Le campane di Rosarno

Feb 02, 2010 12:40

Da piccolo ti insegnano che per formarti un giudizio che sia il più obiettivo possibile devi ascoltare sempre entrambe le campane.
Di solito si comincia con quella più vicina, che magari ti somiglia pure nell'aspetto e nel timbro della voce.
Il più delle volte il suo suono è talmente rassicurante che la voglia di spostarsi più in là e ascoltare anche l'altra è difficile.
Perché non sai quello che avrà da dirti, e con che tono, e poi perché alla fine non è che ti freghi molto se questo giudizio è davvero obiettivo.
È tuo -dicono-, sei libero di farci quello che ti pare, come è giusto che sia.
Ma la libertà sta anche nel sovvertire certe consuetudini, e sovvertirle con le nostre mani, di punto in bianco, senza che nessuno ci abbia chiesto di farlo.
È così che ci si diverte davvero, a vivere.
Ma questa è un'altra storia, il nocciolo vero del post è un altro.
Stamattina, proprio a pochi metri da dove vi sto scrivendo io ora, si è tenuta una conferenza stampa.
Gli immigrati di Rosarno, trasferiti a forza nella Capitale senza alcun tipo di riconoscimento ufficiale, hanno voluto raccontare la loro verità.
E io, anche se piccola, inadeguata e completamente fuori posto sono andata ad ascoltarli.
A sentire l'altra campana, tanto più preziosa perché il suono non era filtrato da mura di sorta.
Una campana dal tono composto ed educato, altro che bestie che voglio mettere a ferro e fuoco l'Italia.
Queste sono persone che hanno lasciato il loro paese per fuggire la guerra.

Per non dover più sentire il suono degli spari, come hanno ripetuto più di una volta.

Cinquecento persone, provenienti da diversi paesi dell'Africa, che dormivano su pezzi di cartone, senza acqua né corrente.
Cinquecento persone che cercavano solo di costruire un futuro migliore per le proprie famiglie, rimaste sotto colpi di arma da fuoco di cui, sulla nostra stampa, non arriva nemmeno l'eco più lontana.
Cinquecento persone che ogni giorno, all'alba e al tramonto, compivano un cammino di quattro chilometri a piedi per non creare disagi sui mezzi pubblici agli abitanti del posto.
Cinquecento persone che spesso, la sera, quei quattro chilometri a piedi erano costretti a rifarseli per andare a caricare i telefoni cellulari negli internet point, e poter scambiare così qualche parola con i propri cari.
Cinquecento persone che ad un certo punto hanno solo chiesto qualche centesimo di più, che in Africa può fare la differenza, per mantenere la propria famiglia.
Cinquecento persone, non bestie, che mi sa che i giornalisti hanno erroneamente confuso con quegli altri, quelli che giocano al tiro al bersaglio con i fucili, e che di professione fanno i criminali.
Cinquecento uomini che sanno ancora il significato delle parole "diritti umani", e hanno provato a battersi per difenderlo.
Queste sono le campane che ho ascoltato e che stamattina erano a pochi metri da me, piccola, inadeguata e fuori posto.
Ho provato a farvi sentire l'eco dei loro rintocchi, sta a voi decidere se vale la pena starli a sentire oppure tapparsi le orecchie.

disinformazione, orrori, rassegna stampa, fascismi

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