Titolo: Alluring Secret - The Black Vow
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Centro Italia/Italia Ottaviana (Vittoria Vargas), Regno Unito di Inghilterra, Scozia e Irlanda del Nord/Inghilterra (Arthur Kirkland), Stati Uniti d’America (Alfred F. Jones).
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste, Drammatico
Rating: Verde.
Conteggio parole: 3997 parole (SENZA LA CANZONE IN MEZZO.)
Avvertimenti: What if...?, OOC, Het, AU, Songfic, DeathFic, Non per stomaci delicati, One-Shot.
Note: 1. Non è betata (quando mai D:)
2. La canzone dalla quale è tratta è stata scritta da Hitoshizuku P, e troverete i suoi video su YouTube ♥
3. La fanfic non è scritta in un preciso periodo storico
4. Vittoria “Ottaviana” Vargas, creatura che rappresenta il Centro-Italia, è stata creata dalla illustre sottoscritta. Ergo, osate rubarla e vi spezzo le gambine. Gli altri personaggi presenti nella fiction appartengono al creatore di Axis Powers:Hetalia! Di Hidekaz Himaruya.
The black stained bride
At the place she was supposed to take the holy vow
She came across a mysterious boy
Smiling with mournful eyes
At the moment their eyes met
The pathetic girl fell for him
As the forbidden feelings grew inside her
She betrayed everything
Erano passati parecchie settimane, da quel particolare… incontro che aveva fatto.
Vittoria, da allora, non aveva visto più quella figura alata che aveva incontrato vicino alla chiesa; la stessa chiesa dove lei si trovava, per riconfermare i voti di lutto al povero marito defunto, sembrava quasi richiamare al ricordo del dolce sapore di quel bacio che lui, tirandola a sé, le aveva donato.
Era qualcosa di strano, che non era riuscita a dimenticare, a differenza del volto di quel marito da lei mai amato, sposato solo per volontà della famiglia. Era riuscito a trasmettergli sensazioni che un bacio con quel suo “compagno di vita” non trasmetteva nemmeno di striscio, e questo la spaventava.
Perché non era riuscita ad amare un uomo con la quale ha vissuto, per poi provare qualcosa -era qualcosa di flebile, certo, ma era pur sempre qualcosa- verso una sottospecie di angelo che non ha mai visto in faccia che l’aveva soltanto baciata?
Forse c’era qualcosa di sbagliato in sé?
Scrollò rudemente la testa, appoggiandosi un po’ ad una parete dell’esterno della chiesa, tanto la confusione nella sua testa la stava facendo sentire stordita.
«Madama, vi sentite bene?»
«Oh, non è niente...» rispose la giovane, mentre alzava la testa verso quell’interlocutore dalla voce vellutata e delicata, ritrovandosi a guardarne il bel viso gioviale con gli occhi spalancati.
Se dovesse dare un aspetto alle creature divine, avrebbero di certo l’aspetto aitante e perfetto di quel ragazzo, dal fisico asciutto e snello, ben vestito con pantaloni aderenti in pelle scura, stivali alti fino al ginocchio, camicia sbottonata fino a metà petto, di un delizioso marroncino chiaro, che mostrava parte del petto liscio, privo di pelo -quasi fosse intrappolato in un’eterna adolescenza- così come privo di barba era il viso giovane di lui, dagli occhi smeraldini, le sopracciglia folte in parte coperti dai capelli biondi che ricadevano sulla sua fronte scomposti, ed in parte legati in un stretto codino di cuoio.
Ne era rimasta così affascinata, da quel sorriso triste, da quegli occhi verdi così lucenti nella loro sofferenza, che quasi il suo cuore perse dei battiti o rischiava di fermarsi del tutto a tale bellezza.
E fu un mancamento che il giovane notò, e fu rapido a prenderne la mano guantata di nero, e tirarla quasi a sé.
«Madama, voi non state bene. Vi supplico di seguirmi, vi porterò in un posto dove possiate riposare con calma.» la rassicurò lui, guardandola con quello sguardo così triste e preoccupato nei suoi confronti -una sconosciuta- che lei non potè nemmeno negare quell’aiuto offerto, seguendo con passi traballanti e lo sguardo rapito il giovane.
Nemmeno si accorse, tanto era presa, del suo velo nero che scivolava via dalla testa e si librava nell’aria leggero, sollevato dal vento.
What they have in their hands is
The fruit of lust they had desired
Combining in a feverish frenzy
Even their pure vow
Is breaking as sin
The pieces of the past that linked us
After removing them all
As though mourning would repent us
Let me plunge in and drown inside you
Tutto era diventato così leggero da quando lui era entrato nel suo mondo.
Tutto era diverso: lo stesso modo in cui lui la trattava, con una gentilezza immane quasi temesse di romperla, la faceva sentire incredibilmente bene.
Mai si era sentita così amata prima d’ora, da un uomo.
Mai, neppure quando con il marito tentava più volte di avere un figlio, cosa che, a quanto pare, risultava impossibile da parte di lui -oh, ma ovviamente era lei a pagarne le conseguenze, spesso uscendo fuori casa per fare la spesa con un livido violastro sul viso pallido- anche per la mancanza di affetto tra loro.
Lui era sempre così affettuoso con lei, invece; anche solo quando le sue labbra sottili si poggiavano sul suo collo sottile, o quando la guardava dall’alto della sua posizione, con quel suo bellissimo sorriso che sempre riusciva a farla arrossire.
«Sei bella.» continuava a dire lui a quel suo frutto proibito dalle gote rosse, che diventavano ancor più purpuree a quelle frasi dettate dal cieco sentimento.
«N-non dirlo...» balbettava sempre in risposta lei, abbassando lo sguardo sempre verso un punto non definito del muro, cosa che la faceva apparire sempre più tenera agli occhi del biondo.
«E perché mai?»
«Perché non è vero.»
«Non dire menzogne, mia cara.» ammonì lui, senza spegnere il suo sorriso «Sei bellissima…, e aggiungo anche che la prima volta che ti baciai, giù al lago, capii che non avrei mai voluto baciare altre labbra al di fuori delle tue.»
Era sincero, lui quando pronunciava quella frase. Era sincero quando la baciava, o carezzava quel corpo pallido e delicato, o quando si permetteva, audace e sfrontato, di andare oltre le semplici coccole tra amanti: esigere di più, sempre di più, lasciare che i vestiti scivolassero via dai loro corpi come il sudore che scorre sulla pelle, unirsi come le due metà di un rompicapo, impossibile da comprendere se diviso, ma bellissimo una volta unito.
Mordere il delizioso frutto proibito, divorarne la polpa succosa e dolce fino a quando non sarebbe rimasto a malapena il nudo torsolo.
E a contrapporre quegli attimi famelici, carnali ed ossessivi vi era sempre il dopo, magari seduti sull’erba del giardino della bella casa di lei a parlare e giocare con I fiori primaverili che già spuntavano in mezzo all’erbetta verde chiaro.
Senza mai smetterle di sorriderle, prese un piccolo fiore che spuntava là accanto, e dopo averlo ben modellato per lo stelo per farlo sembrare un piccolo anello, prese la mano guantata di lei e infilarglielo al dito piano, così da non romperlo.
E vederla sorridere a quel suo semplice gesto valeva diecimila volte di più di un discorso noioso e pieno di parole e cliché già sentiti, dolce e semplice nella sua bella sincerità.
«Ti amo.» disse lui, stringendo con delicatezza quella manina sottile che sempre si divertiva a carezzare le sue guance, mentre guardava quel sorrisino tanto semplice ed ingenuo farsi sempre più largo, sciabordante della felicità che di certo stava provando in quel momento.
La presa di lei nella sua si fece più stretta, più sicura.
«Anche io.»
ah- the forbidden sin
Kept cutting at the unhealed wound
The angry judgment of the arrow
Penetrated the pitch-black girl
«Torno subito, aspettami qua!»
Aveva detto così, lui, mentre -durante una delle loro tante giornate passate assieme- rientrava nella grande casa dal portone in legno e vetro e lasciando, quindi, la giovane donna sola e seduta sull’erba.
Sorrideva, mentre lo sguardo tornava ancora sul piccolo anello a forma di fiore che lei aveva conservato, e tutt’ora guardava con una sorta di nostalgica dolcezza con i suoi occhi verdi.
Ed era così assorta da non accorgersi della figura non familiare che si stava facendo sempre più vicina a lei, minacciosamente.
Alla fine l’aveva trovata.
Alfred la guardava dall’alto, facendosi sempre più vicino, con lo sguardo che sempre di più bruciava dell’ira che lui stesso era stufo marcio di trattenere.
Una donna.
Era quindi questo il motivo per cui Arthur si era rivoltato contro il loro mondo ed era decaduto?
Una schifosissima femmina umana?!
Inaccettabile!
Fu istintivo per lui tirare fuori la propria pistola.
Pistola uguale a quella che l’angelo che un tempo considerava come un vero fratello aveva usato contro quelli come lui, tradendoli, dello stesso lucido bianco metallo della quale era stato lavorato con pazienza dai fabbri del Paradiso.
Puntò la canna dell’arma senza farsi troppi problemi contro la donna, un sorriso sadicamente malvagio deturpò il proprio viso, che si allargò appena vide la ragazza in questione rabbrividire, e voltarsi.
«Crepa, puttana.» fu l’ultima cosa che disse, sparando a bruciapelo contro il petto di lei, e gioendo macabro nel vederla crollare a terra, priva di vita, mentre una rosa cremisi spuntava dal suo petto coperto di nero, e allargandosi nello sbocciare quasi fino a terra.
Avrebbe tanto voluto ridere, Alfred, se avesse avuto davanti agli occhi il compagno.
“Hai visto?! È morta, la tua puttana! Sei felice di averci tradito adesso?!”
Eppure, quando sentì la grande porta d’ingresso della casa spalancarsi, e sentire quell’urlo angosciato dal dolore della scoperta, si nascose subito dietro il tetto, col cuore che batteva a mille, e la mano ancora stretta alla pistola.
Diavolo, era là.
Arthur...
L’angelo cercò di darsi un contegno, trattenendo il fiato e sporgendosi un poco prima che qualcuno scoprisse della sua presenza là.
Voleva vedere cosa avrebbe fatto.
Voleva vedere se il suo efferato gesto lo avrebbe riportato dove era destinato a stare, o se aveva davvero peggiorato le cose, come un brivido alla schiena gli suggeriva.
«VITTORIA!»
Non la smetteva di tremare.
Il pacchetto era scivolato via dalle sue mani, cadendo sulle scale di marmo in un tonfo leggero.
Tutto in lui tremava, lo sguardo scioccato, fisso in un unico punto, quasi sperasse che ora, in un momento, si sarebbe cancellato tutto, che sarebbe tornato tutto normale.
Ma non era così.
Lei era... morta.
Morta, crollata nell’erba con gli occhi chiusi, circondata dal proprio sangue, I capelli liberi dalla solita acconciatura complicata che lei soleva farsi, l’orribile macchia rossa che spuntava crudele sul suo bel petto.
Quasi si lanciò al suo fianco, afferrandola per le spalle, disperato nel tentare di chiamarla, o di svegliarla con lievi colpi al viso.
Ma era inutile.
Quello sguardo verde sempre dolce non si sarebbe mai più poggiato su di lui, quelle guance pallide e fredde non sarebbero più diventate rosse a causa sua.
Non avrebbe più riso, pianto, parlato.
Niente di niente.
Tutto quello che aveva sacrificato, per stare con lei ed amarla... tutto in fumo per colpa di uno sconosciuto.
Ne carezzò di nuovo il viso freddo, con una mano, le lacrime ancora agli occhi.
Non voleva separarsene.
Voleva che lei vivesse, e continuasse a sorridere in eterno, bella cole il sole che ha sempre illuminato e scaldato quel viso ora gelido e vuoto.
Deglutendo via il panico, le diede un ultimo bacio, per poi afferrare una sua mano guantata.
Lo avrebbe fatto, per lei.
Il suo ultimo sacrificio.
«My dear, lying cold
I will spend all my life for you as I swore on that day.
My sin against God...
All my acts of treachery should be paid by my death,
so I will die for you...
I believe that's my fate.»
The wingless fallen angel
Freed from the contract of evil
In exchange for her own life
Leaving one feather
She saved the girl
Dolore.
Dal cuore, sentiva del dolore.
Vittoria aprì piano gli occhi, in parte accecata dalla luce del sole.
Era strano, credeva di essere morta.
Prima, c’era un uomo con delle grosse ali, che le puntava contro una pistola, e le aveva pure urlato qualcosa, prima che il buio la inghiottisse.
Riconobbe gli occhi che la stavano guardando, in lacrime, e il sorriso triste della quale si era innamorata.
Ma c’era qualcosa di diverso in lui.
Ali.
Grandi ali bianche partivano dalla sua schiena, spalancate, e i capelli di lui erano diventati più lunghi, e luminosi.
Vittoria ci mise poco a capire quello che era successo.
Quell’angelo...
Stupida. Era stata così stupida a non capire chi fosse quell’angelo che aveva incontrato mesi prima, e quell’uomo della quale si era innamorata.
Fece per allungare la mano, tremante, verso di lui, verso quel sorriso triste che sapeva di amare.
«Arthur...?»
Lui non la smetteva di sorriderle, lasciando cadere una lacrima lungo la guancia.
«Per...do... nami...»
And vanished away
Svanito.
Così, come niente, era svanito dalla sua vista, lasciandola impietrita.
Di lui non era rimasto che una piccola piuma nera, che fluttuando si poggiò sulla mano ancora tesa della ragazza -mano che sperava di accarezzare un’ultima volta quel viso a lei caro.
Stavolta le lacrime sgorgarono dal suo viso, come un fiume in piena, mentre la presa sulla piccola piuma nera si faceva sempre più forte -più disperata- contro il proprio petto, e si lasciava piegare, distrutta, da quel nuovo dolore che era fiorito nel suo petto come prima quella pallottola aveva permesso alla rosa di sangue di sbocciare su esso.
Piangeva come non mai -nemmeno alla morte del marito aveva pianto così tanto-, con la piuma stretta al petto quasi questo avrebbe permesso a lui di ritornare da lei a consolarla, a baciarla, a dirle che era tutto uno scherzo e che non se ne sarebbe più andato.
Ma la verità era ben diversa, e lei lo sapeva per bene.
Ormai era tutto finito.
The wingless fallen angel
And the sinful black stained bride
Even after falling into the abyss
The vows' wedge entwine them
Retaining their unforgivable sin
When the fruit of sin falls into decay
They can meet again, till then...
Cosa ne fosse stato di quell’angelo dagli occhi verdi e i bei capelli biondi che si tagliò via le ali e decise di decadere totalmente per amore, nessuno lo sapeva.
Cosa ne fosse stato della bella Vittoria, invece, lo si sapeva in paese: i giornali locali annunciarono poco dopo del suicidio della bella sposa in nero dal dolce sorriso, uccisasi con una coltellata al cuore per motivi misteriosi. C’era chi pensasse alla sofferenza per la prematura morte del marito, chi alla scomparsa di quel suo amante dai capelli biondi che spesso si faceva trovare nei pressi della bella villa dove lei abitava.
Questa voce meschina si affievolì col passare del tempo.
Lasciò spazio a ben’altri scandali, quell’amore proibito, a cose ben più importanti come guerre e politica.
Ma qualcosa di certo non aveva dimenticato loro e i loro sorrisi...
25 marzo 2001
«Lasciatemi!»
Un altro pugno venne mollato sullo stomaco del ragazzo, che gemette, crollando a terra con le mani a coprire la parte offesa.
Risate e sguardi maligni erano puntati contro di lui, circondandolo in una morsa soffocante di crudeltà ed insulti.
«Kirkland, nuovo parrucchino? Oppure sono i tuoi soliti ciuffi di paglia quelli che hai sulla testa?»
«A quando una bella potatina a quei cespugli che hai sulla fronte, Kirkland?»
«Kirkland, è vero che vedi le fatine?»
Tra quelle si levò anche una voce femminile, che zittì le altre.
Una voce non ostile, anzi: sembrava volerlo proteggere da quelli, tant’è che gli sguardi contro di lui subito slittarono via, quasi intimoriti.
«Ringrazia la class-rep che ti sta salvando il culo, Kirkland, ma la prossima volta ti spacchiamo il culo.» gli ringhiò contro uno di loro, prima di richiamare il gruppo e darsela a gambe il più veloce possibile, in contemporanea con l’arrivo della ragazza, tutta trafelata, ai suoi piedi.
«Dannati, giuro che li prendo la prossima volta.»
La sua voce era corta ed affannata come il suo fiato, mentre se ne stava chinata con le mani appoggiata alle gambe seminude, coperte dalla gonna a stampa scozzese e le calze alte fino al ginocchi grigie che prevedeva la loro divisa scolastica.
Si girò poi verso di lui, porgendole la mano con un sorriso leggermente affaticato, ma sollevato.
«Tutto bene, Kirkland?»
Lui arrossì, guardando quegli occhioni verdi che le sorridevano assieme a quel bel viso contornato dai bei lunghi capelli color mogano, mentre afferrava tremante la sua mano e tirandosi su per bene.
Le sorrise di ricambio, senza mollarle la mano.
Non voleva, era un qualcosa di istintivo, che veniva dal profondo del suo cuore.
«Chiamami Arthur.»