Rientro in topic con l'argomento primario del blog: la scrittura.
Lo spunto me lo dà la news letta sul blog di
Daniele Ramella, scrittore emergente di cui ho apprezzato i primi due libri, “
Il mummificatore” e “
Il mistero del bosco maledetto”.
La news è presto detta: pare che il prossimo romanzo di Ramella verrà pubblicato a breve per
www.stampalibri.it, un servizio di print on demand che, devo essere sincero, conosco poco poco.
Per chi non sapesse cos'è il print on demand (da adesso in poi semplicemente POD), eccovi la definizione by Wikipedia:
“Il print on demand (in italiano stampa su richiesta) è una modalità di stampa che prevede la realizzazione tipografica di un libro dietro ordinazione del lettore.
Una casa editrice prepara un volume e lo mette in vendita attraverso i canali di distribuzione più diversi (cataloghi, internet, ecc.) senza stamparlo. Le copie vengono successivamente stampate, spesso con tecnologia digitale, solo sulla base delle richieste dei possibili acquirenti. Nel caso di stampa in modalità digitale, la sua peculiarità consiste nel garantire elevata qualità di stampa (pari e, a volte, superiore rispetto alla stampa tipografica tradizionale) anche tirando un numero molto basso di copie del libro.”
Ma la scelta del POD è felice o infelice? Non parlo certo di Daniele, che mi perdonerà per averlo citato come spunto di discussione.
Ne ho già parlato spesso, in passato (cercatevi i tag), perciò mi limito a rifare qualche considerazione di massima.
Fattori positivi:
Il POD dà all'autore massima libertà di gestire il suo lavoro, senza dover mediare con case editrici, agenzie letterarie e altri. In questo modo la creatività resta pura al 100%, non inquinata da intermediari che, per bravi che siano, non potranno mai sapere cos'ha esattamente in testa uno scrittore.
L'autore che non ha “conoscenze particolari” può comunque realizzare il sogno di vedere il suo libro stampato, solitamente in buona qualità, e quantomeno regalarlo/venderlo ad amici e conoscenti. Se poi riesce a gestirsi bene, potrebbe anche fare il botto...
Si evita di ricorrere agli “editori con contributo”, che sarebbero poi tutti quelli che per pubblicarti un libro chiedono dei soldi allo scrittore. Eh, sì, avete capito bene! Per questo argomento vi rimando alla recensione che feci al bellissimo manuale “ Esordienti da spennare”, un libercolo che qualsiasi scrittore dovrebbe tenere sul comodino.
Fattori negativi:
Il POD è un mondo caotico. Oramai sono moltissimi gli scrittori che si rivolgono a editori di questo genere (primariamente Lulu.com), tanto che dare visibilità a un singolo titolo è un'impresa davvero ardua. Si viene subito rimpiazzati da un'altra ondata di proposte...
Come postilla al punto enunciato qui sopra, lo scrittore che pubblica col POD deve mettersi nell'ottica di poter fare una massiccia campagna promozionale per dare visibilità al suo libro, viceversa difficilmente riuscirà a venderne più di una decina di copie. Questo implica ovviamente l'avere tempo e mezzi (internet soprattutto, ma non solo), per fare un po' di marketing nei posti giusti, senza spammare a caso, abitudine particolarmente perniciosa...
Senza ricorrere all'editoria “classica” non si ha l'intermediario di un correttore, vale a dire di tutti quei simpatici personaggi che prendono un manoscritto e individuano refusi, capitoli che non funzionano, parti da cambiare e/o integrare. Questo vuol dire che se lo scrittore non è particolarmente bravo rischierà di vendere una vera e propria schifezza, giocandosi così parte della credibilità futura.
Il POD non si appoggia su nessun grosso mezzo di distribuzione, bensì solo sui cataloghi online di internet. Questo vuol dire che non troverete mai in libreria il romanzo che avete fatto stampare. Un problema da poco? Non per chi ha un ego “importante”.
Probabilmente fra un po' anch'io proverò l'esperienza di pubblicare qualche mio vecchio eBook col POD. In realtà lo scopo è quello di avere una versione cartacea di quanto finora ho proposto solo in formato elettronico. Non credo che venderò più di una decina di copie, e sinceramente credo che questo rientri nel normale ordine delle cose. Se l'esperienza invece dovesse andare benino, chissà, magari la prenderei in considerazione per qualcosa di più serio.
Però...
Però c'è una cosa da dire. Il fenomeno di autoproduzione va oltre il campo della scrittura. Sono sempre più anche i cantanti che ricorrono a scelte del genere, o che propongono la loro musica direttamente su piattaforme come myspace, youtube e simili. Ogni tanto si sente di qualcuno che raggiunge il grande successo partendo dalla propria webcam (al momento mi viene in mente
Lily Allen), ma provate a pensare: per uno che ce la fa, quanti falliscono?
È un bene dare a chiunque la possibilità di esprimere la propria creatività? In linea di massima direi di sì. Altri dicono che in tal modo si va verso un appiattimento qualitativo, proprio perchè non c'è più nessuno a fare da filtro. Intendo dire figure come editor, agenti, professori (di musica, di scrittura etc etc).
Il caso di Youtube è effettivamente emblematico: chiunque può improvvisarsi regista, e oramai anche il cinema “serio” copia i dilettanti allo sbaraglio. È il caso di film come “REC”, “Cloverfield” e altri.
Allora, è un bene o un male?
E io che ne so?