Someone to hear your prayers; someone who cares [Dio Brando, Jonathan Joestar]

Mar 27, 2016 19:28

Titolo: Someone to hear your prayers; someone who cares
Fandom: Jojo's Bizarre Adventure
Personaggi: Dio Brando, Jonathan Joestar
Rating: NSFW
Wordcount: 5022
Warnings: incesto tra fratellastri, crossdressing, humiliation kink
Note:
1. anche questa per il COWT
2. [flashback di guerra della Thorki]
3. noto solo ora la presenza di mille errori aiutatemi

Enjoy!


Chissà cosa avrebbe pensato la servitù, se si fosse ritrovata ad aprire la porta della camera di Jonathan, e l’avesse trovato in quell’imbarazzante situazione, alla sola idea provava terrore. Poteva immaginare le cameriere scioccate urlare per i corridoi, attirare l’attenzione di suo padre, e fargli passare ore ed ore di infamia e vergogna assoluta. Non che non provasse vergogna in quel momento, anzi, la tensione gli aveva arso la gola e le sue dita impazienti tormentavano l’orlo in pizzo della gonna che si era ritrovato ad indossare. La cosa più assurda, è che era della sua misura, il che lo portava ad immaginare la scena in cui il colpevole di tutta quell’idiozia s’era presentato in una qualche sartoria e avesse chiesto un vestito su misura, troppo sconcio e troppo largo per essere un normale vestito da cameriera. E con misure che nel bene e nel male erano simili alle sue, se non direttamente le sue - un po’ aiutava, avere la stessa stazza. Ma chissà se Dio avesse anche lui provato imbarazzo a chiedere qualcosa del genere. Di certo, non a lasciargli il vestito accuratamente impacchettato la sera precedente, e un biglietto assieme ad esso, nella sua scrittura precisa ed elegante, l’esatto contrario del pasticcio inchiostrato che era la grafia di Jonathan. Ancora lo stomaco si contorceva, ripensando a quello che Dio aveva avuto il coraggio di scrivergli, le fitte righe in cui descriveva in ogni dettaglio come avrebbe voluto usare il suo corpo, di come si sentiva il corpo ribollire a certi pensieri…

Jonathan non aveva mai avuto il coraggio di ammettere a se stesso quanto Dio esercitasse il suo fascino su di lui. Da un punto di vista fisico, Jonathan non avrebbe dovuto invidiargli nulla, dato che entrambi portavano i propri muscoli con orgoglio, e negli spogliatoi dove si ritrovavano sempre dopo gli allenamenti di rugby più di una volta aveva notato che nonostante tutto, era appena appena più dotato di Dio, solo un po’ però, e Dio era già ben dotato di suo. E dal punto di vista della personalità, Dio era di certo più diligente nello studio, ma almeno Jonathan non si divertiva come lui, andando in giro per pub ad ubriacarsi, o a vendere i propri pugni per il pugilato clandestino, o a far finta di essere un ragazzo per bene, quando alle spalle di tutti era fin dentro al mento nei peccati e nei crimini. Jonathan aveva scoperto molti lari oscuri della vita di Dio al di fuori delle mura di casa Joestar, e tra le strade più marce di Londra, dove scialacquava il suo denaro in vino, dadi, e donne, e non si sapeva come comunque non si ritrovasse mai a dover chiedere altri soldi… forse, era molto fortunato col gioco d’azzardo, o un ottimo truffatore, Jonathan non poteva escluderlo.

Da quanti minuti sta fissando le proprie nocche imbiancarsi per la presa sul tessuto morbido che a malapena copriva le sue cosce muscolose, Jonathan non sapeva quantificarlo. Poteva immaginare, però, per quale motivo Dio gli avesse segretamente consegnato proprio quel genere di vestito, oltre che per umiliarlo.

Era successo un paio di settimane prima, tutto a causa dell’innata curiosità di Jonathan. Giustamente, prima di entrare in una stanza, soprattutto se è una stanza privata, è buona regola bussare e chiedere il permesso di entrare, per evitare spiacevoli sorprese, e soprattutto, non bisognava spiare quando le porte erano socchiuse, perché era semplicemente sbagliato. Jonathan bussava sempre, ma se era possibile spiare in una stanza, non riusciva a trattenersi dal lanciare un’occhiata e un orecchio. Non gli era mai capitato fino ad allora di ritrovarsi di fronte a qualcosa di compromettente, non considerava un gesto del genere capace di metterlo nei guai, o di farlo morire dentro, e invece…

Aveva notato la porta della camera di Dio appena aperta, abbastanza per far vedere il suo letto, e come suo solito, aveva buttato un’occhiata al suo interno, incapace di trattenere la propria curiosità al suo posto. Forse, Jonathan si permetteva tanta confidenza perché, nonostante tutto, considerava Dio come una sorta di amico, ed erano comunque fratelli, seppur adottivi, e questo rendeva l’atteggiamento di Jonathan verso i propri pensieri più complicato di quanto già non lo fosse: neanche lui ricordava quante volte si era rinchiuso in camera, un paio di volte stringendo tra le mani una delle camice di Dio, e aveva ceduto alla sua stessa debolezza, stringendosi l’erezione impossibile da ignorare, così piena da far fisicamente male, fino a macchiarsi le mani e fissarle con un misto di disgusto ed eccitazione residua. Era vergognoso, eppure liberatorio, immaginare i muscoli di Dio tenerlo fermo contro un muro, le sue labbra pronte a divorarlo, calde, umide, e le mani che palpavano ogni centimetro della sua pelle coriacea e leggermente abbronzata, ma la sola immaginazione non bastava, quando quei muscoli e quelle mani erano a così breve distanza, e Jonathan non poteva far niente, se non ammirare la bellezza cesellata da anni di lotta per poter sopravvivere un altro giorno. Non era giusto, che Dio fosse così bello da stregare Jonathan al punto da fargli commettere, anche se solo nella sua testa, il peccato di sodomia.

Non era la prima volta che vedeva Dio nudo, dopotutto si allenavano insieme e le docce in comune davano ben poco spazio alla fantasia, e moltissimo spazio alle spiate suggestive, e un poco al confronto diretto. Non era neanche la prima volta che vedeva il suo corpo nudo e sudato. Ma Jonathan, nella sua infatuazione negata, si sentì il cuore piombare e piangere, quando comprese il perché del suo sudore, e dei suoi movimenti ritmici ma selvaggi, e il perché sentisse, ora che la notava, la voce ansimante e incontrollata di una delle cameriere di casa Joestar, fottuta, non c’era parola migliore, fino all’orgasmo. Jonathan poteva ancora sopportare che Dio sfogasse i propri istinti con delle prostitute, era il loro lavoro in fondo, ma arrivare a sfogarsi anche con le serve era qualcosa che infrangeva la morale, o perlomeno il buon costume. Certo, Jonathan proprio ardiva nel riprendere certi atteggiamenti, ma ciò che lui pensava era, appunto, relegato ai pensieri, per quanto sconci; Dio andava oltre, metteva in atto i suoi pensieri.

Seppur sapeva che sarebbe bastato che la giovane cameriera gettasse uno sguardo verso la porta socchiusa per notarlo, Jonathan continuò a fissare paralizzato la scena, ipnotizzato dalla schiena di Dio, incurvata in avanti per lo sforzo, possente, l’afa pomeridiana che imperlava la sua pelle lungo la spina dorsale. Lo sguardo di Jonathan cadde per un breve istante sulla ragazza, il suo piccolo seno che seguiva quasi impercettibile le spinte di Dio, ma subito restò ancora senza fiato ad ammirare il corpo perfetto, divino avrebbe osato descriverlo, del suo fratellastro. Li fissò, spaventato, finché un sentimento caustico non minacciò di corrodergli l’animo e lo convinse infine a tornare in camera sua, a cercare di dimenticare ciò che aveva appena visto, di ignorare la gelosia che gli rodeva le viscere, crudele e desiderosa. Sapere che Dio andava a donne era un conto, ma vederlo fornicare con una donna davanti ai suoi occhi pungeva il suo stomaco e i suoi occhi; non doveva e non poteva esserne così ossessionato, desiderarlo così ardentemente da essere geloso di una cameriera di cui appena ricordava il nome, ma più si ripeteva di dover smettere, la fronte che premeva contro le mani giunte in penitenza, più facilmente cedeva, le mani premute contro il suo addome.

Per una settimana riuscì a trattenere il proprio tormento interiore, nascondendo le sue reazioni fisiche più evidenti ogni volta che Dio era nei paraggi e poteva ammirare ogni dettaglio, e realizzare chissà quante donne hanno avuto la fortuna di avere le labbra bloccate dalle sue, le gambe incapaci di tenerle in piedi, e sentire una parte di sé morire. Perché Dio, si chiedeva spesso. Perché un uomo, e perché uno così meraviglioso, ma crudele, che non avrebbe fatto altro che farlo star male anche se fosse stato lecito stare con lui. Ma non era riuscito a tenere tutto dentro, aveva dovuto affrontarlo.

«Non ti bastavano le prostitute?».

«Cosa intendi dire, Jojo?».

«Dovevi per forza andare a letto con una delle nostre cameriere?».

«Quale delle tante?».

«Cosa… e lo dici così,come se fosse niente?».

«Se è lo scandalo che temi, non c’è pericolo».

«Se sei così geloso, perché non porti anche tu una di loro a letto?».

Quel punto dei suoi ricordi era confuso dall’acido che era la sua frustrazione. Non ricordava i minuti seguenti, a discutere sempre più arrabbiato con Dio sempre calmo, come se tutto ciò che Jonathan gli stesse sibilando contro non fosse degno di nota. Jonathan ricordava però come le guance erano diventate roventi, accorgendosi che inutilmente aveva cercato di trattenere le proprie reazioni fisiologiche, e di come Dio se n’era gradualmente accorto, fino a che sul suo volto non si era formato un ghigno, lento, beffardo, trionfale. Il calore del suo sussurro cupo vibrò fin nel suo nucleo più intimo.

«Oh, è così, quindi? Sei geloso della fortuna di quella cameriera? Vorresti essere al suo posto, vero, Jojo?».

Se la terra si fosse spalancata e lo avesse inghiottito e avesse richiuso le sue fauci sulla sua testa, Jonathan si sarebbe considerato benedetto, perché l’alternativa era il confronto con suo fratello, e non poteva ammettere proprio a lui le proprie lascive colpe. Jonathan avvertiva il proprio corpo, fin nel profondo, viscido e stretto, e infine aveva ceduto, con una parola di troppo, un’espressione di disagio troppo evidente, e la sua vergogna era come una resina corrosiva che allentava la sua mente e la riempiva di immagini che mai avrebbe dovuto considerare.

E invece, eccolo lì. Aveva riflettuto tutto il giorno su cosa fare, nonostante la scelta più logica fosse, ovviamente, rifiutare tutto, il vestito, il biglietto, la propria attrazione. e sarebbe stato così facile per Dio umiliarlo e spezzargli il cuore, ora che era a conoscenza dell’infatuazione. Avrebbe potuto usare i suoi stessi sentimenti per ferirlo, rigirare il coltello nelle piaghe morali, Dio era capace di sfruttarlo e gettarlo via, una volta che la lussuria lo avesse consumato fino al midollo. Una persona capace di ragionare non si sarebbe immischiata nelle mille malefatte di Dio… ma Jonathan, ahi lui, non poteva più ragionare, se si trattava di Dio. Non c’era logica che potesse tenere, quando la frustrazione sessuale nel poter vedere i suoi muscoli, la sua eleganza nei gesti più controllati, e la sua furia in quelli più violenti, e anelare le sue carezze più dolci e le sue prese più ferree, anche al costo della sua dignità, con addosso una gonna così corta da essere immorale.

Jonathan si guardò le nocche, così serrate sul vestito da essere sbiancate, e il suo cuore sussultò quando il treno delle sue fantasie venne interrotto dal ritmico bussare sulla sua porta. Sarebbe potuto essere Dio, come sarebbe potuto essere chiunque altro. Prima che potesse chiedere chi fosse, l’uscio si aprì, e Dio, non senza quella teatralità che gli era innata, entrò, guardandosi attorno per un breve istante, per poi concentrare la sua attenzione sul fratellastro; il suo sguardo, due perfette pietre d’ambra incastonate nella perla più pura, era il più divertito che Jonathan avesse mai visto in lui, e non riusciva a sostenerlo, sentendosi analizzato in ogni tremore e piega. I suoi passi, tuttavia, erano ben calibrati per fare quanto meno rumore possibile, come se anche lui, come Jonathan, temesse di essere beccato in una situazione decisamente spinosa: perfino lui poteva sì spiegare perché fosse tra le braccia di una donna, ma non poteva salvarsi dall’ignominia di trovarsi tra le braccia di un uomo, tra le braccia del suo fratellastro, per di più.

«Oh, Jojo, non dovevi» lo schernì, sempre con quel tono beffardo che mai abbandonava la sua voce «credevo di aver scritto chiaramente che non ce n’era bisogno».

Jonathan sentì il respiro divenire più sottile, forse anche più doloroso, ma quello era più probabilmente il cuore che nella sua cassa toracica batteva all’impazzata. Dio aveva un’aura di carisma alla quale era impossibile resistere, e Jonathan, suo malgrado, aveva ceduto nella maniera più pericolosa e totale, e gli si mozzava il fiato ad ammirarlo mentre si avvicinava e lo osservava, sempre più divertito da come le gote dell’altro si arrossavano. Infine, Jonathan trovò come rispondere «Ho letto il biglietto, ma pensavo ci fosse un buon motivo dietro questo vestito», e il sangue prese a pungere nel suo ventre, per i mille timori, e per le ancor mille aspettative che si nascondevano nella sua testa.

«Non hai tutti i torti...» Dio rispose, così vicino da potersi inebriare del suo profumo. Lo costrinse ad alzare i suoi occhi color del cielo più limpido, e il cuore di Jonathan si fece più stretto, incapace di sostenere il suo sguardo penetrante. Si sedette al suo fianco, tenendo il suo mento in modo che non potesse guardare altrove, e poi la sua mano scorse giù per il petto e l’addome, fino a lambire l’orlo del vestito e la pelle appena sotto. Sorrise al brivido di Jonathan, e lo rassicurò «Fermami quando vuoi, Jojo, non vorrai che ti faccia del male, mh?». Il suo respiro contro il collo era caldo e umido, i brividi di Jonathan ancora più sensibili, con i polpastrelli che solleticavano le gambe e le labbra invece che lambivano il lobo dell’orecchio. Jonathan era consapevole che poteva essere solo un altro dei giochi perversi di Dio, e che avrebbe invece dovuto seguire una morale retta, non vestirsi da donna e compiacere i suoi e i propri desideri, ma una sola volta, una soltanto, voleva farne parte.

Il caldo del respiro di Dio divenne il caldo della sua lingua che leccò e premette contro la pelle del collo, lungo la giugulare, salendo e scendendo contro la leggera pulsazione della vena, risalì lungo il contorno dell’orecchio; la sensazione per i nervi di Jonathan fu come ustionarsi, incredulo per la propria sensibilità quando Dio si fermò appena sotto la linea più esterna del mento e succhiò la pelle. «Hai un aspetto magnifico, Jojo» gli mormorò, quando le dita scivolarono sotto la veste e vinsero la resistenza delle sue cosce muscolose, contro l’istinto di Jonathan di tenerle serrate più che può.

Era tremendamente consapevole di quanto la sua erezione stesse crescendo anche se ignorata, e del ghigno compiaciuto di Dio quando ormai fu impossibile nasconderla nonostante la biancheria e la gonna che la coprivano, e Jonathan si sentì sciogliere le viscere. La lingua dell’altro divenne più lenta e lasciva e il sorriso più percepibile, e mormorò «Era questo che volevi, vero, Jojo? Che te lo facessi venire duro?». Il corpo di Jonathan avvampò a quelle parole, e involontariamente allargò le gambe, permise all’altro di toccarlo ancora di più.

«Quante volte ti sei toccato pensando a me, Jojo?» chiese ancora, la mano corse così vicina all’incavo tra le gambe da frustrare Jojo in modo ignobile, quasi doleva. «Guardati, Jojo, ho visto prostitute vestite più dignitosamente di te» continuò a deriderlo «io l’ho solo suggerito, non mi aspettavo lo facessi davvero… non è che in fondo ti piaccia, vestirti da donna, Jojo?».

Il modo in cui pronunciò il suo nomignolo, pieno di un veleno euforico, rese Jonathan incapace di trattenere la propria voce «Dio, per favore...».

«Per favore cosa?».

Senza davvero pensarci, Jonathan rispose «Per favore, toccami», e osservò come da lontano i gesti controllati di Dio mentre alzava la gonna e abbassava la sua biancheria intima, ma tutto tornò fin troppo reale quando il pollice dell’altro premette contro il glande arrossato, sporcandosi di quel chiaro liquido che precedeva l’orgasmo vero e proprio, mentre il resto della carne avvertì il contatto dell’aria come una lama tagliente. Le labbra di Dio premevano contro il suo volto, Jonathan le sentiva arcuate in un sogghigno, il suo naso dritto affondato nei suoi capelli castani, e con un sospiro continuò a punzecchiarlo «Non ti senti fortunato, ad esserti innamorato di me, Jojo?».

«Cosa vuoi dire?».

«Un’altra persona ti avrebbe sputato addosso per lo schifo… con me, invece, puoi soddisfare le tue peggiori fantasie» rispose, e le dita afferrarono il membro di Jonathan e vi si strofinarono attorno, facendolo sussultare e costringendolo a trattenere i gemiti che andavano formandosi nel suo petto. Se Dio gli avesse sputato addosso e lo avesse rifiutato per il disgusto, sarebbe stato tutto più semplice, Jonathan si sarebbe potuto mettere il cuore in pace e pentirsi per davvero, ma no, Dio lo aveva trascinato con sé e coinvolto fino in fondo, lui che non sapeva cosa fosse il pudore, e Jonathan voleva perdersi nel lento ritmo della sua mano. Chissà se Dio provava lo stesso timore di Jonathan, nell’essere scoperto in quella maniera, o se nella sua mente contorta temere di essere scoperto era solo un incentivo per eccitarsi ancora di più. La lingua di nuovo percorse la linea del collo, e Dio mormorò «Guardami, Jojo», e Jonathan, pur consapevole di cosa lo avrebbe atteso se si fosse voltato, volse lo sguardo verso di lui, e non fece in tempo a sospirare che venne colto di sorpresa dalla foga con la quale Dio spinse la lingua nella sua bocca e lo baciò con una fisicità che rese impossibile trattenere i mugugni dell’uno e dell’altro mescolarsi tra le labbra.

Nei brevi momenti in cui si separavano per recuperare il respiro, Dio sussurrava decine di proposte indecenti che bruciavano lungo tutto il corpo, la mano ancora libera che affondava tra i capelli scompigliati di Jonathan. «Vuoi che ti fotta, Jojo?» gli bisbigliava nelle pause tra i baci, «O vuoi fottermi tu?» gli proponeva ancora, e Jonathan non riuscì a resistere oltre, e con il respiro mozzato sporcò il vestito e la mano di Dio di sperma caldo. La risata del giovane biondo fu come una pugnalata nella dignità già abbastanza stracciata.

«Non riesco a credere tu sia venuto così velocemente, Jojo» lo schernì, lasciando che l’altro si calmasse e che la erezione perdesse a poco a poco turgidità.

«N-non volevo, Dio, è così imbarazzante...».

«Sei davvero imbarazzante, hai ragione» gli disse, afferrando la sua mascella, incurante di lasciare scie di sperma, o forse proprio per sporcarlo e umiliarlo ancora di più di quanto già non avesse fatto «E non mi hai neanche toccato una volta».

Solo allora Jonathan si permise di abbassare lo sguardo, e notò come i pantaloni di Dio fossero evidentemente tesi. Fissò a bocca aperta, e Dio rise ancora «Jojo, Jojo, devo dirti tutto io?». Jonathan avrebbe potuto perdersi nei suoi occhi, come luci di candele accese in una qualche alcova segreta agli occhi di tutti, e il suo corpo, sebbene già provato dall’intensità dell’orgasmo, pretendeva ancora più attenzioni, più luride e profonde, da far impallidire quella parte di lui che ancora teneva alla morale. «Cosa devo fare, Dio?» chiese con un filo di voce, tremando perfino nelle labbra.

«Inginocchiati di fronte a me, Jojo». Il baritono che andava formandosi nella sua voce era fermo e deciso, e vibrava dentro la sua gola, lungo il pomo d’Adamo, ed era irresistibile, come tutto di Dio, del resto, e Jonathan non poteva credere di star cedendo ancora ed ancora alla sua aura di potere. Il pavimento freddo incontrò le sue ginocchia esposte, le sue mani tremavano così tanto per l’ansia da prestazione che alla fine Dio dovette sbottonarsi e abbassarsi la biancheria intima da solo, con uno strano verso chiaramente irritato, che fece sentire Jonathan inutile e spaventato di fronte all’erezione tremendamente vicina al suo volto. Si lasciò scappare un epiteto e deglutì, occhi spalancati, e il suo istinto gli disse di leccare via il liquido chiaro che copriva il glande arrossato. Il proprio volto era sicuramente ancora più rosso, avvertiva come il calore delle guance lo punzecchiasse e divenisse più insistente sotto lo sguardo malizioso di Dio. Cautamente, Jonathan tentò un’altra leccata, più lenta, e giurò di riuscire a sentire le vene pulsare contro la sua lingua, e il suo odore era inebriante e pungeva le narici come se fosse il profumo di droghe esotiche al di fuori della sua comprensione, e non era forse Dio stesso al di fuori della sua comprensione?

Il tocco delle dita di Dio dietro la nuca, ad afferrare appena i suoi capelli e spingere il suo viso contro, lasciò scappare un gemito di sorpresa e imbarazzo dalle labbra di Jonathan, e lo stomaco si contrasse realizzando cosa l’altro volesse da lui con quel gesto. Leccò ancora, risalendo con timore fino alla punta, tenendo gli occhi puntati verso il volto di Dio, il cui sguardo era fermo e le labbra appena aperte per far passare il suo respiro un po’ più affannoso. Si fermò una volta che la lingua passò sul piccolo foro da dove colava il liquido chiaro, e fissò l’altro a bocca aperta.

«Non dirmi che devo spiegarti tutto» sibilò Dio senza nascondere la sua irritazione, quando Jonathan per lunghi secondi non fece che fissarlo.

«N-no, so cosa vuoi che faccia» fu la risposta impacciata di Jonathan.

«E perché non lo stai facendo? Hai paura, forse?».

Jonathan annuì «Non so se riuscirò a farcela». Le dita di Dio sembravano piume, quando accarezzarono la sua guancia calda «Perché non puoi, Jojo? Nessuno dovrà saperlo».

«Non è per quello, Dio, è che non ce la faccio a...» sentì le lacrime minacciare di scendere dalle sue ciglia e quasi non osò chiudere gli occhi e rendersi sempre più ridicolo. Già era vestito da donna in una maniera indecorosa perfino per le sgualdrine più procaci, già la tensione lo aveva condotto a un orgasmo veloce, e non sapeva se alla fine di tutto avrebbe potuto soddisfare - l’idea lo colpì come un macigno lanciato contro la sua anima - suo fratello. Certo, tra di loro non v’erano legami di sangue, e Dio badava ben poco al foglio che lo aveva designato come un membro della famiglia Joestar, al punto che ancora rifiutava di farsi chiamare con quel cognome e preferiva presentarsi ancora col quello di quella scusa per essere umano che era il suo padre naturale.  Non era affatto orgoglioso, da quel poco che Jonathan sapeva, di aver avuto un padre pieno di debiti con tutta la popolazione malfamata di Londra, tra azzardo, vino e donne, e quell’unica volta in cui Jonathan provò ad affrontare l’argomento quasi si ritrovò la fronte rotta con una copia de “I Miserabili” tradotta da Sir Wraxall, lanciata contro da un Dio irato e urlante «Non chiedermi mai più cos’ho in comune con quel verme! Non voglio niente a che fare con lui!», ma continuava a portarne avanti il nome di famiglia, a sperperare il denaro col gioco, con le risse nei pub, tra le gambe di quante ragazze, magari trascinate lì dalla stessa povertà in cui Dio aveva giaciuto prima che venisse adottato. Per quanto negasse di essere stato contagiato dalla tremenda condotta di suo padre, Dio ne aveva ereditato i vizi, e Jonathan era ben consapevole, nonostante le sue migliori intenzioni, di non essere la persona migliore per riportarlo sulla retta via. Dopotutto, le ginocchia piegate dolevano contro il pavimento, ed era ad un passo dal perdere la verginità orale, cosa della quale qualche giorno prima non aveva neanche considerato l’esistenza; con quale coerenza poteva pretendere di salvare l’anima di Dio?

«Apri la bocca, Jojo».

Chiuse gli occhi, cercando un coraggio che forse non aveva davvero, e circondò con labbra tremanti il glande dell’altro, ben conscio che tutto ciò che avrebbe fatto nei prossimi minuti sarebbe potuto essere un fallimento. Se fosse stato per la sua paura e per il lato di sé che ancora badava alla sua salvezza eterna, non sarebbe andato avanti, si sarebbe messo in piedi, strappato i vestiti e cacciato Dio fuori dalla sua stanza e quanto più possibile dalla sua vita, ma quel lato che lo tormentava con il senso di colpa non poteva molto contro il brivido di veder Dio sessualmente appagato dalla sua mortificazione. Non era capace di spiegare perché si sentisse elettrizzato così tanto all’idea di farsi vedere in quelle penose vesti, perché la cognizione di sembrare grottesco con quella gonna così femminile attorno alle sue cosce così poco femminee minacciasse di fargli venire in così tempo un’altra erezione.

Dio dovette di nuovo muovere la mano dietro la sua nuca e lo costrinse ad andare oltre il breve tratto che Jonathan aveva avuto il coraggio di succhiare, con una tale timidezza da far credere che non stesse facendo niente. Il retro del suo cavo orale parve ribellarsi, strozzarsi e voler rigettare quella parte di Dio che lo stava violando, premeva contro il suo palato molle e invano tentava di forzarsi giù nella sua gola, ma in quella posizione era impossibile. Jonathan fece del suo meglio per leccare e succhiare, ma il disagio di dover essere guidato e spinto, mentre a sua volta Dio, forse per abitudine, doveva trattenere l’istinto di trattare la sua testa come se fosse qualsiasi cosa avessero le donne tra le gambe di tanto magnifico da far impazzire gli uomini (nel suo piccolo, Jonathan era curioso di scoprirlo, nonostante la sua sbandata immensa per Dio). Il respiro del biondo era ormai affannoso, il suo ghigno scomparso per far posto a un’espressione celestiale che Jonathan riuscì a spiare spostando la testa per accogliere meglio l’erezione e sentire meno l’istinto di rigurgitare il nulla, e la sua voce bassa e roca era una lunga cantilena di «Jojo, Jojo...» che picchiettava nel profondo del ventre di Jonathan, di nuovo caldo e turgido.

Sentì all’improvviso un sapore amaro che lo disgustò, e Jonathan sobbalzò per lo spavento, temendo stupidamente di essere stato in qualche modo ferito, sebbene non potesse esserci nulla che avesse potuto graffiargli la bocca, e così facendo si ritrovò sul volto i brevi ma copiosi fiotti di sperma di Dio; fu incredibilmente sorpreso di scoprire che il suo fratellastro, così diverso da lui come aspetto e come personalità, veniva esattamente come lui, sebbene invece di un sospiro strozzato, notò, Dio digrignava i denti e lasciava che tra essi trapelasse un leggero grugnito che con la sua voce non più da adolescente, sebbene ancora lo fosse, sembrava il suono più erotico che potesse essere concepito. Ogni fibra del suo essere era peccato, tentazione pura, e Jonathan sentì la necessità di toccarsi di fronte allo spettacolo di Dio all’apice del piacere, ora che la sua bocca era libera e non doveva concentrarsi su di essa e il suo volto veniva come marcato, come se con quell’umiliazione finale Dio lo avesse reso suo. Tuttavia, non trovo la forza di muovere le mani dalle gambe dell’altro, né di fermare la sua pudicizia dal farlo lacrimare per la vergogna abissale che era e che provava, inutilmente tentava di separarsi dall’idea che quello che stava facendo era un crimine vomitevole agli occhi della società, se mai avesse posato gli occhi su di lui.

Senza proferire parola, Dio finì di eiaculare e lo guardò con un misto di trionfo e, Jonathan notò, il che lo fece sentire come se si fosse davvero aperta una voragine sotto di lui, disappunto. «Ti prego, non dirti che ti ho deluso!» piagnucolò, quasi a voler pretendere da Dio il perdono per qualche sua mancanza di cui non era a conoscenza.

«No, Jojo, tranquillo...» lo rassicurò, nella sua voce una dolcezza che non sembrava appartenergli davvero, e che eppure suonava genuina, come se davvero gli importasse di non ferire Jonathan, di farlo sentire amato, proprio come il suo lungo biglietto di sconcezze «Non ti ho avvertito in tempo io, è colpa mia».

«Cosa vuoi dire?».

«Volevo durare di più, riuscire a fotterti».

Jonathan non credeva possibile che le sue guance potessero divenire più calde, ma sentì esattamente quella sensazione. «Potresti non dire certe parole?».

«”Fottere”, intendi?».

«Sì, non sono… non sono cose da dire».

«Oh, Jojo» Dio tornò a ghignare, e si chinò a fissare Jonathan e afferrare il suo mento «riesci ancora a fare il santarellino, vestito peggio di una troia e con la mia sborra quasi negli occhi?».

Jonathan era ancora abbastanza puro da morire d’imbarazzo alla menzione di certe parole e concetti, era ancora vivido il ricordo delle incalcolabili nefandezze che Dio aveva descritto nella sua lettera.

«Dio...».

«La verità è che avrei dovuto scopare quel magnifico culo che hai, avresti dovuto perdere la voce urlando il mio nome e farti perdere la testa, come ho sempre voluto fare».

«Dio, Dio...» Jonathan non resistette all’impulso di masturbarsi e venire una seconda volta, troppo in fretta, e con una sensazione di degrado morale che paradossalmente lo uccideva dentro e lo portava verso picchi di vitalità che mai aveva toccato, tanto più Dio si compiaceva di come avvilirlo lo eccitasse così tanto.

Le forze abbandonarono quasi del tutto le membra di Jonathan, ancora sporco di sperma e pieno di schifo morale che cozzava con il desiderio appagato, e Dio dovette tirarlo su e lungo il letto, ripulirlo e aiutarlo a svestirsi. Non poté non indugiare qualche secondo sui suoi pettorali, posando una mano laddove era certo di sentire il suo cuore battere ancora veloce, necessitando di smaltire gli ormoni, e si sentì in dovere di dargli un bacio di conforto sulla guancia ancora rosea. Perché, di tutte le donne e gli uomini che avrebbe potuto avere, proprio quello che avrebbe dovuto odiare era divenuto l’oggetto dei suoi desideri, era qualcosa che il suo intelletto non riusciva a comprendere, e l’intelletto, senz’alcuna modestia, era forse la sua dote migliore. Perché proprio Jojo, ancora così timoroso della punizione divina, sicuramente tormentato dai sensi di colpa per aver ceduto alla tentazione; Dio adorava vedere le persone soffrire, e osservare Jojo sporcarsi d’infamia due volte per l’umiliazione era stato uno spettacolo magnifico, ma qualcosa, in Dio, nonostante la sua amoralità, voleva solo vedere Jojo felice, o perlomeno con un sorriso sulle labbra.

Jonathan si addormentò, prima che Dio potesse ammettere che sì, il desiderio di possederlo lo aveva divorato, ma che perfino lui era spaventato da ciò che ruotava attorno a quel desiderio, dai sentimenti che non voleva ammettere potesse provare, men che meno per lui.

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