Muoversi incontro al nemico significava perdere il vantaggio del terreno, soprattutto quello della foresta e della sua insostituibile protezione. Inoltre, piccoli gruppi di uomini potevano attraversare le colline inosservati di giorno, per colpire i villaggi di notte, come facevano gli assedianti; tutt'altra cosa era spostare l'intero esercito difensore, farlo marciare attraverso un territorio transitabile, ma comunque difficoltoso, solo per farlo finire tra le braccia del nemico, pronto ad accoglierli.
Era fattibile, pensava Godric quando, in ogni istante libero, rigirava quei pensieri nella sua mente. Ma avrebbe comportato perdite pesantissime e forse determinanti. Potevano reggere ancora qualche mese di assedio, reclutare nuovi uomini dai villaggi perché pattugliassero i confini, difendendo le risorse della valle. Potevano aspettare che il nemico compisse un passo falso: ma l'avrebbe fatto? Sarebbero riusciti a stancare l'altro esercito fino a farlo uscire allo scoperto?
Queste domande tormentarono Godric per gran parte della primavera.
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Le stanze di Salazar erano umide al punto che gli abiti si appiccicavano alla pelle durante la notte. Il vino era razionato, come quasi tutto, e quello che i due maghi dividevano la sera, conversando, era talmente allungato da sembrare acqua pura. Nonostante questo, però, Salazar e Godric non rinunciavano a quel piccolo rituale privato prima di coricarsi.
Se Godric fosse stato più giovane, si sarebbe risentito, probabilmente, che tutto il lavoro quotidiano lasciasse loro così poco tempo da trascorre da soli; ma in quei giorni, anche nell'intimità delle stanze nel sotterraneo, le preoccupazioni di entrambi i maghi non erano quelle dell'amore.
Salazar stava raccontandogli un avvenimento buffo capitato quella mattina, una notte, quando Godric lo vide impallidire e interrompersi bruscamente nel mezzo di una frase. I suoi occhi si spalancarono, come se vedessero qualcosa di terrificante davanti a lui, e Godric per istinto si voltò, portando la mano all'elsa della spada che in quei mesi non lasciava mai il suo fianco. Ma dietro di lui non c'era altro che la libreria di Salazar e il vecchio specchio annerito che lui gli aveva regalato.
La coppa di Salazar cadde rumorosamente sul pavimento, e di nuovo Godric si volse di scatto, questa volta verso di lui. Salazar era bianco come un morto e tremava, gli occhi persi, massaggiandosi il braccio malato come se gli dolesse.
Godric stava per chiedergli che accadesse quando, con un respiro fragile, come un uomo che riemerge dalle onde, Salazar rientrò in sé.
-Che ti succede?- chiese Godric, allarmato.
Salazar non rispose. I suoi occhi vagarono per la stanza, come se cercasse di ricordare dove si trovava un qualche oggetto, prima di fermarsi su Godric. Quando parlò, la sua voce era roca come se avesse gridato per ore.
-Dobbiamo agire- disse, risoluto, come se la decisione spettasse a lui solo.
Godric lo guardò, stupito: quando anche in quei giorni qualcuno aveva proposto di passare all'azione, Salazar era stato irremovibile sull'aspettare. -Agiremo- aveva detto a Godric stesso proprio quella mattina, -quando sarà il momento, e non prima.-
-Ho avuto uno dei miei sogni- continuò, e Godric, se possibile, si fece ancora più attento alle sue parole. -Solo che questa volta ero sveglio. Se aspetteremo che il nemico sia alle nostre porte...-
Salazar si interruppe. Guardò un attimo Godric, come a valutare la sua reazione. -Accadrà qualcosa di terribile- continuò poi. Godric aveva l'impressione che Salazar avesse avuto intenzione di dire qualcosa di diverso, all'inizio, ma poi ci avesse ripensato. Stava per interrogarlo in merito, quando il suo amico sbadigliò.
Godric vide la sua stanchezza, e quell'aria malata che aveva sempre quando si destava da un sogno più potente degli altri; non volle insistere per sapere la verità.
-Hai ragione- disse solo. -Domattina convocherò i capi, e ci organizzeremo.-
Salazar annuì, e quando Godric gli propose di andare a riposare non protestò che c'era ancora lavoro da fare, per quel giorno. Si addormentò appena toccato il cuscino, come un uomo che si sia liberato di colpo di un peso che non si era accorto di portare. Godric riuscì a vegliarlo per qualche minuto, prima di crollare a sua volta.
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Tre giorni dopo, a qualche ora dal sorgere di un'alba nebbiosa e diaccia, l'esercito assediato si preparava a lasciare la protezione sicura e soffocante del castello di Hogwarts.
C'erano state discussioni fino alla sera precedente, non solo sull'assetto tattico da tenere, ma sulla suddivisione delle forze in campo. La prudenza avrebbe consigliato di salvaguardare il castello lasciandovi una guarnigione di protezione, ma non c'erano uomini che si potessero sprecare per un simile compito. Da quel poco che sapevano, già al massimo delle potenzialità Hogwarts sarebbe stata in inferiorità numerica, sebbene leggera, nello scontro che si prospettava. Per qualche tempo era parso che almeno le donne sarebbero rimaste al castello: molti maghi e per la verità anche molti mercenari non le vedevano di buon occhio su un campo di battaglia.
Godric, che pure conosceva maglio di chiunque altro la competenza di ciascuna delle maghe, per qualche tempo era stato favorevole all'idea. Ma poi aveva discusso a lungo con Ileen, che voleva a tutti i costi combattere, e aveva ricordato quanto prezioso fosse stato il suo aiuto in quella scaramuccia di tanti anni prima, chiamata con tanta leggerezza guerra, al tempo.
E quella non era una guerra qualsiasi, animata da terre contese o motivi politici: era la lotta per la sopravvivenza di un sogno, quello a cui loro avevano dato vita e che adesso doveva dar prova di poter cambiare realmente le cose. Non era una cosa che riguardasse solo gli uomini.
Quando Godric disse questo al consiglio, fissando solo gli occhi di Salazar, ogni discussione in merito venne chiusa e le donne, madri e nonne, o fanciulle, affilarono le loro armi e si prepararono a partire.
Godric seguì con gli occhi la fila che si snodava davanti a lui, mentre lasciavano i prati per la valle. Stava in groppa ad un cavallo pezzato, e si sentiva a disagio. Avrebbe combattuto appiedato, come aveva imparato da suo padre, e come aveva sempre fatto da quando era giovane. Salazar stava al suo fianco, già abbigliato per la battaglia, imperscrutabile; ma Godric notò con quanta forza serrava le redini del suo puledro. Salazar si accorse di essere osservato e si adombrò per un attimo, poi distolse lo sguardo e il suo viso si addolcì posandosi sulla figura di Rowena che salutava Helena, affidata alle cure delle bambine del castello.
Lei indossava abiti maschili e portava, per la prima volta da quando Godric la conosceva, alti stivali ai piedi; il suo passo era appena incerto, ma montò a cavallo con la grazia di un ragazzo.
Poi gli uomini davanti a loro si mossero, quando venne il loro turno di partire, e Godric mise al passo goffamente il suo cavallo, seguendoli. I tre maghi chiudevano la fila. I guaritori, con i carri degli strumenti, sarebbero partiti di lì a qualche minuto.
Godric aveva pensato di voltarsi per osservare ancora una volta le torri svettanti e le mura possenti della sua scuola, per ricordarla nella battaglia, e nel caso fosse l'ultima volta che la vedeva. Ma Salazar disse qualcosa di faceto per dissipare la tensione della partenza, e Rowena rise piano, e lui se ne dimenticò.
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La cosa successiva che Godric ricordava con chiarezza era il dolore. Acuto e soffocante, si diffondeva dallo sterno e dalla schiena e lo inchiodava al letto in una tenda da campo, stritolandolo ad ogni respiro, regalandogli un'agonia ad ogni leggero tocco delle mani di Helga.
Prima c'era stato altro, quasi due giorni trascorsi dopo che avevano lasciato il conforto della scuola che era la loro casa, e prima che dal nulla sbucasse la freccia che gli aveva trafitto il fianco.
Ma i ricordi di quei giorni non erano chiari, come se una coltre di nebbia li avesse velati tra la stanchezza, il dolore e la paura.
La paura non sarebbe mai stato capace di dimenticarla.
Ricordava vagamente di aver marciato per ore, verso le colline, abbandonandosi poco a poco all'andatura regolare del suo placido cavallo, man mano che la rigidezza dell'uomo abituato a camminare svaniva, con la sua tensione; e Salazar che faticava ad imbrigliare l'ardore del suo puledro scalpitante.
Riusciva a ricostruire quel viaggio da nitide immagini spezzate che gli si affacciavano alla mente senza collegarsi tra loro, soffocate da quanto era successo dopo. Salazar che rideva, spavaldo, lasciando che il suo cavallo sollevasse gli zoccoli da terra, mascherando la paura che lo attanagliava a tutti, forse, ma non a lui. La danza dei capelli di Rowena nell'aria fresca del mattino. Il maggiore dei figli di Helga, con la sua schiena da orso, che poco più avanti cavalcava al fianco di Ileen e si sporgeva a sfiorarle la mano in un gesto intimo e giovane. Salazar che tornava verso di lui, dopo aver percorso la colonna, con l'aria stizzita che aveva sempre quando Calista non gli obbediva ciecamente. I prati infiniti della valle, le macchie nere bruciate che erano stati campi e lo guardavano come un'accusa, i contadini laceri che si raccoglievano muti al loro passaggio, mentre i bambini acclamavano, come fanno sempre, la guerra.
Il sole era calato su quella giornata, alla fine, come sempre, sugli uomini che montavano l'accampamento, che si preparavano a dormire o a vegliare, inquieti, per la sicurezza di quanti riposavano.
Poi ricordava una notte buia e infinita, fremente dell'attesa della battaglia, la corda di un arco ormai così tesa che non avrebbe potuto fare altro che scoccare, o spezzarsi. Aveva parlato con i maghi, aveva parlato con gli uomini, e, in privato, con Gavin e Rowena. Aveva parlato a lungo con Ileen, mentre quel suo ragazzo orso lo scrutava incerto con gli stessi occhi dolci di Helga, le aveva raccomandato Calista per il giorno dopo. Aveva parlato con Helga e ricordava che lei gli aveva preso le mani e ne aveva studiato le grinze da vecchio, ma senza chiedergli di non prendere la prima linea, l'indomani.
E ricordava Salazar sempre al suo fianco, Salazar taciturno e pallido, la sua mano sulla schiena o il suo fiato contro l'orecchio quando gli sussurrava un'opinione avventata, le sue dita che gli stringevano un attimo la mano quando veniva colto dalla paura; Salazar tra le sue braccia, quando infine si erano coricati sotto la volta leggera della tenda che dividevano, Salazar che tremava un poco e non riusciva a parlare; Salazar sulla sua bocca quando lo aveva baciato piano, per ore quasi, sfiorandogli i polsi e gli zigomi con la punta delle dita, in quell'intimità dolce che da sempre li legava alla vigilia delle prove più dure. Però non ricordava le sue parole. Solo il tono incerto della sua voce, che lo implorava di dirgli che tutto sarebbe andato bene, che non doveva temere. E il suo respiro sulla spalla quando si era addormentato.
All'alba li aveva accolti la vista terrificante dell'esercito schierato di fronte a loro. Le armi scintillavano lucide come le zanne di un cane rabbioso, pronte a chiudersi con uno scatto sull'osso che aveva scelto di addentare. Il rauco chiocciare dei goblin, le loro maledizioni aspre e gutturali, erano giunti a loro con la brezza del mattino, un lugubre latrato, accompagnato dal puzzo dei soldati sporchi e dalle imprecazioni, più comprensibili, degli uomini che li sfidavano.
Tutto questo gli aveva impregnato i sensi e annodato dolorosamente lo stomaco, e si era chiesto, brevemente, cosa di peggio potesse capitargli che perdere il controllo delle viscere per la prima volta nella sua vita, proprio lì, quel giorno, come una recluta che della guerra sappia solo ciò che raccontano i vecchi. Poi Salazar gli si era avvicinato e lui aveva percepito chiaramente la sua stessa paura nell'odore acre del suo sudore e nel modo incerto in cui gli aveva toccato il braccio; ma nei suoi occhi brillava ancora la fiamma dei loro sogni condivisi e costruiti, del sogno per cui combattevano, e questa vista cambiò a tal punto l'equilibrio di terrore e determinazione nell'animo di Godric, che dalla sua bocca partì l'ordine di caricare, gridato e ripreso da ogni voce, nel suo esercito.
Per Hogwarts, per ogni ragazzo che tra quelle mura era diventato adulto, per ogni momento di gioia e di difficoltà che le antiche pietre avevano sancito, e per i sogni divenuti realtà. Per il diritto di sognare, avevano attaccato gridando con tutto il loro fiato, Godric, Salazar alla sua destra e Rowena di fianco, e Ileen e Gavin e Calista e migliaia di altri dietro di loro, soldati, maghi e donne, come un sol uomo. I passi giù per il dolce declivio, verso le lame spianate, erano sembrati balzi in volo, leggeri e armoniosi, e poi si erano spezzati tra le grida e il clangore delle armi, nel calore delle fiamme e nella luce azzurrina degli scudi, e nel sangue che aveva cominciato a correre sull'erba, quando avevano colpito a segno.
La vecchiaia era scomparsa in un lampo. Le braccia erano salde, i movimenti misurati ed ogni parola degli incantesimi era suonata nitida. La sua lama riparava Salazar con ogni parata, e ad ogni affondo aveva respirato a tempo con la vita che recideva. Aveva abbandonato presto lo scudo, attraversato da una lancia, affidando a Salazar la protezione di entrambi, con cieca fiducia. Aveva evocato il fuoco che aveva risposto, preciso ed inebriante come sempre, al suo comando, lasciandosi impugnare senza bruciarlo ed uccidendo per lui.
Poi aveva udito un grido acuto di terrore, ed un urto violento al petto, a sinistra. Per un attimo aveva sinceramente creduto che l'avversario contro cui si stava battendo gli fosse caduto addosso, nell'accasciarsi. Non aveva capito subito cosa significasse l'asticella di legno che gli sporgeva dal fianco, perché non aveva sentito dolore, solo Salazar che lo chiamava e una vaga irritazione, perché non riusciva a raccogliere abbastanza fiato per rispondergli.
Poi tutto era semplicemente diventato nero.
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Capitolo XVIII