May 27, 2016 21:50
Lo sto dicendo già da un po' che non voglio scrivere, che i gruppi di autori egomaniaci mi hanno rotto il cazzo che non ho, che il 99 per cento della roba M/M romance autopubblicata è illegibile, che comunque non ho tempo, non ho voglia, le cavallette, etc.. etc..
Epperò.
Epperò a lezione è saltato fuori con tre docenti su quattro questa cosa del collezionismo compulsivo, del disturbo narcisistico della personalità, del desiderio di possesso esclusivo di qualcosa che è, innanzitutto, bello.
E poi c'è questa cosa della forma mentis che cambia, e ti fa notare cose a cui prima non facevi troppo caso, come ad esempio il fatto che per gli americani truffatori e ladri d'arte sono praticamente la stessa cosa, e infatti non a caso il telefilm si chiamava White Collar come l'omonima sezione dell'FBI.
Perché 'sticazzi dell'aspetto etico, quello che va preservato è il libero mercato, e proprio non capiscono perché noi europei ci incazziamo tanto se quadri e reperti archeologici vengono venduti un tanto al chilo come il prosciutto.
La parola "contesto" è una sconosciuta.
Ma questo è un lungo discorso, e ho creato un blog apposta per affrontarlo.
Dicevo della scrittura, e dell'idea di un personaggio che fosse un collezionista egocentrico ispirato alla figura di Paul Getty.
Mi serviva un'antagonista che fosse altrettanto forte e interessante.
Uno dei miei problemi più grossi è che negli ultimi anni ho creato praticamente solo figure funzionali alle storie che Silvia proponeva.
I contesti li metteva lei e io creavo comprimari che le permettessero di esplorarli.
Quindi mi sono ritrovata un parterre di personaggi di cui, per quanto li ami profondamente, non ho mai sentito l'esigenza di sviluppare in proprio, se non con l'eccezione di singoli racconti.
Charles, il medico lealista che lavorava nel carcere di Long Kesh ne è un esempio (fan fact: per crearlo mi ispirai a Katsuya. O, meglio, collezionavo immagini di Katsuya fantasticandoci sopra tramite Charles. Se ci ho messo tanto per arrivare a In these words è anche per questo).
Aleksy fu un'anomalia: un personaggio suo che feci mio senza chiedere il permesso.
Ma il primo della lista fu Javier, l'agente dell'Interpol con un passato di abusi, cresciuto in Francia ma dalle forti radici spagnole.
Il figlio del torero su cui poi avrei costruito la figura di Juan.
Un'estate pericolosa è stato un amore folle che è stato una cazzata interrompere.
Certe cose è giusto dirsele: ci ho messo tanto dentro, cose molto personali, un metodo di approccio alla scrittura che ho fatto fatica ad adattare ad altro, l'ambizione di toccare temi delicati e la presunzione di saperlo fare senza dovere scuse a nessuno.
Javier era alla base di tutto questo.
E non ho mai capito perché cazzarola non mi sono mai decisa a svilupparlo come si deve.
Per questo, pensando all'antagonista per il collezionista, mi è venuto naturale ripensarci.
E se sua madre non fosse fuggita dalla Spagna incinta, ma avesse sposato il torero che poi sarebbe tragicamente morto lasciandola sola con un bimbo piccolo?
E se in Francia ci fosse andata da vedova, e anziché trovare l'amore in un commerciante di stoffe pregiate l'avesse trovato in un mercante d'arte?
Un mercante d'arte che si prenderà suo figlio e la croce d'oro che era l'unico ricordo rimastole del defunto marito.
Un mercante d'arte che in realtà è un'altra persona, con un'altra storia, che proprio ad Javier toccherà riscrivere pezzo a pezzo.
Ecco, io mi faccio venire idee per un'intera serie quando ho 600 e passa pagine di roba da studiare, e un laboratorio da preparare.
Più la consueta manciata di altri cazzi non richiesti.
(per la cronaca: il collezionista è sì francese, ma manterrò il nome Theo. E in fondo anche il rapporto con l'Javier adolescente ricalcherà quello che avevo in mente con l'archeologo Fabio. Quindi il cerchio si chiude, idealmente. Più o meno.)
una stanza tutta per sé,
scrittura,
a brand new idea