[Axis Power Hetalia] Caleidoscopio - Heracles (17/?) - Parte Due

Feb 03, 2014 16:46




Il Figlio del Cielo non fece commenti diretti sulla sua assenza ai festeggiamenti. Lo colpì a tradimento con una frecciatina casuale qualche giorno dopo, durante una lezione di storia.
«Dovrò far circolare un ritratto del tuo amico tra le guardie. Così non lo attaccheranno, la prossima volta che verrà a trovarti. O, forse, preferirai fargli visita tu stesso.»
Young Soo li aveva fissati alternativamente al di sopra del libro di storia, senza capire a chi si riferissero. Kiku fu sul punto di alzarsi, tanta fu la veemenza con cui esclamò:
«Io non intendevo mancare di rispetto…»
Yao alzò una mano, quieto, invitandolo a sedersi di nuovo.
«Non hai mancato di rispetto a nessuno. Anzi, trovo che sia meraviglioso che la vostra amicizia sia così forte a distanza di anni. Il tempo ha la fastidiosa abitudine di sciupare le cose» un’ombra di tristezza passò in quegli occhi secolari, e un battito di palpebre la spazzò via. «Solo, chiedigli di annunciarsi, la prossima volta: il Palazzo non può essere messo in allarme per una visita confidenziale.»
«Sarà fatto» garantì Kiku.
«Molto bene» approvò Yao. «Riprendiamo la lezione.»
Young Soo non aveva ancora capito quale fosse l’oggetto della discussione, ma tornò sulle pagine fitte di date senza fare storie.
Il Figlio del Cielo non diede voce al suo successivo pensiero: Kiku si infiammava molto, quando si parlava del suo amico. La cosa lo rendeva molto felice: per lui, che era stato benedetto dall’astro del fuoco, era sempre un piacere vedere le fiamme divampare in quelle iridi nere.
Le giornate successive trascorsero in sintonia con il programma stilato: allenamenti e scontri si susseguirono rapidamente, portando Kiku alle selezioni finali per la carica di Samurai.
Yao e Young Soo non potevano esprimere simpatie personali, mentre assistevano agli scontri dalla balconata imperiale, ma gioivano intimamente ogni volta che il loro lottatore preferito atterrava il suo avversario, e l’arbitro lo dichiarava vincitore. I festeggiamenti si svolgevano a sera tra le mura riservate delle loro stanze, dove nessun occhio esterno avrebbe potuto interferire. Young Soo era sempre il più chiassoso, nonché il più goloso di sakè. Kiku spediva l’usignolo a Heracles con il resoconto della battaglia solo dopo che i fumi dell’alcol avevano abbandonato la sua lingua: non voleva che l’amico lo prendesse in giro per i suoi discorsi sbiascicati dalla sbornia.
La notizia giunse mentre il medico di corte stava ricucendo un taglio sulla spalla del giovane combattente. Aveva appena finito di fasciare la ferita suturata, quando Yao entrò nella stanza.
La sua andatura non era cambiata, sempre elegante e ben bilanciata, ma il fuoco del sovrano era stato smorzato da una colata di cenere. Kiku si sentì quasi minacciato da quell’aurea funerea.
Il dottore abbandonò la stanza dopo essersi inchinato al sovrano, che si avvicinò al suo protetto.
Kiku si appoggiò la giacca militare sulle spalle, per non ricevere il suo regnante a torso nudo. Il soldato analizzò la tristezza che incupiva il volto del sovrano, la lieve incurvatura della schiena e la cautela con cui si muoveva, quasi temesse di spezzare l’aria; sommò tutti quei dettagli e trasse la sua conclusione. C’era solo un motivo per cui il regnante avrebbe potuto avere tante riserve nei suoi confronti.
«È successo qualcosa a Heracles?» domandò.
Yao si congratulò interiormente per la perspicacia del guerriero: sarebbe diventato un ottimo Samurai, se fosse riuscito a superare anche le ultime prove.
«È arrivato un messaggero adesso…» Kiku non gli diede modo di terminare il suo commiato; l’arguzia del soldato anticipò ogni sua premura.
«Se hanno inviato addirittura un ambasciatore, deve essere successo qualcosa di molto grave. È morto?»
Il corpo, la voce e il viso di Kiku rimasero immobili, marmorei. I suoi occhi si fecero piatti, come se i sentimenti fossero stati risucchiati all’interno. Kiku stava ritirando ogni possibile emozione per non esporla al mondo esterno; era il suo sistema difensivo da sempre.
Yao lo sapeva, ma si sentì intimamente ferito da quella levata di scudi: non credeva che il suo figlioccio lo ritenesse così poco degno di fiducia.
«Nessuno sa come sia successo» rivelò il Figlio del Cielo, con il massimo tatto possibile. «Lo ha trovato il fabbro, riverso a terra. Non ha ferite o contusioni sul corpo, non sono state trovate tracce di veleno. Kiku…»
«Se parto ora, sarò di ritorno in una settimana» il giovane infilò la giacca e la richiuse velocemente, per poi riappropriarsi della sua spada e avviarsi verso l’uscita. «Tra otto giorni avrò il prossimo scontro. Farò in tempo» e scomparve nel corridoio.
Poche ore dopo, il guerriero abbandonò il Palazzo a dorso di cavallo.
Young Soo entrò in punta di piedi nella stanza di Yao; il Figlio del Sole era adagiato sul suo trono, abbracciato dalla penombra del tramonto.
«Come è andata?» domandò, accucciandosi ai piedi del sovrano, con i gomiti appoggiati sullo scranno. Yao gli accarezzò la testa pettinandogli all’indietro la frangia, e riassunse:
«Non ha pianto, non ha urlato. È corso al villaggio per assistere ai funerali.»
«Kiku è proprio forte, se non ha nemmeno pianto» considerò Young Soo. Le dita del Figlio del Cielo si fermarono sulla sua testa, raggelate.
«No. È l’opposto» Yao ritirò la mano all’interno dell’ampia manica. «È così fragile che non può permettere alle lacrime di scorrere: una diga corrosa può andare in pezzi, se consente a una goccia d’acqua di passare tra le sue crepe.»
Il Portavoce del Sole scattò in piedi, allarmato.
«Non voglio che Kiku vada in pezzi!» esclamò. «Cosa possiamo fare?»
Il Figlio del Cielo raccolse le pieghe di seta del suo abito in grembo. La sua risposta fu un’unica parola.
«Aspettare.»

***

Kiku tornò allo scadere del settimo giorno, come promesso.
Attraversò l’entrata principale silenzioso come uno spettro. Si imbatté in Young Soo al primo angolo del corridoio.
«Kiku…» balbettò il Portavoce del Sole.
Il guerriero scrutò adamantino il piccolo mago mentre questo boccheggiava e gesticolava, senza riuscire a emettere suono; gli occhi del Portavoce si riempirono di lacrime, che ruppero gli argini poco dopo. Prima che Kiku potesse dire o fare qualunque cosa, Young Soo gli gettò le braccia al collo e gli bagnò la giacca con il suo pianto.
«Non andare in pezzi, …» fu tutto quello che il soldato riuscì a comprendere dal suo farfugliare. Il guerriero gli batté alcune pacche sulle spalle per tranquillizzarlo e, una volta che si fu calmato, si discostò da lui per poi imboccare il corridoio che conduceva alla sua stanza.
«Le dighe crepate si riparano» gli gridò dietro Young Soo, asciugando le ultime lacrime sulle maniche troppo lunghe. «E si riparano meglio insieme!»
Kiku non si fermò al richiamo del Portavoce del Sole. Temeva che, se si fosse voltato, tutte le barriere che aveva eretto per contenere il suo dolore sarebbero crollate. Non aveva previsto che un avversario molto più ostico del ragazzo di Kankoku lo stesse aspettando nella sua stanza.
«Bentornato» lo salutò Yao, finemente seduto sul bordo del suo letto.
Kiku rimase per un attimo congelato sulla soglia della camera. Raggiunse il letto a passi marziali, e si mise a sedere su di esso in una posa rigida, fissando la porta e non il Figlio del Cielo.
I loro respiri scandirono lo scorrere di alcuni minuti, prima che Yao esordisse, con voce vellutata:
«Soffrire non è un disonore, Kiku. Nemmeno le lacrime lo sono. Significano che non sei così egoista da pensare solo a te stesso.»
Il guerriero rimase immobile e muto come una statua di terracotta. Yao proseguì, morbido:
«Il lutto è un cancro: se non lo asporti in modo appropriato, si diffonderà in tutto il corpo. A volte, il bisturi migliore è l’orecchio di un compagno.»
Kiku non rispose nemmeno a quell’appello. Il Figlio del Cielo abbassò il capo, sebbene gli fosse difficile accettare il silenzio dell’altro. Lui avrebbe affidato la vita a Kiku, e lo feriva profondamente pensare che lui non gli avrebbe consegnato nemmeno una confidenza.
Stava per abbandonare la camera quando le parole del guerriero lo trafissero in mezzo alle spalle.
La testa era chinata e le mani strette tra di loro, e le parole si trascinarono faticosamente fuori dalle sue labbra contratte.
«Quando sono arrivato là…» cominciò. «… non ho riconosciuto nulla. Ero abituato a conoscere tutti i posti in cui Heracles stava. All’orfanotrofio, il nostro mondo era piccolo; quella città era immensa e…» Kiku scrollò la testa, ma tenne lo sguardo piantato a terra. «Sono arrivato dove si teneva il funerale. Il fabbro mi ha guardato e mi ha chiesto: “Lo conoscevi?”»
Quelle parole caddero come macigni nel silenzio improvviso. Yao si avvicinò di nuovo a lui, mentre il soldato confessava:
«All’orfanotrofio tutti sapevano che eravamo amici. Nessuno mi avrebbe chiesto se lo conoscevo. In quel momento ho capito quanto fossimo stati lontani in questi anni.»
Il Figlio del Cielo raccolse le pieghe del suo abito con una mano per inginocchiarsi di fronte a lui.
«Rimpiangi di aver scelto la via della spada?» domandò garbato Yao.
Kiku scosse la testa. Le mani del Figlio del Cielo si appoggiarono delicate sui suoi capelli corvini, come avrebbero fatto quelle di un padre.
«Spesso la vita ci mette davanti a dei bivi. Chiedersi troppo insistentemente cosa avremmo ottenuto se avessimo imboccato la via opposta può distruggerci.»
Kiku negò nuovamente con il capo. Gli occorse qualche secondo per riuscire ad articolare:
«Non rimpiango la mia scelta. Ma avrei voluto avere tempo di ripagare la sua gentilezza.»
Si sottrasse alle carezze del Figlio del Cielo, sempre a occhi bassi, ed estrasse da sotto il letto un fagotto di stracci e cordoncini. Yao si stupì enormemente quando una stupenda spada emerse da quell’involto di tessuto grezzo.
«Te l’ha regalata lui?» chiese, apprezzando la mirabile fattura dell’arma.
«L’ha creata lui.»
Yao schiuse le labbra in una moderata sorpresa: l’amicizia profonda che li legava era impressa in ogni centimetro di quel ferro magnifico.
«E tu non gli hai regalato nulla in cambio?»
Il Figlio del Cielo trasse le sue conclusioni dal silenzio di piombo che colò su di lui. Il sovrano poggiò di nuovo le sue mani setose sulla testa del giovane, in ginocchio davanti a lui.
«Sai, Kiku, credo che le cose che pesano di più, tra noi e i morti, siano le occasioni perdute. Tu non rimpiangi la tua scelta. Ma sono rimaste tante cose che avresti voluto dire e fare, e la morte ti ha strappato l’opportunità di metterle in pratica.»
«È una situazione senza rimedio.»
«Sbagliato. Il rimedio esiste. Dentro di noi.»
Yao accarezzò con più dolcezza quei capelli morbidi, e continuò:
«Tu ora stai guardando solo alle cose che non hai potuto fare. Ma pensa a quello che hai fatto: lo hai liberato, Kiku. Se non ci fossi stato tu, sarebbe morto sotto la sferza del suo maestro. Tu lo hai salvato…»
«È morto ugualmente.»
«È il destino dei mortali, è inevitabile. Ma è morto da uomo libero. E quella libertà gliel’hai donata tu. Quindi non pensare di non essere riuscito a ricambiare: questa spada meravigliosa è stata il suo modo di ringraziarti per il regalo inestimabile che gli hai fatto.»
Lo sguardo di Kiku continuò a evitare quello di Yao, e il Figlio del Cielo appoggiò le dita sulle sue, strette a pugno.
«Te l’ho detto. Soffrire non è un disonore.»
Finalmente, le spalle del guerriero si sciolsero nei singhiozzi trattenuti per tutti quei giorni. Le maniche del Figlio del Cielo si stesero sulla sua schiena curva, mentre il sovrano lo stringeva in un abbraccio paterno.
Heracles non avrebbe mai più rincorso i gatti, non avrebbe più forgiato spade, non avrebbe più gettato tutto il Palazzo nello scompiglio per una gita non annunciata. Non riusciva ad accettare che il suo migliore amico se ne fosse andato in un modo tanto assurdo. Doveva fare qualcosa per ricordarlo e strapparlo a quella morte così insensata.
Si staccò dal Figlio del Cielo con gli occhi ancora gonfi di lacrime, afferrò la spada e la fece scintillare nella luce del crepuscolo.
«Diventerò il Samurai» la sua voce era intrisa di pianto, ma tremendamente ferma. «Heracles mi condurrà alla vittoria.»
Yao accettò la sua decisione con condiscendenza, e confermò:
«È un bel nome per una spada» il Figlio del Cielo condusse la sua arma verso il basso, e lo accolse di nuovo tra le sue braccia. «Ma adesso non è tempo di combattere. Adesso devi sfogarti.»
Le mani forti del guerriero si strinsero sulle sue spalle sottili, mentre le sue lacrime gli bagnavano il petto.
Young Soo si trattenne dal bussare alla porta, sentendo i singhiozzi di Kiku all’interno. Non aveva voluto condividere il suo dolore con lui, ma lo aveva fatto con il fratellone.
Si allontanò, scalpicciando festoso nei corridoi.
Il Portavoce era una persona troppo semplice per offendersi per una cosa del genere: era semplicemente felice che quel suo fratello dalla testa dura fosse riuscito a piangere, alla fine.

***

Heracles svettò vittoriosa nel cielo il giorno successivo.
Kiku si candidò ufficialmente alla sfida finale per la carica di Samurai.

Anche su: EFP

Capitoli precedenti:
Capitolo Uno: Uno Scettro in mezzo al Cielo
Capitolo Due: Sangue sull’Argento
Capitolo Tre: L’Auspicio
Capitolo Quattro: Il Custode dei Cancelli
Capitolo Cinque: Cuore d’Inverno
Capitolo Sei: Prigione Caina
Capitolo Sette: Hellsing
Capitolo Otto: Belial
Capitolo Nove: Il Confine del Mondo
Capitolo Dieci: Hispaňa
Capitolo Undici: L'Accordatore
Capitolo Dodici: Il Mago dell’Ovest
Capitolo Tredici: Gunsmith
Capitolo Quattordici: Le Mani del Diavolo
Capitolo Quindici: Il Portavoce del Sole
Capitolo Sedici: L’orfano

Successivo:
Capitolo Diciotto: L'Aquila

heracles, caleidoscopio, kiku honda

Previous post Next post
Up