9 ottobre 1963, ore 22.39

Jul 10, 2007 22:28


Forse la data non vi dirà molto. Si sa che le date sono piuttosto ostiche da ricordare. Allora vi dirò un nome. Uno solo. Vajont. 
A questo punto, se vivete sul pianeta Terra, dovreste aver ricordato molte più cose.
Su al Vajont ci torno sempre volentieri, quindi ogni pretesto è buono. Al di là del fatto che è una meta che ogni persona che vive da queste parti dovrebbe vedere almeno una volta nella vita, il posto è molto bello e suggestivo. La gola scavata dal torrente è una cosa spettacolare. Purtroppo per riprenderla a dovere si dovrebbe o volare o salire sulla diga, cosa che non è sempre possibile, ma anche costeggiandola passeggiando a fianco dell'impianto si intuisce quanto sia mozzafiato. E la visione di Longarone (di quel che resta della Longarone vecchia, più che altro) aggiunge sublime al sublime.
Ma la cosa che colpisce più di ogni altra cosa, su al Vajont, è il silenzio assoluto che pervade la zona. Come se il giorno della frana il frastuono sia stato così esagerato che adesso, per secoli, non si sentirà più altro rumore. I paesi abbarbicati lassù, sopra la diga, sono vivi, ma quasi non sembra. Passeggiare per le loro viuzze è come avventurarsi in una città fantasma. Gli abitanti che hanno voluto (fortemente) riprendersi la propria terra non sono tanti. E non me la sento di biasimare molto gli altri. Alcuni avranno pensato che non era sopportabile guardare ogni giorno al punto della Terra da cui si era generata ogni loro tragedia. Altri, più prosaicamente, forse non avevano nemmeno più una casa cui tornare.
La vicenda del Vajont, grazie anche al lavoro di artisti come Marco Paolini e - recentemente - grazie ad un film (uscito però non in tutta Italia, a quanto ne so. E non capisco perché), dopo quasi quarant'anni ha goduto di una piccola ribalta: chiaramente, visto che i protagonisti della tragedia sono poveri montanari, piccoli paesi prima di allora anonimi, e gli antagonisti invece sono organi potenti come l'Enel e lo Stato, non si è trattata di una ribalta di grande effetto, come sarebbe stato giusto. Che dobbiamo fare, così gira il mondo, o almeno l'Italia, pare. Non ci resta che raccontare ogni volta che possiamo la storia. La storia vera, ovviamente. Non quella che per quarant'anni hanno spacciato per verità.
Allora, come inizia la fiaba?
Un bel giorno, una società idroelettrica di nome SADE decide di voler creare un impianto in quella valle, sfruttando la gola che il torrente Vajont nei secoli si era pazientemente scavato. Il luogo è ideale, per certi aspetti: la posizione strategica consentirebbe di raccogliere un notevole volume d'acqua, da tenere come "riserva" da riutilizzare nei momenti di secca del Piave, permettendo così anche agli altri impianti sparsi per la zona di funzionare (e quindi all'energia di essere distribuita. E alla SADE di guadagnare). Le montagne (il Salta e il tristemente famoso Toc) creano in un certo punto una strettoia che sembra fatta apposta per essere chiusa da una diga. Quanto ai terreni da espropriare, sono terre di montagna, povere, che si possono comprare per quattro soldi. Chi se ne frega se i montanari con quelle terre ci vivono. Sono montanari, chi se li è mai filati?
Alla SADE importano queste caratteristiche, e quindi la diga si comincia e in pochissimo tempo è già su, bellissima. Il problema è che il monte Toc quella diga davvero non ce la vuole. L'acqua di quella montagna, assolutamente inadatta ad avere i piedi bagnati, comincia a scavare nella roccia, a infiltrarla, a impregnarla, a farla marcire dentro. Cominciano i boati sordi, i terremoti, le piccole frane preliminari. La montagna si lamenta, avvisa che c'è qualcosa che non va. Ma la SADE vuole vendere un impianto collaudato e funzionante, e prosegue imperterrita col suo lavoro. Poi arriva il 9 ottobre. Alle 22.39 il Toc crolla. Una fetta gigantesca di montagna, con bosco, pascoli e terra, una enorme M si tuffa sciaguratamente nelle acque del lago. M di morte, purtroppo. Danni ad Erto e Casso, i due paesi che stavano sopra al lago e che da anni lottavano - inascoltati - per scongiurare quella catastrofe. Ma soprattutto danni a Longarone, la cittadina che stava ai piedi della gola del Vajont che, ignara di tutto, quella sera viene prima spazzata via dall'aria generata dall'ondata che correva contro di lei nella gola, e poi letteralmente cancellata dall'ondata stessa.
Il risultato? Più di duemila morti.
Il risultato? Questo:
Foto 1
Foto 2
Prego notare che l'intera M non poteva essere fotografata perché troppo enorme per entrare nell'obiettivo. Nonché per essere colta a colpo d'occhio.
Prego notare che quell'ammasso di terra che si vede sopra il bordo della diga in quel punto è in una delle sue depressioni: la frana che riempie il serbatoio del Vajont è così enorme che da certi punti quasi copre alla vista la vetta della montagna retrostante.
Foto 3
Quanto alla profondità della diga... tanto per darvi un'idea:
Foto 4
Questo è il livello più basso a cui arriva la terra della frana.
Foto 5
Questa è la diga nella sua interezza. Il punto che si vede nell'altra foto corrisponde più o meno a poco più sotto del primo "cornicione" dall'alto.

I segni lasciati dalla diga ai due paesi della montagna sono più che altro nel cuore di chi quel disastro l'ha vissuto. Erto e Casso, nella sciagura, sono stati in qualche modo protetti e salvati da quella stessa montagna che li aveva nutriti da quando erano sorti: il primo è stato sorvolato dall'ondata, che dunque l'ha colpito dall'alto, ma non l'ha trascinato via con sé. Il secondo è stato salvato da uno spuntone di roccia contro cui l'acqua sollevatasi contro di lui andò a sbattere, perdendo potenza. Molte case, poi, presumibilmente sono state ricostruite e oggi i paeselli appaiono anche gradevoli e caratteristici. Il colpo d'occhio di Casso, ad esempio, è molto carino:
Foto 6
Foto 7
Tuttavia - soprattutto gli ertani - non hanno voluto cancellare tutto. Che restino i segni di ciò che ci è stato fatto, sembrano voler dire questo con la loro decisione di ricostruire la nuova cittadina in alto, e lasciare quella vecchia con le stesse cicatrici che le sono state inferte a suo tempo.
Foto 8
Foto 9
Foto 10

Chiuderei con queste due foto, scattate in quel di Erto, dove vive un signore di nome Mauro Corona, autore di alcuni libri e molto amato e conosciuto, almeno da queste parti. Nessuno meglio di lui e di quelli che, con testardaggine e tenacia, si sono voluti riprendere quello che era stato loro tolto, e che non hanno mai voluto dimenticare la verità.
Foto 11
Foto 12

escursioni

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