"This is my punishment for failing you, for the hate that is inside you now, ruining you and your future."
Di solito una recensione, professionale o no che sia, si scrive nella speranza di contagiare chi legge col proprio entusiasmo o col proprio scetticismo allo scopo di attrarlo o allontanarlo verso l'oggetto stesso della recensione.
Ci ho messo mesi per capire, invece, che di questo libro ho bisogno di parlare per me e me soltanto, per dare forma precisa a sensazioni che ho fatto fatica a classificare e che mi pesano in fondo allo stomaco come macigni.
Scrissi già all'epoca della prima recensione che digerire le opere delle Guilt non è semplicissimo non tanto per il grado di violenza in sé di certe scene, quanto per l'estremo realismo della caratterizzazione psicologica dei personaggi coinvolti e nella resa delle situazioni, che mettono a dura prova il lettore mostrandogli tutto lo scarto esistente tra la percezione della vittima e quella distorta del suo aguzzino.
Insomma: sei lì e sgrani gli occhi e trattieni il respiro e piangi terrorizzato assieme al poveretto di turno, perché proprio come lui capisci che la persona che hai di fronte non ragiona più come te, ma si è creato una dimensione mentale sua propria in cui tu smetti di essere un essere umano e divieni una sua proiezione.
Il killer senza nome di In these words guarda Katsuya proprio come un bambino guarderebbe un giocattolo, si bea del suo dolore e di come ne spezza lentamente la volontà così come un bambino si bea delle nuove possibilità offerte dal suo set di costruzioni, e il tutto in maniera letterale, con un'asciuttezza micidiale e un umorismo macabro a fare da sottofondo.
Se una resa simile è difficile da digerire tra due perfetti estranei, figuriamoci se al centro dell'azione vengono messi un figlio e il padre che non ha mai conosciuto.
E che nemmeno immaginava della sua esistenza.
Father figure è, senza mezzi termini, la storia più difficile che mi sia capitato di leggere ma è anche, al tempo stesso, una delle più ricche e preziose.
Non fa sconti al lettore, non gli risparmia niente, né nelle descrizioni né, tantomeno, nelle illustrazioni, ma quello che lascia nella testa e nel cuore sono una serie di interrogativi e considerazioni di natura morale come raramente la lettura di un manga o la visione di un'opera di intrattenimento sanno suscitare.
It starts with a letter.
Si viene subito catapultati così, a freddo, nella testa di Gabriel, stalker e omicida reo confesso.
La storia ha una struttura ad anello e si chiuderà su questa stessa frase, ripetuta al suo confessore la cui identità, a sua volta, è l'anello di congiunzione a un disegno più grande.
Ma su quest'ultimo aspetto tornerò dopo.
La struttura è divisa in due archi narrativi: nel primo Gabriel, un poliziotto californiano di 24 anni, scopre alla morte della madre l'identità del padre che non ha mai conosciuto. Le possibilità di indagine offerte dal suo mestiere unite alla singolarità del nome di lui, Uriel Blackstone, gli permettono in breve tempo di identificarlo e iniziare, così, una lenta opera di stalking che culminerà con la decisione di rapirlo e rinchiuderlo in una baracca sperduta in mezzo ai boschi, nel tentativo disperato di recuperare gli anni perduti e costringerlo a farsi amare e riconoscere come unica famiglia che abbia mai avuto.
L'uso della prima persona è perfetto per far comprendere al lettore quanto lenta e inconsapevole sia la discesa di Gabriel nella sua stessa follia, di cui Kichiku Neko è bravissima a suggerire l'origine senza, però, la forzata sicumera di certe sceneggiature da episodio medio di Criminal Minds.
Sì, la madre di Gabriel non l'ha mai amato.
Sì, lo ha selvaggiamente picchiato la prima e unica volta in cui, a cinque anni, ha provato a chiedere dove fosse il papà.
Sì, da allora in Gabriel è nato ed è cresciuto un rancore profondo verso quel fantasma senza nome, rancore che è esploso non tanto quando quel fantasma si è fatto carne e ossa ma quando, soprattutto, si è reso conto di quanto ne avesse disperatamente bisogno.
Ed è qui che parte il secondo arco narrativo, quello che rende questa storia agghiacciante ma al tempo stesso unica: l'evolversi dei sentimenti di Gabriel, che passano dalla semplice curiosità all'ossessione, sfociando in un amore che è al tempo stesso carnale e metafisico, filiale e sessuale.
Gabriel odia l'Uriel padre ma si innamora dell'Uriel uomo, e in mezzo a questa dicotomia si spalanca tutto l'abisso di solitudine e disperazione in cui è stato costretto a vivere per 24 anni.
La spirale della violenza sessuale viene descritta e illustrata con perizia chirurgica, come passaggio necessario, come necessaria la sente Gabriel che non trova altro modo di connettersi al padre e come necessaria finisce per sentirla Uriel, che non è riuscito a trovare un altro modo di far ragionare Gabriel.
È la storia di una lotta disperata da ambo le parti, contro la follia, per la sopravvivenza, sempre più distante dalla possibilità di poter convivere come una famiglia normale, una corsa folle verso la costruzione di un rapporto sempre più innaturale.
Questo perché Uriel ha avuto un'altra moglie e un altro figlio, persone che ha amato e ama e da cui è stato ed è ancora amato con altrettanta disperazione.
Persone il cui arco narrativo si incastra in questa confessione come un cuneo, riportando per brevi paragrafi la storia nei binari del giallo più classico.
Uriel vorrebbe essere il padre di Gabriel ma è soprattutto e fino in fondo il padre di Phillip, che vorrebbe proteggere non tanto da un pericolo fisico, quanto dall'orrore di ciò che sta subendo.
È per lui che trova la forza di lottare pur non essendo un uomo particolarmente coraggioso e allenato.
Una differenza abissale col Katsuya di In these words, che sembra quasi mettersi volontariamente nelle mani del suo aguzzino, al fine di incrinarne l'ego e permetterne l'arresto.
Uriel è stato, per tutta la vita, vittima di eventi più grandi di lui e non derivanti dalla sua volontà: ha cercato di fare quello che ha potuto meglio che ha potuto.
Non a caso, quando si rende conto che non c'è più scampo né possibilità di redenzione fa ciò che è necessario e quasi incoraggia Gabriel a concedergli la morte.
Sorridendo come un Socrate al momento di bere il veleno.
Solo così, come ricordo idealizzato, potrà essere il padre di cui Gabriel ha realmente bisogno.
“You are still so young,” he said. “You shouldn’t think of dying, no matter what.”
He took my left hand, then slipped the ring on my ring finger. It fit comfortably. “I want you to be a good person...understand? Your father has just bought your soul with this ring,” he said. His voice was faltering, straining as he struggled to speak. “I forgive you...I hope someday you will find a way to forgive me.”
Dicevo della connessione al quadro generale di cui ogni opera delle Guilt sembra essere un tassello: per quanto Phillip sembri una roccia e faccia tutto ciò che può per ritrovare il padre rapito a un certo punto crolla sotto il peso del dolore, trovando un appiglio in Katsuya.
È il suo primo, vero caso e ancora non sa che si rivelerà una profezia.
La sua anima di figlio che non ha mai conosciuto i genitori (pur sapendo chi sono e non essendo, quindi, orfano in senso stretto) è scissa tra la disperazione di Gabriel, che comprende ma non giustifica, e quella di Phillip, a cui offre quell'abbraccio che nessuno ha il coraggio di dargli.
Nei capitoli finali si fa, a suo modo, carico della sofferenza di entrambi, la interiorizza e in qualche modo la trasforma nel primo strumento che gli permetterà di vincere il suo destino.
Father figure, infatti, è una novel dal finale aperto di cui è previsto un seguito dal titolo significativo: Between devil and deep blue sea.
Il passato newyorkese e il presente giapponese si incroceranno, il cerchio di Uriel si chiuderà come l'anello con cui ha comprato l'anima di Gabriel.
Ma un altro è stato aperto e si stringerà presto attorno al collo di Katsuya e dell'uomo che ha rimosso dalla sua memoria.
Ma questa è un'altra storia e, come diceva Michael Ende ne La storia infinita, verrà raccontata un'altra volta.