Proprio in questi giorni sto discutendo, con amici, riguardo alle origini dell'amore (o del disamore) per la lettura, passo fondamentale per chi vuole eventualmente dedicarsi anche alla scrittura.
Nel mio caso è una passione che ha radici nei primissimi anni di scuola. Fortunatamente ho sempre trovato sulla mia strada degli ottimi insegnanti d'italiano, della categoria "faccio questo lavoro perchè mi piace".
Lontani dall'obsolescenza mentale che sembra cogliere gran parte dei nostri docenti, i miei professori avevano il gran dono di sapere come trasmettere l'amore per il libri che, a quell'età, non è certo cosa comune e diffusa.
Ricordo con affetto il giorno in cui il professor Alpino mi prestò "Il meglio di Asimov", in edizione mondadori (all'epoca con il logo grigio e la copertina bianca). Per me fu una sorpresa, ma anche una sorta di epifania: scoprii una nuova dimensione, mentre fino ad allora distinguevo molto tra "lettura da scuola" e "lettura da casa".
La prima era generalmente ritenuta barbosa: era difficile comprendere la bellezza di un libro come "I Promessi Sposi" in prima media!
Il nuovo professore, oltre ad avermi introdotto ad Asimov, adottò una scelta di romanzi da leggere in classe che alternava i classici voluti dal piano d'istituto, a libri più appassionanti, per dei ragazzi di 11, 12 anni.
Ricordo che in quei due anni ci portò per mano alla scoperta di libri quali "Il giorno della civetta", "Se questo è un uomo", "Lo hobbit", "Il sergente nella neve".
Fu un ottimo modo per introdurci a temi più contemporanei e interessanti (agli occhi di un ragazzino) che non quelli trattati da "La coscienza di Zeno" o dai Malavoglia.
In quel modo cominciai a capire che anche la letteratura seria poteva essere appassionante, concetto che non mi sarebbe mai entrato in testa se avessi dovuto impare tutto Leopardi a memoria.
La riscoperta dei classici avvenne negli anni a seguire, quando rilessi "I Promessi Sposi" e la Divina Commedia, innamorandomi di entrambi. Alle superiori però, facendo parte di una classe da cui erano confluiti alunni provenienti da molte scuole del circondario, ebbi modo di vedere quanto le precedenti esperienze con la letteratura li avessero fatti disinnamorare dei libri.
A volte è un danno recuperabile, altre volte no. Oppure avviene troppo tardi, quando si son persi gli anni migliori, in cui il cervello esprime le massime potenzialità, senza leggere nemmeno un libro.
Mi chiedo come funzionino le cose ai giorni nostri nelle scuole. Il livello d'attenzione dei ragazzi mi sembra ulteriormente abbassato, anche perchè, fin da giovanissimi, hanno in mente altro che non "perdere tempo" su un libro. Fanno eccezione Moccia e Faletti, non tanto per il valore intrinseco di tali romanzi, quanto piuttosto perchè diventati fenomeni di moda. Ciò vuol dire che, se non hai letto l'ultimo Moccia, sei "out". E poi fa niente se non ti è piaciuto o se hai saltato una pagina sì e una no.
Eppure, mi chiedo, davvero i professori cercheranno d'imporre la lettura de "La coscienza di Zeno" al quattordicenne che ha in mente di riprendere la compagna di banco senza mutandine? Cosa potrebbe trasmettere un libro del genere a un giovanissimo che non ha né la capacità né la voglia di comprenderlo?
Non sarebbe ora di fare una rivalutazione di quelli che vengono definiti "Classici"?
Perchè non alternare la loro lettura con qualcosa di più recente e quindi in grado di toccare la sensibilità e l'interesse dei giovanissimi?
Sarebbe davvero così tremendo tentare di far leggere ai nostri ragazzi qualcosa di Gadda, di Saramago, di Dino Buzzati, Asimov o di Fruttero e Lucentini?
E perchè non ancora qualcuno di più moderno: Augias, Scerbanenco, Colaprico, P.K.Dick, Vonnegut o addirittura Eraldo Baldini?
Prima di tutto credo ci sia ancora molto ostracismo verso la letteratura di genere. Troppi soloni pensano ancora che un Vonnegut sia "solo fantascienza", senza cercare nemmeno di capire il messaggio che sta dietro a un romanzo come "Piano Meccanico", "Ghiaccio Nove" o altri. Quindi, se non lo capiscono loro, non lo possono trasmettere ad altri.
Seconda cosa, a volte sospetto che ci sia in atto una specie di piano per distruggere la creatività e il libero pensiero. La scuola italiana mi sembra un esempio grande come una casa. Perchè il creativo è fuori dagli schemi, capisce le cose che "sarebbe meglio non capire", e quindi rappresenta un pericolo.
E allora è più semplice dire "leggete i Malavoglia e poi fatemi il riassunto".
Laviamocene le mani, e poi chissenefrega se in Italia la massima forma di aggregazione concepita è quella nella curva degli Ultras.