[Axis Powers Hetalia] Alluring Secret : The Black Vow Parte 1

Feb 11, 2012 19:34


Titolo: Alluring Secret - The Black Vow
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Centro Italia/Italia Ottaviana (Vittoria Vargas), Regno Unito di Inghilterra, Scozia e Irlanda del Nord/Inghilterra (Arthur Kirkland), Stati Uniti d’America (Alfred F. Jones).
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste, Drammatico
Rating: Verde.
Conteggio parole: 3997 parole (SENZA LA CANZONE IN MEZZO.)
Avvertimenti: What if...?, OOC, Het, AU, Songfic, DeathFic, Non per stomaci delicati, One-Shot.
Note: 1. Non è betata (quando mai D:)
2. La canzone dalla quale è tratta è stata scritta da Hitoshizuku P, e troverete i suoi video su YouTube ♥
3. La fanfic non è scritta in un preciso periodo storico
4. Vittoria “Ottaviana” Vargas, creatura che rappresenta il Centro-Italia, è stata creata dalla illustre sottoscritta. Ergo, osate rubarla e vi spezzo le gambine. Gli altri personaggi presenti nella fiction appartengono al creatore di Axis Powers:Hetalia! Di Hidekaz Himaruya.


The Black Vow

The wingless fallen angel
Surrendered himself to the contract of evil
In the past they even loved each other
He ended it by his own hand

«Arthur!»

L’angelo era ancora fermo, davanti al compagno, che stringeva ancora la pistola fumante in mano. Lo sguardo di lui era basso, quasi a fissare le punte degli stivali della sua divisa e le macchie di sangue che si erano depositate sulla vernice lucida, incurante del caos di corpi morenti e puzza di ferro che intossicava le narici fino alla nausea.

Lui tremava, incredulo.

Tutto quel caos era accaduto... perchè?

Che cosa era accaduto a quello che un tempo era l’angelo più luminoso e fulgido del Paradiso per ridursi in quello stato?

Che ne era stato di quell’angelo suo amico, buono e gentile, il più puro tra loro?

Lo chiamava ancora, ed ancora una volta, ma quello, con le proprie ali spalancate, sembrava non ascoltarlo.

Decise, quindi, di muoversi verso di lui, e una volta afferratolo per il braccio lo fece voltare verso di se, cercando una risposta in quegli occhi sempre di un verde brillante, ora freddi e vitrei.

«Arthur, perchè?! Loro... erano tuoi amici!»

Niente sembrava attirare l’attenzione di quegli occhi freddi come ghiaccio. Era come se ci volesse qualcosa di ben più forte per attirarne l’attenzione.

Provò di nuovo, e di nuovo, ma la sola cosa che ottenne fu uno schiaffo in pieno viso da parte di lui, un tempo suo più caro amico.

Con una mano a coprire il punto colpito, lo guardò, scioccato, sul punto di piangere.

«...perchè?!»

Finalmente lui alzò la testa verso di lui, spalancando sempre di più le sue belle ali bianche, lo sguardo severo e truce come non mai.

«Sono decaduto da molto tempo. Questo posto non è più casa mia.»

Era la sola frase che uscì dalla bocca.

Chiara, semplice, tagliente come una lama ben affilata, ed altrettanto capace di ferire.

Mollò la presa sul braccio dell’angelo, che subito ebbe modo di spiccare il volo e sparire, lontano dalla sua vista, già appannata dalle copiose lacrime che scendevano sul viso.

Tradito. Ecco come si sentiva in quel momento.

Un fiotto di pura ira si faceva strada fin dentro al suo cervello, rimbombando così tanto da portarlo alla pazzia.

Perché quella era tutta pazzia.

«ARTHUR!»

The stray heartbroken angel
Wandered in a town at dusk
And came across a girl
With beautiful eyes
At the moment their eyes met
The pathetic angel fell for her
As the forbidden feelings grew inside him
He opened Pandora's box

Come era riuscito a ferirsi, nel volo, ancora se lo stava chiedendo.

Improvvisamente era come se non fosse più capace di fare una cosa che per lui era sempre stata naturale, ed era crollato in una dolorosa picchiata nella periferica campagna vicina, per sua fortuna, ad un villaggio che sembrava risplendere della vita lavorativa dei suoi abitanti.

Era come se fosse destino, che capitasse in quel posto.

Ferito e rantolante, il giovane angelo dai bei capelli biondi si rimise in piedi, tentando di raggiungere le porte del villaggio con le poche forze che aveva in corpo, almeno quanto bastasse da poter attraversare le porte ed appoggiarsi all’interno delle mura di cinta per riposarsi.

In compenso, al calar del sole, era già giunto ben dentro il pacifico villaggio, e pervenuto vicino ad una chiesetta molto piccola e modesta, con un sospiro di sollievo, si lasciò cadere, stanco, sulle ginocchia, pronto anche a cascare di faccia contro il freddo terriccio della stradina.

Era così stanco; mai lo era stato in tutta la sua vita.

Era quindi questo il prezzo della decadenza?

Poi, alle sue orecchie, una voce dolce, cristallina, come il canto di una sirena.

«Ehi, stai bene?»

Alzò giusto lo sguardo per vedere chi parlasse, e spalancò gli occhi dallo shock a quello che ebbe modo di vedere.

Era la creatura più bella che lui, creatura di Dio, avesse mai visto.

Era una bella donna, vestito in un prezioso abito nero -una vedova così giovane?-, con il velo scuro che copriva i bei capelli acconciati di lei, del color del legno di mogano, la pelle pallida e liscia come porcellana, arrossata verso le guance, le labbra rosee e carnose, e soprattutto gli occhi. Quegli occhi, del verde più puro ed intenso, erano la cosa più bella che, per Arthur, Dio avesse creato. Gli era bastato incontrare quello sguardo puro e luminoso, per innamorarsene immediatamente.

Era come vedere un frutto delizioso su un albero, e desiderare a tutti i costi di volerlo assaggiare.

Non si era accorto della mano che la ragazza, leggermente piegata su sé stessa, gli stava porgendo in segno di aiuto, e appena ebbe modo di vedere quella manina sottile e delicata farsi più vicina a lui la afferrò, aiutandosi a mettersi in piedi.

Teneva la testa bassa, così che lei non potesse vederne il rossore che si stagliava sul suo viso.

«G-grazie, madama...»

Lei gli sorrise. Ne era sicuro, dato l’improvviso calore che gli stava incendiando il cuore.

«Di nulla!» lei rispose, con gentilezza, mentre si risistemava, composta, il vestito. «Mi raccomando, fai attenzione! Questa strada è così rovinata da far cadere chiunque, purtroppo!» aggiunse subito dopo, con un tono di così dolce raccomandazione che fece spuntare un sorriso sulle sue stesse labbra.

Da quanto tempo non sorridevi, Arthur?

«Farò attenzione, madama...» rispose lui, balbettando leggermente, senza osare alzare lo sguardo verso di lei nemmeno per un attimo.

Non era affatto degno lui, una creatura decaduta nel peccato, guardare una creatura così pura, che era lei, che l’aveva aiutato sebbene non conoscesse nulla di lui.

Non sapeva di quello che aveva fatto in passato, nel Paradiso che fino a poco tempo prima era un posto che lui stesso chiamava la sua casa.

Non sapeva di quello che stesse accadendo in quel momento, dentro di lui, dell’ammontare di pensieri e desideri provocatori e proibiti che crescevano sempre di più ad ogni passo che faceva la bella donna quando si voltò e se ne andò per la sua strada, sicuramente per tornare nella sua dimora dato che la notte stava calando, oscura e spaventosa, sui tetti del villaggio.

E lui se ne stava fermo là, a guardarla.

Il suo viso era l’esempio lampante del desiderio che lo stava divorando già dall’interno, pronto a renderlo pazzo.

Eccolo, il frutto proibito.

What he wished for was the forbidden fruit
Hidden behind a smile
To make the forbidden love between -a human and an angel- happen
All he had to do is destroy everything
“I'll abandon my pure heart
If I'm allowed to live and love you,
I won't hesitate to cut off these wings
Let me surrender myself to the devil”

Si chiamava Vittoria.

Era la moglie di un famoso latifondista deceduto a causa di una ribellione di schiavi -erano molto frequenti simili rivolte all’epoca-, vedova già a venticinque anni. Le sue origini erano umili, e a quanto pare la dote del marito defunto era tutta gestita dai due fratelli minori di lui, accorsi dall’Italia solo per occuparsi della cara sorella in difficoltà.

Avrebbe subito pensato ad un gesto di generosità, se lui stesso non sapesse come mettere le mani sul denaro fosse ben più forte del sentimento di affetto per un parente.

Lui l’aveva seguita di nascosto più volte, sinceramente curioso di sapere che vita potesse fare un comune umano, ma presto questa semplice curiosità venne presto sostituito dal morboso desiderio di conoscere tutto ciò che c’era da sapere su di lei, quasi stesse analizzando con cura la mela che aveva davanti prima di divorarla.

Ed ogni giorno che passava, scopriva qualcosa di piccolo su di lei, ed ad ogni scoperta era sempre più euforico e felice.

Era una ragazza così bella e semplice, che adorava ricamare accanto al fuoco, cucinare e cantare, che era sempre disposta ad aiutare chi era in difficoltà.

Era perfetta; era lei il vero angelo.

Peccato che quella fosse solo una metafora: di angelico, concretamente, non aveva un bel niente, e questo non faceva che rendere ancora più sporco quel sentimento di carattere quasi ossessivo che l’angelo provava per quella pura creatura.

Lui era stanco, stanco morto di stare là a morire di fame.

Lui desiderava addentare con foga la dolce polpa del frutto proibito, e assaporarne il dolce sapore del succo maturato al suo interno.

Fu per questo che, stanco di resistere oltre, un giorno, ebbe modo di fermarla mentre stava svoltando in un angolo della strada, trascinandosela addosso per catturarne le belle labbra in un bacio.

Erano... così buone!

Erano morbide, soffici, delicate come i petali di una rosa, ma davano assuefazione come la più pericolosa delle droghe. Quelle labbra che sembravano essere state create appositamente per lui, perché ci giocasse con la lingua e le mordicchiasse gentilmente. Quel corpo che con la schiena aderiva al proprio petto magro, perfettamente, quasi fossero le metà separate ingiustamente di un solo, meraviglioso insieme.

Eppure, il senso di vuoto che ebbe quando sentì quelle piccole mani, così piccole e belle, spintonarlo via era enorme.

Lui le sorrise, tristemente, guardando con attenzione quel visino scioccato, un po’ spaventato, che aveva portato ora le labbra alla bocca violata, rossa di imbarazzo in viso.

Era così tenera, lei, anche quando lo stava rifiutando.

«N-non è come pensi!» balbettava lei, quasi volesse riparare alla ferita che ora vedeva chiaramente nel suo cuore «È che io... io non... è difficile...»

Piegò la testa di lato, senza smettere di guardarla.

«Tranquilla...»

Fu un sussurro lieve, il suo, prima di spiccare un leggero volo quanto bastasse per allontanarsi dalla ragazza e voltare un angolo ad un isolato di distanza da dove si trovava la ragazza; quest’ultima appena si accorse, alzando lo sguardo smeraldino davanti a sé, che la figura alata che l’aveva così linearmente baciata era svanita, e cominciò subito a chiamarlo per qualche minuto, forse nella speranza ritornasse indietro, per poi arrendersi, e con una mano ancora a coprire le labbra violate girare i tacchi e tornare a casa accompagnata dal sole che calava.

Lui era rimasto dietro quell’angolo per tutto il tempo, il viso coperto dai lunghi capelli biondi che si ritrovava, così che coprissero come una tenda le lacrime che stava versando.

L’aveva baciata, sì, ma... l’aveva fatta soffrire.

E lui, si rese conto, di non volerlo per niente.

Lui desiderava che quel frutto proibito restasse bello lucido, e che non si ammaccasse mai, o perdesse la sua lucentezza.

Alzò di scatto la testa, lo sguardo tremante.

Idea.

Forse c’era un modo.

Un modo semplice, ma doloroso.

Doveva rinunciare, aveva capito.

Doveva rinunciare a tutto quello che aveva.

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